Nessuno
parlò mai di quel
bacio.
Ryoga, riaperti gli
occhi, fece scivolare la presa fino alla mia mano e mi
trascinò via, lontano.
Lontano da Ranma e Akane.
Lontano dalle mani di lei
che si intrecciavano sulla nuca di lui.
Lontano dalla presa di
lui che si faceva più insistente sui fianchi di lei.
Lontano dalle gambe di
lei che si avviluppavano attorno al corpo di lui.
Lontano da lui, che la
spingeva contro il tronco dell’albero e lontano da lei, che
aveva il fiato
sempre più corto.
Lontano dal loro bacio,
che si faceva più travolgente.
Lontano dal loro bacio,
che non seppi mai se fosse stato il primo ma non avevo bisogno di
sapere che
non sarebbe stato l’ultimo.
<< Piano!
Non riesco a starti dietro! >> gridai con quel poco
d’aria che mi era
rimasta in corpo, mentre il mio compagno correva quasi senza toccare la
terra
con i piedi.
<< Oh.
Perdonami, Jude, io… >> era come in trance.
<< Fermati
per un secondo! >> gli posai una mano sul bicipite teso,
lasciato
scoperto dallo smanicato verde oliva che indossava e contratto per via
della
posa assunta. << È così doloroso?
>>
Ryoga mi guardò
come si guarda qualcuno per la prima volta. Sembrava rendersi
conto per
la prima volta.
<< No.
>> rispose solamente, con una fermezza insolita per lui.
<< Come?
>>
<< No. >>
<< No, cosa?
>>
<< No, non è
doloroso, per niente. Anzi quasi non mi interessa! >>
fece spallucce.
<< Ma… Bah!
Ryoga, io proprio non ti capisco! >>
<< Cosa non
capisci, Jude? >> chiese ingenuamente.
<< Il modo
che hai di comportarti! Un giorno sembra che tra te e Ukyo ci sia
qualcosa di
più che una semplice amicizia, e però hai anche
una ragazza che ti aspetta in
una città di cui solo Dio sa il nome; poi guardi Akane che
bacia Ranma e per
poco non ti viene un coccolone! Sei un po’ confuso, ragazzo
mio! >> quasi
strillai senza rendermene conto.
Ryoga mi
guardava
sbigottito, come se fossi un’aliena o come se non capisse
quello che gli stavo
gridando contro. E
non aveva tutti i torti, dato che nemmeno io sapevo perché
gli stessi dicendo
quelle cose, né chi o cosa mi avesse fatto credere di avere
il diritto di
attaccarlo in quel modo.
<< Scusami
>> sussurrai abbassando la testa, <<
Io… non volevo… non ho nessun
diritto di… >>
Ma Ryoga mi
sorprese ancora una volta e scoppiò in un’enorme e
fragorosa risata, come il tuono
di un improvviso temporale estivo. I suoi tipici canini sporgenti
brillavano
scoperti e quella vista, non so perché, riusciva sempre a
rassicurarmi.
<< E ora che
c’è da ridere? >> chiesi fingendomi
irritata, ma in realtà l’inizio di un
sorriso, che ben presto si sarebbe trasformato in risata,
già appariva anche
sulle mie labbra.
Ryoga portò una
mano a grattarsi la nuca: << In realtà lo
capisco, Jude >> disse
quasi imbarazzato, << Nemmeno io comprendo me stesso il
più delle volte!
>> e sorrise con un nonsoché di tenero
nell’espressione. Poi continuò:
<< Mi sono innamorato di Akane tanti anni fa…
che poi, innamorato è un
parolone. Credevo di essere innamorato, ma la mia era solo una
fissazione. Mi
sono sempre sentito un po’ emarginato per via del mio stile
di vita, e Akane è
stata la prima a mostrarmi gentilezza. Gentilezza che io ho prontamente
confuso
per affetto e… non so nemmeno io come sia stato possibile,
ma ho creduto di essermi
innamorato. Mi ero ripromesso che non mi sarebbe importato con chi
avesse
scelto di vivere, io l’avrei amata per il resto dei miei
giorni. Tu mi conosci
ancora poco Jude, ma sono molto leale, la amavo a tal punto, o forse
dovrei
dire che ero fissato a tal punto, che sarei stato felice di poter
morire per
lei (1). >> esclamò fissando con
intensità un punto lontano, al di là del
bosco, al di là di Ryugenzawa, chissà dove.
Questa
dichiarazione mi commosse tanto che mi vennero gli occhi lucidi e Ryoga
se ne
accorse subito.
<< Ora non
piangere, ti prego! Non volevo farti piangere, che frana che sono!
>>
disse avvicinandosi.
Io mi asciugai
istintivamente gli occhi e negai con un cenno della testa:
<< Non sto
piangendo. Sono solo un po’ commossa! Quello che hai detto
è così…>>
Alzai lo sguardo
fino a incrociare i suoi occhi, che ora parevano essersi fatti
più scuri; si
stava di nuovo grattando la nuca, lo faceva sempre quando era in
imbarazzo.
<<…dolce.
>> terminai la frase guardandolo profondamente. Non
sapevo esprimere
quanto quelle parole mi avessero toccato dentro, così cercai
di comunicarglielo
con lo sguardo.
Ryoga parve
comprendere: << Oh, Jude >>
sussurrò.
<< Ryoga
>> feci eco io.
E ci fu quello che
noi americani chiamiamo “a moment”,
un momento, il momento.
Un lampo
improvviso guizzò fra i nostri sguardi e, prima che me ne
potessi accorgere,
Ryoga aveva entrambe le mani sulle mie guance e mi stava baciando.
Era stato strano
come l’amore che provava per un’altra ragazza
l’avesse reso migliore ai miei
occhi, ma quelle parole, così dolci, così cariche
di sentimento -anche se lui la
definiva fissazione- così buone e gentili, mi avevano
colmato il cuore di una tenerezza
disarmante.
Ryoga era un amante
meno timido di quello che si poteva pensare e invero più
appassionato. Il
calore del suo corpo così vicino al mio era stordente, ora
che la sera ci aveva
quasi raggiunti nel cuore del bosco. Le sue mani erano grandi e
rassicuranti e
incorniciavano il mio viso con estrema delicatezza. Premette le labbra
sulle
mie, incastonandole alla perfezione. Restammo così, due
punti fermi nel turbinio
del mondo. Quando si staccò da me, era leggermente rosso in
viso mentre mi
guardava di sottecchi con un sorriso affatto imbarazzato.
Indietreggiò di
qualche passo e si lasciò cadere su un masso lì
accanto, io mi misi a sedere
vicino a lui.
Sorrisi. Non volevo
dare un nome, definire, quello che era appena
successo. Andava bene
così: un bacio con Ryoga in mezzo alla foresta di
Ryugenzawa, quasi alla fine
della mia estate giapponese. Un bacio improvviso, incontrollato o forse
incontrollabile, tenero come lui, frettoloso come me. Mi girai a
guardarlo
mentre ancora sorridevo, lui fece lo stesso e scoppiammo a ridere.
Andava bene così.
<< Egao
ga suteki desu ne (2) >> dissi tentennando un
po’.
<< Yoku
yatta (3), Jude! >> rispose lui felice
<< La tua pronuncia è
molto migliorata! E, comunque, grazie, anche il tuo >>
aggiunse.
Aspettammo un
altro po’, seduti scomodi su una roccia mentre guardavamo ora
il panorama ora i
nostri sorrisi reciproci.
<< Quindi mi
pare di capire che tu stia bene, giusto? >> mi feci
coraggio.
<< Ti pare
di capire? >> chiese lui con il tono a metà
fra l’ironico e il divertito.
<< Sì… nel
senso… per il bacio di poco fa… >>
<< Quale
bacio? >> un sopracciglio alzato e un angolo della bocca
piegato in un sorriso
timido ma sarcastico.
Mi coprii il viso
con le mani, scoppiando di nuovo a ridere e lui mi seguì in
un secondo.
<< Quindi
non ti ha fatto male? >> chiesi quando riuscii a tornare
seria.
<< No, non
mi ha fatto male. In fondo, Jude, me lo aspettavo, sai? Quei due
sono… >>
<< Pazzi.
>> conclusi io per lui. Allora non sapevo dire se pazzi
l’uno per
l’altra, pazzi perché lo nascondevano, pazzi
perché se lo nascondevano o
pazzi e basta, ma come ormai era consuetudine, Ryoga ed io ci
intendemmo solo
con lo sguardo. Sarebbe arrivato il momento in cui uno di quei
capoccioni mi
avrebbe raccontato la storia infinita del loro turbolento amore, ma non
era
questo il giorno (4).
<< E l’altra
ragazza con il nome che comincia per “A”?
>> sentivo improvvisamente il
bisogno di sapere sempre di più, di incastrare i pezzetti
del puzzle e vedere
finalmente il quadro completo.
<< Lei è
stata la seconda persona ad essere gentile con me, dopo Akane. Anzi, a
dirla
tutta, Akari si era proprio innamorata di me! >> disse
ridendo, tornando
a compiere il solito gesto sintomo di un leggero imbarazzo.
<< Sai, se
non sei un Dongiovanni come Ranma e tutte le ragazze carine non cascano
ai tuoi
piedi, allora la prima che dimostra interesse per te ti sembra un
angelo caduto
dal cielo. Ad un certo punto, quasi due anni fa ormai, mi fu
chiarissimo che
non ero io quello per cui batteva il cuore di Akane, e
così… >>
<< Ti sei
fatto consolare da Akari. >>
<< Esatto.
No! No! Io non potrei mai! >> si alzò di
scatto.
<< Sto
scherzando, Ryoga! Lo so che non sei il tipo da fare queste cose
>>
Tornò a sedersi
accanto a me: << Jude! >> mi
rimproverò bonariamente, guardandomi
con la coda dell’occhio mentre assumeva una posizione
più rilassata stendendo
le gambe e tirando indietro le braccia. << Non mi sono
“fatto consolare”
da Akari, però volevo che qualcuno mi volesse bene come
Akane ne voleva a…
>>
<< Ranma.
>>
<< Sì,
esatto. >>
Avevo ormai
capito, anzi sapevo, che in Giappone quella che tutti gli stranieri
scambiano
per timidezza, in realtà è riservatezza.
Riservatezza nei rapporti, riservatezza
nei sentimenti, riservatezza nelle parole. La parola data ad un
giapponese, è
data per sempre. C’è un’attenzione tutta
particolare per le parole e sarà per
questo che hanno una lingua così bella e descrittiva. Sapevo
che Ryoga non
avrebbe detto nulla, e che loro non avrebbero detto nulla, ma in
qualche modo
tutti lo sapevano.
C’era un tacito
accordo fra tutti i membri di quella strampalata cerchia di amici e
parenti, un
tacito accordo che imponeva loro di non dirlo mai ad alta voce, ma
tutti lo
sapevano. Anche se qualcuno cercava di non badarci, anche se qualcuno
non lo
voleva vedere e anche se qualcun altro invece ogni tanto cercava di
tirarlo
fuori, ormai tutti lo sapevano.
Ryoga fissava una
stella lontana che ci salutava nel cremisi del tramonto, era pensieroso.
Mi girai per
guardarlo meglio e notai una ferma risolutezza nei suoi occhi. Quella
che Ryoga
provava in yiddish si chiama “fargin”:
la sincera felicità per il
successo di qualcun altro, in questo caso del suo miglior nemico e
della
ragazza che un tempo aveva creduto di amare. Annuii inconsapevolmente e
tornai
a guardare la radura davanti a me. Persino io, in una sola estate, mi
ero
accorta del legame che esisteva fra quei due, ma quanto in
realtà quel legame
fosse profondo, l’avrei saputo solo dopo.
<< E con
Ukyo invece? >>
A Ryoga andò quasi
di traverso la sua stessa saliva.
<< Non c’è
niente fra me e Ukyo, Jude! Posso assicurartelo! >>
Lo guardai con un
sopracciglio alzato, a mo’ di sfida, e lui rispose
impacciato: << In
realtà non c’è niente con nessuna,
altrimenti non avrei… >> disse, ma
senza guardarmi.
Istintivamente,
portai una mano sulle labbra: << Non ti sei
scusato…>>
<< Devo?
>>
<< Ti scusi
sempre per tutto! >>
Mi guardò nella
maniera più eloquente che avessi mai visto, così
mi affrettai ad aggiungere:
<< No, se lo volevi. >>
<< Lo volevo.
>>
<< Va bene
allora. Quindi con Ukyo non c’è niente?
>> risi.
<< Perché,
sei gelosa? >> rise anche lui. << No, non
c’è niente. Tutti credono
che ci sia complicità fra noi perché siamo i due
friendzonati per eccellenza.
In realtà la pensiamo entrambi allo stesso modo: abbiamo
fatto chiarezza sui
nostri sentimenti e siamo stati i primi a capire i loro. Se ci fai
caso, Ukyo
non è affatto insistente come Shan-Pu o Kodachi nei
confronti di Ranma, non
trovi? >>
<< È vero
>> ammisi.
L’indaco stava
sfumando nel viola e l’aria stava diventando ancora
più fresca. Non c’era quasi
più nessun rumore attorno a noi. La sera stava calando.
Chissà
se Ranma e Akane
erano tornati alla pensione. Chissà se gli altri avevano
rivolto loro le solite
risatine e battutine sceme e poco divertenti, chissà se
Ranma era tornato
trionfante con Akane fra le braccia o chissà se, ad aver
trionfato, questa volta
era stata lei.
“Deve
sempre
salvare tutti”, mi tornarono in mente le parole di
Ryoga.
E per un attimo
pensai a Ranma e Akane, e a tutta la timidezza e la tenera goffaggine
di quando
facevano qualcosa di dolce l’uno per l’altra.
Immaginai Ranma, impacciato, con
il viso rosso e l’espressione imbronciata, mentre teneva per
mano un’Akane
sorridente come una bambina cui è stata perdonata una
marachella. Lo immaginai
serio e imbarazzato mentre la trascinava via camminandole davanti per
non
rischiare di incrociare il suo sguardo. E infine, lo immaginai mentre
rimuginava su chissà quali parole, che di certo non poteva
dirle, mentre lei si
lamentava bonariamente: << Ehi, ma come mai te ne stai
zitto, Ranma?
>> (5)
<< Si sta
facendo tardi, presto sarà buio pesto; sbrighiamoci o faremo
fatica a ritrovare
la strada. >>
Le parole di Ryoga
interruppero il filo dei miei pensieri.
Lo guardai con un
sopracciglio alzato e un mezzo sorriso mentre mi porgeva una mano per
alzarmi.
<< So a cosa
stai pensando! >> esclamò cogliendo la mia
espressione e fingendosi
offeso.
<< Oh
davvero? E cosa? >>
<< Che anche
con la luce del sole mi perderei lo stesso! >>
<< Ma come
diamine avrai fatto a indovinare!? >> mi limitai a dire
prendendolo in
giro.
In realtà stavo
pensando che, se le strade le sbagliava sempre tutte, quella per le mie
labbra
l’aveva trovata senza alcuna difficoltà. Ma questo
non glielo dissi mai.
***
E così, i baci di
cui nessuno parlò più diventarono due.
Al nostro rientro
a casa, Ryoga partì per un viaggio di allenamento. Anche
Ranma si allenava come
un matto, visto che di lì a poco ci sarebbe stato un
importante… torneo? Gara?
Esibizione? In realtà, non avevo ben capito cosa fosse,
ciò che sapevo con
certezza è che tutti gli artisti marziali che conoscevo
erano affaccendati in
preparazioni e allenamenti di ogni tipo e le giornate per me scorrevano
in
maniera placida e - per la prima volta - anche un po’ noiosa.
La mia stanza era
piccola ma arredata con cura in perfetto stile nipponico. Carta di riso
e legno
chiaro dominavano
su uno sfondo bianco e blu di Persia, alternati di tanto in tanto a
qualche
dettaglio verde bambù. Non c’erano quadri, solo
dei grandi fogli scritti in
giapponese, incorniciati e appesi in fila sull’unica parete
libera. Non avevo
idea di cosa ci fosse scritto, e non avevo mai pensato di chiederlo, ma
riuscivo a distinguere il nome di Ranma scritto in hiragana,
il primo
alfabeto della lingua giapponese. Nel corso della mia permanenza, avevo
trovato
molta difficoltà nell’imparare a scrivere nella
lingua locale. Quei segni
tondeggianti e magnifici erano tremendamente faticosi da riprodurre:
per ogni
simbolo, infatti, c’è tutto un rituale da seguire,
e ciascuna sillaba deve
rispettare un preciso ordine. Pertanto, non solo è difficile
apprenderne le
forme e il significato, ma anche la corretta sequenza di scrittura.
Tuttavia, i
nomi dei componenti della mia famiglia adottiva erano ormai diventati
abituali per
me e li sapevo scrivere e riconoscere senza difficoltà.
Così, ero certa che
quei bei fogli grandi fossero gli attestati di arti marziali che Ranma
aveva
vinto nel corso degli anni. Quella che io chiamavo la mia stanza, era
infatti
la stanza di Ranma, che mi aveva gentilmente ceduto per tornare a
dormire con
suo padre.
Il giorno che sto
per raccontarvi, fu il giorno in cui la salutai per sempre.
Me ne stavo
distesa sul futon, incerta se mandare o meno un sms a Ryoga. Non che
utilizzasse molto il telefono, ma da quando era partito mi aveva
inviato solo
due messaggi: uno per rassicurarmi di non essere finito - di nuovo - in
Russia
e l’altro per informarmi sull’andamento dei suoi
allenamenti. Non aveva più
accennato al bacio che mi aveva dato, come se fosse rimasto sepolto
nella
foresta assieme a quello di Ranma e Akane e al ricordo di entrambi, e
io cominciavo
a chiedermi se per caso non se ne fosse pentito davvero alla fine.
Il giorno dopo il
nostro ritorno ero uscita a comprare dei souvenir con Alexander, che
era stato
particolarmente dolce con me in quell’occasione, finendo col
mandarmi in
confusione, e al mio rientro avevo scoperto della partenza di Ryoga
solo grazie
a un’incauta uscita di Ranma.
Da quel momento erano
passate due settimane.
Due settimane e
due messaggi.
Due, come i
ragazzi nei miei pensieri.
Fin dall’inizio, avevo
capito che Alexander provava un certo interesse per me. Era chiaro da
tutti i
momenti che riusciva a trovare per fumare una sigaretta da soli, da
tutte le
felpe che mi aveva prestato per scaldarmi, e da tutti gli sguardi
teneri che mi
riservava. Avevo capito e apprezzato le sue attenzioni e, in cuor mio,
avevo
sempre pensato che alla fine sarebbe successo qualcosa. E invece, era
stato quel
ragazzo timido, educato e per me spesso indecifrabile, a entrare
prepotentemente
nei miei pensieri e, alla fine, mi aveva addirittura baciata!
Forse Alexander
sarebbe stato più giusto per me; in fondo saremmo tornati
nello stesso Paese e
New York e Boston non erano troppo lontane. Ma non riuscivo
più a non pensare a
quegli occhi verdi che a volte avevano l’espressione di un
cucciolo bastonato,
mentre altre brillavano di fierezza.
Bel casino Jude,
complimenti!
Mentre rimuginavo
su tutto questo e continuavo a cancellare e riscrivere
l’incipit di un
messaggio, qualcuno bussò gentilmente alla porta.
<< Avanti!
>> dissi mettendomi a sedere.
Kasumi entrò con
una tazza di tè, chiedendo se poteva parlarmi con
un’espressione molto seria dipinta
in volto.
<< Volevo
sapere se non ti sarebbe di troppo disturbo trasferirti nella stanza di
Akane
quest’ultima settimana… >>
cominciò, << Non te lo chiederei mai, ma
il fatto è che Ranma dovrebbe tornare a dormire qui
perché…>>
<< Ok! >>
la interruppi sorridendo << Non devi darmi nessuna
spiegazione, è casa
vostra. Se per Akane va bene, per me non c’è
nessun problema! >>
<< Oh,
grazie mille Judith! Sei una ragazza molto cara! >> disse
lei posandomi
entrambe le mani sulle spalle e sorridendo radiosa, come se si fosse
tolta un enorme
peso.
“E così sto per
conoscere un altro personaggio…” pensai subito
dopo.
“L’ultimo”
mi corresse una vocina dentro di me.
Quella stessa sera
Ranma mi aiutò a spostare valigia e futon nella stanza di
Akane e mi sistemai
lì per l’ultima settimana che avrei passato a casa
Tendo-Saotome.
<< E così
adesso siamo come coinquiline! >> squittì
felice la mia amica, mentre
sistemavo qualche vestito nei cassetti che aveva prontamente svuotato
per me.
<< Sì!
>> esultai contagiata dalla sua allegria e lei, per tutta
risposta, tirò
fuori un post-it dal cassettino della scrivania, ci scrisse sopra
“& Jude”
e lo attaccò alla paperella di legno che, appesa alla porta,
segnava l’ingresso
nella sua stanza recando inciso il nome “Akane”.
<< Sono
proprio felice che tu sia qui, sai? Visto che Ranma abita con noi, non
ho mai
voluto chiedere a nessuna delle mie amiche di rimanere a dormire qui,
ma mi
piacciono tanto i pigiama party! Ti va se ci facciamo una maschera di
bellezza?
>>
Acconsentii ben
volentieri, magari mi avrebbe distratto anche dai miei confusi pensieri
in
materia di ragazzi.
<< Sono
contenta che torni la zia Nodoka! >> aggiunse poi, mentre
era intenta a
spalmarmi l’argilla verde con un pennello che faceva il
solletico.
<< La zia
Nodoka? >> ribattei con curiosità.
<< Ma come,
non te l’hanno detto? >>
<< No,
veramente no. Kasumi mi ha solo chiesto di spostarmi qui e io non ho
voluto
spiegazioni >>
<< Ah!
Caspita! Allora non sai che sta arrivando Nodoka, Nodoka Saotome!
>>
<< Saotome?
Ma allora… >>
<< Sì! È la
moglie di Genma, la madre di Ranma! >> rispose Akane alla
mia domanda
implicita.
Mentalmente feci
un rapido calcolo: se Nodoka Saotome era la madre di Ranma, e Akane la
chiamava
“zia”, allora Ranma e Akane dovevano essere cugini!
Involontariamente sgranai
gli occhi: Ranma e Akane erano cugini e si erano baciati! Non che fossi
una
ragazza particolarmente tradizionalista, la storia e la letteratura
erano pieni
di matrimoni fra cugini solo che, insomma, di questi tempi non sono
cose che si
sentono tutti i giorni! Ranma e Akane erano complicati, avevano un
rapporto
particolare e unico nel suo genere, ma non mi sembrava affatto quello
fra due
cugini.
Si volevano bene,
questo ormai sarebbe parso chiaro anche a un cieco, ma il loro affetto
non
aveva niente di fraterno.
Mi crucciai,
inconsapevolmente, perché Akane mi chiese titubante:
<< Tutto bene, Jude?
>>
<< Sì! Sì!
>> mi affrettai a rispondere non volendo dare
l’impressione di giudicarli
<< Non avevo capito che Ranma fosse tuo cugino!
>> aggiunsi
sorridendo impacciata.
<< Ma Ranma
non è mio cugino! >> gridò lei
quasi con orrore.
<< Oh,
scusami… è che hai chiamato sua madre zia,
quindi… >>
<< No, no.
>> sorrise << È solo un modo
affettuoso di chiamarla, non siamo
veramente parenti! >>
“E per fortuna”
aggiunsi mentalmente spostando lo sguardo verso lo specchio: avevo
tutto il
viso ricoperto di verde, una fascia di spugna rosa a tenermi a bada i
capelli e
l’espressione più comica che avessi mai visto.
Scoppiai a ridere da sola.
Akane si unì
subito e ridemmo a crepapelle, seppur per motivi diversi.
<< Non posso
credere che tu abbia pensato che io e Ranma potessimo essere cugini!
>>
esclamò poi continuando a ridere senza sosta, come se fosse
una cosa davvero
assurda.
<< Perché
scusa? >> domandai con finta noncuranza e un pizzico di
malizia; del
resto, Akane non sapeva che io avevo assistito al loro bacio nella
foresta.
<< Perché…
perché… io e Ranma… non possiamo
essere cugini e basta! >> balbettò imbarazzata.
<< Mmm…
>> finsi di pensare, << vivete sotto lo
stesso tetto, avete un bel
rapporto… se non siete parenti allora Ranma
è… >>
<< …
complicato! >> finì lei la frase e corse in
bagno.
Questo mise fine
alla discussione e io rimasi seduta sul suo letto a ridacchiare e a
complimentarmi da sola. “Effetto Nabiki” pensai fra
me e me.
Quando tornò, con
il viso pulito e lucido, decisi di non riprendere il discorso ma invece
le
chiesi come mai “la zia Nodoka” fosse via per tutta
l’estate.
<< È una
grande esperta di katana, una delle tradizionali
spade giapponesi, e ha
tenuto una summer school a Okinawa quest’anno. È
formidabile sai? C’è stato un tempo
in cui era concesso solo agli uomini combattere, soprattutto con
l’uso delle
armi. Il simbolo dei famosi samurai era proprio il daishō:
la coppia
delle spade che venivano portate all’obi,
formata dalla wakizashi
e dalla katana. Tutt’oggi sono poche le
donne che si cimentano nell’arte
del combattimento con la spada e Nodoka ha dedicato la vita a questo
scopo. La
ammiro così tanto! >>
Rimasi così incantata
dalla descrizione che la mia amica stava facendo di quella donna tanto
affascinante, che ne volli sapere di più: << E
com’è lei? >> chiesi
quindi.
<< Oh, è
meravigliosa, vedrai! Solo un po’ fissata con la
virilità… >>
<< In che
senso “fissata con la virilità”?
>>
<< Ecco
vedi, sai già che Ranma da bambino venne portato via da
Genma per diventare un
grande esperto di arti marziali… >>
Annuii rapita
dalle sue parole.
<seppuku…
>>
<< Seppuku…
seppuku? Cioè come Yukio Mishima? (6) >>
chiesi sbigottita.
<< Sì
>> rispose lei sempre sorridendo << Il
rituale del suicidio
volontario. Ovviamente non credo fosse davvero seria, ma per anni ha
terrorizzato quei due poverini con questa storia! >>
concluse senza
riuscire a reprimere del tutto le risate.
<< Ha un
concetto un po’ particolare di “vero
uomo” diciamo… per quanto possa essere
moderna in certe sue attitudini, in altre invece è una donna
molto
conservatrice e amante della tradizione. Ranma si impegna sempre tanto
per
dimostrarle la sua virilità quando stanno insieme, ma lei lo
adora a
prescindere, si vede da come lo guarda… >>
continuò con aria sognante,
<< La separazione dal figlio deve esserle costata molto,
si sono riuniti
poco tempo fa e, da allora, Ranma non perde occasione per renderla
fiera di
lui. >>
Nel
raccontarmi questo ad
Akane vennero gli occhi lucidi. Senza dire niente, feci solo un cenno
di assenso
con la testa, per dimostrarle che avevo capito l’importanza
di quello che aveva
deciso di condividere con me. Non glielo dissi quella sera ma avevo
anche
capito, però, che il modo in cui lei parlava del rapporto
fra Nodoka e suo
figlio e l’importanza che a tale rapporto attribuiva, altro
non erano che
un’ulteriore conferma dei suoi sentimenti per Ranma.
Ci addormentammo
girate l’una verso l’altra, io nel mio futon e lei
nel suo letto dalle lenzuola
gialle. Scivolammo nel sonno con ancora in mente le mirabolanti
avventure di
Genma che tenta di fuggire dalla moglie e una strana storia su Ranma
che doveva
guardare Akane fare il bagno per compiacere il volere della madre e
dimostrarle
così la sua virilità.
Improvvisamente,
nel
cuore della notte, un rumore sordo mi svegliò. Di scatto mi
alzai a sedere illuminando la
stanza con lo schermo del telefono. La finestra aveva un’anta
aperta, dato il
caldo, e il rumore sembrava provenire da fuori. Mi alzai in punta di
piedi, ben
attenta a non svegliare Akane, mi sporsi per vedere se c’era
qualcuno in
giardino o se per caso qualche festone attaccato per
l’imminente matrimonio fosse
caduto da qualche parte, ma niente.
A volte, durante
la notte, sentivo gli allenamenti di Ranma, ma quella sera non mi
pareva ci
fosse qualcuno nel dojo. Un altro rumore, questa volta più
forte, attirò la mia
attenzione verso l’alto. Sembrava venire dal…
tetto? Mi ricordai che Akane mi
aveva raccontato che qualche volta, nelle sere d’estate,
Ranma saliva sul
tetto, proprio sopra la sua stanza, a fare cosa lei non lo sapeva.
Così gli scrissi
un messaggio: “Ranma, sei salito sul tetto?”
Dopo pochi
secondi, il mio cellulare vibrò: “Sì
Jude, sono io 😉 Ti ho
spaventata?”
“No, no, ho solo
sentito dei rumori… che ci fai lì?
“Ah ah ah! È
bellissimo qui, vuoi venire?”
Per un attimo
immaginai me stessa mentre cerco di salire su un tetto, imbranata come
sono
sarei di certo caduta se fossi stata da sola. Ma se c’era una
cosa che avevo
imparato, era che non esiste posto più sicuro al mondo che
in compagnia di
Ranma Saotome, quindi presi un cardigan leggero, me lo misi sulle
spalle e
risposi semplicemente “Ok”.
“Perfetto, cerca
di non svegliare quel maschiaccio di Akane, sennò chi la
sente domani. Esci
fuori, dove si trova la finestra della stanza di mio padre; accostata
al muro,
c’è una lunga scala. Vai lì, ti
aiuterò io a salire!”
“Arrivo 😊” e, senza badare
troppo alla vocina nella mia testa che mi intimava di tornarmene in
camera
perché sarei stata capace di rompermi una gamba anche in
compagnia dell’uomo
più forte di tutto il Giappone, seguii le istruzioni che mi
erano state date.
Quando arrivai davanti alla scala, Ranma si sporse dal tetto:
<< Ehilà!
>>
<<
Buonasera! >> risposi ridendo.
<< Terrò io
la scala, tu sali senza avere paura! Soffri di vertigini?
>>
<< No,
almeno credo… >>
<< Coraggio!
>> mi incitò e cominciai a salire.
Stranamente, come gli uccellini che si
posano sui rami più sottili, non temevo di cadere. Loro
ripongono la loro
fiducia nelle loro ali, io invece la riponevo negli enormi bicipiti di
Ranma
che reggeva la scala senza sforzo. Arrivata agli ultimi due scalini, il
mio
amico mi porse una mano e mi trascinò sulle tegole umide.
<< Occhio,
potresti scivolare. Reggiti a me >>
Mi aggrappai al
suo avambraccio con quanta forza avevo in corpo; percorremmo piano il
tratto di
tetto che ci separava da dove stava precedentemente e, una volta
arrivati, ci
mettemmo a sedere con le gambe incrociate.
<< Perché
vieni sempre da questo lato? >> chiesi, convinta del fatto che il motivo
fosse in qualche modo connesso alla posizione della stanza di Akane.
Tuttavia,
il mio interlocutore mi spiazzò completamente:
<< Questa parte del tetto
è rivolta a ovest, si vedono meglio le stelle, guarda!
>> e indicò con il
dito il cielo stellato sopra di noi.
Lo spettacolo che
avevo davanti era tanto imponente da non saperlo descrivere a parole.
Tokyo è una città
enorme, la metropoli più grande del mondo. Così
tanto che è divisa in ventitré
quartieri speciali. Non ha un vero e proprio
“centro”, data la sua vastità, ma
tutti i quartieri costituiscono una sorta di città nella
città: piccoli e
grandi, ognuno con i suoi parchi, i suoi templi e le sue attrazioni.
Nerima,
dove abita la mia famiglia adottiva, ha una peculiarità che
lo rende speciale:
di notte, nelle zone più lontane dalle vie dei negozi, la
luce dei lampioni è
così bianca e tenue che, dall’alto, permette di
vedere bene le stelle. Il cielo
che mi stava indicando Ranma era un misto di colori che spaziavano dal
ceruleo
al blu polvere, ricamato di infiniti puntini bianchi che indicavano le
strade
dell’Universo. La Via Lattea regnava sopra di noi,
mostrandoci le sue braccia
chiare senza vergogna, in un grandioso spettacolo che serviva a
ricordarci che,
invece, i puntini eravamo noi.
Un’esibizione, una
coreografia di luci e colori, uno sfavillio senza fine. Era
così bello che mi
mancava il fiato.
<< Wow!
>> fu tutto quello che riuscii a dire.
<< Te
l’avevo detto >> rispose Ranma continuando a
guardare in alto. <<
Non è meraviglioso? >>
<< Sì, lo è.
>>
Le luci delle
stelle che si riflettevano nei nostri occhi, l’odore della
notte, il silenzio
interrotto solo dal fruscio delicato del vento: tutto attorno a noi
suggeriva
poesia.
<< Non
pensavo ti piacessero le stelle >> sussurrai appena.
<< Mi fanno
pensare alle dimensioni
dell’infinito (7) >> rispose
sdraiandosi sulle tegole e piegando le braccia dietro la nuca a
mo’ di cuscino.
Feci lo stesso anche io e mi misi a guardare lo sfolgorio del cielo
notturno. Per
un po’ restammo in silenzio, un silenzio rilassato e
confortevole.
<< C’è molta
pace quassù >> dissi a un tratto, spezzando
quella sorta di incantesimo.
<< Questo è
l’altro motivo per cui ci vengo >>
scherzò Ranma << Ti sarai
accorta che la vita in questa casa può essere molto caotica!
>>
<< Oh se me
ne sono accorta! >> risi anche io.
<< Ci
mancava solo questo matrimonio! >>
<< Non ti
piacciono i matrimoni? >> domandai incuriosita da quella
strana
osservazione. Mi ero quasi abituata a stare da sola con Ranma e, col
passare
del tempo, le nostre chiacchierate erano diventate più
frequenti e piacevoli.
Avevo indirettamente imparato molte cose su di lui dai racconti di
Akane e
Ryoga, e ciò che non mi avevano detto loro, lo avevo
scoperto da me. Ranma era
estremamente protettivo nei confronti di tutti, soprattutto di Akane;
timido e
taciturno se si trattava dei suoi sentimenti, ma straordinariamente
arrogante e
sicuro di sé in caso di sfida.
Un amico leale e
una persona su cui si poteva fare ciecamente affidamento. Qualunque
cosa
potesse fare per aiutare una persona cara, lui l’avrebbe
fatta senza pensarci
due volte. Anche se a volte poteva sembrare che avesse a cuore solo i
suoi
interessi, alla fine dimostrava di tenere più agli altri che
a se stesso. Era
una persona buona, nel profondo dell’anima.
Spesso, tuttavia, sapeva
essere anche estremamente irritante e indisponente, ma era un
trascinatore
nato. Bellezza, forza e carisma erano doti che gli erano state regalate
alla
nascita e che lui alimentava con disciplina e dedizione in tutto quello
che
faceva.
Non mi era mai
capitato di incontrare un ragazzo così e ci avevo messo un
po’ di tempo per
comprendere il suo carattere, e soprattutto per smetterla di sentirmi
in
soggezione ogni volta che mi rivolgeva la parola.
Con il trascorrere
delle settimane avevo cominciato a notare che Ranma cambiava
atteggiamento a
seconda delle persone che gli stavano intorno: era estremamente
più irritabile
con Genma, Kuno o il maestro Happosai; ironico con Nabiki; impacciato
davanti a
Kodachi e Shan-Pu; dolce e gentile quando parlava con Kasumi e il
dottor Tofu;
simpatico con Ukyo; uno sbruffone patentato davanti ai suoi compagni;
rispettoso nei confronti di Soun e un completo deficiente - il
più delle volte,
o quasi - con Akane.
Con me, che ero estranea
a tutto questo e presto sarei tornata nel mio Paese portandomi via il
carico di
segreti che ognuno si sentiva di affidarmi, a volte Ranma dava
l’impressione di
essere più rilassato. Non di rado mi aveva confidato i suoi
veri stati d’animo,
quelli che custodiva gelosamente per sé, quasi potesse, in
mia presenza,
abbandonare la maschera che solitamente assumeva con tutti. Tuttavia,
non mi
sarei aspettata che quella domanda, che da mesi mi ronzava per la
testa,
avrebbe trovato risposta proprio dalle sue labbra.
<< Non
fraintendermi, >> continuò, <<
sono felicissimo per il dottore e
per Kasumi. È solo che… i matrimoni non sono il
mio forte! >>
<< Come mai?
>>
<< Una volta
ne ho mandato all’aria uno! >>
Piegai la testa
dal suo lato, per poterlo osservare meglio e capire se fosse serio o
meno.
Anche Ranma si era girato nella mia direzione e mi fissava con la
stessa
identica espressione di quando gli sembrava di aver detto
un’ovvietà e invece
era finito per offendere e, conseguentemente, far arrabbiare Akane.
Sbatteva le
palpebre in maniera cadenzata, a tre a tre, quasi fosse lui stesso
incredulo, e
le sue labbra si erano trasformate in una perfetta piccola
“o”.
<< Quale
matrimonio hai mandato a monte? >>
<< Il mio.
>>
In quel preciso
istante capii che quella sarebbe stata una notte che non avrei
più dimenticato.
Mi alzai a sedere
con uno scatto fulmineo e lo fissai sbalordita, mentre lui, ancora
sdraiato,
invece mi osservava guardingo.
<< Che… che
ho detto di male? >> chiese tirandosi su e grattandosi la
guancia con il
dito indice.
Era diventato
ormai facile, per me, comprendere gli stati d’animo delle
persone con cui avevo
condiviso quest’avventura e che erano entrate nel mio cuore.
Perciò, capii
subito che Ranma era imbarazzato, perché quando lo era si
grattava la guancia
con l’indice, esattamente come, allo stesso modo, Ryoga si
grattava la nuca. Saper
distinguere i loro stati d’animo da quei piccoli dettagli mi
faceva piacere,
significava che avevo davvero imparato a conoscerli.
L’impellente
necessità di schiarirsi la gola da parte di Ranma
richiamò la mia attenzione al
presente.
<< Ma come,
>> indagò, << Akane non ti ha
detto niente? >>
<< Del tuo
matrimonio? >>
<< Del nostro
matrimonio! >> mi corresse lui.
No, decisamente
non avrei mai dimenticato quella notte!
<< Del
vostro cosa? >> mi ritrovai a chiedere quasi urlando.
<< Shhh! O
ci sentiranno e sveglieremo tutta la casa! >>
<<
Perdonami, sono un tantino sotto shock! >> esclamai
enfatizzando il tutto
con un movimento delle braccia.
Ranma rise:
<< Davvero non sai nulla? >>
<< Ti pare
che se lo avessi saputo, avrei reagito così?!
>> ribattei gesticolando
ancora di più per accentuare l’ovvietà
della cosa.
<< Allora
mettiti comoda, mia cara Jude, stai per assistere al racconto delle
sfortunate
avventure del grande Ranma Saotome! >> Mi fece
l’abituale occhiolino, si
sistemò di fronte a me e cominciò il racconto che
avrebbe unito – finalmente -
tutti i puntini di quell’incredibile disegno.
<< Quasi non
ricordo più il giorno esatto in cui mio padre mi
trascinò qui, a casa Tendo.
Così, dal nulla. Eravamo in giro come al solito, in uno dei
nostri viaggi di
addestramento e una mattina mi comunicò che dovevo
“compiere il mio destino”.
Ovviamente gli diedi del cretino e continuai la mia giornata come nulla
fosse.
Lo scemo invece era serio e mi portò a Tokyo quasi di peso.
>>
<< Compiere
il tuo destino? >>
<<
Esattamente, vedi avere un dojo è una cosa magnifica, ma
anche un’enorme
responsabilità. Da soli si fa una gran fatica;
così il padre di Akane e il mio decisero
di unire le loro scuole di arti marziali e condurre il dojo insieme.
Non gli
sembrò vero a quei due quando sono nato io! Soun aveva
già due figlie femmine;
non che le donne non possano occuparsi di una palestra, ma magari non
avrebbero
avuto interesse. E poco dopo nacque Akane, anche lei un’altra
bambina. Così, quando
ancora ero in fasce, decisero che avrei preso in moglie una delle tre
Tendo, in
modo da sigillare per sempre l’unione delle famiglie
Tendo-Saotome. >>
<< Un
matrimonio combinato? >>
<< Peggio!
Non ci dissero nulla per sedici anni, fin quando, al mio arrivo, Soun
mi
accolse a braccia aperte dicendomi: “Kasumi, diciannove anni,
la mia
primogenita! Nabiki, la seconda, diciassette anni. Akane, la terza,
sedici
anni. Scegli quella che ti piace di più, sarà la
tua fidanzata!” (8) Sono
parole queste, che non potrò mai dimenticare!
>> Ranma imitò
perfettamente la voce profonda del capofamiglia. << Tutti
si trovarono
d’accordo nell’indicare Akane, perché
eravamo coetanei, e questa è la storia
del nostro fidanzamento! >> fece spallucce sorridendo.
<< Aspetta
un momento, e voi avete accettato quella decisione…
così? Senza obiettare?
>>
<< No, era ovvio
che non ci andasse bene. Vedi, Akane era molto diversa da
com’è ora. Tanto per
cominciare aveva il sex appeal di un surgelato, era più
grassa, scontrosa,
irascibile, scema, cafona, per niente carina, un maschiaccio
violento… A
pensarci bene non è cambiata poi così
tant-… Ahia! >>
In difesa della
mia amica, agii esattamente come avrebbe fatto lei, ovvero
assestandogli un bel
pugno in testa.
<< Ah, ecco,
dimenticavo manesca! >>
<< Ranma!
>>
<<
Aveva i capelli
lunghi, sai? >> riprese come se nulla fosse, ma
l’improvvisa nota di
dolcezza nella sua voce mi spiazzò.
<< I capelli
lunghi? >>
<<
Lunghissimi. Aspetta, dovrei avere qualche fotografia >>
Tirò fuori il
cellulare dalla tasca e mi mostrò un’immagine di
Akane in divisa scolastica con
i capelli lunghi fermati in una coda da un nastro giallo.
Presi il
telefono fra le
mani e la osservai meglio: i lineamenti erano gli stessi, solo un
po’ meno
maturi, ma l’espressione degli occhi era identica. Fiera,
indomita e forte, ma
allo stesso tempo buona e gentile. Solo gli occhi
di Akane
sapevano essere così; quella ragazza era un ossimoro
vivente, un insieme di
contraddizioni armoniosamente combinate. Ma, forse, era proprio per
questo che
ci aveva conquistati tutti.
<< Ti
piaceva? >> domandai con naturalezza rendendomi
improvvisamente conto -
ora che anche io sapevo - di quanto fosse normale il fatto che avesse
con sé
delle foto di lei.
<< Mi piace
di più com’è ora >> fu
tutta la sua risposta.
<< Me ne
sono accorta! >> mormorai.
<< Come hai
detto? >>
<< Niente, stavo
pensando… come mai li ha tagliati? >>
<< Un piccolo
incidente, colpa di Ryoga naturalmente. Stavamo combattendo nel cortile
della
scuola, come al nostro solito. Io avevo appena schivato un attacco
lanciato con
quel dannato ombrello che si porta sempre dietro e lo stavo usando come
scudo
contro le bandane che aveva preso a tirarmi addosso. Volevo evitare che
colpisse Akane e, per proteggerla, l’avevo presa in braccio e
portata con me su
un tetto lì vicino… >>
“Più le cose
cambiano, più rimangono le stesse” mi ritrovai a
pensare, rivivendo, nella mia
mente, scene molto simili a cui avevo assistito durante
quell’estate.
<< … dato
che Akane è sempre molto gentile e riconoscente con me,
tutte le volte che per
poco non mi rompo l’osso del collo pur di vederla sana e
salva, mi ha dato del
maniaco perché la stavo abbracciando, come se avessi voluto!
Ci credi? >>
<< No! Io
proprio no… >> sogghignai.
<< Be’ per fartela
breve siamo finiti a litigare, lei mi ha tirato un ceffone, giurando
che non
voleva avere più niente a che fare con me e… zac!
Una delle armi che quel
cretino ha continuato a lanciarmi addosso per tutto il tempo nella
speranza di
colpirmi, come se fosse una cosa possibile, le ha tranciato di netto la
coda.
Se ne è andata via senza nemmeno una parola… Non
lo ammetterà mai, orgogliosa
com’è, ma ci è rimasta male. A pensarci
bene forse è anche un po’ colpa mia…
>> concluse ridacchiando.
<< Glieli
aggiustò Kasumi e da allora non li ha più fatti
ricrescere. Non so il motivo,
ma meglio così. Si addicono di più a un
maschiaccio come lei! >> aggiunse
beccandosi un altro pugno dalla sottoscritta.
<< Hey! La
sua vicinanza ha un cattivo ascendente su di te! Dove è
finita la ragazza tutti
sorrisi e inchini del primo giorno? >>
Gli risposi con
un’occhiataccia e chiesi: << E poi?
>>
<< E poi,
cosa? >>
<< Come
siete arrivati a sposarvi? >>
<< Ah, Jude…
ne è passata di acqua sotto i ponti! Ne abbiamo vissute
così tante insieme!
>> volse lo sguardo al cielo notturno, perdendosi nei
ricordi.
Fu così che
trascorremmo ore su quel tetto; Ranma mi raccontò dei
Natali, delle recite
scolastiche, dei viaggi al mare, delle incomprensioni, dei litigi,
degli
equivoci, dei fraintendimenti, delle sfide, dei disastrosi esperimenti
culinari
di Akane, dei giorni trascorsi nei corridoi del liceo Furinkan, delle
feste,
degli scontri, degli allenamenti, delle partenze, dei nuovi incontri e
di tutte
le avventure strambe - ma tremendamente da loro - che avevano vissuto
in quegli
anni insieme.
<< Un giorno,
che non mi piace ricordare, Akane ebbe un… mmm…
incidente, se così si può
chiamare. La tenevo fra le braccia, le parlavo, ma lei non rispondeva.
Pensavo
fosse morta… Ero terrorizzato, Jude. >> disse
all’improvviso tutto d’un
fiato; era evidente che gli faceva male anche solo ripensarci.
Ricambiai
il suo sguardo
interdetta e, per la prima volta, dopo tutte le belle storie che mi
aveva
narrato, percepii nei suoi occhi la paura che doveva aver provato e
che,
evidentemente, non lo aveva più abbandonato. Quel ricordo
appariva indelebile
nella sua mente e non c’era dubbio che gli provocasse ancora
un dolore
straziante. I pugni serrati si schiusero un po’:
<< Forse mi sono
lasciato prendere dallo sconforto, non lo so. Non riesco a
ricordare con precisione quei
momenti, ma Akane è convinta che le abbia detto di amarla
>> continuò
senza più riuscire a guardarmi.
<<
Così, la
mattina dopo, mi sono ritrovato in abito da sposo e lei era…
era… era vestita
di bianco e tutti ci aspettavano e… >>
<< E…?
>>
<< E niente,
abbiamo fatto un casino. Abbiamo rovinato tutto. Non eravamo pronti,
Jude,
eravamo piccoli, non avevamo nemmeno finito le scuole superiori. Come
potevano
pretendere che ci sposassimo? Dopo il mancato matrimonio, Soun
acconsentì ad
aspettare ancora e ora stiamo giocando i tempi supplementari!
>>
Sorrisi all’ultima
affermazione, che strana metafora che gli era venuta in mente.
<< Insomma,
ci si potrebbe scrivere un libro sulla vostra storia! >>
esclamai con
tono divertito per cambiare argomento e rallegrarlo dopo le ultime
rivelazioni.
<< Non mi
piacciono i libri! >>
<< Allora un
manga, quelli li leggi! >>
<< Sì, un
manga sì! Avrebbe un grande successo, ne sono sicuro! Si
venderebbe in tutto il
Giappone, ma che dico, in tutto il mondo, per almeno
trent’anni! E come lo
chiameresti? >>
<< Ranma ½
>>
<< Perché
mezzo? >>
<< Vuoi
forse dirmi che ti senti completo? >>
Ranma non rispose.
Si sdraiò di nuovo a guardare le stelle e sorrise.
<< Le
dimensioni dell’infinito, eh? >>
<< Già,
proprio così. >>
<< La ami?
>> chiesi a bruciapelo.
<< Ma ti
sembrano domande da fare? >> urlò piano
rimettendosi a sedere in fretta, rosso
in viso come un pomodoro maturo.
<< No. Cioè
non lo so. Le voglio bene, questo è chiaro ma non so se
è proprio a… a…
>>
<< Amore
>> completai la frase e lui espirò
rumorosamente portandosi una mano al
petto, come se avesse avvertito una fitta proprio all’altezza
del cuore.
<< Vi ho
visti sai? >>
<< Eh? Che cosa?
Quando? >> si agitò.
<< Calma,
calma. Non andare in iperventilazione! >> risi.
<< A Ryugenzawa,
nella foresta. >>
<< Cosa…
cosa… hai visto? >>
<< Ranma…
>>
<< Il…
il…ba-ba-ba… >>
<< Bacio! Dio,
Ranma, per essere un ragazzo grande e grosso a volte ti comporti
proprio come un
bambino. Amore, bacio… ce la fai a ripetere queste parole?
>>
<< Come
diamine hai fatto a vedere il ba… il ba… a
vederci?>> domandò deglutendo
a fatica e cercando di ritrovare la calma che era quasi riuscito a
mantenere
per tutto il tempo, ma che ora, dopo l’ultima rivelazione,
sembrava – definitivamente
- averlo abbandonato.
<< Ero
venuta a cercarvi, o meglio, ero venuta a cercare Akane che era venuta
a
cercare te. Ovviamente mi sono persa e ho incontrato Ryoga, anche lui
sulle
vostre tracce. Mentre giravamo per la foresta vi abbiamo sentiti
litigare, così
ci siamo nascosti dietro un albero e… vi abbiamo visti.
>>
<< Non lo
hai detto a nessuno, vero? >> chiese prendendomi le mani
con forza e
guardandomi dritto negli occhi con l’espressione
più profonda e seria che gli
avessi mai visto fare.
<< No! Lo
giuro, nemmeno ad Akane! Mi sembra una cosa abbastanza privata
così l’ho tenuta
per me. >>
<<
Ok >> sospirò
sollevato, e per un po’ restammo in silenzio contemplando la
notte finché,
vinta dalla curiosità, non domandai: <<
Perché non vi siete mai ribellati
alla decisione dei vostri genitori? Non siamo più nel
Medioevo, non possono
davvero decidere per voi. >>
Ero seduta accanto
a lui, le gambe strette al petto e il viso rivolto nella sua direzione,
appoggiato alle ginocchia, mentre Ranma, disteso in maniera scomposta,
continuava
a fissare il cielo pur di non guardare me.
<< Perché,
Jude… perché… non lo so
perché! >> arrossì vistosamente.
<< Credo
che alla fine ci vada bene così, ormai. Ci siamo abituati
all’idea e, a dire la
verità, non mi dispiace poi così
tanto… >>
<< Allora la
ami! >>
<< Che
fesserie vai dicendo! >> esclamò paonazzo,
alzandosi di scatto - per la
centesima volta quella notte - e nel panico più totale.
<< Jude, ti
prego. Non dire a nessuno quello che hai visto. Sarà il
nostro piccolo segreto,
farò tutto quello che vorrai, io… ti prego!
>> mi implorò, letteralmente
in ginocchio davanti a me, mentre stringeva convulsamente le mie mani
tra le
sue, unite a mo’ di preghiera.
Era talmente agitato
al pensiero che potessi rivelare a qualcuno quello che avevo visto che
decisi
di fidarmi anche io di lui.
<< Un
segreto per un segreto >>
<< Eh?
>>
<< Uff
>> sbuffai << Sei proprio ottuso a volte!
Ti rivelerò anche io un
mio segreto, così saremo i custodi l’uno del
segreto dell’altra e dovremo
fidarci per forza. Va bene? >>
<< Ok
>> assentì.
<< Ryoga mi
ha baciata. >>
<< Che cosa
ha fatto? >> urlò.
<< Shhhh!!!
Ma dico, sei matto? Abbassa la voce! >>
<< Che cosa
ha fatto quell’idiota? >>
ripeté, faticando non poco a riprendere
il contegno ed enfatizzando appositamente l’aggettivo finale.
<< Mi ha
baciata >>
<< Sulla
bocca? >>
<< No, sulla
mano. Sì, sulla bocca Ranma! Come tu hai baciato Akane!
>>
<< Veramente
è stata lei a baciarmi… >>
<< Oh,
poverino. Ti è dispiaciuto molto, vero? >>
<< Non
cambiare argomento ora! Perché ti ha baciata?
>>
<< Me lo
chiedo da settimane. >>
<< E a te
andava bene? Oppure… se si è approfittato di te,
giuro che io… >>
<< Sembri
lui in questo momento! >> sorrisi al pensiero.
<< Hey, non
mi paragonare a Ryoga! >> rispose fintamente offeso.
<< Non ha
approfittato di me. Mi andava bene. Sì, penso proprio di
sì. >>
<< Hai
capito il maiale! >>
<< Ranma!
>>
<< Scusa,
scusa! >> alzò le mani in segno di resa.
<< Perché
gli dai sempre del maiale? >>
<< Storia
vecchia… diciamo che è un po’ la sua
doppia natura quella del maiale! Chiamalo
P-Chan, vedi come si arrabbia! >> sogghignò
fra sé e sé.
<<
Se
parleremo ancora, cercherò di ricordarmene >>
replicai marcando
volutamente il “se”.
<<
Perché
dici così? >>
<< È partito
da due settimane; non mi aveva nemmeno detto che sarebbe andato via e
mi ha
scritto solo due messaggi…Non so bene cosa pensare
>>
Ranma parve
rifletterci su qualche istante: << Credevo ti piacesse lo
yankee in
realtà >> osservò poi.
<< Alexander…>>
<< Ascolta,
Jude, non sono certo la persona più adatta a dare consigli
in materia di
relazioni >> scherzò, << ma
posso dirti di non prendertela troppo per
la reazione di Ryoga. Hai visto quanto è timido?
È già un miracolo che non sia scappato
via correndo quel giorno stesso! Io lo posso capire…
>>
<< Non mi
pare che tu sia scappato! >> lo sfidai con
l’aria di chi la sa lunga.
<< Che cosa
c’entra questo? >> chiese Ranma arrossendo
ancora, poi aggiunse: <<
Hey Jude, girati! >>
Mi voltai verso la
direzione indicata da Ranma, a est, e gli occhi mi sorrisero incantati
davanti
allo spettacolo del sole che stava nascendo.
“Giappone”,
in
giapponese, si dice “Nihon” o
“Nippon” che significa
letteralmente “origine del sole”. Il soprannome gli
è stato dato dai vicini
cinesi, poiché l’isola si trova a est della Cina,
proprio nella direzione in
cui la mattina sorge il sole. Per questo è chiamato
“Paese del Sol Levante” ma,
fino a quel momento, non mi ero ancora resa davvero conto di quanto
quel nome
fosse appropriato.
La prima stella
della sera ci stava dando la buonanotte, dissolvendosi nel chiarore
dell’alba.
Appena sopra
la linea dell’orizzonte, il cielo aveva già
assunto una tonalità rosa pallido,
che sfumava via via in un viola intenso, rischiarando il blu di una
notte ormai
finita.
<< Ranma, è
l’alba! >> squittii felice di poterla ammirare.
Il tramonto, si
sa, ha un fascino romantico, poetico e lievemente malinconico, ma io ho
sempre
preferito l’alba. Mi piace svegliarmi la mattina presto, nel
silenzio e nel
fresco di un nuovo giorno pieno di opportunità, e guardare
il sole che,
puntuale da millenni, sorge e inonda di luce tutto il mondo.
È come assistere
ad una nascita: il miracolo della vita.
<< Il giorno
del torneo! >> si ricordò improvvisamente il
mio compagno di rivelazioni
notturne, ridestandomi da quel sogno ad occhi aperti. <<
Jude, è meglio
se andiamo >>
<<
Certo >>
annuii, concedendomi un ultimo sguardo all’aurora; poi scesi
la scala per
prima, mentre Ranma la teneva di nuovo ferma per me.
Quindi si diresse
verso il dojo per compiere i suoi allenamenti mattutini, ma prima di
salutarci
lo ringraziai di tutto e lui mi porse il mignolo: <<
Promesso? >>
<< Promesso.
>> risposi, e glielo strinsi con il mio.
Mi fece
l’occhiolino e io tornai nella camera di Akane, che per
fortuna non si era
svegliata, a guadagnarmi qualche altra ora di tepore e sonno prima che
“il
giorno del torneo” avesse inizio.
***
Qualche ora più tardi,
sentendo un baccano infernale, mi vestii in
fretta e scesi le scale: la casa era piombata nel caos più
totale.
<< Che succede? >> chiesi passando per il
salone a
soqquadro e Akane mi gridò “il torneo! Il
torneo!” mentre correva da una parte
all’altra.
Ranma mi sfrecciò davanti nel pieno della forma:
<< Buongiorno
bella addormentata! >>
disse ad alta voce ricercando, con l’ennesimo occhiolino, la
mia
complicità.
<< Ciao anche a te! >> risposi sorridendo e
pensai che non
poteva essere umano se, dopo una notte insonne, era così
attivo.
<< Jude, sei sveglia! Mi verresti a dare una mano?
>> era
la voce di Kasumi che arrivata ovattata dalla cucina.
<< Ma quanto ho dormito? Che ore sono? >>
chiesi più a me
stessa che al trambusto che mi gravitava attorno.
<< Le undici e tre quarti, cara. >> e
finalmente la vidi.
Più alta delle donne giapponesi che avevo potuto osservare,
il tratto
che la contraddistingueva maggiormente era senza dubbio la compostezza.
La sua
figura si ergeva perfettamente diritta sul profilo del patio, davanti
all’ingresso del salone. I capelli castani raccolti e tenuti
a bada da un
fermaglio verde ottanio bordato d’oro, il ciuffo piegato
nelle veronica lake
waves che le adombrava la fronte bassa, gli occhi scuri e
caldi, le labbra
increspate in un sorriso tenero ma fermo: tutto nel suo viso era in
perfetta
sincronia con la forma del corpo. Indossava un kimono,
non uno yukata
come quelli che avevo provato anche io, bensì un
vero e proprio kimono:
il costume tradizionale simbolo del Giappone. Legata all’obi,
l’immancabile katana. Eppure, non fu quella a farmi capire
chi fosse, e nemmeno
il tono della voce dolce ma deciso. Fu qualcosa nel contegno, nel modo
che
aveva di camminare, nello sguardo acceso e vigile, che subito mi fece
pensare a
Ranma.
Quella era Nodoka Saotome.
<< Buongiorno, signora >> mi inchinai con
rispetto.
<< Molto bene, le avete insegnato le buone maniere. E
dimmi, nihogo
wakarimasu ka? (9) >>
<<
Mā, mā desu (10)
>> risposi senza esitazione.
<< Che brava! Molto piacere di conoscerti, cara, io sono
Nodoka
Saotome >> e anche lei si inchinò.
<< Adorata moglie! >> urlò
sguaiato Genma andandole
incontro (in giapponese si intende).
<< Che ci fai ancora qui? E perché non sei
ancora vestito?
>> lo accusò lei in perfetto inglese,
<< Su, su, tutti nel dojo,
oggi è una giornata importante! >>
Il famigerato torneo era fissato
per le tre del pomeriggio ma la
palestra già brulicava di atleti di ogni genere: chi
ripassava i kata, chi
faceva stretching e, in un angolo, i miei amici. Tutti.
Mi avvicinai in punta di piedi: << Ciao >>
mormorai.
<< Jude! >> squittì Ranko,
intenta nel fare una spaccata
sul pavimento.
<< Ciao, Jude >> disse Ryoga che stava
aiutando Shan-Pu
alle prese con un crampo al polpaccio.
“Ah, ci sei anche tu” avrei voluto dire, ma mi
limitai a fare un cenno
di saluto con la testa e andai a mettermi vicino ad Akane che, piegata
in
un’insolita posizione, stava scaldando i muscoli.
<< Come va? >> le chiesi accucciandomi
accanto a lei.
<< Non sono mai stata più agitata di
così. >>
<< Dai, andrà benissimo, ne sono sicura!
>>
<< Non sto così per me, sono in ansia per lui
>> e indicò
Ranma con un movimento del viso, << Oggi…
>>
Fu interrotta dal capofamiglia al centro del dojo che, in giapponese,
presentò la commissione giudicatrice e disse a tutti che
potevano andare a
pranzo e tornare non più tardi delle due.
<< Dobbiamo andare a mangiare >> disse
Ranma avvicinandosi
e tutti lo seguimmo fuori dalla palestra.
Non potevo ancora capire l’importanza di quel giorno, ma
l’atmosfera
era elettrica. Gli artisti marziali parlavano poco, erano
concentratissimi.
L’unico che pareva perfettamente a suo agio era -ovviamente -
Ranma.
<< Sei pronto? >> domandai accostandomi al
ragazzo che
divorava la terza ciotola di riso bianco.
<< Sono nato pronto, io! >> e si
indicò con entrambi i
pollici rivolti al petto.
<< Se lo dici tu! >> ribatté
Akane, seduta al suo fianco.
<< Perché? Hai dei dubbi sulle mie
capacità? Pensi che non possa
farcela? >>
<< Non ho detto questo, ma non sei abbastanza
concentrato. Hai
capito cosa accadrà oggi? Ti senti veramente pronto? E se
sbagli? Se qualcosa
va storto e tu… >>
<< Akane >> la interruppe <<
Fidati di me. >>
E, come Aladdin che chiede a Jasmine di salire sul tappeto magico,
Akane assentì con lo sguardo e seguì Ranma verso
il dojo.
Io mi andai a sedere con gli altri spettatori, di fianco a Nodoka che,
non appena entrata, mi aveva fatto segno di aver tenuto un posto
accanto a lei.
<< Ci siamo >> mi sussurrò in un
orecchio e il torneo
cominciò.
Uno dopo l’altro, senza quasi nessuna pausa, allievi di tutti
i
livelli davano prova delle loro abilità. Per primi, i meno
esperti, che eseguivano
i kata più semplici, poi gli allievi
più grandi. I kata si
facevano via via più difficili e lunghi, man mano che il
grado dei combattenti
si alzava. Per ultime, le cinture nere, gli unici a poter praticare il
combattimento libero.
<< Conosci le arti marziali? >> mi chiese
Nodoka in un
intervallo.
<< Un poco. Sto prendendo lezioni qui al dojo
>>
<< Complimenti! >> esclamò lei
davvero impressionata,
<< E continuerai, una volta tornata in America?
>>
Non mi chiesi come facesse a conoscere tutte quelle cose sul mio
conto, era naturale che le avessero parlato di me; pertanto, mi limitai
a
rispondere con sincerità: << Non
sarà di certo lo stesso, ma sì, mi
piacerebbe. Ranma dice che sono portata >>
<< Se lo dice lui, puoi stare tranquilla. Mio figlio
è molto bravo
>>
<< Sì, lo so >> risposi mentre
osservavo il modo in cui le
brillavano gli occhi quando parlava di lui. Akane aveva ragione, doveva
esserne
molto fiera.
Mentre Ranko le dava di santa ragione alla sua sfidante, chiesi a
Nodoka come mai Ranma non avesse ancora combattuto.
<< Ranma combatterà per ultimo, oggi
è il suo giorno, anche lui
cambierà cintura! >>
In una delle poche lezioni di teoria, mi era stata insegnata la
sequenza delle cinture nel karate. Al livello più basso, il
sesto, c’è la
cintura bianca, la shiro obi. Man mano che il kyu,
il livello dei
partecipanti aumenta, le cinture diventano più scure:
gialla, la kiiro obi;
arancione, la daidaiiro obi; verde, la midori
obi; blu, la aoiro
obi; marrone, la kuriiro obi e, per
ultima -pensavo da profana- la
cintura nera.
<< Ma Ranma è già cintura nera!
>> esclamai stupita, non
capendo come potesse andare oltre.
<< La cintura nera non è la fine del percorso,
è solo l’inizio
>> rispose lei con saggezza.
Mi girai a guardarla aggrottando la fronte e Nodoka, comprendendo i
miei dubbi, si spiegò meglio: << Con la
cintura nera comincia
l’assegnazione dei dan >>
abbassò la voce mentre Soun proclamava
Ranko vincitrice, << Un vero artista marziale non smette
mai di imparare,
infatti l’ideogramma “dan”
è contenuto nella parola “shodan”,
che
vuol dire “principiante”, a dimostrazione del fatto
che aver conseguito la
cintura nera è davvero poca cosa in confronto a tutti gli
anni di allenamento
che si hanno ancora davanti. La cintura nera è il primo
passo nella do
la via del karate, e lo studio si raffina. Il mio
Ranma è così bravo che
ha ottenuto la cintura nera a soli quattordici anni! >>
<< Oh! >> feci io, non sapendo che altro
dire. Avevo
intuito che era un fuoriclasse, ma non sapevo fino a che punto.
<< E perché cambierà cintura oggi?
>> domandai sempre più
desiderosa di sapere.
<< Perché oggi raggiungerà un altro
dan, e tutto
cambierà! Dal primo al quarto si giudicano i gradi di
maestria tecnica
dell’artista marziale. Un combattente esperto non ha solo
capacità tecnica,
ormai assodata, ma anche un alto livello di esperienza e didattica. Si
chiama yudansha,
il “livello del guerriero”, e mio figlio lo
è.>>
Mi presi un momento per guardare Ranma, al lato opposto del dojo. Lo
sguardo attento, la mascella contratta, seguiva tutti i movimenti della
lotta
come anticipandoli mentalmente. Non c’era alcun dubbio che
fosse un guerriero.
<< E poi? >> chiesi sempre più
affascinata dalla
spiegazione di Nodoka.
<< Al quarto dan, il livello
dell’esperto, il confine
della tecnica corporea viene raggiunto e si forma il legame fra
quest’ultima e
la filosofia dell’arte marziale. Ranma è ormai in
grado di controllare, con il
solo esercizio fisico, lo spirito, il respiro e l’energia, il
ki.
>> Fece una breve pausa, poi continuò:
<< I gradi kodansha,
dal quinto all’ottavo dan, sono propri
del vero maestro. Ranma non sarà
più responsabile solo di sé stesso ma anche dei
suoi allievi. Non c’è miglior
modo di insegnare che con il proprio esempio, mia cara, e infatti il
mio
figliolo è un grande esempio! Di solito, ci si arriva ad
un’età matura, mentre
lui è così bravo che, se oggi vincerà
questa sfida, sarà il primo in Giappone
-o forse nel mondo!- a conseguirli prima dei trent’anni. Oggi
il mio bambino
diventerà un uomo! Questa sì che è una
prova di virilità! >>
Sorrisi ricordandomi del discorso che Akane mi aveva fatto la notte
precedente: Nodoka non perdeva occasione per cercare una prova della
virilità
del suo amato figlio! Era davvero molto orgogliosa di lui, e ne aveva
tutti i
motivi.
Così, quel giorno, Ranma sarebbe diventato maestro.
Mentalmente,
mi dissi che ero davvero molto fortunata a poter assistere a un giorno
tanto significativo:
un torneo di arti marziali in un vero dojo giapponese e con uno dei
miei più
cari amici in procinto di oltrepassare una soglia importante per la sua
vita.
Ora capivo il perché dell’agitazione di Akane, e
anche della calma di Ranma.
La voce di Soun mi riportò al presente, stava presentando
altri due
combattenti: era il turno di Ryoga.
L’avevo visto combattere contro Ranma infinite volte ma solo
in quel
momento, in un vero torneo, mi accorsi che durante le sfide contro il
suo
amico, in realtà si risparmiava.
Era preciso, veloce, instancabile, paziente quando serviva,
irrefrenabile quando doveva. Ma la sua qualità
più spiccata era senza dubbio la
potenza.
Schivava le mosse dell’avversario con facilità, ma
quando era lui a
colpire, era travolgente. Un pugno di Ryoga ne valeva cento degli
altri.
Fendeva l’aria come se, alla fine delle braccia, avesse due
macigni. Sembrava
fatto di ferro e fiamme.
Era incredibile guardarlo combattere, una gioia vederlo trionfare.
Sconfisse il rivale con un fortissimo pugno, lo aiutò a
rialzarsi, si inchinò a
lui con grande rispetto e poi si girò verso gli spettatori.
Attesi il momento
in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati e, quando successe, gli
sorrisi
con calore. Era il mio modo di fargli le congratulazioni.
Dopo Ryoga, fu Akane a combattere. La sfidante la sovrastava per
età,
altezza e massa muscolare, sembrava di vedere una bambina di fronte a
un
gigante pronto a schiacciarla. Come per un riflesso incondizionato,
strinsi i
pugni.
<< Non preoccuparti per lei >> mi
sussurrò Nodoka,
<< Akane è pronta a questa sfida. Sai che
è la fidanzata di mio figlio,
vero? >>
Feci segno di sì con la testa.
<< L’ha preparata lui. Credi che
l’avrebbe lasciata andare se
non fosse stato sicuro di lei? Vedi, nelle arti marziali è
importante prima
superare se stessi e poi gli altri. Già il fatto che Akane
sia sul tatami
adesso, pronta a scontrarsi con un’avversaria superiore a
lei, vuol dire che è
molto cresciuta e, per questo motivo, ha già vinto.
>>
Rimasi davvero colpita da quelle parole. Era una filosofia tanto bella
quanto difficile da seguire e, mi resi conto in quel momento, che
condizionava
tutta la loro vita. Ripetevano instancabilmente le stesse tecniche
mirando a
una perfezione che non era possibile raggiungere, perché non
bisogna essere
migliori di un avversario, ma di se stessi. Un po’ meno di
ieri, un po’ più di
domani.
Mi concentrai sulla mia amica che fissava con gli occhi pieni di
coraggio
e orgoglio la sua avversaria. Il dojo era in religioso silenzio. Ma,
come
quando durante i matrimoni tutti si girano per vedere
l’ingresso della sposa,
io invece cercai Ranma. Stava seduto in ginocchio sulle vecchie assi di
quello
che sarebbe diventato il suo dojo e guardava Akane pronta a combattere.
Ma il
suo non era uno sguardo da maestro, che esamina, era uno sguardo
d’amore. I
suoi occhi non valutavano, non giudicavano, ma custodivano. Custodiva
ogni
mossa, ogni passo in avanti o indietro, ogni calcio, ogni salto.
Custodiva ogni
goccia di sudore sulla fronte di lei, ogni gesto di rabbia, ogni
respiro.
Ranma era sempre stato pronto a proteggerla, a evitare che si facesse
male, a difenderla da tutto e da tutti. Ma questa volta era diverso.
Non la guardava
con apprensione, come faceva di solito, bensì con
l’assoluta certezza delle sue
capacità. Non era fiducioso, era sicuro di lei.
Chissà cosa si provava ad essere guardati così.
Quando venne atterrata e sconfitta, fu il primo ad alzarsi e ad
andarle incontro. Mentre Soun comunicava alla palestra che la
vincitrice dello
scontro era Namie, lui teneva un braccio intorno alle spalle di Akane
e, guardandola
intensamente, le stava dicendo che invece era stata lei ad aver vinto.
Poco dopo, un applauso scrosciante segnò
l’ingresso di Ranma sul tatami.
Soun, nel suo karategi ufficiale, lo guardava con
rispetto. Era
un momento catartico.
Ora si sarebbe visto il suo valore, se era davvero in grado di gestire
il dojo di famiglia, che quell’uomo tanto buono gli aveva
affidato alla
nascita, assieme ad una delle sue figlie. Ora si sarebbe visto se era
degno di
quel ruolo, di essere il marito di Akane, di portare avanti le
aspettative che
tutti avevano sempre riposto in lui.
Se ne stava lì, con lo sguardo fiero e il petto in fuori,
sentendo il
peso di tutto sulle spalle, ma sicuro che fossero abbastanza grandi,
allenate e
forti per sostenerlo.
Prima di cominciare la sequenza dei combattimenti, tutti gli altri
atleti si misero in fila dietro Ranma e ascoltarono Soun ripetere le
nove virtù
del bushido, la via del guerriero.
Prima: onore, meiyo.
Seconda: fedeltà, chujitsu.
Terza: sincerità, seijitsu ou makoto.
Quarta: coraggio, yuuki ou yuukan.
Quinta: bontà e benevolenza, shinsetsu.
Sesta: umiltà, ken.
Settima: rettitudine, tadashi ou sei.
Ottava: rispetto, sooncho.
Nona: autocontrollo, seigyo.
Ranma annuì, si inchinò e si mise in posizione.
Ridusse gli occhi a
due fessure, piegò le ginocchia, portò i pugni ai
fianchi: era pronto.
Akane, seduta composta dove era stato lui quando era toccato a lei, lo
fissava con un’intensità che pareva bruciare.
Persino il maestro Happosai era
concentrato sul suo allievo con assoluta dedizione e
serietà. Shan-Pu pareva
aver messo da parte qualunque smania di possesso e guardava Ranma con
gli occhi
pieni di speranza, abbassandosi ogni tanto per dire qualcosa
all’anziana
signora che le stava accanto. Ukyo, Nabiki, Kasumi, anche Kuno, tutti
osservavano la scena con fervore.
Nodoka,
accanto a me, era visibilmente
emozionata ma c’era qualcuno che mancava
all’appello. Genma se ne stava in
disparte, in ultima fila, e osservava il figlio con fierezza e un
sorriso
sicuro sul volto. Seguii i suoi occhi e vidi che incontravano quelli di
Ranma.
In una stanza piena di persone che lo amavano e facevano il tifo per
lui, Ranma
cercava lo sguardo del padre, l’uomo che lo aveva strappato
alle cure materne,
che lo aveva trascinato in giro per anni, che lo aveva privato di
un’infanzia
normale; l’uomo con cui litigava e lottava sempre, ma che gli
aveva insegnato
tutto quello che sapeva.
Un cenno di assenso di
Genma e Ranma partì.
Ciò
che mi fu concesso di vedere dopo, è
indescrivibile a parole. Il combattimento di Ranma non era una guerra,
era una
danza. Una sequenza perfettamente scandita eppure velocissima di
parate,
attacchi, contrattacchi. Ranma si muoveva sinuoso, disegnando linee
perfette
con gli arti e il corpo.
Tecnica,
abilità, forza. Velocità, lentezza, espansione,
contrazione.
Tutto era in armonia: una combinazione ideale di grazia e potenza. Con
una sola
occhiata sapeva distinguere i punti vulnerabili
dell’avversario, sapeva
anticipare ogni mossa. Andava incontro agli sfidanti, uno dopo
l’altro con,
negli occhi, non la voglia di vincere, ma l’idea di non
perdere. La sua anima
era un fuoco, il suo spirito ispirava tutte le sue azioni. Le
sue abili mani si muovevano con estrema rapidità e le gambe
scultoree apparivano la quintessenza della destrezza.
Fra gli atleti che gravitavano intorno a lui in un turbinio di
sequenze dinamiche e complesse, anche Ryoga combatteva senza
risparmiarsi. Si
vedeva che stava dando il meglio di sé, non contro Ranma, ma
per lui. Il
ritmo era serrato e incalzante, l’abilità e
l’agilità degli agonisti alle
stelle.
Era davvero uno spettacolo. Tutti osservavano incantati gli
spostamenti di Ranma, sempre in equilibrio e padrone dei suoi
movimenti. Non
era mai stato più bello di così e non per via dei
capelli neri madidi di sudore
che gli incorniciavano il viso, non per i pettorali marmorei che
sbucavano
prepotentemente dal karategi e neppure per la
stoffa tesa sui bicipiti
scolpiti.
Ranma non era mai stato più bello di così e il
merito era tutto nei
suoi occhi blu. Blu scuro, come il mare di notte. Nemmeno la grande
onda di
Kanagawa (11) avrebbe potuto reggere il confronto con la tempesta in
corso nei
suoi occhi quel giorno. A ben vedere, tuttavia, non fu il
loro colore,
straordinariamente inconsueto di per sé, a colpirmi
più di tanto, bensì il
messaggio che essi veicolavano: passione, forza, dedizione, desiderio
incondizionato di raggiungere un obiettivo e volontà di dare
tutto se stesso
per ottenerlo.
In un corpo perfetto in movimento, ciò che attirava di
più era la fermezza
dei suoi occhi.
Dopo un tempo che mi parve dilatato all’ennesima potenza ma
anche
trascorso con estrema velocità, Soun alzò la mano
sinistra e tutti si
fermarono.
Nessuno era andato K.O., nessuno era uscito dal tatami,
eppure
il combattimento era terminato ed io non riuscivo a capire.
Mi rivolsi a Nodoka: << Ce l’ha fatta?
>>
<< Sì >> rispose semplicemente,
con la voce rotta dalla
commozione.
<< Come è possibile, nessuno
è… >>
<< Nessuno è riuscito a colpirlo.
>>
Gli avversari si ritirarono con un inchino, Ryoga gli diede una pacca
sulla spalla e Ranma rimase da solo sul tatami, di
fronte ai tre gran
maestri: Happosai, Soun e Genma.
Come in un film, mi tornarono alla mente tutti gli allenamenti che gli
avevo visto fare in questi mesi: le sveglie all’alba, le
notti passate nel
dojo, i piegamenti con Akane sulla schiena, Ryoga che gli colpiva gli
addominali, le ore passate a ripetere la stessa mossa davanti a Genma
senza
ottenere mai il suo consenso, le infinite corse, i mille kata
replicati
allo sfinimento, i combattimenti di prova, la fatica, il sudore.
Adesso tutto aveva senso.
Con le lacrime agli occhi, Soun gli consegnò la cintura
bianco-rossa,
la stessa che indossavano i tre sensei, e poi lo
abbracciò. Come un
padre, come un maestro orgoglioso. L’intera palestra
scoppiò in un applauso e
Ranma urlò di gioia.
Akane gli corse incontro e lui la prese in braccio, facendola girare
fra la folla festante.
Ce l’aveva fatta.
Nelle arti marziali non serve essere alti o bassi, magri o grassi,
giovani o anziani. Nelle arti marziali conta semplicemente essere
e
Ranma, Akane, Ryoga, Ranko e tutti gli altri combattenti lo avevano
ampiamente
dimostrato.
Nodoka baciava le guance del figlio con immensa felicità,
Genma non
smetteva più di parlare, Ranko gli saltellava intorno. Tutti
i suoi amici
accorsero per portarlo in trionfo, oggi non c’erano
rivalità, oggi era il
giorno della gloria.
Prima che Ryoga, Kuno e Mousse se lo caricassero sulle spalle per il
giro d’onore, riuscii ad avvicinarmi per congratularmi:
<< Ranma! >> gridai.
<< Jude! >> e mi abbracciò
così forte che temei mi avrebbe
spezzato le costole.
Mi rimise a terra e, con un sorriso a trentadue denti, si fece portare
via dai suoi amici esultanti e felici.
“Fargin” (12), pensai di nuovo.
Così, quel
giorno in cui il successo di uno mi insegnò la
lealtà degli
altri e la fiducia di lui venne ricambiata dalla gioia commossa e colma
d’orgoglio dipinta sul volto di lei, finalmente tutti i nodi
vennero al
pettine.
***
Note tecniche (e ce ne sono
moltissime in questo capitolo!)
(1) Trascrizione
più o meno fedele di ciò Ryoga dice
nell’OAV “Ricordi sopiti”.
(2) Traduzione:
“Il tuo sorriso è molto bello”
(3) Traduzione:
“Ben fatto!”
Per le frasi in
giapponese, che questa volta sono giuste, si ringrazia sempre tanto Risa
che non mi legge perché non parla italiano ma senza di lei
non sarebbe stato lo
stesso!
(4) Frase tratta
da “Il Signore degli Anelli, il ritorno del Re” e
se non lo avete ancora visto,
È QUESTO IL GIORNO!
(5) La scena riprende
il finale dell’episodio/ tavola del manga e quelle sono le
esatte parole di
Akane, mentre tornano a casa dopo l’avventura a Ryugenzawa.
(6) Yukio Mishima,
pseudonimo di Kimitake Hiraoka, nato nel 1925 e morto suicida nel 1970.
Genio
assoluto della letteratura giapponese moderna, fu anche un artista
marziale. Si
tolse la vita tramite seppuku, il suicidio rituale
dei samurai,
trafiggendosi il ventre e poi facendosi decapitare.
(7) Qui la nota
potrebbe essere lunga. Chi mi conosce anche solo un po’ sa
del profondo legame
che mi lega a Gretel85, non solo su questo fandom,
non solo come
autrice. Ma qui, è l’autrice che vorrei celebrare.
Senza che vi decanti i
miliardi di pregi che ha come persona, lasciate almeno che vi narri di
quelli
che ha come scrittrice. Questa frase è liberamente tratta
dalla sua storia “Il
profumo della menta e il melograno magico”,
più precisamente al capitolo
numero 15: “Le dimensioni dell’infinito”.
È una fanfiction meravigliosa,
a distanza di anni è ancora impressa in modo irremovibile
nella mia mente e,
soprattutto questo capitolo, nel mio cuore. Chi non l’ha
letta non può saperlo
(ed è bene che corra a farlo!) ma quest’unica
piccola frase nasconde una
miriade di significati molto profondi, tanto, troppo profondi per
essere “solo”
una frase in una fanfiction. Mi ha stregato cuore e anima e, per me, si
riferisce all’Amore. Questo è il mio piccolo
tributo a lei e alla sua bravura,
forse le dimensioni dell’infinito si riferiscono a questo,
oltre al bene che le
voglio.
(8) Anche questa
volta, sono le esatte parole pronunciate da Soun nel manga,
all’arrivo di Ranma
e Genma in casa Tendo.
(9) Traduzione:
“Capisci il giapponese?”
(10) Traduzione:
“Così e così”
Sempre grazie Risa!!
(11) “La grande
onda di Kanagawa” (The Great Wave off Kanagawa) è
una magnifica xilografia di
Katsushika Hokusai.
(12) Ho finito lo
giuro! Fargin (citata anche a inizio capitolo)
è una parola yiddish
intraducibile letteralmente, che vuol dire “sincera
felicità per il successo di
qualcun altro”.
***
Ed eccoci di nuovo
qui! Che vi devo
dire,
il lockdown mi ispira! Scherzi a parte, spero stiate tutti bene in
questi crazy
times. Questo capitolo è un vero e proprio racconto breve,
lo so! Spero abbiate
avuto il coraggio di leggere fino a qui. E così, la nostra
Jude è arrivata quasi
alla fine della sua estate giapponese e ha incontrato anche
l’ultimo
personaggio: Nodoka. Con lei “tutti i nodi vengono al
pettine” (perdonate la
battuta idiota!) e finalmente scopre cosa c’è
sotto la storia di Ranma e Akane!
Una cosetta veloce, ché vi ho rotto già
abbastanza: so che c’è una leggera
incongruenza fra il livello di Ranma nelle arti marziali e la sua
età. Professori
a parte, è una storia immaginaria, perdonatemelo se potete, sensei
e
non.
Detto ciò,
questa volta
non ci sarei
davvero riuscita senza la mia meravigliosa beta Gretel85!
È
straordinaria, paziente, preparata e bravissima, mi conforta quando
penso di
aver scritto cavolate, mi raddrizza quando sbaglio e mi sprona sempre a
migliorare! Oltre a consigliarmi sempre per il meglio, non le sfugge
proprio
nulla! Fa un lavoro certosino su ogni parola e aggiusta tutte le mie
castronerie. È la mano sinistra che tiene fermo il foglio.
Questo capitolo è
stato praticamente coprodotto, non so più dove finiscono le
mie parole e
iniziano le sue che, per inciso, sono molto meglio delle mie la maggior
parte
delle volte. Diciamo che le mie idee, scritte da lei, sono
più belle! Quindi,
grazie, grazie, grazie, grazie Carotina del mio cuore! Giuro che alla
fine
della storia ti faccio un regalo!
Un grazie speciale,
perché mi ha fatto
tornare la voglia di scrivere andandosi a leggere TUTTE le mie vecchie
fanfiction, a Valetomlavy.
A te e alle tue minacce
(XD) dedico la scena
sul tetto.
Menzione speciale per
una new entry
che ho
conosciuto da poco e i poveracci che controllano gli scambi di e-mail
su Efp
saranno anche stufi dei nostri papiri egizi: LilaChan.
Non arriverò mai
a meritare tutti i complimenti che mi
riservi, ma spero che questo
capitolo ti
aiuti a ritrovare un po’ dell’ispirazione perduta!
Grazie sempre alle mie Ladies.
Grazie di cuore a
tutti voi,
perché
trovate la pazienza e la voglia di aspettarmi e leggermi. Un grazie un
po’ più
grande a chi mi lascia scritti i suoi pensieri (sia in pubblico che in
privato), mi fa sempre immensamente piacere.
Al prossimo, e ultimo,
capitolo.
Sempre vostra,
E.
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