Memorie di una viaggiatrice distratta

di Aron_oele
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Nessuno parlò mai di quel bacio.
Ryoga, riaperti gli occhi, fece scivolare la presa fino alla mia mano e mi trascinò via, lontano.
Lontano da Ranma e Akane.
Lontano dalle mani di lei che si intrecciavano sulla nuca di lui.
Lontano dalla presa di lui che si faceva più insistente sui fianchi di lei.
Lontano dalle gambe di lei che si avviluppavano attorno al corpo di lui.
Lontano da lui, che la spingeva contro il tronco dell’albero e lontano da lei, che aveva il fiato sempre più corto.
Lontano dal loro bacio, che si faceva più travolgente.
Lontano dal loro bacio, che non seppi mai se fosse stato il primo ma non avevo bisogno di sapere che non sarebbe stato l’ultimo.

<< Piano! Non riesco a starti dietro! >> gridai con quel poco d’aria che mi era rimasta in corpo, mentre il mio compagno correva quasi senza toccare la terra con i piedi.
<< Oh. Perdonami, Jude, io… >> era come in trance.
<< Fermati per un secondo! >> gli posai una mano sul bicipite teso, lasciato scoperto dallo smanicato verde oliva che indossava e contratto per via della posa assunta. << È così doloroso? >>
Ryoga mi guardò come si guarda qualcuno per la prima volta. Sembrava rendersi conto per la prima volta.
<< No. >> rispose solamente, con una fermezza insolita per lui.
<< Come? >>
<< No. >>
<< No, cosa? >>
<< No, non è doloroso, per niente. Anzi quasi non mi interessa! >> fece spallucce.
<< Ma… Bah! Ryoga, io proprio non ti capisco! >>
<< Cosa non capisci, Jude? >> chiese ingenuamente.
<< Il modo che hai di comportarti! Un giorno sembra che tra te e Ukyo ci sia qualcosa di più che una semplice amicizia, e però hai anche una ragazza che ti aspetta in una città di cui solo Dio sa il nome; poi guardi Akane che bacia Ranma e per poco non ti viene un coccolone! Sei un po’ confuso, ragazzo mio! >> quasi strillai senza rendermene conto.

Ryoga mi guardava sbigottito, come se fossi un’aliena o come se non capisse quello che gli stavo gridando contro. E non aveva tutti i torti, dato che nemmeno io sapevo perché gli stessi dicendo quelle cose, né chi o cosa mi avesse fatto credere di avere il diritto di attaccarlo in quel modo.
<< Scusami >> sussurrai abbassando la testa, << Io… non volevo… non ho nessun diritto di… >>
Ma Ryoga mi sorprese ancora una volta e scoppiò in un’enorme e fragorosa risata, come il tuono di un improvviso temporale estivo. I suoi tipici canini sporgenti brillavano scoperti e quella vista, non so perché, riusciva sempre a rassicurarmi.
<< E ora che c’è da ridere? >> chiesi fingendomi irritata, ma in realtà l’inizio di un sorriso, che ben presto si sarebbe trasformato in risata, già appariva anche sulle mie labbra.
Ryoga portò una mano a grattarsi la nuca: << In realtà lo capisco, Jude >> disse quasi imbarazzato, << Nemmeno io comprendo me stesso il più delle volte! >> e sorrise con un nonsoché di tenero nell’espressione. Poi continuò: << Mi sono innamorato di Akane tanti anni fa… che poi, innamorato è un parolone. Credevo di essere innamorato, ma la mia era solo una fissazione. Mi sono sempre sentito un po’ emarginato per via del mio stile di vita, e Akane è stata la prima a mostrarmi gentilezza. Gentilezza che io ho prontamente confuso per affetto e… non so nemmeno io come sia stato possibile, ma ho creduto di essermi innamorato. Mi ero ripromesso che non mi sarebbe importato con chi avesse scelto di vivere, io l’avrei amata per il resto dei miei giorni. Tu mi conosci ancora poco Jude, ma sono molto leale, la amavo a tal punto, o forse dovrei dire che ero fissato a tal punto, che sarei stato felice di poter morire per lei (1). >> esclamò fissando con intensità un punto lontano, al di là del bosco, al di là di Ryugenzawa, chissà dove.
Questa dichiarazione mi commosse tanto che mi vennero gli occhi lucidi e Ryoga se ne accorse subito.
<< Ora non piangere, ti prego! Non volevo farti piangere, che frana che sono! >> disse avvicinandosi.
Io mi asciugai istintivamente gli occhi e negai con un cenno della testa: << Non sto piangendo. Sono solo un po’ commossa! Quello che hai detto è così…>>
Alzai lo sguardo fino a incrociare i suoi occhi, che ora parevano essersi fatti più scuri; si stava di nuovo grattando la nuca, lo faceva sempre quando era in imbarazzo.
<<…dolce. >> terminai la frase guardandolo profondamente. Non sapevo esprimere quanto quelle parole mi avessero toccato dentro, così cercai di comunicarglielo con lo sguardo.
Ryoga parve comprendere: << Oh, Jude >> sussurrò.
<< Ryoga >> feci eco io.
E ci fu quello che noi americani chiamiamo “a moment”, un momento, il momento.
Un lampo improvviso guizzò fra i nostri sguardi e, prima che me ne potessi accorgere, Ryoga aveva entrambe le mani sulle mie guance e mi stava baciando.
Era stato strano come l’amore che provava per un’altra ragazza l’avesse reso migliore ai miei occhi, ma quelle parole, così dolci, così cariche di sentimento -anche se lui la definiva fissazione- così buone e gentili, mi avevano colmato il cuore di una tenerezza disarmante.
Ryoga era un amante meno timido di quello che si poteva pensare e invero più appassionato. Il calore del suo corpo così vicino al mio era stordente, ora che la sera ci aveva quasi raggiunti nel cuore del bosco. Le sue mani erano grandi e rassicuranti e incorniciavano il mio viso con estrema delicatezza. Premette le labbra sulle mie, incastonandole alla perfezione. Restammo così, due punti fermi nel turbinio del mondo. Quando si staccò da me, era leggermente rosso in viso mentre mi guardava di sottecchi con un sorriso affatto imbarazzato. Indietreggiò di qualche passo e si lasciò cadere su un masso lì accanto, io mi misi a sedere vicino a lui.
Sorrisi. Non volevo dare un nome, definire, quello che era appena successo. Andava bene così: un bacio con Ryoga in mezzo alla foresta di Ryugenzawa, quasi alla fine della mia estate giapponese. Un bacio improvviso, incontrollato o forse incontrollabile, tenero come lui, frettoloso come me. Mi girai a guardarlo mentre ancora sorridevo, lui fece lo stesso e scoppiammo a ridere.
Andava bene così.
<< Egao ga suteki desu ne (2) >> dissi tentennando un po’.
<< Yoku yatta (3), Jude! >> rispose lui felice << La tua pronuncia è molto migliorata! E, comunque, grazie, anche il tuo >> aggiunse.
Aspettammo un altro po’, seduti scomodi su una roccia mentre guardavamo ora il panorama ora i nostri sorrisi reciproci.
<< Quindi mi pare di capire che tu stia bene, giusto? >> mi feci coraggio.
<< Ti pare di capire? >> chiese lui con il tono a metà fra l’ironico e il divertito.
<< Sì… nel senso… per il bacio di poco fa… >>
<< Quale bacio? >> un sopracciglio alzato e un angolo della bocca piegato in un sorriso timido ma sarcastico.
Mi coprii il viso con le mani, scoppiando di nuovo a ridere e lui mi seguì in un secondo.
<< Quindi non ti ha fatto male? >> chiesi quando riuscii a tornare seria.
<< No, non mi ha fatto male. In fondo, Jude, me lo aspettavo, sai? Quei due sono… >>
<< Pazzi. >> conclusi io per lui. Allora non sapevo dire se pazzi l’uno per l’altra, pazzi perché lo nascondevano, pazzi perché se lo nascondevano o pazzi e basta, ma come ormai era consuetudine, Ryoga ed io ci intendemmo solo con lo sguardo. Sarebbe arrivato il momento in cui uno di quei capoccioni mi avrebbe raccontato la storia infinita del loro turbolento amore, ma non era questo il giorno (4).
<< E l’altra ragazza con il nome che comincia per “A”? >> sentivo improvvisamente il bisogno di sapere sempre di più, di incastrare i pezzetti del puzzle e vedere finalmente il quadro completo.
<< Lei è stata la seconda persona ad essere gentile con me, dopo Akane. Anzi, a dirla tutta, Akari si era proprio innamorata di me! >> disse ridendo, tornando a compiere il solito gesto sintomo di un leggero imbarazzo. << Sai, se non sei un Dongiovanni come Ranma e tutte le ragazze carine non cascano ai tuoi piedi, allora la prima che dimostra interesse per te ti sembra un angelo caduto dal cielo. Ad un certo punto, quasi due anni fa ormai, mi fu chiarissimo che non ero io quello per cui batteva il cuore di Akane, e così… >>
<< Ti sei fatto consolare da Akari. >>
<< Esatto. No! No! Io non potrei mai! >> si alzò di scatto.
<< Sto scherzando, Ryoga! Lo so che non sei il tipo da fare queste cose >>
Tornò a sedersi accanto a me: << Jude! >> mi rimproverò bonariamente, guardandomi con la coda dell’occhio mentre assumeva una posizione più rilassata stendendo le gambe e tirando indietro le braccia. << Non mi sono “fatto consolare” da Akari, però volevo che qualcuno mi volesse bene come Akane ne voleva a… >>
<< Ranma. >>
<< Sì, esatto. >>
Avevo ormai capito, anzi sapevo, che in Giappone quella che tutti gli stranieri scambiano per timidezza, in realtà è riservatezza. Riservatezza nei rapporti, riservatezza nei sentimenti, riservatezza nelle parole. La parola data ad un giapponese, è data per sempre. C’è un’attenzione tutta particolare per le parole e sarà per questo che hanno una lingua così bella e descrittiva. Sapevo che Ryoga non avrebbe detto nulla, e che loro non avrebbero detto nulla, ma in qualche modo tutti lo sapevano.
C’era un tacito accordo fra tutti i membri di quella strampalata cerchia di amici e parenti, un tacito accordo che imponeva loro di non dirlo mai ad alta voce, ma tutti lo sapevano. Anche se qualcuno cercava di non badarci, anche se qualcuno non lo voleva vedere e anche se qualcun altro invece ogni tanto cercava di tirarlo fuori, ormai tutti lo sapevano.
Ryoga fissava una stella lontana che ci salutava nel cremisi del tramonto, era pensieroso.
Mi girai per guardarlo meglio e notai una ferma risolutezza nei suoi occhi. Quella che Ryoga provava in yiddish si chiama “fargin”: la sincera felicità per il successo di qualcun altro, in questo caso del suo miglior nemico e della ragazza che un tempo aveva creduto di amare. Annuii inconsapevolmente e tornai a guardare la radura davanti a me. Persino io, in una sola estate, mi ero accorta del legame che esisteva fra quei due, ma quanto in realtà quel legame fosse profondo, l’avrei saputo solo dopo.
<< E con Ukyo invece? >>
A Ryoga andò quasi di traverso la sua stessa saliva.
<< Non c’è niente fra me e Ukyo, Jude! Posso assicurartelo! >>
Lo guardai con un sopracciglio alzato, a mo’ di sfida, e lui rispose impacciato: << In realtà non c’è niente con nessuna, altrimenti non avrei… >> disse, ma senza guardarmi.
Istintivamente, portai una mano sulle labbra: << Non ti sei scusato…>>
<< Devo? >>
<< Ti scusi sempre per tutto! >>
Mi guardò nella maniera più eloquente che avessi mai visto, così mi affrettai ad aggiungere: << No, se lo volevi. >>
<< Lo volevo. >>
<< Va bene allora. Quindi con Ukyo non c’è niente? >> risi.
<< Perché, sei gelosa? >> rise anche lui. << No, non c’è niente. Tutti credono che ci sia complicità fra noi perché siamo i due friendzonati per eccellenza. In realtà la pensiamo entrambi allo stesso modo: abbiamo fatto chiarezza sui nostri sentimenti e siamo stati i primi a capire i loro. Se ci fai caso, Ukyo non è affatto insistente come Shan-Pu o Kodachi nei confronti di Ranma, non trovi? >>
<< È vero >> ammisi.
L’indaco stava sfumando nel viola e l’aria stava diventando ancora più fresca. Non c’era quasi più nessun rumore attorno a noi. La sera stava calando.

Chissà se Ranma e Akane erano tornati alla pensione. Chissà se gli altri avevano rivolto loro le solite risatine e battutine sceme e poco divertenti, chissà se Ranma era tornato trionfante con Akane fra le braccia o chissà se, ad aver trionfato, questa volta era stata lei.
Deve sempre salvare tutti”, mi tornarono in mente le parole di Ryoga.
E per un attimo pensai a Ranma e Akane, e a tutta la timidezza e la tenera goffaggine di quando facevano qualcosa di dolce l’uno per l’altra. Immaginai Ranma, impacciato, con il viso rosso e l’espressione imbronciata, mentre teneva per mano un’Akane sorridente come una bambina cui è stata perdonata una marachella. Lo immaginai serio e imbarazzato mentre la trascinava via camminandole davanti per non rischiare di incrociare il suo sguardo. E infine, lo immaginai mentre rimuginava su chissà quali parole, che di certo non poteva dirle, mentre lei si lamentava bonariamente: << Ehi, ma come mai te ne stai zitto, Ranma? >> (5)
<< Si sta facendo tardi, presto sarà buio pesto; sbrighiamoci o faremo fatica a ritrovare la strada. >>
Le parole di Ryoga interruppero il filo dei miei pensieri.
Lo guardai con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso mentre mi porgeva una mano per alzarmi.
<< So a cosa stai pensando! >> esclamò cogliendo la mia espressione e fingendosi offeso.
<< Oh davvero? E cosa? >>
<< Che anche con la luce del sole mi perderei lo stesso! >>
<< Ma come diamine avrai fatto a indovinare!? >> mi limitai a dire prendendolo in giro.
In realtà stavo pensando che, se le strade le sbagliava sempre tutte, quella per le mie labbra l’aveva trovata senza alcuna difficoltà. Ma questo non glielo dissi mai.

***

E così, i baci di cui nessuno parlò più diventarono due.
Al nostro rientro a casa, Ryoga partì per un viaggio di allenamento. Anche Ranma si allenava come un matto, visto che di lì a poco ci sarebbe stato un importante… torneo? Gara? Esibizione? In realtà, non avevo ben capito cosa fosse, ciò che sapevo con certezza è che tutti gli artisti marziali che conoscevo erano affaccendati in preparazioni e allenamenti di ogni tipo e le giornate per me scorrevano in maniera placida e - per la prima volta - anche un po’ noiosa.
La mia stanza era piccola ma arredata con cura in perfetto stile nipponico. Carta di riso e legno chiaro
dominavano su uno sfondo bianco e blu di Persia, alternati di tanto in tanto a qualche dettaglio verde bambù. Non c’erano quadri, solo dei grandi fogli scritti in giapponese, incorniciati e appesi in fila sull’unica parete libera. Non avevo idea di cosa ci fosse scritto, e non avevo mai pensato di chiederlo, ma riuscivo a distinguere il nome di Ranma scritto in hiragana, il primo alfabeto della lingua giapponese. Nel corso della mia permanenza, avevo trovato molta difficoltà nell’imparare a scrivere nella lingua locale. Quei segni tondeggianti e magnifici erano tremendamente faticosi da riprodurre: per ogni simbolo, infatti, c’è tutto un rituale da seguire, e ciascuna sillaba deve rispettare un preciso ordine. Pertanto, non solo è difficile apprenderne le forme e il significato, ma anche la corretta sequenza di scrittura. Tuttavia, i nomi dei componenti della mia famiglia adottiva erano ormai diventati abituali per me e li sapevo scrivere e riconoscere senza difficoltà. Così, ero certa che quei bei fogli grandi fossero gli attestati di arti marziali che Ranma aveva vinto nel corso degli anni. Quella che io chiamavo la mia stanza, era infatti la stanza di Ranma, che mi aveva gentilmente ceduto per tornare a dormire con suo padre.
Il giorno che sto per raccontarvi, fu il giorno in cui la salutai per sempre.


Me ne stavo distesa sul futon, incerta se mandare o meno un sms a Ryoga. Non che utilizzasse molto il telefono, ma da quando era partito mi aveva inviato solo due messaggi: uno per rassicurarmi di non essere finito - di nuovo - in Russia e l’altro per informarmi sull’andamento dei suoi allenamenti. Non aveva più accennato al bacio che mi aveva dato, come se fosse rimasto sepolto nella foresta assieme a quello di Ranma e Akane e al ricordo di entrambi, e io cominciavo a chiedermi se per caso non se ne fosse pentito davvero alla fine.
Il giorno dopo il nostro ritorno ero uscita a comprare dei souvenir con Alexander, che era stato particolarmente dolce con me in quell’occasione, finendo col mandarmi in confusione, e al mio rientro avevo scoperto della partenza di Ryoga solo grazie a un’incauta uscita di Ranma.
Da quel momento erano passate due settimane.
Due settimane e due messaggi.
Due, come i ragazzi nei miei pensieri.
Fin dall’inizio, avevo capito che Alexander provava un certo interesse per me. Era chiaro da tutti i momenti che riusciva a trovare per fumare una sigaretta da soli, da tutte le felpe che mi aveva prestato per scaldarmi, e da tutti gli sguardi teneri che mi riservava. Avevo capito e apprezzato le sue attenzioni e, in cuor mio, avevo sempre pensato che alla fine sarebbe successo qualcosa. E invece, era stato quel ragazzo timido, educato e per me spesso indecifrabile, a entrare prepotentemente nei miei pensieri e, alla fine, mi aveva addirittura baciata!
Forse Alexander sarebbe stato più giusto per me; in fondo saremmo tornati nello stesso Paese e New York e Boston non erano troppo lontane. Ma non riuscivo più a non pensare a quegli occhi verdi che a volte avevano l’espressione di un cucciolo bastonato, mentre altre brillavano di fierezza.
Bel casino Jude, complimenti!
Mentre rimuginavo su tutto questo e continuavo a cancellare e riscrivere l’incipit di un messaggio, qualcuno bussò gentilmente alla porta.
<< Avanti! >> dissi mettendomi a sedere.
Kasumi entrò con una tazza di tè, chiedendo se poteva parlarmi con un’espressione molto seria dipinta in volto.
<< Volevo sapere se non ti sarebbe di troppo disturbo trasferirti nella stanza di Akane quest’ultima settimana… >> cominciò, << Non te lo chiederei mai, ma il fatto è che Ranma dovrebbe tornare a dormire qui perché…>>
<< Ok! >> la interruppi sorridendo << Non devi darmi nessuna spiegazione, è casa vostra. Se per Akane va bene, per me non c’è nessun problema! >>
<< Oh, grazie mille Judith! Sei una ragazza molto cara! >> disse lei posandomi entrambe le mani sulle spalle e sorridendo radiosa, come se si fosse tolta un enorme peso.
“E così sto per conoscere un altro personaggio…” pensai subito dopo.
L’ultimo” mi corresse una vocina dentro di me.

Quella stessa sera Ranma mi aiutò a spostare valigia e futon nella stanza di Akane e mi sistemai lì per l’ultima settimana che avrei passato a casa Tendo-Saotome.
<< E così adesso siamo come coinquiline! >> squittì felice la mia amica, mentre sistemavo qualche vestito nei cassetti che aveva prontamente svuotato per me.
<< Sì! >> esultai contagiata dalla sua allegria e lei, per tutta risposta, tirò fuori un post-it dal cassettino della scrivania, ci scrisse sopra “& Jude” e lo attaccò alla paperella di legno che, appesa alla porta, segnava l’ingresso nella sua stanza recando inciso il nome “Akane”.
<< Sono proprio felice che tu sia qui, sai? Visto che Ranma abita con noi, non ho mai voluto chiedere a nessuna delle mie amiche di rimanere a dormire qui, ma mi piacciono tanto i pigiama party! Ti va se ci facciamo una maschera di bellezza? >>
Acconsentii ben volentieri, magari mi avrebbe distratto anche dai miei confusi pensieri in materia di ragazzi.
<< Sono contenta che torni la zia Nodoka! >> aggiunse poi, mentre era intenta a spalmarmi l’argilla verde con un pennello che faceva il solletico.
<< La zia Nodoka? >> ribattei con curiosità.
<< Ma come, non te l’hanno detto? >>
<< No, veramente no. Kasumi mi ha solo chiesto di spostarmi qui e io non ho voluto spiegazioni >>
<< Ah! Caspita! Allora non sai che sta arrivando Nodoka, Nodoka Saotome! >>
<< Saotome? Ma allora… >>
<< Sì! È la moglie di Genma, la madre di Ranma! >> rispose Akane alla mia domanda implicita.
Mentalmente feci un rapido calcolo: se Nodoka Saotome era la madre di Ranma, e Akane la chiamava “zia”, allora Ranma e Akane dovevano essere cugini! Involontariamente sgranai gli occhi: Ranma e Akane erano cugini e si erano baciati! Non che fossi una ragazza particolarmente tradizionalista, la storia e la letteratura erano pieni di matrimoni fra cugini solo che, insomma, di questi tempi non sono cose che si sentono tutti i giorni! Ranma e Akane erano complicati, avevano un rapporto particolare e unico nel suo genere, ma non mi sembrava affatto quello fra due cugini.
Si volevano bene, questo ormai sarebbe parso chiaro anche a un cieco, ma il loro affetto non aveva niente di fraterno.
Mi crucciai, inconsapevolmente, perché Akane mi chiese titubante: << Tutto bene, Jude? >>
<< Sì! Sì! >> mi affrettai a rispondere non volendo dare l’impressione di giudicarli << Non avevo capito che Ranma fosse tuo cugino! >> aggiunsi sorridendo impacciata.
<< Ma Ranma non è mio cugino! >> gridò lei quasi con orrore.
<< Oh, scusami… è che hai chiamato sua madre zia, quindi… >>
<< No, no. >> sorrise << È solo un modo affettuoso di chiamarla, non siamo veramente parenti! >>
“E per fortuna” aggiunsi mentalmente spostando lo sguardo verso lo specchio: avevo tutto il viso ricoperto di verde, una fascia di spugna rosa a tenermi a bada i capelli e l’espressione più comica che avessi mai visto. Scoppiai a ridere da sola.
Akane si unì subito e ridemmo a crepapelle, seppur per motivi diversi.
<< Non posso credere che tu abbia pensato che io e Ranma potessimo essere cugini! >> esclamò poi continuando a ridere senza sosta, come se fosse una cosa davvero assurda.
<< Perché scusa? >> domandai con finta noncuranza e un pizzico di malizia; del resto, Akane non sapeva che io avevo assistito al loro bacio nella foresta.
<< Perché… perché… io e Ranma… non possiamo essere cugini e basta! >> balbettò imbarazzata.
<< Mmm… >> finsi di pensare, << vivete sotto lo stesso tetto, avete un bel rapporto… se non siete parenti allora Ranma è… >>
<< … complicato! >> finì lei la frase e corse in bagno.
Questo mise fine alla discussione e io rimasi seduta sul suo letto a ridacchiare e a complimentarmi da sola. “Effetto Nabiki” pensai fra me e me.
Quando tornò, con il viso pulito e lucido, decisi di non riprendere il discorso ma invece le chiesi come mai “la zia Nodoka” fosse via per tutta l’estate.
<< È una grande esperta di katana, una delle tradizionali spade giapponesi, e ha tenuto una summer school a Okinawa quest’anno. È formidabile sai? C’è stato un tempo in cui era concesso solo agli uomini combattere, soprattutto con l’uso delle armi. Il simbolo dei famosi samurai era proprio il daishō: la coppia delle spade che venivano portate all’obi, formata dalla wakizashi e dalla katana. Tutt’oggi sono poche le donne che si cimentano nell’arte del combattimento con la spada e Nodoka ha dedicato la vita a questo scopo. La ammiro così tanto! >>
Rimasi così incantata dalla descrizione che la mia amica stava facendo di quella donna tanto affascinante, che ne volli sapere di più: << E com’è lei? >> chiesi quindi.
<< Oh, è meravigliosa, vedrai! Solo un po’ fissata con la virilità… >>
<< In che senso “fissata con la virilità”? >>
<< Ecco vedi, sai già che Ranma da bambino venne portato via da Genma per diventare un grande esperto di arti marziali… >>
Annuii rapita dalle sue parole.
<seppuku… >>
<< Seppuku… seppuku? Cioè come Yukio Mishima? (6) >> chiesi sbigottita.
<< Sì >> rispose lei sempre sorridendo << Il rituale del suicidio volontario. Ovviamente non credo fosse davvero seria, ma per anni ha terrorizzato quei due poverini con questa storia! >> concluse senza riuscire a reprimere del tutto le risate.
<< Ha un concetto un po’ particolare di “vero uomo” diciamo… per quanto possa essere moderna in certe sue attitudini, in altre invece è una donna molto conservatrice e amante della tradizione. Ranma si impegna sempre tanto per dimostrarle la sua virilità quando stanno insieme, ma lei lo adora a prescindere, si vede da come lo guarda… >> continuò con aria sognante, << La separazione dal figlio deve esserle costata molto, si sono riuniti poco tempo fa e, da allora, Ranma non perde occasione per renderla fiera di lui. >>

Nel raccontarmi questo ad Akane vennero gli occhi lucidi. Senza dire niente, feci solo un cenno di assenso con la testa, per dimostrarle che avevo capito l’importanza di quello che aveva deciso di condividere con me. Non glielo dissi quella sera ma avevo anche capito, però, che il modo in cui lei parlava del rapporto fra Nodoka e suo figlio e l’importanza che a tale rapporto attribuiva, altro non erano che un’ulteriore conferma dei suoi sentimenti per Ranma.
Ci addormentammo girate l’una verso l’altra, io nel mio futon e lei nel suo letto dalle lenzuola gialle. Scivolammo nel sonno con ancora in mente le mirabolanti avventure di Genma che tenta di fuggire dalla moglie e una strana storia su Ranma che doveva guardare Akane fare il bagno per compiacere il volere della madre e dimostrarle così la sua virilità.
Improvvisamente, nel cuore della notte, un rumore sordo mi svegliò. Di scatto mi alzai a sedere illuminando la stanza con lo schermo del telefono. La finestra aveva un’anta aperta, dato il caldo, e il rumore sembrava provenire da fuori. Mi alzai in punta di piedi, ben attenta a non svegliare Akane, mi sporsi per vedere se c’era qualcuno in giardino o se per caso qualche festone attaccato per l’imminente matrimonio fosse caduto da qualche parte, ma niente.
A volte, durante la notte, sentivo gli allenamenti di Ranma, ma quella sera non mi pareva ci fosse qualcuno nel dojo. Un altro rumore, questa volta più forte, attirò la mia attenzione verso l’alto. Sembrava venire dal… tetto? Mi ricordai che Akane mi aveva raccontato che qualche volta, nelle sere d’estate, Ranma saliva sul tetto, proprio sopra la sua stanza, a fare cosa lei non lo sapeva.
Così gli scrissi un messaggio: “Ranma, sei salito sul tetto?”
Dopo pochi secondi, il mio cellulare vibrò: “Sì Jude, sono io
😉 Ti ho spaventata?”
“No, no, ho solo sentito dei rumori… che ci fai lì?
“Ah ah ah! È bellissimo qui, vuoi venire?”
Per un attimo immaginai me stessa mentre cerco di salire su un tetto, imbranata come sono sarei di certo caduta se fossi stata da sola. Ma se c’era una cosa che avevo imparato, era che non esiste posto più sicuro al mondo che in compagnia di Ranma Saotome, quindi presi un cardigan leggero, me lo misi sulle spalle e risposi semplicemente “Ok”.
“Perfetto, cerca di non svegliare quel maschiaccio di Akane, sennò chi la sente domani. Esci fuori, dove si trova la finestra della stanza di mio padre; accostata al muro, c’è una lunga scala. Vai lì, ti aiuterò io a salire!”
“Arrivo
😊” e, senza badare troppo alla vocina nella mia testa che mi intimava di tornarmene in camera perché sarei stata capace di rompermi una gamba anche in compagnia dell’uomo più forte di tutto il Giappone, seguii le istruzioni che mi erano state date. Quando arrivai davanti alla scala, Ranma si sporse dal tetto: << Ehilà! >>
<< Buonasera! >> risposi ridendo.
<< Terrò io la scala, tu sali senza avere paura! Soffri di vertigini? >>
<< No, almeno credo… >>
<< Coraggio! >> mi incitò e cominciai a salire. Stranamente, come gli uccellini che si posano sui rami più sottili, non temevo di cadere. Loro ripongono la loro fiducia nelle loro ali, io invece la riponevo negli enormi bicipiti di Ranma che reggeva la scala senza sforzo. Arrivata agli ultimi due scalini, il mio amico mi porse una mano e mi trascinò sulle tegole umide.
<< Occhio, potresti scivolare. Reggiti a me >>
Mi aggrappai al suo avambraccio con quanta forza avevo in corpo; percorremmo piano il tratto di tetto che ci separava da dove stava precedentemente e, una volta arrivati, ci mettemmo a sedere con le gambe incrociate.
<< Perché vieni sempre da questo lato? >> chiesi,
convinta del fatto che il motivo fosse in qualche modo connesso alla posizione della stanza di Akane. Tuttavia, il mio interlocutore mi spiazzò completamente: << Questa parte del tetto è rivolta a ovest, si vedono meglio le stelle, guarda! >> e indicò con il dito il cielo stellato sopra di noi.
Lo spettacolo che avevo davanti era tanto imponente da non saperlo descrivere a parole.
Tokyo è una città enorme, la metropoli più grande del mondo. Così tanto che è divisa in ventitré quartieri speciali. Non ha un vero e proprio “centro”, data la sua vastità, ma tutti i quartieri costituiscono una sorta di città nella città: piccoli e grandi, ognuno con i suoi parchi, i suoi templi e le sue attrazioni. Nerima, dove abita la mia famiglia adottiva, ha una peculiarità che lo rende speciale: di notte, nelle zone più lontane dalle vie dei negozi, la luce dei lampioni è così bianca e tenue che, dall’alto, permette di vedere bene le stelle. Il cielo che mi stava indicando Ranma era un misto di colori che spaziavano dal ceruleo al blu polvere, ricamato di infiniti puntini bianchi che indicavano le strade dell’Universo. La Via Lattea regnava sopra di noi, mostrandoci le sue braccia chiare senza vergogna, in un grandioso spettacolo che serviva a ricordarci che, invece, i puntini eravamo noi.
Un’esibizione, una coreografia di luci e colori, uno sfavillio senza fine. Era così bello che mi mancava il fiato.
<< Wow! >> fu tutto quello che riuscii a dire.
<< Te l’avevo detto >> rispose Ranma continuando a guardare in alto. << Non è meraviglioso? >>
<< Sì, lo è. >>
Le luci delle stelle che si riflettevano nei nostri occhi, l’odore della notte, il silenzio interrotto solo dal fruscio delicato del vento: tutto attorno a noi suggeriva poesia.
<< Non pensavo ti piacessero le stelle >> sussurrai appena.
<< Mi fanno pensare alle dimensioni dell’infinito (7) >> rispose sdraiandosi sulle tegole e piegando le braccia dietro la nuca a mo’ di cuscino. Feci lo stesso anche io e mi misi a guardare lo sfolgorio del cielo notturno. Per un po’ restammo in silenzio, un silenzio rilassato e confortevole.
<< C’è molta pace quassù >> dissi a un tratto, spezzando quella sorta di incantesimo.
<< Questo è l’altro motivo per cui ci vengo >> scherzò Ranma << Ti sarai accorta che la vita in questa casa può essere molto caotica! >>
<< Oh se me ne sono accorta! >> risi anche io.
<< Ci mancava solo questo matrimonio! >>
<< Non ti piacciono i matrimoni? >> domandai incuriosita da quella strana osservazione. Mi ero quasi abituata a stare da sola con Ranma e, col passare del tempo, le nostre chiacchierate erano diventate più frequenti e piacevoli. Avevo indirettamente imparato molte cose su di lui dai racconti di Akane e Ryoga, e ciò che non mi avevano detto loro, lo avevo scoperto da me. Ranma era estremamente protettivo nei confronti di tutti, soprattutto di Akane; timido e taciturno se si trattava dei suoi sentimenti, ma straordinariamente arrogante e sicuro di sé in caso di sfida.
Un amico leale e una persona su cui si poteva fare ciecamente affidamento. Qualunque cosa potesse fare per aiutare una persona cara, lui l’avrebbe fatta senza pensarci due volte. Anche se a volte poteva sembrare che avesse a cuore solo i suoi interessi, alla fine dimostrava di tenere più agli altri che a se stesso. Era una persona buona, nel profondo dell’anima.
Spesso, tuttavia, sapeva essere anche estremamente irritante e indisponente, ma era un trascinatore nato. Bellezza, forza e carisma erano doti che gli erano state regalate alla nascita e che lui alimentava con disciplina e dedizione in tutto quello che faceva.
Non mi era mai capitato di incontrare un ragazzo così e ci avevo messo un po’ di tempo per comprendere il suo carattere, e soprattutto per smetterla di sentirmi in soggezione ogni volta che mi rivolgeva la parola.
Con il trascorrere delle settimane avevo cominciato a notare che Ranma cambiava atteggiamento a seconda delle persone che gli stavano intorno: era estremamente più irritabile con Genma, Kuno o il maestro Happosai; ironico con Nabiki; impacciato davanti a Kodachi e Shan-Pu; dolce e gentile quando parlava con Kasumi e il dottor Tofu; simpatico con Ukyo; uno sbruffone patentato davanti ai suoi compagni; rispettoso nei confronti di Soun e un completo deficiente - il più delle volte, o quasi - con Akane.
Con me, che ero estranea a tutto questo e presto sarei tornata nel mio Paese portandomi via il carico di segreti che ognuno si sentiva di affidarmi, a volte Ranma dava l’impressione di essere più rilassato. Non di rado mi aveva confidato i suoi veri stati d’animo, quelli che custodiva gelosamente per sé, quasi potesse, in mia presenza, abbandonare la maschera che solitamente assumeva con tutti. Tuttavia, non mi sarei aspettata che quella domanda, che da mesi mi ronzava per la testa, avrebbe trovato risposta proprio dalle sue labbra.
<< Non fraintendermi, >> continuò, << sono felicissimo per il dottore e per Kasumi. È solo che… i matrimoni non sono il mio forte! >>
<< Come mai? >>
<< Una volta ne ho mandato all’aria uno! >>
Piegai la testa dal suo lato, per poterlo osservare meglio e capire se fosse serio o meno. Anche Ranma si era girato nella mia direzione e mi fissava con la stessa identica espressione di quando gli sembrava di aver detto un’ovvietà e invece era finito per offendere e, conseguentemente, far arrabbiare Akane. Sbatteva le palpebre in maniera cadenzata, a tre a tre, quasi fosse lui stesso incredulo, e le sue labbra si erano trasformate in una perfetta piccola “o”.
<< Quale matrimonio hai mandato a monte? >>
<< Il mio. >>
In quel preciso istante capii che quella sarebbe stata una notte che non avrei più dimenticato.

Mi alzai a sedere con uno scatto fulmineo e lo fissai sbalordita, mentre lui, ancora sdraiato, invece mi osservava guardingo.
<< Che… che ho detto di male? >> chiese tirandosi su e grattandosi la guancia con il dito indice.
Era diventato ormai facile, per me, comprendere gli stati d’animo delle persone con cui avevo condiviso quest’avventura e che erano entrate nel mio cuore. Perciò, capii subito che Ranma era imbarazzato, perché quando lo era si grattava la guancia con l’indice, esattamente come, allo stesso modo, Ryoga si grattava la nuca. Saper distinguere i loro stati d’animo da quei piccoli dettagli mi faceva piacere, significava che avevo davvero imparato a conoscerli.
L’impellente necessità di schiarirsi la gola da parte di Ranma richiamò la mia attenzione al presente.
<< Ma come, >> indagò, << Akane non ti ha detto niente? >>
<< Del tuo matrimonio? >>
<< Del nostro matrimonio! >> mi corresse lui.
No, decisamente non avrei mai dimenticato quella notte!
<< Del vostro cosa? >> mi ritrovai a chiedere quasi urlando.
<< Shhh! O ci sentiranno e sveglieremo tutta la casa! >>
<< Perdonami, sono un tantino sotto shock! >> esclamai enfatizzando il tutto con un movimento delle braccia.
Ranma rise: << Davvero non sai nulla? >>
<< Ti pare che se lo avessi saputo, avrei reagito così?! >> ribattei gesticolando ancora di più per accentuare l’ovvietà della cosa.
<< Allora mettiti comoda, mia cara Jude, stai per assistere al racconto delle sfortunate avventure del grande Ranma Saotome! >> Mi fece l’abituale occhiolino, si sistemò di fronte a me e cominciò il racconto che avrebbe unito – finalmente - tutti i puntini di quell’incredibile disegno.
<< Quasi non ricordo più il giorno esatto in cui mio padre mi trascinò qui, a casa Tendo. Così, dal nulla. Eravamo in giro come al solito, in uno dei nostri viaggi di addestramento e una mattina mi comunicò che dovevo “compiere il mio destino”. Ovviamente gli diedi del cretino e continuai la mia giornata come nulla fosse. Lo scemo invece era serio e mi portò a Tokyo quasi di peso. >>
<< Compiere il tuo destino? >>
<< Esattamente, vedi avere un dojo è una cosa magnifica, ma anche un’enorme responsabilità. Da soli si fa una gran fatica; così il padre di Akane e il mio decisero di unire le loro scuole di arti marziali e condurre il dojo insieme. Non gli sembrò vero a quei due quando sono nato io! Soun aveva già due figlie femmine; non che le donne non possano occuparsi di una palestra, ma magari non avrebbero avuto interesse. E poco dopo nacque Akane, anche lei un’altra bambina. Così, quando ancora ero in fasce, decisero che avrei preso in moglie una delle tre Tendo, in modo da sigillare per sempre l’unione delle famiglie Tendo-Saotome. >>
<< Un matrimonio combinato? >>
<< Peggio! Non ci dissero nulla per sedici anni, fin quando, al mio arrivo, Soun mi accolse a braccia aperte dicendomi: “Kasumi, diciannove anni, la mia primogenita! Nabiki, la seconda, diciassette anni. Akane, la terza, sedici anni. Scegli quella che ti piace di più, sarà la tua fidanzata!” (8) Sono parole queste, che non potrò mai dimenticare! >> Ranma imitò perfettamente la voce profonda del capofamiglia. << Tutti si trovarono d’accordo nell’indicare Akane, perché eravamo coetanei, e questa è la storia del nostro fidanzamento! >> fece spallucce sorridendo.
<< Aspetta un momento, e voi avete accettato quella decisione… così? Senza obiettare? >>
<< No, era ovvio che non ci andasse bene. Vedi, Akane era molto diversa da com’è ora. Tanto per cominciare aveva il sex appeal di un surgelato, era più grassa, scontrosa, irascibile, scema, cafona, per niente carina, un maschiaccio violento… A pensarci bene non è cambiata poi così tant-… Ahia! >>
In difesa della mia amica, agii esattamente come avrebbe fatto lei, ovvero assestandogli un bel pugno in testa.
<< Ah, ecco, dimenticavo manesca! >>
<< Ranma! >>

<< Aveva i capelli lunghi, sai? >> riprese come se nulla fosse, ma l’improvvisa nota di dolcezza nella sua voce mi spiazzò.
<< I capelli lunghi? >>
<< Lunghissimi. Aspetta, dovrei avere qualche fotografia >>
Tirò fuori il cellulare dalla tasca e mi mostrò un’immagine di Akane in divisa scolastica con i capelli lunghi fermati in una coda da un nastro giallo.

Presi il telefono fra le mani e la osservai meglio: i lineamenti erano gli stessi, solo un po’ meno maturi, ma l’espressione degli occhi era identica. Fiera, indomita e forte, ma allo stesso tempo buona e gentile. Solo gli occhi di Akane sapevano essere così; quella ragazza era un ossimoro vivente, un insieme di contraddizioni armoniosamente combinate. Ma, forse, era proprio per questo che ci aveva conquistati tutti.
<< Ti piaceva? >> domandai con naturalezza rendendomi improvvisamente conto - ora che anche io sapevo - di quanto fosse normale il fatto che avesse con sé delle foto di lei.
<< Mi piace di più com’è ora >> fu tutta la sua risposta.
<< Me ne sono accorta! >> mormorai.
<< Come hai detto? >>
<< Niente, stavo pensando… come mai li ha tagliati? >>
<< Un piccolo incidente, colpa di Ryoga naturalmente. Stavamo combattendo nel cortile della scuola, come al nostro solito. Io avevo appena schivato un attacco lanciato con quel dannato ombrello che si porta sempre dietro e lo stavo usando come scudo contro le bandane che aveva preso a tirarmi addosso. Volevo evitare che colpisse Akane e, per proteggerla, l’avevo presa in braccio e portata con me su un tetto lì vicino… >>
“Più le cose cambiano, più rimangono le stesse” mi ritrovai a pensare, rivivendo, nella mia mente, scene molto simili a cui avevo assistito durante quell’estate.
<< … dato che Akane è sempre molto gentile e riconoscente con me, tutte le volte che per poco non mi rompo l’osso del collo pur di vederla sana e salva, mi ha dato del maniaco perché la stavo abbracciando, come se avessi voluto! Ci credi? >>
<< No! Io proprio no… >> sogghignai.
<< Be’ per fartela breve siamo finiti a litigare, lei mi ha tirato un ceffone, giurando che non voleva avere più niente a che fare con me e… zac! Una delle armi che quel cretino ha continuato a lanciarmi addosso per tutto il tempo nella speranza di colpirmi, come se fosse una cosa possibile, le ha tranciato di netto la coda. Se ne è andata via senza nemmeno una parola… Non lo ammetterà mai, orgogliosa com’è, ma ci è rimasta male. A pensarci bene forse è anche un po’ colpa mia… >> concluse ridacchiando.
<< Glieli aggiustò Kasumi e da allora non li ha più fatti ricrescere. Non so il motivo, ma meglio così. Si addicono di più a un maschiaccio come lei! >> aggiunse beccandosi un altro pugno dalla sottoscritta.
<< Hey! La sua vicinanza ha un cattivo ascendente su di te! Dove è finita la ragazza tutti sorrisi e inchini del primo giorno? >>
Gli risposi con un’occhiataccia e chiesi: << E poi? >>
<< E poi, cosa? >>
<< Come siete arrivati a sposarvi? >>
<< Ah, Jude… ne è passata di acqua sotto i ponti! Ne abbiamo vissute così tante insieme! >> volse lo sguardo al cielo notturno, perdendosi nei ricordi.
Fu così che trascorremmo ore su quel tetto; Ranma mi raccontò dei Natali, delle recite scolastiche, dei viaggi al mare, delle incomprensioni, dei litigi, degli equivoci, dei fraintendimenti, delle sfide, dei disastrosi esperimenti culinari di Akane, dei giorni trascorsi nei corridoi del liceo Furinkan, delle feste, degli scontri, degli allenamenti, delle partenze, dei nuovi incontri e di tutte le avventure strambe - ma tremendamente da loro - che avevano vissuto in quegli anni insieme.
<< Un giorno, che non mi piace ricordare, Akane ebbe un… mmm… incidente, se così si può chiamare. La tenevo fra le braccia, le parlavo, ma lei non rispondeva. Pensavo fosse morta… Ero terrorizzato, Jude. >> disse all’improvviso tutto d’un fiato; era evidente che gli faceva male anche solo ripensarci.

Ricambiai il suo sguardo interdetta e, per la prima volta, dopo tutte le belle storie che mi aveva narrato, percepii nei suoi occhi la paura che doveva aver provato e che, evidentemente, non lo aveva più abbandonato. Quel ricordo appariva indelebile nella sua mente e non c’era dubbio che gli provocasse ancora un dolore straziante. I pugni serrati si schiusero un po’: << Forse mi sono lasciato prendere dallo sconforto, non lo so. Non riesco a ricordare con precisione quei momenti, ma Akane è convinta che le abbia detto di amarla >> continuò senza più riuscire a guardarmi.
<< Così, la mattina dopo, mi sono ritrovato in abito da sposo e lei era… era… era vestita di bianco e tutti ci aspettavano e… >>
<< E…? >>
<< E niente, abbiamo fatto un casino. Abbiamo rovinato tutto. Non eravamo pronti, Jude, eravamo piccoli, non avevamo nemmeno finito le scuole superiori. Come potevano pretendere che ci sposassimo? Dopo il mancato matrimonio, Soun acconsentì ad aspettare ancora e ora stiamo giocando i tempi supplementari! >>
Sorrisi all’ultima affermazione, che strana metafora che gli era venuta in mente.
<< Insomma, ci si potrebbe scrivere un libro sulla vostra storia! >> esclamai con tono divertito per cambiare argomento e rallegrarlo dopo le ultime rivelazioni.
<< Non mi piacciono i libri! >>
<< Allora un manga, quelli li leggi! >>
<< Sì, un manga sì! Avrebbe un grande successo, ne sono sicuro! Si venderebbe in tutto il Giappone, ma che dico, in tutto il mondo, per almeno trent’anni! E come lo chiameresti? >>
<< Ranma ½ >>
<< Perché mezzo? >>
<< Vuoi forse dirmi che ti senti completo? >>
Ranma non rispose. Si sdraiò di nuovo a guardare le stelle e sorrise.
<< Le dimensioni dell’infinito, eh? >>
<< Già, proprio così. >>
<< La ami? >> chiesi a bruciapelo.
<< Ma ti sembrano domande da fare? >> urlò piano rimettendosi a sedere in fretta, rosso in viso come un pomodoro maturo.
<< No. Cioè non lo so. Le voglio bene, questo è chiaro ma non so se è proprio a… a… >>
<< Amore >> completai la frase e lui espirò rumorosamente portandosi una mano al petto, come se avesse avvertito una fitta proprio all’altezza del cuore.
<< Vi ho visti sai? >>
<< Eh? Che cosa? Quando? >> si agitò.
<< Calma, calma. Non andare in iperventilazione! >> risi. << A Ryugenzawa, nella foresta. >>
<< Cosa… cosa… hai visto? >>
<< Ranma… >>
<< Il… il…ba-ba-ba… >>
<< Bacio! Dio, Ranma, per essere un ragazzo grande e grosso a volte ti comporti proprio come un bambino. Amore, bacio… ce la fai a ripetere queste parole? >>
<< Come diamine hai fatto a vedere il ba… il ba… a vederci?>> domandò deglutendo a fatica e cercando di ritrovare la calma che era quasi riuscito a mantenere per tutto il tempo, ma che ora, dopo l’ultima rivelazione, sembrava – definitivamente - averlo abbandonato.
<< Ero venuta a cercarvi, o meglio, ero venuta a cercare Akane che era venuta a cercare te. Ovviamente mi sono persa e ho incontrato Ryoga, anche lui sulle vostre tracce. Mentre giravamo per la foresta vi abbiamo sentiti litigare, così ci siamo nascosti dietro un albero e… vi abbiamo visti. >>
<< Non lo hai detto a nessuno, vero? >> chiese prendendomi le mani con forza e guardandomi dritto negli occhi con l’espressione più profonda e seria che gli avessi mai visto fare.
<< No! Lo giuro, nemmeno ad Akane! Mi sembra una cosa abbastanza privata così l’ho tenuta per me. >>

<< Ok >> sospirò sollevato, e per un po’ restammo in silenzio contemplando la notte finché, vinta dalla curiosità, non domandai: << Perché non vi siete mai ribellati alla decisione dei vostri genitori? Non siamo più nel Medioevo, non possono davvero decidere per voi. >>
Ero seduta accanto a lui, le gambe strette al petto e il viso rivolto nella sua direzione, appoggiato alle ginocchia, mentre Ranma, disteso in maniera scomposta, continuava a fissare il cielo pur di non guardare me.
<< Perché, Jude… perché… non lo so perché! >> arrossì vistosamente. << Credo che alla fine ci vada bene così, ormai. Ci siamo abituati all’idea e, a dire la verità, non mi dispiace poi così tanto… >>
<< Allora la ami! >>
<< Che fesserie vai dicendo! >> esclamò paonazzo, alzandosi di scatto - per la centesima volta quella notte - e nel panico più totale.
<< Jude, ti prego. Non dire a nessuno quello che hai visto. Sarà il nostro piccolo segreto, farò tutto quello che vorrai, io… ti prego! >> mi implorò, letteralmente in ginocchio davanti a me, mentre stringeva convulsamente le mie mani tra le sue, unite a mo’ di preghiera.
Era talmente agitato al pensiero che potessi rivelare a qualcuno quello che avevo visto che decisi di fidarmi anche io di lui.
<< Un segreto per un segreto >>
<< Eh? >>
<< Uff >> sbuffai << Sei proprio ottuso a volte! Ti rivelerò anche io un mio segreto, così saremo i custodi l’uno del segreto dell’altra e dovremo fidarci per forza. Va bene? >>
<< Ok >> assentì.
<< Ryoga mi ha baciata. >>
<< Che cosa ha fatto? >> urlò.
<< Shhhh!!! Ma dico, sei matto? Abbassa la voce! >>
<< Che cosa ha fatto quell’idiota? >> ripeté, faticando non poco a riprendere il contegno ed enfatizzando appositamente l’aggettivo finale.
<< Mi ha baciata >>
<< Sulla bocca? >>
<< No, sulla mano. Sì, sulla bocca Ranma! Come tu hai baciato Akane! >>
<< Veramente è stata lei a baciarmi… >>
<< Oh, poverino. Ti è dispiaciuto molto, vero? >>
<< Non cambiare argomento ora! Perché ti ha baciata? >>
<< Me lo chiedo da settimane. >>
<< E a te andava bene? Oppure… se si è approfittato di te, giuro che io… >>
<< Sembri lui in questo momento! >> sorrisi al pensiero.
<< Hey, non mi paragonare a Ryoga! >> rispose fintamente offeso.
<< Non ha approfittato di me. Mi andava bene. Sì, penso proprio di sì. >>
<< Hai capito il maiale! >>
<< Ranma! >>
<< Scusa, scusa! >> alzò le mani in segno di resa.
<< Perché gli dai sempre del maiale? >>
<< Storia vecchia… diciamo che è un po’ la sua doppia natura quella del maiale! Chiamalo P-Chan, vedi come si arrabbia! >> sogghignò fra sé e sé.

<< Se parleremo ancora, cercherò di ricordarmene >> replicai marcando volutamente il “se”.
<< Perché dici così? >>
<< È partito da due settimane; non mi aveva nemmeno detto che sarebbe andato via e mi ha scritto solo due messaggi…Non so bene cosa pensare >>
Ranma parve rifletterci su qualche istante: << Credevo ti piacesse lo yankee in realtà >> osservò poi.
<< Alexander…>>
<< Ascolta, Jude, non sono certo la persona più adatta a dare consigli in materia di relazioni >> scherzò, << ma posso dirti di non prendertela troppo per la reazione di Ryoga. Hai visto quanto è timido? È già un miracolo che non sia scappato via correndo quel giorno stesso! Io lo posso capire… >>
<< Non mi pare che tu sia scappato! >> lo sfidai con l’aria di chi la sa lunga.
<< Che cosa c’entra questo? >> chiese Ranma arrossendo ancora, poi aggiunse: << Hey Jude, girati! >>
Mi voltai verso la direzione indicata da Ranma, a est, e gli occhi mi sorrisero incantati davanti allo spettacolo del sole che stava nascendo.

“Giappone”, in giapponese, si dice “Nihon” o “Nippon” che significa letteralmente “origine del sole”. Il soprannome gli è stato dato dai vicini cinesi, poiché l’isola si trova a est della Cina, proprio nella direzione in cui la mattina sorge il sole. Per questo è chiamato “Paese del Sol Levante” ma, fino a quel momento, non mi ero ancora resa davvero conto di quanto quel nome fosse appropriato.
La prima stella della sera ci stava dando la buonanotte, dissolvendosi nel chiarore dell’alba. Appena sopra la linea dell’orizzonte, il cielo aveva già assunto una tonalità rosa pallido, che sfumava via via in un viola intenso, rischiarando il blu di una notte ormai finita.
<< Ranma, è l’alba! >> squittii felice di poterla ammirare.
Il tramonto, si sa, ha un fascino romantico, poetico e lievemente malinconico, ma io ho sempre preferito l’alba. Mi piace svegliarmi la mattina presto, nel silenzio e nel fresco di un nuovo giorno pieno di opportunità, e guardare il sole che, puntuale da millenni, sorge e inonda di luce tutto il mondo. È come assistere ad una nascita: il miracolo della vita.
<< Il giorno del torneo! >> si ricordò improvvisamente il mio compagno di rivelazioni notturne, ridestandomi da quel sogno ad occhi aperti. << Jude, è meglio se andiamo >>

<< Certo >> annuii, concedendomi un ultimo sguardo all’aurora; poi scesi la scala per prima, mentre Ranma la teneva di nuovo ferma per me.
Quindi si diresse verso il dojo per compiere i suoi allenamenti mattutini, ma prima di salutarci lo ringraziai di tutto e lui mi porse il mignolo: << Promesso? >>
<< Promesso. >> risposi, e glielo strinsi con il mio.
Mi fece l’occhiolino e io tornai nella camera di Akane, che per fortuna non si era svegliata, a guadagnarmi qualche altra ora di tepore e sonno prima che “il giorno del torneo” avesse inizio.

***

Qualche ora più tardi, sentendo un baccano infernale, mi vestii in fretta e scesi le scale: la casa era piombata nel caos più totale.
<< Che succede? >> chiesi passando per il salone a soqquadro e Akane mi gridò “il torneo! Il torneo!” mentre correva da una parte all’altra.
Ranma mi sfrecciò davanti nel pieno della forma: << Buongiorno bella addormentata! >>
disse ad alta voce ricercando, con l’ennesimo occhiolino, la mia complicità.
<< Ciao anche a te! >> risposi sorridendo e pensai che non poteva essere umano se, dopo una notte insonne, era così attivo.
<< Jude, sei sveglia! Mi verresti a dare una mano? >> era la voce di Kasumi che arrivata ovattata dalla cucina.
<< Ma quanto ho dormito? Che ore sono? >> chiesi più a me stessa che al trambusto che mi gravitava attorno.
<< Le undici e tre quarti, cara. >> e finalmente la vidi.
Più alta delle donne giapponesi che avevo potuto osservare, il tratto che la contraddistingueva maggiormente era senza dubbio la compostezza. La sua figura si ergeva perfettamente diritta sul profilo del patio, davanti all’ingresso del salone. I capelli castani raccolti e tenuti a bada da un fermaglio verde ottanio bordato d’oro, il ciuffo piegato nelle veronica lake waves che le adombrava la fronte bassa, gli occhi scuri e caldi, le labbra increspate in un sorriso tenero ma fermo: tutto nel suo viso era in perfetta sincronia con la forma del corpo. Indossava un kimono, non uno yukata come quelli che avevo provato anche io, bensì un vero e proprio kimono: il costume tradizionale simbolo del Giappone. Legata all’obi, l’immancabile katana. Eppure, non fu quella a farmi capire chi fosse, e nemmeno il tono della voce dolce ma deciso. Fu qualcosa nel contegno, nel modo che aveva di camminare, nello sguardo acceso e vigile, che subito mi fece pensare a Ranma.
Quella era Nodoka Saotome.
<< Buongiorno, signora >> mi inchinai con rispetto.
<< Molto bene, le avete insegnato le buone maniere. E dimmi, nihogo wakarimasu ka? (9) >>

<< Mā, mā desu (10) >> risposi senza esitazione.
<< Che brava! Molto piacere di conoscerti, cara, io sono Nodoka Saotome >> e anche lei si inchinò.
<< Adorata moglie! >> urlò sguaiato Genma andandole incontro (in giapponese si intende).
<< Che ci fai ancora qui? E perché non sei ancora vestito? >> lo accusò lei in perfetto inglese, << Su, su, tutti nel dojo, oggi è una giornata importante! >>


Il famigerato torneo era fissato per le tre del pomeriggio ma la palestra già brulicava di atleti di ogni genere: chi ripassava i kata, chi faceva stretching e, in un angolo, i miei amici. Tutti.
Mi avvicinai in punta di piedi: << Ciao >> mormorai.
<< Jude! >> squittì Ranko, intenta nel fare una spaccata sul pavimento.
<< Ciao, Jude >> disse Ryoga che stava aiutando Shan-Pu alle prese con un crampo al polpaccio.
“Ah, ci sei anche tu” avrei voluto dire, ma mi limitai a fare un cenno di saluto con la testa e andai a mettermi vicino ad Akane che, piegata in un’insolita posizione, stava scaldando i muscoli.
<< Come va? >> le chiesi accucciandomi accanto a lei.
<< Non sono mai stata più agitata di così. >>
<< Dai, andrà benissimo, ne sono sicura! >>
<< Non sto così per me, sono in ansia per lui >> e indicò Ranma con un movimento del viso, << Oggi… >>
Fu interrotta dal capofamiglia al centro del dojo che, in giapponese, presentò la commissione giudicatrice e disse a tutti che potevano andare a pranzo e tornare non più tardi delle due.
<< Dobbiamo andare a mangiare >> disse Ranma avvicinandosi e tutti lo seguimmo fuori dalla palestra.
Non potevo ancora capire l’importanza di quel giorno, ma l’atmosfera era elettrica. Gli artisti marziali parlavano poco, erano concentratissimi. L’unico che pareva perfettamente a suo agio era -ovviamente - Ranma.
<< Sei pronto? >> domandai accostandomi al ragazzo che divorava la terza ciotola di riso bianco.
<< Sono nato pronto, io! >> e si indicò con entrambi i pollici rivolti al petto.
<< Se lo dici tu! >> ribatté Akane, seduta al suo fianco.
<< Perché? Hai dei dubbi sulle mie capacità? Pensi che non possa farcela? >>
<< Non ho detto questo, ma non sei abbastanza concentrato. Hai capito cosa accadrà oggi? Ti senti veramente pronto? E se sbagli? Se qualcosa va storto e tu… >>
<< Akane >> la interruppe << Fidati di me. >>
E, come Aladdin che chiede a Jasmine di salire sul tappeto magico, Akane assentì con lo sguardo e seguì Ranma verso il dojo.
Io mi andai a sedere con gli altri spettatori, di fianco a Nodoka che, non appena entrata, mi aveva fatto segno di aver tenuto un posto accanto a lei.
<< Ci siamo >> mi sussurrò in un orecchio e il torneo cominciò.
Uno dopo l’altro, senza quasi nessuna pausa, allievi di tutti i livelli davano prova delle loro abilità. Per primi, i meno esperti, che eseguivano i kata più semplici, poi gli allievi più grandi. I kata si facevano via via più difficili e lunghi, man mano che il grado dei combattenti si alzava. Per ultime, le cinture nere, gli unici a poter praticare il combattimento libero.
<< Conosci le arti marziali? >> mi chiese Nodoka in un intervallo.
<< Un poco. Sto prendendo lezioni qui al dojo >>
<< Complimenti! >> esclamò lei davvero impressionata, << E continuerai, una volta tornata in America? >>
Non mi chiesi come facesse a conoscere tutte quelle cose sul mio conto, era naturale che le avessero parlato di me; pertanto, mi limitai a rispondere con sincerità: << Non sarà di certo lo stesso, ma sì, mi piacerebbe. Ranma dice che sono portata >>
<< Se lo dice lui, puoi stare tranquilla. Mio figlio è molto bravo >>
<< Sì, lo so >> risposi mentre osservavo il modo in cui le brillavano gli occhi quando parlava di lui. Akane aveva ragione, doveva esserne molto fiera.
Mentre Ranko le dava di santa ragione alla sua sfidante, chiesi a Nodoka come mai Ranma non avesse ancora combattuto.
<< Ranma combatterà per ultimo, oggi è il suo giorno, anche lui cambierà cintura! >>
In una delle poche lezioni di teoria, mi era stata insegnata la sequenza delle cinture nel karate. Al livello più basso, il sesto, c’è la cintura bianca, la shiro obi. Man mano che il kyu, il livello dei partecipanti aumenta, le cinture diventano più scure: gialla, la kiiro obi; arancione, la daidaiiro obi; verde, la midori obi; blu, la aoiro obi; marrone, la kuriiro obi e, per ultima -pensavo da profana- la cintura nera.
<< Ma Ranma è già cintura nera! >> esclamai stupita, non capendo come potesse andare oltre.
<< La cintura nera non è la fine del percorso, è solo l’inizio >> rispose lei con saggezza.
Mi girai a guardarla aggrottando la fronte e Nodoka, comprendendo i miei dubbi, si spiegò meglio: << Con la cintura nera comincia l’assegnazione dei dan >> abbassò la voce mentre Soun proclamava Ranko vincitrice, << Un vero artista marziale non smette mai di imparare, infatti l’ideogramma “dan” è contenuto nella parola “shodan”, che vuol dire “principiante”, a dimostrazione del fatto che aver conseguito la cintura nera è davvero poca cosa in confronto a tutti gli anni di allenamento che si hanno ancora davanti. La cintura nera è il primo passo nella do la via del karate, e lo studio si raffina. Il mio Ranma è così bravo che ha ottenuto la cintura nera a soli quattordici anni! >>
<< Oh! >> feci io, non sapendo che altro dire. Avevo intuito che era un fuoriclasse, ma non sapevo fino a che punto.
<< E perché cambierà cintura oggi? >> domandai sempre più desiderosa di sapere.
<< Perché oggi raggiungerà un altro dan, e tutto cambierà! Dal primo al quarto si giudicano i gradi di maestria tecnica dell’artista marziale. Un combattente esperto non ha solo capacità tecnica, ormai assodata, ma anche un alto livello di esperienza e didattica. Si chiama yudansha, il “livello del guerriero”, e mio figlio lo è.>>
Mi presi un momento per guardare Ranma, al lato opposto del dojo. Lo sguardo attento, la mascella contratta, seguiva tutti i movimenti della lotta come anticipandoli mentalmente. Non c’era alcun dubbio che fosse un guerriero.
<< E poi? >> chiesi sempre più affascinata dalla spiegazione di Nodoka.
<< Al quarto dan, il livello dell’esperto, il confine della tecnica corporea viene raggiunto e si forma il legame fra quest’ultima e la filosofia dell’arte marziale. Ranma è ormai in grado di controllare, con il solo esercizio fisico, lo spirito, il respiro e l’energia, il ki. >> Fece una breve pausa, poi continuò: << I gradi kodansha, dal quinto all’ottavo dan, sono propri del vero maestro. Ranma non sarà più responsabile solo di sé stesso ma anche dei suoi allievi. Non c’è miglior modo di insegnare che con il proprio esempio, mia cara, e infatti il mio figliolo è un grande esempio! Di solito, ci si arriva ad un’età matura, mentre lui è così bravo che, se oggi vincerà questa sfida, sarà il primo in Giappone -o forse nel mondo!- a conseguirli prima dei trent’anni. Oggi il mio bambino diventerà un uomo! Questa sì che è una prova di virilità! >>
Sorrisi ricordandomi del discorso che Akane mi aveva fatto la notte precedente: Nodoka non perdeva occasione per cercare una prova della virilità del suo amato figlio! Era davvero molto orgogliosa di lui, e ne aveva tutti i motivi.
Così, quel giorno, Ranma sarebbe diventato maestro. Mentalmente, mi dissi che ero davvero molto fortunata a poter assistere a un giorno tanto significativo: un torneo di arti marziali in un vero dojo giapponese e con uno dei miei più cari amici in procinto di oltrepassare una soglia importante per la sua vita. Ora capivo il perché dell’agitazione di Akane, e anche della calma di Ranma.
La voce di Soun mi riportò al presente, stava presentando altri due combattenti: era il turno di Ryoga.
L’avevo visto combattere contro Ranma infinite volte ma solo in quel momento, in un vero torneo, mi accorsi che durante le sfide contro il suo amico, in realtà si risparmiava.
Era preciso, veloce, instancabile, paziente quando serviva, irrefrenabile quando doveva. Ma la sua qualità più spiccata era senza dubbio la potenza.
Schivava le mosse dell’avversario con facilità, ma quando era lui a colpire, era travolgente. Un pugno di Ryoga ne valeva cento degli altri. Fendeva l’aria come se, alla fine delle braccia, avesse due macigni. Sembrava fatto di ferro e fiamme.
Era incredibile guardarlo combattere, una gioia vederlo trionfare. Sconfisse il rivale con un fortissimo pugno, lo aiutò a rialzarsi, si inchinò a lui con grande rispetto e poi si girò verso gli spettatori. Attesi il momento in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati e, quando successe, gli sorrisi con calore. Era il mio modo di fargli le congratulazioni.
Dopo Ryoga, fu Akane a combattere. La sfidante la sovrastava per età, altezza e massa muscolare, sembrava di vedere una bambina di fronte a un gigante pronto a schiacciarla. Come per un riflesso incondizionato, strinsi i pugni.
<< Non preoccuparti per lei >> mi sussurrò Nodoka, << Akane è pronta a questa sfida. Sai che è la fidanzata di mio figlio, vero? >>
Feci segno di sì con la testa.
<< L’ha preparata lui. Credi che l’avrebbe lasciata andare se non fosse stato sicuro di lei? Vedi, nelle arti marziali è importante prima superare se stessi e poi gli altri. Già il fatto che Akane sia sul tatami adesso, pronta a scontrarsi con un’avversaria superiore a lei, vuol dire che è molto cresciuta e, per questo motivo, ha già vinto. >>
Rimasi davvero colpita da quelle parole. Era una filosofia tanto bella quanto difficile da seguire e, mi resi conto in quel momento, che condizionava tutta la loro vita. Ripetevano instancabilmente le stesse tecniche mirando a una perfezione che non era possibile raggiungere, perché non bisogna essere migliori di un avversario, ma di se stessi. Un po’ meno di ieri, un po’ più di domani.
Mi concentrai sulla mia amica che fissava con gli occhi pieni di coraggio e orgoglio la sua avversaria. Il dojo era in religioso silenzio. Ma, come quando durante i matrimoni tutti si girano per vedere l’ingresso della sposa, io invece cercai Ranma. Stava seduto in ginocchio sulle vecchie assi di quello che sarebbe diventato il suo dojo e guardava Akane pronta a combattere. Ma il suo non era uno sguardo da maestro, che esamina, era uno sguardo d’amore. I suoi occhi non valutavano, non giudicavano, ma custodivano. Custodiva ogni mossa, ogni passo in avanti o indietro, ogni calcio, ogni salto. Custodiva ogni goccia di sudore sulla fronte di lei, ogni gesto di rabbia, ogni respiro.
Ranma era sempre stato pronto a proteggerla, a evitare che si facesse male, a difenderla da tutto e da tutti. Ma questa volta era diverso. Non la guardava con apprensione, come faceva di solito, bensì con l’assoluta certezza delle sue capacità. Non era fiducioso, era sicuro di lei.
Chissà cosa si provava ad essere guardati così.
Quando venne atterrata e sconfitta, fu il primo ad alzarsi e ad andarle incontro. Mentre Soun comunicava alla palestra che la vincitrice dello scontro era Namie, lui teneva un braccio intorno alle spalle di Akane e, guardandola intensamente, le stava dicendo che invece era stata lei ad aver vinto.
Poco dopo, un applauso scrosciante segnò l’ingresso di Ranma sul tatami.
Soun, nel suo karategi ufficiale, lo guardava con rispetto. Era un momento catartico.
Ora si sarebbe visto il suo valore, se era davvero in grado di gestire il dojo di famiglia, che quell’uomo tanto buono gli aveva affidato alla nascita, assieme ad una delle sue figlie. Ora si sarebbe visto se era degno di quel ruolo, di essere il marito di Akane, di portare avanti le aspettative che tutti avevano sempre riposto in lui.
Se ne stava lì, con lo sguardo fiero e il petto in fuori, sentendo il peso di tutto sulle spalle, ma sicuro che fossero abbastanza grandi, allenate e forti per sostenerlo.
Prima di cominciare la sequenza dei combattimenti, tutti gli altri atleti si misero in fila dietro Ranma e ascoltarono Soun ripetere le nove virtù del bushido, la via del guerriero.
Prima: onore, meiyo.
Seconda: fedeltà, chujitsu.
Terza: sincerità, seijitsu ou makoto.
Quarta: coraggio, yuuki ou yuukan.
Quinta: bontà e benevolenza, shinsetsu.
Sesta: umiltà, ken.
Settima: rettitudine, tadashi ou sei.
Ottava: rispetto, sooncho.
Nona: autocontrollo, seigyo.
Ranma annuì, si inchinò e si mise in posizione. Ridusse gli occhi a due fessure, piegò le ginocchia, portò i pugni ai fianchi: era pronto.
Akane, seduta composta dove era stato lui quando era toccato a lei, lo fissava con un’intensità che pareva bruciare. Persino il maestro Happosai era concentrato sul suo allievo con assoluta dedizione e serietà. Shan-Pu pareva aver messo da parte qualunque smania di possesso e guardava Ranma con gli occhi pieni di speranza, abbassandosi ogni tanto per dire qualcosa all’anziana signora che le stava accanto. Ukyo, Nabiki, Kasumi, anche Kuno, tutti osservavano la scena con fervore.

Nodoka, accanto a me, era visibilmente emozionata ma c’era qualcuno che mancava all’appello. Genma se ne stava in disparte, in ultima fila, e osservava il figlio con fierezza e un sorriso sicuro sul volto. Seguii i suoi occhi e vidi che incontravano quelli di Ranma. In una stanza piena di persone che lo amavano e facevano il tifo per lui, Ranma cercava lo sguardo del padre, l’uomo che lo aveva strappato alle cure materne, che lo aveva trascinato in giro per anni, che lo aveva privato di un’infanzia normale; l’uomo con cui litigava e lottava sempre, ma che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva.
Un cenno di assenso di Genma e Ranma partì.
Ciò che mi fu concesso di vedere dopo, è indescrivibile a parole. Il combattimento di Ranma non era una guerra, era una danza. Una sequenza perfettamente scandita eppure velocissima di parate, attacchi, contrattacchi. Ranma si muoveva sinuoso, disegnando linee perfette con gli arti e il corpo.
Tecnica, abilità, forza. Velocità, lentezza, espansione, contrazione. Tutto era in armonia: una combinazione ideale di grazia e potenza. Con una sola occhiata sapeva distinguere i punti vulnerabili dell’avversario, sapeva anticipare ogni mossa. Andava incontro agli sfidanti, uno dopo l’altro con, negli occhi, non la voglia di vincere, ma l’idea di non perdere. La sua anima era un fuoco, il suo spirito ispirava tutte le sue azioni. Le sue abili mani si muovevano con estrema rapidità e le gambe scultoree apparivano la quintessenza della destrezza.
Fra gli atleti che gravitavano intorno a lui in un turbinio di sequenze dinamiche e complesse, anche Ryoga combatteva senza risparmiarsi. Si vedeva che stava dando il meglio di sé, non contro Ranma, ma per lui. Il ritmo era serrato e incalzante, l’abilità e l’agilità degli agonisti alle stelle.
Era davvero uno spettacolo. Tutti osservavano incantati gli spostamenti di Ranma, sempre in equilibrio e padrone dei suoi movimenti. Non era mai stato più bello di così e non per via dei capelli neri madidi di sudore che gli incorniciavano il viso, non per i pettorali marmorei che sbucavano prepotentemente dal karategi e neppure per la stoffa tesa sui bicipiti scolpiti.
Ranma non era mai stato più bello di così e il merito era tutto nei suoi occhi blu. Blu scuro, come il mare di notte. Nemmeno la grande onda di Kanagawa (11) avrebbe potuto reggere il confronto con la tempesta in corso nei suoi occhi quel giorno.
A ben vedere, tuttavia, non fu il loro colore, straordinariamente inconsueto di per sé, a colpirmi più di tanto, bensì il messaggio che essi veicolavano: passione, forza, dedizione, desiderio incondizionato di raggiungere un obiettivo e volontà di dare tutto se stesso per ottenerlo.
In un corpo perfetto in movimento, ciò che attirava di più era la fermezza dei suoi occhi.
Dopo un tempo che mi parve dilatato all’ennesima potenza ma anche trascorso con estrema velocità, Soun alzò la mano sinistra e tutti si fermarono.
Nessuno era andato K.O., nessuno era uscito dal tatami, eppure il combattimento era terminato ed io non riuscivo a capire.
Mi rivolsi a Nodoka: << Ce l’ha fatta? >>
<< Sì >> rispose semplicemente, con la voce rotta dalla commozione.
<< Come è possibile, nessuno è… >>
<< Nessuno è riuscito a colpirlo. >>
Gli avversari si ritirarono con un inchino, Ryoga gli diede una pacca sulla spalla e Ranma rimase da solo sul tatami, di fronte ai tre gran maestri: Happosai, Soun e Genma.
Come in un film, mi tornarono alla mente tutti gli allenamenti che gli avevo visto fare in questi mesi: le sveglie all’alba, le notti passate nel dojo, i piegamenti con Akane sulla schiena, Ryoga che gli colpiva gli addominali, le ore passate a ripetere la stessa mossa davanti a Genma senza ottenere mai il suo consenso, le infinite corse, i mille kata replicati allo sfinimento, i combattimenti di prova, la fatica, il sudore.
Adesso tutto aveva senso.
Con le lacrime agli occhi, Soun gli consegnò la cintura bianco-rossa, la stessa che indossavano i tre sensei, e poi lo abbracciò. Come un padre, come un maestro orgoglioso. L’intera palestra scoppiò in un applauso e Ranma urlò di gioia.
Akane gli corse incontro e lui la prese in braccio, facendola girare fra la folla festante.
Ce l’aveva fatta.
Nelle arti marziali non serve essere alti o bassi, magri o grassi, giovani o anziani. Nelle arti marziali conta semplicemente essere e Ranma, Akane, Ryoga, Ranko e tutti gli altri combattenti lo avevano ampiamente dimostrato.
Nodoka baciava le guance del figlio con immensa felicità, Genma non smetteva più di parlare, Ranko gli saltellava intorno. Tutti i suoi amici accorsero per portarlo in trionfo, oggi non c’erano rivalità, oggi era il giorno della gloria.
Prima che Ryoga, Kuno e Mousse se lo caricassero sulle spalle per il giro d’onore, riuscii ad avvicinarmi per congratularmi:
<< Ranma! >> gridai.
<< Jude! >> e mi abbracciò così forte che temei mi avrebbe spezzato le costole.
Mi rimise a terra e, con un sorriso a trentadue denti, si fece portare via dai suoi amici esultanti e felici.
Fargin” (12), pensai di nuovo.

Così, quel giorno in cui il successo di uno mi insegnò la lealtà degli altri e la fiducia di lui venne ricambiata dalla gioia commossa e colma d’orgoglio dipinta sul volto di lei, finalmente tutti i nodi vennero al pettine.



***

Note tecniche (e ce ne sono moltissime in questo capitolo!)


(1) Trascrizione più o meno fedele di ciò Ryoga dice nell’OAV “Ricordi sopiti”.
(2) Traduzione: “Il tuo sorriso è molto bello”
(3) Traduzione: “Ben fatto!”
Per le frasi in giapponese, che questa volta sono giuste, si ringrazia sempre tanto Risa che non mi legge perché non parla italiano ma senza di lei non sarebbe stato lo stesso!
(4) Frase tratta da “Il Signore degli Anelli, il ritorno del Re” e se non lo avete ancora visto, È QUESTO IL GIORNO!
(5) La scena riprende il finale dell’episodio/ tavola del manga e quelle sono le esatte parole di Akane, mentre tornano a casa dopo l’avventura a Ryugenzawa.
(6) Yukio Mishima, pseudonimo di Kimitake Hiraoka, nato nel 1925 e morto suicida nel 1970. Genio assoluto della letteratura giapponese moderna, fu anche un artista marziale. Si tolse la vita tramite seppuku, il suicidio rituale dei samurai, trafiggendosi il ventre e poi facendosi decapitare.
(7) Qui la nota potrebbe essere lunga. Chi mi conosce anche solo un po’ sa del profondo legame che mi lega a Gretel85, non solo su questo fandom, non solo come autrice. Ma qui, è l’autrice che vorrei celebrare. Senza che vi decanti i miliardi di pregi che ha come persona, lasciate almeno che vi narri di quelli che ha come scrittrice. Questa frase è liberamente tratta dalla sua storia “Il profumo della menta e il melograno magico”, più precisamente al capitolo numero 15: “Le dimensioni dell’infinito”. È una fanfiction meravigliosa, a distanza di anni è ancora impressa in modo irremovibile nella mia mente e, soprattutto questo capitolo, nel mio cuore. Chi non l’ha letta non può saperlo (ed è bene che corra a farlo!) ma quest’unica piccola frase nasconde una miriade di significati molto profondi, tanto, troppo profondi per essere “solo” una frase in una fanfiction. Mi ha stregato cuore e anima e, per me, si riferisce all’Amore. Questo è il mio piccolo tributo a lei e alla sua bravura, forse le dimensioni dell’infinito si riferiscono a questo, oltre al bene che le voglio.
(8) Anche questa volta, sono le esatte parole pronunciate da Soun nel manga, all’arrivo di Ranma e Genma in casa Tendo.
(9) Traduzione: “Capisci il giapponese?”
(10) Traduzione: “Così e così”
Sempre grazie Risa!!
(11) “La grande onda di Kanagawa” (The Great Wave off Kanagawa) è una magnifica xilografia di Katsushika Hokusai.
(12) Ho finito lo giuro! Fargin (citata anche a inizio capitolo) è una parola yiddish intraducibile letteralmente, che vuol dire “sincera felicità per il successo di qualcun altro”.

***


Ed eccoci di nuovo qui! Che vi devo dire, il lockdown mi ispira! Scherzi a parte, spero stiate tutti bene in questi crazy times. Questo capitolo è un vero e proprio racconto breve, lo so! Spero abbiate avuto il coraggio di leggere fino a qui. E così, la nostra Jude è arrivata quasi alla fine della sua estate giapponese e ha incontrato anche l’ultimo personaggio: Nodoka. Con lei “tutti i nodi vengono al pettine” (perdonate la battuta idiota!) e finalmente scopre cosa c’è sotto la storia di Ranma e Akane! Una cosetta veloce, ché vi ho rotto già abbastanza: so che c’è una leggera incongruenza fra il livello di Ranma nelle arti marziali e la sua età. Professori a parte, è una storia immaginaria, perdonatemelo se potete, sensei e non.


Detto ciò, questa volta non ci sarei davvero riuscita senza la mia meravigliosa beta Gretel85! È straordinaria, paziente, preparata e bravissima, mi conforta quando penso di aver scritto cavolate, mi raddrizza quando sbaglio e mi sprona sempre a migliorare! Oltre a consigliarmi sempre per il meglio, non le sfugge proprio nulla! Fa un lavoro certosino su ogni parola e aggiusta tutte le mie castronerie. È la mano sinistra che tiene fermo il foglio. Questo capitolo è stato praticamente coprodotto, non so più dove finiscono le mie parole e iniziano le sue che, per inciso, sono molto meglio delle mie la maggior parte delle volte. Diciamo che le mie idee, scritte da lei, sono più belle! Quindi, grazie, grazie, grazie, grazie Carotina del mio cuore! Giuro che alla fine della storia ti faccio un regalo!

Un grazie speciale, perché mi ha fatto tornare la voglia di scrivere andandosi a leggere TUTTE le mie vecchie fanfiction, a Valetomlavy. A te e alle tue minacce (XD) dedico la scena sul tetto.


Menzione speciale per una new entry che ho conosciuto da poco e i poveracci che controllano gli scambi di e-mail su Efp saranno anche stufi dei nostri papiri egizi: LilaChan. Non arriverò mai a meritare tutti i complimenti che mi riservi, ma spero che questo capitolo ti aiuti a ritrovare un po’ dell’ispirazione perduta!

Grazie sempre alle mie Ladies.

Grazie di cuore a tutti voi, perché trovate la pazienza e la voglia di aspettarmi e leggermi. Un grazie un po’ più grande a chi mi lascia scritti i suoi pensieri (sia in pubblico che in privato), mi fa sempre immensamente piacere.

Al prossimo, e ultimo, capitolo.

Sempre vostra,

E.






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