Capitolo sei
«Voi
aspettate qui, padre, prima devo parlare con madre, prepararla psicologicamente
al vostro incontro.» disse Merlyn quando arrivarono ad Ealdor, potevano vedere
i cittadini lavorare nei loro orticelli e lavare il bucato vicino al pozzo.
Non le
sembrava vero di essere finalmente a casa, le sembrava un sogno. Non che amasse
particolarmente i suoi abitanti, ma c’erano sua madre e Will.
«Voi
venite con me, così vi presento subito.» aggiunse verso i quattro gladiatori.
Merlyn
camminò sentendo il cuore batterle nelle orecchie per quanto era emozionata.
Finalmente dopo un anno era a casa, poteva abbracciare le persone a lei care.
Si girò verso il limitare del bosco dove Balinor era rimasto, obbedendo alla
figlia, fidandosi ciecamente di lei.
«Sembra
incantevole, qui.» commentò Gwaine indicando a Parifal la radura piena di fiori.
I
contadini si fermarono, attirati dall’arrivo di quegli sconosciuti, ma
riconobbero Merlyn all’istante dando via ad una serie di borbottii. Arthur non
amava chi borbottava, le cameriere del palazzo non facevano altro che
borbottare raccontando chissà quale vile bugia su uno dei nobili.
La
ragazza li guidò fino ad una piccola casa, la più vicina al confine, sembrava
quasi nascosta dagli altri edifici. Si fermò davanti la porta di legno ed alzò
il pugno, ma non trovò il coraggio di bussare. E se sua madre si fosse fatta
una nuova vita senza di lei? Se fosse stata lei l’unica causa della sua
solitudine e con lei fuori dai piedi finalmente qualche uomo rispettabile si
fosse proposto a lei? Oh, aveva visto come Mattew la guardava, quella vecchia
volpe.
«Non
bussi?» domandò Lancelot guardandola preoccupato.
«Ho paura
che non voglia vedermi.» ammise la ragazza mordendosi il labbro inferiore.
Aveva tutte le ragioni per esserlo, no? In un anno non aveva mai scritto alla
povera donna, doveva averla fatta penare molto.
Arthur
sbuffò «Scommetto quello che volete che appena tua madre ti vedrà scoppierà a
piangere dalla felicità.» disse desiderando di poter essere sicuro in questo
modo anche su suo padre. Il principe poteva immaginarsela la scena, se fosse
tornato a casa suo padre lo avrebbe abbracciato solo per un secondo, ringraziato
Dio per avere ancora un erede e lo avrebbe mandato dritto ad allenarsi con i
suoi cavalieri. Non una lacrima.
Merlyn
rimase immobile e Gwaine si prese la libertà di bussare al posto suo.
La porta
si aprì rivelando una graziosa donna che non poteva avere più di trentacinque
anni, segno che avesse dovuto avere Merlyn in giovane età. Aveva gli stessi
occhi della ragazza, ma i capelli nascosti da un foulard verde erano di un
castano chiaro, lasciando immaginare ai gladiatori che quelli li avesse ereditati
da Balinor.
Come
Arthur aveva predetto gli occhi della donna si riempirono di lacrime e strinse
la figlia in un abbraccio che visto da fuori sembrava soffocante. La maga
iniziò a piangere a sua volta stringendo compulsivamente le vesti della madre,
contenta di essere nuovamente a casa.
Le due
donne si staccarono e Hunith prese dolcemente il viso di Merlyn tra le mani
«Credevo ti fosse successo qualcosa.» le disse con voce rotta d’emozione.
Merlyn
annuì «Oh, madre, è stato un lungo anno lontano da casa.» ammise sentendo
finalmente tutta quella tensione accumulata fin dal suo arrivo nella capitale
fino a quel momento sparire. Era di nuovo al sicuro, era al sicuro e con dei
nuovi amici.
«Merlyn!»
alle loro spalle videro un ragazzo correre verso di loro agitando le braccia in
modo ridicolo. La maga saltò sugli attenti e rise, facendo capire ai gladiatori
che non stavano per affrontare una minaccia.
Will
prese la fanciulla per la vita e la sollevò da terra facendola girare in aria e
facendola ridere. Arthur si sforzò a non arrossire di gelosia, era ovvio che
qualcuno la stesse aspettando a casa. Gwaine spostò lo sguardo infastidito, gli
bastava vederla con Arthur, non c’era bisogno di aggiungere un nuovo
pretendente al cuore della ragazza.
«Non una
lettera in dodici mesi, Merlyn!» la sgridò il ragazzo posandola a terra,
sembrava veramente furente ora che l’emozione del loro ritrovamento era scemato
via.
«Forse è
meglio se entriamo in casa, è una lunga storia.» disse la fanciulla guardando
le due persone più importanti della sua vita.
Hunith
annuì e fece spazio per far entrare i suoi ospiti «Su, entrate, non mordo.»
sorrise verso i quattro gladiatori che non avevano ben capito se fossero stati
invitati o meno.
«Grazie,
my Lady.» Arthur fece un leggero inchino, cercando di conquistarsi la simpatia
della donna.
La madre di Merlyn arrossì «Non sono una Lady, chiamatemi
Hunith.» disse e agli uomini sembrò di sentire Merlyn stessa, erano le stesse
parole che la donzella aveva usato in quella piccola infermeria nell’arena.
Essere modesti era di famiglia.
Hunith
corse fuori dalla sua piccola casa sentendo il respiro mancarle. Sua figlia non
poteva averle mentito, la conosceva troppo bene.
Merlyn
aveva ritrovato il suo Balinor, lo aveva riportato da lei. Per un attimo si
dimenticò completamente che sua figlia avesse sofferto per lunghi mesi come una
schiava in quell’arena. Doveva vederlo con i suoi occhi, doveva assicurarsi che
fosse lui.
Attraversò
il villaggio e attraversò la staccionata che lo limitava, quasi inciampò correndo
verso la foresta dove Merlyn le aveva detto Balinor stesse aspettando. Lo vide,
seduto contro un albero mentre intagliava del legno.
Era come
lo ricordava, solamente con qualche capello bianco in più e gli occhi scavati dalla
tristezza.
«Balinor.»
lo chiamò sentendosi il cuore in gola.
L’uomo si
girò verso di lei e si alzò in piedi, non fidandosi ad usare la voce, temendo
che uscisse acuta.
«Balinor.»
chiamò nuovamente la donna avvicinandosi all’uomo. Gli prese il volto tra le
mani ignorando il pizzicore della barba, ignorando l’odore proveniente dai suoi
vecchi vestiti. Lo guardò negli occhi leggendoci dentro. Hunith era sicura che
i suoi sentimenti non fossero mai spariti, per anni aveva atteso il suo ritorno
pregando che non avesse smesso di amarla.
«Sei
bellissima.» riuscì a sussurrare l’eremita mentre con una mano tremante le
accarezzava la guancia «Bella come il giorno in cui ti ho lasciata.» aggiunse
facendo scendere lacrime che aveva trattenuto fin da quando aveva saputo che
avrebbe rivisto l’amore della sua vita.
Hunith lo
abbracciò «Oh, Balinor, non ho mai voluto tenerti all’oscuro di nostra figlia.»
disse sentendosi tremendamente in colpa per non averlo mai cercato per dargli
la notizia. Aveva saputo fin da subito che anche volendo il suo amato non si
sarebbe fatto trovare, non quando pensava di metterla a rischio.
L’uomo
scosse la testa «Hai fatto la scelta giusta, mia diletta.» rispose afferrandole
dolcemente il mento «L’importante è che ora siamo di nuovo insieme, come una
famiglia.» sussurrò amorevolmente prima di catturare le labbra della donna in
un bacio casto che sapeva di felicità.
Hunith sorrise e gli prese la mano «Andiamo, nostra
figlia ci aspetta.» gli disse iniziando a condurlo verso la loro casa. Era un
nuovo inizio.
Will
guardò i quattro uomini arricciando il naso infastidito, non gli piaceva l’idea
che quei bruti avessero viaggiato con la sua migliore amica e che avessero
deciso di piazzarsi ad Ealdor. Non gliela raccontavano giusta, soprattutto
quello con i capelli lunghi che non faceva che guardare Merlyn mentre ravvivava
il fuoco nel camino.
«Potremmo
andare alla taverna e berci qualcosa.» propose alla ragazza, finalmente aveva
l’età giusta per bere della birra. Era da un po’ che non ci andava lui stesso,
da solo non era divertente e solitamente era Merlyn a riportarlo a casa sano e
salvo.
La
ragazza si pulì le mani sul vestito che sua madre le aveva prestato. Oltre
quello che aveva strappato per rivelare i pantaloni, l’altro unico vestito era
rimasto nell’arena, nell’armadio della sua stanza. Amava i pantaloni, li aveva
sempre indossati per svolgere i suoi lavori nel campo, ma nel suo tempo libero
preferiva i lunghi abiti. Amava il modo in cui la stoffa volava per aria mentre
girava su sé stessa.
«Certo,
il tempo di sistemare i miei amici e andiamo.» rispose iniziando a raccogliere delle
coperte per creare i letti dei gladiatori. Casa sua era piccola, l’unica stanza
da letto era della madre e ora la divideva con il padre, mentre Merlyn aveva
sempre dormito sul pavimento nella stanza principale, vicino al camino per non
morire di freddo.
Will
sbuffò «Sicura che sia un bene farli dormire qui?» domandò come se gli uomini
non potessero sentirlo.
La
ragazza sbatté le ciglia confusa «E dove altrimenti?» chiese ben sapendo che
nessuno dei loro vicini avrebbero accettato degli sconosciuti nelle loro case.
«Possono
dormire nel mio fienile.» propose volendo mettere qualche iarda di distanza tra
la sua migliore amica e quelle bestie.
Gwaine si
alzò in piedi «Per quanto sia gentile la tua preoccupazione, William,
vorrei saperne di più sulla taverna.» s’intromise ammiccando desideroso di
sentire nuovamente il liquore scendergli giù per la gola. L’ultima volta che
aveva bevuto era stato al compleanno di Merlyn, troppo tempo fa.
Merlyn
arrossì «Oh, certo, che maleducata.» borbottò imbarazzata per essersi
dimenticata le buone maniere «Volete unirvi a noi?» domandò indicando con un
dito sé stessa e Will. Almeno avrebbero cambiato argomento, Merlyn non avrebbe
lasciato i suoi amici dormire nel fienile insieme a delle mucche e cavalli.
Tutti
annuirono, avevano veramente bisogno di rilassarsi un poco. Era stato un lungo
anno per tutti e una birra se la meritavano.
Merlyn
sorrise dolcemente «Bene, avverto madre e andiamo.» disse prima di scomparire
nell’altra stanza per parlare con i genitori.
«Voi non
mi piacete.» disse Will una volta soli «E farò di tutto per sbarazzarmi di
voi.» aggiunse cercando di sembrare minaccioso.
Arthur
trattenne a stento una risata, mentre Lancelot gli dava una gomitata e Parsifal
tratteneva Gwaine dall’andare a dargli un pugno.
«Merlyn è
mia.» disse facendo irrigidire Arthur. Non gli piaceva quel ragazzino, sembrava
troppo possessivo nei confronti della ragazza e non era nemmeno il suo fidanzato!
Dov’era stato per tutto quel tempo mentre Merlyn rischiava la sua vita
nell’arena? Non aveva provato nemmeno ad andarla a cercare, altrimenti avrebbe
saputo dove avevano tutti loro passato gli ultimi mesi.
Nessuno
fece in tempo a rispondere che la fanciulla tornò nella stanza «Possiamo
andare.» annunciò prendendo uno scialle per coprirsi le spalle, tirava un
leggero vento all’esterno.
Uscirono
dalla piccola casa e si incamminarono lungo la via principale, arrivando a
quella che non sembrava minimamente una taverna, almeno per Gwaine che era
abituato a ben altro. Arthur arricciò il naso, non somigliava nemmeno
lontanamente al The Rising Sun.
Entrarono
venendo accolti da un dolce torpore e il tipico odore di birra e sudore. Al
centro della sala c’era un grande fuoco e Lancelot si chiese se fosse sicuro
prima di notare un oculo per permettere al fumo di uscire.
C’erano
molti giovani, coetanei di Merlyn e Will, più qualche anziano solo che si
consolava della solitudine con un boccale stracolmo di birra.
La
ragazza si sfilò lo scialle dalle spalle e lo legò alla vita. Si guardò intorno
mordendosi il labbro, non le era mai piaciuto andare alla taverna, ma Will aveva
tanto insistito in passato per andare insieme ed era quasi diventata una
tradizione per lei accompagnarlo e fare in modo che tornasse tutto intero alla
sua dimora.
«Voi
trovate un posto per sederci, io andrò a prendere da bere.» disse la ragazza
lasciando nuovamente i cinque ragazzi da soli, che in un attimo cambiarono
espressione, guardandosi come cani pronti ad attaccare. Era ovvio che non
sarebbero mai stati amici, Will aveva già giudicato tutti loro e avrebbe
cercato di far allontanare Merlyn.
La maga
si posò al bancone sorridendo alla signora Maud «Piacevole serata, vero?»
domandò per fare un po’ di conversazione, ma la donna sbuffò infastidita «Cosa
vuoi, Merlyn?» come poteva una persona far sembrare il suo nome un
insulto?
La
fanciulla arrossì, ricordandosi che non era come all’arena dove tutti le
volevano bene, era già tanto ricevere una parola dagli abitanti del posto, fare
conversazione era impossibile.
«Scommetto
nessun alcolico per te.» la voce acuta e fastidiosa di Petronilla arrivò al suo
lato destro.
«Non
vorrai certo mettere a rischio il tuo bambino.» si aggiunse Bertrada
bloccandola a sinistra.
Petronilla
e Bertrada erano le altre uniche due ragazze ad avere la stessa età. Sua madre
da bambina l’aveva spinta più volte ad andare a giocare con loro, ma Merlyn
finiva sempre con il viso nel fango a causa loro. La odiavano senza un
apparente motivo se non per quello di essere nata.
Rabbrividì
ricordandosi di quando Petronilla le aveva tagliato i capelli con il coltellino
del padre ed era andata vantandosene con gli altri bambini, solamente per dopo
venir chiamata una bugiarda perché Merlyn era riuscita a farsi ricrescere i
capelli nel giro di pochi secondi grazie alla magia. Da quel giorno la ragazza
sembrava aver preso a cuore la missione di smascherare la sua vera natura.
Merlyn
sorrise cercando di essere sempre gentile, come le aveva insegnato Hunith «Di
cosa parlate?» domandò cortesemente lanciando un’occhiata alla sala per cercare
i suoi amici. Se Will avesse visto le due ragazze vicino a lei si sarebbe
avvicinato subito iniziando una lite e Merlyn non voleva assolutamente spiegare
ai suoi nuovi amici che non era esattamente molto amata in quel posto.
Bertrada
rise di cuore, alla maga sembrò sentire un capretto appena nato, ma evitò di
commentare per non rischiare una rissa come l’ultima volta. Si erano tirate i
capelli in maniera piuttosto violenta e la ragazza sembrava ancora portarne i
segni, se quella mancanza di capelli sopra le orecchie non era naturale.
«Sei
proprio la figlia di tua madre.» ed ecco che Merlyn non riuscì a trattenere il
sospiro esasperato.
Si girò
dando le spalle alla signora Maud trovandosi faccia a faccia con il bullo del
villaggio, un ragazzone alto quanto Parsifal e muscoloso per tutto il legno che
aveva tagliato nella sua breve vita.
«Stammi
alla larga, Ranulf.» disse cercando di sfuggire ai suoi tre tormentatori. Se
c’erano delle persone che non le mancavano ad Ealdor, erano proprio quei tre.
Sembravano aver stretto un patto di sangue per renderle la vita difficile,
quanto era stata contenta quando sua madre le aveva detto del suo futuro a
Camelot, l’idea di liberarsi da quei bulli le aveva dato la forza di andare
avanti e non fargli prendere fuoco con un semplice gesto della mano.
Ranulf
sputò a terra, prendendole quasi lo stivale, e afferrò brutalmente il suo
gomito, tirandola contro il suo corpo «Dimmi, Merlyn, hai aperto le gambe per
tutti e quattro?» domandò sussurrandole velenoso nell’orecchio «Non sai chi
sarà il padre del tuo bastardo e li hai portati tutti per vedere a chi
somiglierà di più quella feccia a cui darai la vita?» la strattonò nuovamente
mentre Petronilla e Bertrada ridevano veramente divertite, amando il mondo in
cui loro fratello stesse umiliando la ragazza.
La maga
cercò di liberarsi muovendo bruscamente il braccio «Non è affar tuo.» rispose
rifiutandosi di dargli la soddisfazione di vederla offesa. Potevano fare tutte
le supposizioni che volevano, anche perché non ci sarebbe mai stato nessun
bambino e la voce sarebbe morta nel giro di pochi mesi.
L’uomo la
spinse indietro, facendola finire contro il bancone. Merlyn sibilò di dolore
toccandosi un fianco, aveva preso lo spigolo e dannazione se faceva male. Rubò
dalle mani di Maud la caraffa di birra e senza alcuna esitazione la ruppe sulla
testa del bullo, bagnandolo completamente e facendo urlare spaventate le
sorelle.
«Brutta
bastarda!» urlò pieno di collera Ranulf allungando le mani per prenderle il
collo, chiaramente intenzionato a strangolarla come aveva già fatto in passato.
Merlyn reagì d’istino e posando le mani sul bancone si diede la forza per
sollevare le gambe e piantare i piedi contro lo stomaco del suo avversario,
mandandolo a terra preso di sorpresa. Prima che l’uomo avesse il tempo di
rialzarsi Merlyn balzò sul bancone e saltò afferrando il candelabro da soffitto.
Volò praticamente
sopra Ranulf e atterrò su un tavolo occupato dagli anziani che si alzarono
spaventati. Si girò per vedere l’uomo fumare di rabbia, rosso in viso umiliato
per essere stato preso alla sprovvista da una ragazza che non doveva essere
nemmeno metà del suo peso.
Merlyn
saltò al tavolo successivo facendo cadere altri boccali di birra, ricevendo
urla di protesta. Stava per raggiungere un altro tavolo quando si sentì
afferrare per la vita.
Scalciò
cercando di colpire come meglio poteva lo stomaco di Ranulf, ma questa volta
non funzionò. Si ritrovarono in strada e l’uomo la lasciò cadere a terra sul
terriccio bagnato, sporcandole il vestito «Sei veramente un idiota!» urlò
arrabbiata. Quello era il vestito di sua madre!
Vide
chiaramente i vari clienti della taverna appostarsi alle finestre per guardare
quello che stava accadendo e per la prima volta Merlyn si chiese dove diamine
fosse Will quando aveva bisogno di lui. Solitamente il suo migliore amico
risultava un ottimo diversivo per quando doveva usare la magia, così da dare
loro il tempo di darsela a gambe. In due non avevano metà della forza di
qualsiasi ragazzo di Ealdor (Will incolpava sempre il fatto di aver preso più
dalla madre che dal padre).
Si slegò
lo scialle dalla vita e lo tenne in mano, Merlyn aveva imparato una cosa o due
durante la sua permanenza all’arena, aveva osservato i gladiatori allenarsi ed
Alice le aveva prestato un libro per studiare le regole dei combattimenti,
c’erano molte figure e Merlyn pensò che potesse tornarle utile.
Dalla
taverna uscì un altro ragazzo, il migliore amico di Ranulf, un altro uomo con
tanti muscoli e zero cervello di nome Osbert.
La
ragazza sbuffò «Così non è giusto.» commentò vedendo la situazione farsi peggiore
ogni minuto. Se aveva creduto di poterne battere uno, ora avrebbe dovuto
ricredersi.
Ranulf si
scrocchiò le dita ridendo, imitato dal suo buffone personale che era Osbert
«Non chiami il padre del bambino?» le domandò facendo ridere Petronilla e Bertrada
che si erano sedute sui barili vicino la porta.
«Come fa
se non sa chi è?» si aggiunse Osbert guardandola malignamente, lo sguardo
puntato sul suo ventre piatto e decisamente libero da qualsiasi forma di vita
che non fosse il pollo che sua madre aveva preparato per cena.
Merlyn
alzò gli occhi al cielo «Non ho bisogno di un uomo per difendermi.» disse
stringendo lo scialle nella mano tanto da far diventare le nocche bianche. Era
stanca di essere considerata debole per il suo sesso, non aveva bisogno di
essere difesa, poteva cavarsela da sola.
Certo, le
batteva sempre forte il cuore quando Arthur diventava protettivo, ma era anche
consapevole che Merlyn poteva atterrare chiunque solamente facendo illuminare
gli occhi e alzare una mano.
Doveva
scegliere solamente uno dei due, doveva essere veloce e poi darsela a gambe
sperando che i suoi amici se la cavassero da soli dopo essersi accorti della
sua scomparsa. Nascose leggermente il viso con i capelli, celando i suoi occhi
agli avversari e un fulmine squarciò il cielo distraendoli.
Merlyn fu
veloce, saltò addosso ad Osbert – il più basso tra i due – e gli passò lo
scialle davanti alla gola, stringendo per togliergli l’aria. Peccato che non
andò come aveva creduto.
Di fatti
Osbert se la scrollò di dosso facilmente, facendola finire nuovamente a terra e
Ranulf le fu sopra in un attimo.
«Sei decisamente
la figlia di tua madre, bastarda.» le sussurrò nell’orecchio mentre cercava di
tirarle sopra la gonna. Merlyn era abituata a quel genere di minacce, essendo
cresciuta senza un padre per proteggerla dai malintenzionati i ragazzi avevano
preso a dirle che l’avrebbero violentata, rovinata per qualsiasi uomo
rispettabile. Le avevano detto che avrebbe fatto la fine della madre e che
nessuno le avrebbe creduto se avesse cercato di denunciarli, perché loro erano
tutti figli di coppie sposate e incapace di atti talmente riprovevoli.
La
ragazza alzò il ginocchio, proprio come aveva fatto con Arthur molti mesi prima,
e Ranulf si scansò portandosi le mani sulla parte lesa, chiamandola per nomi
poco consoni.
Merlyn si
alzò in piedi e lo guardò mentre si contorceva a terra «Ma falla finita, Ranulf,
non ho colpito un bel niente.» lo provocò giocando dove faceva più male agli
uomini. Will le aveva raccontato di come fosse un argomento piuttosto sensibile
per loro e Merlyn aveva riso, chiedendosi perché facessero a gara per chi ce lo
avesse più grosso.
Petronilla
e Bertrada smisero di ridere ed accorsero dal fratello che piagnucolava poco
virilmente, si vedeva che non aveva mai ricevuto colpi in un posto così
delicato e Merlyn non c’era andata decisamente leggera. Voleva fargli male.
Osbert la
prese per la vita e la sollevò da terra, facendole scappare un piccolo urlo
spaventato, nel godersi la sua piccola vittoria contro il bullo si era
dimenticata dell’altro avversario.
«Portiamola
nel bosco.» propose Ranulf alzandosi dolorosamente da terra, il viso sporco e
rosso di dolore – o forse imbarazzo – dall’essere stato visto in quello stato
dalle sorelle e chi alle finestre.
Merlyn
sorrise, se si fossero allontanati abbastanza avrebbe potuto usare nuovamente
la magia per far cadere qualche ramo sulle loro teste e stordirli. Sicuramente
Petronilla e Bertrada non avrebbero mai avuto il coraggio di entrare nel bosco
di notte, troppo spaventate anche dalla loro stessa ombra.
Osbert
posò la fanciulla sopra la spalla, posandole con nonchalance una mano
sulle natiche.
«Hey!»
esclamò oltraggiata, non aveva bisogno di sentirsi le sue mani su parti private
del suo corpo, Valiant le era bastato e avanzato per tutta una vita.
«Lasciala
immediatamente!» l’urlo di Will attirò i due energumeni che scoppiarono a
ridere.
«Cosa
credi di fare, Will?» domandò Ranulf che trovava pietoso quel contadino che non
sarebbe riuscito a spaccare un ceppo intero di legna nemmeno se ne valesse
della sua stessa vita.
Merlyn e
Will erano solamente due sciocchi che non riuscivano ad adattarsi alle regole
del loro piccolo villaggio. Più volte erano stati avvertiti nel non farsi
vedere alla taverna, ma quei due zucconi continuavano a creare problemi.
«Tutto
sotto controllo, Will, puoi tornare dentro.» disse Merlyn cercando di scollarsi
dalla spalla di Osbert e riuscire a vedere il suo migliore amico per
assicurarlo che non avrebbe corso alcun rischio.
Osbert si
mosse bruscamente, facendole perdere l’equilibrio e le schiaffò prepotentemente
la mano sulle natiche, ridendo fragorosamente con Ranulf e le sue sorelle.
Merlyn
arrossì furiosamente, come si permetteva quell’orco di trattarla in quel modo?
Lei era una ragazza per bene!
«Lasciala
andare, subito.» oh, fantastico, Merlyn si coprì il volto con le mani,
rifiutandosi di riconoscere la voce di Arthur e la consapevolezza che molto
probabilmente insieme a lui c’erano Lancelot, Gwaine e Parsifal.
«Altrimenti,
straniero?» domandò Ranulf con tono di sfida.
Merlyn
non poteva vedere nulla, era posizionata con il viso verso il bosco, ma sentì
chiaramente il primo pugno venire sferrato. Come per magia si ritrovò con il
fondoschiena per terra e Will al suo fianco che l’aiutava ad allontanarsi dalla
rissa.
Era
decisamente poco onesto un combattimento quattro contro due, soprattutto
considerando che i suoi amici avevano combattuto per un anno per sopravvivere,
ma in quel momento non si sentì in grado di fare la moralista e si tenne bel
lontana dall’intervenire.
Guardò
meravigliata Gwaine colpire la faccia di Ranulf mentre Parsifal lo teneva
immobile bloccandogli le braccia e il collo. Rimase senza parole nella
precisione usata da Arthur per slogare il polso di Osbert mentre Lancelot
nobile come sempre cercava di contenere i danni invitando i ragazzi a lasciar
perdere, dichiarando che i due ne avevano prese abbastanza per servire loro da
lezione per il futuro.
Ranulf si
pulì il labbro sanguinante con il dorso della mano «Tenetevi la vostra
puttana!» urlò indicando Merlyn e la ragazza sbuffò all’offesa poco originale,
non era mai carino venire definita in quel modo, ma con il tempo aveva costruito
una corazza.
Arthur
agì d’istinto, sganciando un ultimo pugno mandando a terra privo di sensi il
ragazzo. Posò prepotentemente un piede sul torace di Ranulf, come per tenerlo a
terra nonostante fosse svenuto «Il prossimo che si azzarderà a chiamare Merlyn
in quel modo ne pagherà le conseguenze.» disse guardando tutti i presenti che
erano usciti dalla taverna per osservare la rissa.
Petronilla
pianse disperata inginocchiandosi accanto al fratello «È sempre colpa tua, bastarda!»
l’accusò mentre cercava di far rinvenire Ranulf dandogli piccoli schiaffi sulla
guancia.
Merlyn si
arrabbiò, desiderò tanto schiaffeggiare Petronilla, ma non voleva abbassarsi al
suo livello.
Il tempo
cambiò improvvisamente, i fulmini illuminarono il cielo e i tuoni spezzarono il
silenzio. Nel giro di pochi secondi una fitta pioggia cadde su Ealdor facendo
spaventare gli abitanti, i quali corsero al riparo all’interno della taverna,
trascinando Ranulf, lasciando per strada solamente quello strano gruppo.
Arthur
guardò il cielo, meravigliandosi dei poteri della ragazza, era chiaro che
quella pioggia rispecchiasse l’umore della loro amica. Fino a quel momento
l’aveva vista usare la magia solamente per fare del bene, ma quello che
cos’era?
Certamente
non stava facendo nel male a nessuno, ma era pericoloso.
Merlyn si
alzò da terra, lo sguardo duro, arrabbiata per essere stata umiliata in quel
modo. Non voleva che gli altri sapessero, non voleva che scoprissero quanto in
realtà fosse brutta la sua vita con le continue prese in giro, gli insulti, le
minacce.
«Andiamo
a casa.» ordinò raccogliendo da terra lo scialle sporco. Senza aspettare una
risposta si incamminò verso casa sua, dando per scontato che i ragazzi la
stessero seguendo. Il tempo sembrava solo peggiorare e alle sue spalle Arthur
dovette sforzarsi con tutta la sua buona volontà a non osservare quanto il
vestito si stesse aderendo alle forme della ragazza.
Arrivarono
alla porta, ma non entrarono.
«Sono
arrabbiata con voi.» disse incrociando le braccia al petto, i lunghi capelli
neri appiccicati al viso rosso.
Lancelot
si scusò immediatamente, come era solito fare. Gwaine guardò le punte dei suoi
stivali sentendosi un bambino rimproverato dalla madre, Parsifal arrossì di
vergogna in quanto mai nessuna donna aveva portato collera nei suoi confronti.
Arthur schioccò
la lingua contro il palato «E perché, di grazia?» domandò facendo un passo
avanti «Senza di noi chissà in quale guaio saresti finita.» aggiunse
indicandole gli abiti sporchi, la mente ferma all’immagine di Ranulf sopra di
lei mentre cercava di sollevarle la gonna.
«Io non
ho bisogno di qualcuno che mi difenda! Me la cavo da sola!» urlò mentre un
fulmine squarciava il cielo notturno «Siamo sempre state io e mia madre, non ho
bisogno di un uomo!» aggiunse stringendo i pugni per la rabbia, controllandosi
dal fare del male a quel pallone gonfiato di Arthur «Stava andando tutto bene,
finché non siete intervenuti.» commentò aspramente distogliendo lo sguardo
dagli occhi furiosi del biondo.
Non
voleva litigare con loro, erano appena arrivati a casa, ma non voleva nemmeno
dare l’impressione che potessero intromettersi nella sua vita. Sapeva com’era
ad Ealdor, aveva imparato a sopravvivere e in più le bastava Will. Aveva
acconsentito a farli rimanere perché non voleva essere scortese, voleva dare
loro una casa, un posto da sentire loro e adeguarsi al suo villaggio.
Il
principe espirò fortemente dalle narici, non capiva veramente quale fosse il
problema di Merlyn. Qualsiasi donzella in pericolo sarebbe stata lusingata di
essere stata salvata da dei cavalieri. Da principe, qualsiasi donna avrebbe
pagato oro per essere salvata da lui, gettandosi ai suoi piedi cercando di
conquistare il suo cuore.
«Allora,
la prossima volta lasceremo che ti picchino fino a lasciarti in fin di vita.»
disse con rabbia, Merlyn sussultò nel riconoscere il tono che l’uomo usava i
primi mesi della sua permanenza nell’arena. Non voleva tornare a quei tempi,
credeva di essersi fatta un buon amico.
«Sarà
meglio.» disse con un filo di voce «Se volete vivere in pace qui, ad Ealdor, è
meglio che non vi facciate vedere con me e mia madre.» aggiunse prima di
entrare in casa, lasciando gli uomini all’esterno.
Will
sospirò pesantemente «Venite, vi porto nel fienile.» disse facendo segno con la
mano di seguirlo.
Arthur
rimase in piedi davanti la porta «Io rimango qui.» annunciò riparandosi sotto
la piccola tettoia. Non voleva allontanarsi con il timore che Ranulf ed Osbert
tornassero per finire il loro lavoro. Conosceva quel tipo di uomini, non
l’avrebbero mai lasciata in pace, soprattutto ora che gli aveva umiliati.
Gwaine
tornò sui suoi passi, raggiungendo il biondo «Rimango anch’io.» disse sedendosi
a terra.
Lancelot
e Parsifal si scambiarono un’occhiata e silenziosamente andarono ad unirsi agli
altri gladiatori.
Will
spalancò gli occhi sbalordito, non si aspettava che quei quattro tenessero così
tanto alla sua migliore amica. Nemmeno lui avrebbe passato una notte sotto la
pioggia dopo aver litigato con lei, ma credette che l’esperienza nell’arena avesse
creato un legame speciale tra quei ragazzi.
Abbassò
le spalle sconfitto «Allora buonanotte.» li salutò prima di avviarsi a casa
sua.
Forse quei forestieri non erano poi così male.
Merlyn
indossò i pantaloni marroni e la tunica rossa. Si sciolse i doni nei capelli
passandoci le dita attraverso poi li legò in cima alla testa con una fascetta
di cuoio.
Prese un
foulard dal cassettone e se lo legò in testa. Prese il cesto in vimini e lo
posò vicino alla porta di casa. Si piegò per infilare gli stivali, fuori dalla
finestra vedeva le prime luci dell’alba.
Preferiva
andare a raccogliere i suoi ortaggi prima che gli altri si svegliassero, così da
evitare spiacevoli incontri e poter risparmiare alla madre il viaggio e la
fatica.
Aprì la
porta senza riuscire a trattenere un verso di sorpresa quando ai suoi piedi si
ritrovò Arthur addormentato.
Si guardò
alle spalle assicurandosi di non aver svegliato i genitori.
«Arthur,
svegliati.» chiamò abbassandosi vicino l’uomo il quale aprì gli occhi
lentamente, un sorriso beato sulle labbra come se avesse sognato o visto
qualcosa di piacevole.
«Merlyn.»
non fu assolutamente la sua voce roca a far arrossire Merlyn. Non che avesse
pensato qualche volta a come sarebbe stato svegliarsi con il biondo accanto.
No, proprio no.
Recuperando
quel poco pudore che le era rimasto si schiarì la gola «Spostati, mi stai
bloccando il passaggio.» gli disse cercando di sembrare veramente annoiata, ma non
riuscì a trattenere un piccolo sorriso alla consapevolezza che l’uomo avesse
dormito fuori la sua porta nonostante il modo in cui l’avesse trattato.
«Dove vai
a quest’ora?» le domandò alzandosi in piedi, la sua schiena gridava vendetta,
non aveva mai dormito così male in tutta la sua vita. Iniziava a sentire la
mancanza del suo letto a Camelot. Oh, come gli sarebbe piaciuto tornare ad
accomodarsi sul materasso più morbido di tutti i cinque Regni.
Merlyn
chiuse la porta alle sue spalle osservando meravigliata gli altri gladiatori
ancora dormienti ai lati della porta. Cercò di non ridere vedendo Parsifal
stringere in un abbraccio un totalmente rilassato Gwaine. Erano così carini
insieme, poteva vederli come ottimi amici. Se Gwaine parlava senza sosta,
Parsifal era un ottimo ascoltatore.
«Vado a
raccogliere del tritico.» rispose iniziando a camminare, lentamente, forse
ondeggiando un poco. Nella capitale aveva visto più donne muoversi in quel modo
mentre cercavano di catturare l’attenzione di una determinata guardia, cercando
di sedurla. Arrossì nel rendersi conto che stesse provando a sedurre Arthur,
Dio, non poteva aver avuto idea peggiore.
Quell’uomo
non faceva per niente a caso suo, era un totale idiota, credeva di avere sempre
ragione e aveva un serio complesso da martire. Perché quando succedeva qualcosa
si proponeva sempre per sacrificarsi per primo? Merlyn non l’avrebbe mai
capito. Teneva in maniera assurda al suo onore, ma di cosa si preoccupava un
contadino che di onore ne aveva ben poco?
«Ieri sei
stata ingiusta, Merlyn.» le disse Arthur camminando al suo fianco, guardandosi
intorno come se avesse paura di venire attaccato da un momento all’altro.
«Non
credo proprio.» rispose la fanciulla senza nemmeno guardarlo. Non cambiava
assolutamente idea su quanto accaduto. Se i suoi amici non fossero intervenuti
se la sarebbe cavata egregiamente da sola, con la sua magia.
Arthur
alzò gli occhi al cielo, quella donna era veramente difficile. Pensò a Gwen,
sempre dolce e gentile, mai un tono scortese e con gli occhi che sembravano
illuminare una stanza. Gli occhi di Merlyn sarebbero stati capace di incendiare
tutta Camelot con quanta energia e determinazione bruciavano nelle sue iridi,
forse stavano bruciando anche il suo cuore, ma Arthur non l’avrebbe mai
ammesso.
«Avresti
preferito andare nel bosco con quei due?» domandò indispettito, un sopracciglio
inarcato. Non poteva credere che una ragazza dall’aspetto dolce e fragile come
Merlyn potesse essere così mal trattata dai suoi coetanei. Ricordò con vergogna
il modo con cui aveva trattato il suo servo prima di partire, lanciandoli
contro coltelli mentre spostava il bersaglio.
«Me la
sarei cavata, Arthur, non sono totalmente indifesa.» rispose sospirando
leggermente esasperata. Non voleva più tornare sull’argomento, non doveva
spiegazioni a nessuno. Non era abituata ad avere persone che si preoccupassero
per lei in quel modo, i suoi nuovi amici erano tremendamente protettivi.
Merlyn
entrò nel campo di tritico sorridendo, le era mancato camminare in quel posto,
il tritico che le arrivava fino alla vita. Alle prime luci dell’alba era uno
spettacolo mozzafiato.
Prese la falcinella
dalla cesta e costatò infastidita che aveva dimenticato gli anelli per
proteggere la mano sinistra dalla lama. Attaccò la cote alla cintura dei
pantaloni.
«Puoi
occuparti tu dei mannelli?» gli domandò guardandolo curiosa.
Arthur
arrossì e distolse lo sguardo, borbottò qualcosa che Merlyn non riuscì a
capire.
«Come,
scusa?» chiese iniziando a mietere il tritico, dovevano sbrigarsi se non
volevano incontrare altri ragazzi. Merlyn non desiderava per niente far
conoscere ad Arthur i suoi altri bulli.
«Non so
di cosa stai parlando, non ho mai raccolto qualsiasi cosa.» disse
vergognandosi. Il suo compito crescendo era stato imparare a guidare un Regno,
seguire i passi di suo padre ed essere un leader per i suoi cavalieri.
Merlyn lo
guardò meravigliata «Credevo che prima dell’arena tu fossi un contadino.» disse
continuando il suo lavoro. Non c’era problema, gli avrebbe insegnato tutto, se fosse
voluto rimanere ad Ealdor avrebbe dovuto imparare a raccogliere il suo tritico.
Il
principe aggrottò la fronte, dava veramente l’idea di essere un contadino? Lui
era un principe, aveva sangue blu nelle vene.
«No, ero
un…» non poteva dirle un cavaliere, conoscendo il suo nome sarebbe arrivata
alla sua vera identità del giro di poco tempo.
La
ragazza sorrise «Non devi dirmelo per forza, puoi avere i tuoi segreti.» lo
rassicurò, lei aveva vissuto tutta la vita con un segreto più grande di lei.
Non poteva giudicare Arthur se non avesse voluto dirle cosa faceva a Camelot,
forse era un ladro e se ne vergognava.
Merlyn
gli insegnò tutto quello che sapeva, facendogli vedere nei minimi dettagli come
il lavoro andasse svolto. Gli insegnò qualche trucco che aveva appreso negli
anni, osservando la faccia concentrata dell’uomo, sembrava veramente intenzionato
ad imparare.
Finito il
lavoro si incamminarono nuovamente verso casa, Arthur si impose di portare il
tritico non volendo affaticare ulteriormente la fanciulla.
Si
fermarono in una piccola radura, Merlyn lo trascinò per un braccio e si sederono
sul manto erboso.
«Abbiamo
ancora tempo.» disse iniziando a raccogliere dei fiori, sembrava una bambina e
Arthur non riuscì a trattenersi dal sorridere. Si sdraiò a terra, guardando il
cielo limpido con espressione beata.
Gli
piaceva Ealdor, anche se erano già finiti nei guai con gli abitanti locali. Non
riusciva a concepire come qualcuno potesse odiare la loro Merlyn, l’essere più
gentile sulla faccia di Albion. Certo, all’inizio il loro rapporto era stato
leggermente turbolento, ma a forza di stare con lei perfino il principe di
Camelot aveva imparato un minimo di umiltà e ad ascoltare il prossimo.
All’arena
tutti sembravano infatuati della giovane medico, per i primi mesi si era
chiesto come qualcuno potesse essere attratto da quella ragazzina dalla lingua
lunga e biforcuta, ma con il tempo aveva capito. Non c’era persona più leale di
Merlyn, si cacciava nei guai con una cadenza giornaliera, non perdeva mai
occasione per portare ai gladiatori della frutta, era nobile d’animo e non
aveva mai approfittato della sua posizione di prestigio.
Incrociò
le braccia dietro la testa, attendendo pazientemente che la fanciulla finisse
qualsiasi cosa stesse facendo. Una volta aveva portato Gwen per un pic–nic nel
bosco, ma era stato imbarazzante, pieno di silenzi ricchi di disagio e
vergogna, ma in quel momento Arthur si sentiva serafico, tranquillo, sentire i
piccoli movimenti di Merlyn gli davano tranquillità e non importava che
stessero in silenzio.
Si chiese
come stesse Morgana, la ragazza gli era sembrata molto turbata il giorno della
sua partenza, gli aveva chiesto di rimandare o come minimo portare qualche
cavaliere con lui, ma l’aveva ignorata, dando la colpa ai suoi sogni che
nell’ultimo periodo l’avevano scossa più del necessario. Che Morgana avesse
predetto il suo rapimento?
Scosse la
testa, era impossibile prevedere il futuro, nessuno ne era capace, forse era il
suo sesto senso. Arthur stesso ne aveva uno, riusciva sempre a capire quando
c’era qualcosa che non andava.
Si volse
a destra, osservando Merlyn seduta a gambe incrociate mentre intrecciava
insieme i diversi fiori. Poteva vedere un piccolo pezzo di lingua uscire tra le
labbra rosee, lo faceva sempre quando era concentrata.
Si alzò
il vento, facendo sorridere la fanciulla, i lunghi capelli neri che volavano in
ogni direzione. Il fazzoletto da collo si alzò andando a coprirle la parte
inferiore del viso, facendola ridere. Sembrava che il vento stesse giocando con
lei, alzando da terra i fiori che aveva raccolto. Arthur non aveva mai visto
nulla di talmente bello in vita sua.
«Che Dio
abbia pietà.» mormorò sentendosi completamente incantato da quella vista. Aveva
studiato gli Dei greci con il suo tutore, sembrava racchiudere il lei le qualità
delle Dee Ecate e Demetra, con la stessa bellezza che caratterizzava Afrodite.
Mai aveva
pensato ad una donna paragonandola a delle Dee, la cosa lo spaventò. Lui non
poteva innamorarsi di Merlyn, non poteva costruire una vita con lei, non quando
un giorno sarebbe dovuto tornare a Camelot, poteva permettersi un anno o poco
più prima di tornare al castello e riprendere la sua vita come Arthur Pendragon.
Ci aveva
pensato a lungo, quella notte, prima di addormentarsi, di cosa sarebbe stato il
suo futuro. Suo padre aveva portato per troppo tempo terrore e discordia sulle
sue terre e Arthur avrebbe posto fine a tutto questo. Voleva un Regno giusto,
che seguisse dei processi, che non discriminasse. Lo doveva al suo popolo, non
voleva che ci fossero altre Merlyn, spaventate a morte di mostrare il suo
potere, non ci sarebbero stati altri Balinor, costretti a fuggire dalla donna
amata perché perseguitati.
Voleva
una Camelot migliore e l’avrebbe costruita imparando a vivere prima in un
piccolo villaggio, imparando cosa veramente i suoi sudditi volessero, cosa
affliggeva loro.
Si
ritrovò il viso della fanciulla a pochi centimetri dal suo, arrossì
furiosamente e scattò a sedersi. Aveva voluto baciarla, prenderla per la vita e
farla sdraiare vicino a lui e venerala come il più devoto degli amanti.
«Questa è
per te.» disse la maga posandogli sulla testa una corona di fiori. Arthur non
si oppose, rimanendo completamente immobile. Non era molto mascolino andare in
giro con una corona di fiori, Morgana aveva provato più volte a mettergliene
una in testa, ma era sempre scappato non volendo farsi vedere con dei fiori in
testa da nessuno. Lui era un leader, doveva dare l’esempio ai suoi sudditi e
cavalieri, non credeva che Uther avesse mai avuto una corona floreale da
sfoggiare.
Merlyn ne
posò una anche sopra la sua testa e Arthur rimase senza fiato per un secondo. Sbatté
più volte le palpebre, cercando di darsi un contegno e non farsi vedere così
affascinato dalla fanciulla.
«Andiamo,
tra poco si sveglieranno tutti.» disse la maga alzandosi in piedi, prendendo le
altre corone florali che aveva intrecciato molto velocemente. I due si incamminarono
nuovamente verso casa e Arthur non si sentì a disagio mentre vedeva alcune
persone affacciarsi alle finestre per spiarli. L’uomo aggrottò la fronte, anche
a Camelot non era mai piacevole vedere un bastardo, ma certamente non veniva
trattato in quel modo barbaro. Nessuno sapeva cosa avesse portato una donna ad
avere un figlio fuori dal matrimonio, poteva essere vittima di violenza
carnale, aver perso il senno dopo aver bevuto troppo ed essere finita a letto
con qualcuno, o come Hunith aveva amato una persona che poi se n’era andata. A
Camelot tutti venivano trattati con rispetto per quanto si poteva, non c’erano
bulli come Ranulf ed Osbert.
«Merlyn,
mio splendore!» Gwaine balzò in piedi appena vide i due amici tornare. Andò
loro incontro, aiutando Arthur a portare il tritico anche se non ne aveva
veramente bisogno.
«Buongiorno,
Gwaine.» rispose la fanciulla sorridendo, un piccolo cenno rispettoso del capo.
«Hai
messo subito a lavoro la principessa, eh?» domandò cercando di non ridere senza
controllo per la corona di fiori che stava portando.
Arthur
sbuffò, Gwaine aveva iniziato a chiamarlo in quel modo perché durante le prime
settimane della sua permanenza nell’arena non aveva fatto che lamentarsi di
ogni cosa. Il letto troppo duro, il freddo, il cibo scadente, le armi mal
affilate, il medico impertinente.
Merlyn fu
veloce a mettere una corona di fiori anche sopra la sua testa, adorando come i
lunghi capelli di Gwaine ondeggiassero tra i petali.
La ragazza doveva ammetterlo: le piaceva molto la sua
nuova vita.
Hunith
guardò dalla finestra la figlia parlare con i quattro uomini, seduti per terra,
mentre affilavano delle spade.
Non erano
dei ragazzi portatori di guai, poteva vederlo chiaramente, in più sembravano
avere tutti a cuore quell’uragano di sua figlia. Per anni si era preoccupata
che Merlyn non riuscisse a trovare degli amici, aveva temuto molto per lei,
essere cresciuti con così poco amore che non provenisse dalla madre era stato
duro.
Venne
distratta da un bacio sul collo, che la fece arrossire, distogliendola dalla
sua contemplazione dei ragazzi «Balinor, contegno.» sgridò l’amore della sua
vita senza però riuscire ad evitare di sorridere. Per anni aveva pregato nel
suo ritorno ed ora che era tra le sue braccia non poteva chiedere altro.
«Non
credi che quei quattro stiano troppo vicini a nostra figlia?» domandò
guardando anche lui oltre la piccola finestra, storcendo leggermente il naso.
Hunith
rise divertita dalla gelosia dell’uomo, non si sarebbe mai immaginato Balinor
così preoccupato per la reputazione di una fanciulla, non quando lui stesso
l’aveva ingravidata al di fuori del matrimonio.
«Oh,
amore mio, non devi crucciarti. Merlyn sa cavarsela perfettamente da sola.
Infondo è la figlia di suo padre.» rispose baciandolo sulle labbra.
L’uomo grugnì infastidito, ma decise di lasciar cadere
l’argomento. Ma se uno di quei barbari avesse provato ad allungare le mani su
sua figlia sarebbe andato a Camelot a liberare il Drago e lo avrebbe portato ad
Ealdor per sbranarli tutti.
Will
mostrò loro le tre case abbandonate, appartenute ad anziani morti senza aver
lasciato la proprietà a nessuno. Certamente non potevano continuare ad abitare
con Merlyn e Hunith, ma non credeva nemmeno meritassero di rimanere in un
fienile.
«Non sono
in ottimo stato, ma sono sicuro riuscirete a sistemarle come più vi piace.»
disse indicando una tettoia piuttosto mal ridotta. Le tre case erano delle
stesse dimensioni e sembravano avere tutte lo stesso problema.
«Qualcuno
dovrà convivere, però.» aggiunse guardando i quattro coetanei osservare
estasiati le loro nuove dimore, incapaci di realizzare che avevano finalmente
una casa.
Gwaine
batté una mano sul petto di Parsifal «Io e te potremmo vivere insieme.» disse
sorridendo, non gli dispiaceva per niente l’idea di abitare insieme all’altro
uomo. Parsifal rimase senza parole, arrossendo leggermente, ma annuì sorridendo
alla prospettiva di vivere insieme a quel tipetto molto particolare.
L’uomo
più basso trascinò quello più muscoloso in una delle tre case, scegliendo
quella più verso l’esterno che dava una bella visuale sul campo di tritico.
Lancelot ringraziò
Will e si avviò in quella sulla destra, lasciando ad Arthur quella al centro.
«Non è
poi così male.» commentò Merlyn entrando con Arthur nella sua.
Il biondo
sbuffò togliendosi la giacca marrone con cui era partito da Camelot molti mesi
prima. Era l’unico capo di buona qualità che aveva con lui e che era riuscito a
non farsi rubare dalle guardie dell’arena.
La
ragazza toccò il tavolo impolverato «Questo potresti spostarlo vicino al muro,
così sembrerà che c’è più spazio, magari vicino al camino, per mangiare al
caldo in inverno.» suggerì spostandosi per tutta la casa, suggerendo i vari
cambiamenti da fare ed Arthur sorrise, pensando che avrebbe fatto qualsiasi
cosa la ragazza volesse.
Quella
casa era grande come le sue stanze a Camelot, ma non si era mai sentito così a casa
come in quel momento, in un piccolo spazio con una sorridente Merlyn.
Afferrò
la scopa vicino alla porta, aveva visto Morris pulire il pavimento milioni di
volte, sicuramente ne era capace anche lui, non ci voleva poi chissà quale
grande abilità se addirittura quell’impiastro del suo servitore c’era riuscito
e veniva pagato per farlo.
«Be’,
allora ti lascio. Cercate di non scordarvi di me, ora che avete una casa tutta
vostra.» scherzò Merlyn sull’uscio, decidendo che aveva invaso per abbastanza
tempo lo spazio dell’uomo.
«Come se
fosse possibile, Merlyn.» rispose il principe guardandola negli occhi, sicuro
che non sarebbe riuscito a durare nemmeno una settimana senza vederla.
La maga
rise un’ultima volta prima di chiudersi la porta alle spalle, lasciando il cavaliere
solo a sistemare la casa.
Arthur
tirò su le maniche della sua tunica rossa, c’era molto da fare.