Ohi,
mamma, ma’
Senti
qua che storia
Son
straniero nella mia città
Io
che poi mi innamoro con la C aspirata, ti dico
Ohi,
mamma, ma’
Senti
qua
Cosa
c’è
Senti
qua, senti qua,
senti
Mamma parlavo con la Caterina
Mi
ha dato la mano e mi ha detto cammina
Mi
ha fatto vedere i piccioni a Firenze
Mi
ha fatto notare le differenze
Ma
tutti hanno un becco, due zampe e due ali
Son
tutti diversi, ma son tutti uguali
Siam
tutti diversi, ma siam tutti uguali
Una
Coca-Cola Con La Cannuccia Corta Corta
Testo
e Musica: Lorenzo e Michele Baglioni
https://www.youtube.com/watch?v=YtdcvUBU0rc
Una
Coca-Cola Con la Cannuccia Corta Corta
L'aveva
vista di nuovo, la signora Marchetti, cancellare quella stupida
scritta alla lavagna "Yetunde, tornatene a casa tua".
Yetunde
sospirò rattristato, non riusciva a capire perché Marco
e gli altri ce l'avessero tanto con lui, era sempre andato d'accordo
con tutti, era un ragazzino tranquillo e allegro, o almeno era stato
allegro fino a quando all'inizio della seconda media la sua famiglia
si era trasferita in un nuovo quartiere e aveva dovuto cambiare
scuola.
I primi
giorni nella nuova scuola a dire il vero erano andati bene, non solo
non vedeva l'ora di fare amicizia con i nuovi compagni, ma c'era
anche quella ragazzina con i capelli rossi così carina, prima
o poi avrebbe trovato il coraggio di presentarsi, ne era sicuro!
Dopo
neanche un mese però un gruppetto di ragazzi di terza,
capitanato da Marco, un ragazzo bruno dagli occhi chiari, aveva
iniziato a tormentarlo.
Non
facevano altro che offendere lui e i suoi genitori.
"Torna
a casa tua, Africa!"
"A
Firenze gli extracomunitari non li vogliamo!"
"Africa,
non ti sforzare a usare le posate, mangia con le mani che fai più
bella figura!"
E giù
risate sguaiate.
Insomma
era un tormento continuo e purtroppo non molto tempo dopo alle offese
si era aggiunta la solitudine perché i bulletti avevano
cominciato a minacciare i compagni di classe che mostravano simpatia
nei suoi confronti, con il risultato che ormai Yetunde era rimasto
solo nel banco e durante l'ora di ricreazione nessuno gli rivolgeva
la parola.
E per
quanto riguardava la ragazzina, non aveva ancora trovato il coraggio
di parlarle.
Non si
era mai sentito così solo in vita sua.
Gli erano
rimasti soltanto la chitarra e il tablet a fargli un po' di
compagnia, quando tornava a casa da scuola, dopo aver fatto i compiti
si chiudeva in camera e suonava per ore e quando non suonava
accendeva il tablet e spegneva il cervello guardando intere serie TV
una puntata dopo l'altra, fino a notte fonda.
Sua madre
e suo padre erano molto preoccupati perché Yetunde non aveva
mai spiegato cosa lo avesse reso così triste da un giorno
all'altro e ogni volta che provavano a parlargli sbuffava e
rispondeva infastidito “Niente!” e si chiudeva in camera.
Non
se la sentiva di parlare con i suoi genitori e poi cosa avrebbe
potuto dir loro, che era nato a Firenze, parlava con
l'accento toscano, si sentiva italiano, eppure per i suoi compagni
non sarebbe mai stato italiano?
Non
voleva rattristarli.
Si buttò
per l'ennesima volta sul letto, mise le cuffie per isolarsi dal mondo
e cominciò a guardare una nuova serie il cui titolo lo aveva
incuriosito in modo particolare Le Terrificanti avventure di
Sabrina.
Yetunde,
chiuso come al solito nella sua cameretta, piangeva disperato, quella
mattina era stata una delle più terribili da quando era
arrivato nella nuova scuola, Marco e gli altri si erano scatenati,
gli avevano rubato la merenda e poi l'avevano sparsa per tutto il
cortile urlando che a scuola non era ammesso il cibo per scimmie, poi
nei bagni lo avevano tenuto in quattro mentre Marco gli rovesciava
addosso un secchio d'acqua sporca, abbandonato inavvertitamente dalla
signora Marchetti, urlando "Lavati, Africa, puzzi di cacca di
elefante!".
Come se
non bastasse la professoressa Toninelli aveva deciso di mettere una
nota sul registro a tutti i ragazzi coinvolti nella rissa e Marco
aveva giurato che gliel'avrebbe fatta pagare cara.
Arrivato
a casa si era chiuso in camera senza parlare con nessuno, finché
sua sorella maggiore non era riuscita a farsi aprire.
Alissa
aveva sedici anni e molta più fortuna di Yetunde con i
compagni di scuola, Maria la sua migliore amica era stata la sua
compagna di banco dalla prima alla terza media e la loro amicizia era
continuata anche alle superiori, dove aveva conosciuto il suo
fidanzato, Alessandro, con cui stava insieme già da un anno.
Vedendo
il fratello così disperato si preoccupò, si sedette sul
letto e lo abbracciò.
“Che
ti succede? Perché sei così disperato, dimmi la verità
sta succedendo qualcosa a scuola?”
“Sono
stanco, Alissa, non ne posso più di non essere italiano,
perché devo essere diverso?”
La
sorella lo osservò “Perché dici che non sei
italiano, sei nato qui, studi qui, parli Italiano! Lasciali perdere!
Non sei tu diverso, sono loro che sono dei cretini!”
“No,
hanno ragione loro, in fondo noi non siamo veramente italiani e non
lo saremo mai!”
Alissa si
arrabbiò a quelle parole “Siamo italiani eccome, anzi
Fiorentini e adesso te lo dimostro!”
Uscì
dalla camera per rientrare qualche istante dopo, con in mano una
lattina di Coca Cola da cui spuntava a fatica una cannuccia azzurra.
Yetunde
la guardò senza capire.
Sua
sorella gli porse la Coca Cola e domandò sorridendo “Questa
cos'è?”
Il
fratello capì e sorrise “Una Hoha Hola Hon la Hannuccia
Horta Horta!”
“Appunto!”
rise Alissa.
Yetunde
si asciugò le lacrime, rise con lei e per quella sera la
tristezza fu spazzata via.
Purtroppo
però il giorno dopo le cose non erano andate meglio, i
compagni lo avevano chiuso a chiave in bagno per ore, fino a quando
la bidella non si era resa conto che qualcuno aveva rubato le chiavi
dei bagni del piano terra e intuendo che doveva essere successo
qualcosa era andata a controllare e lo aveva fatto uscire con le
chiavi di riserva.
Per colpa
di quello stupido scherzo aveva preso un tre in matematica, la
professoressa Fibonacci si era convinta che si fosse nascosto per
evitare l'interrogazione e aveva liquidato il suo racconto come una
scusa “Neanche tanto originale!”.
Quella
sera entrò in camera della sorella piangendo disperato.
Alissa
cerco di risollevargli lo spirito come poteva, ma alla fine sbottò
"Comincio a pensare che per far smettere quegli imbecilli ci
vorrebbe l'aiuto del diavolo in persona!"
Yetunde
rimase colpito da quella frase, gli aveva fatto fatto venire in mente
che in una puntata delle Terrificanti avventure di Sabrina, la
protagonista aveva costretto un demone a obbedire ai suoi comandi
grazie a un incantesimo non troppo difficile da mettere in pratica.
Ci
rimuginò sopra tutta la notte girandosi e rigirandosi nel
letto finché la mattina prese una decisione, ci avrebbe
provato!
Quel
giorno, per la prima volta in vita sua, trovò il coraggio di
fare forca1,
si nascose in cantina e cominciò i preparativi per
l'incantesimo.
Posizionò
sul pavimento una serie di candele rosse avanzate dall'ultimo Natale
e con il sale di un pacco rubato dalla dispensa disegnò un
cerchio con dentro una stella a cinque punte.
Come
sottofondo mise i Carmina Burana, a volume non troppo alto, per
evitare che qualcuno del palazzo venisse a controllare.
Diede
un'occhiata intorno per assicurarsi che tutto fosse in ordine e dopo
aver preso un gran respiro iniziò a leggere da un foglietto
alcune parole in latino rubacchiate alla bell'e meglio dal testo
dell'incantesimo in latino recitato da Sabrina Spellman.
Per un
po' non accade nulla e Yetunde stava per rinunciare, ma
improvvisamente forse per un errore di pronuncia o forse perché
qualcosa di vero c'era, i lati della stella si illuminarono di un
intenso rosso carminio.
Yetunde
si spaventò e cercò di interrompere il rito, ma si rese
conto con terrore che non aveva più il controllo della sua
bocca e la lingua e le labbra si muovevano senza che lui avesse più
il potere di controllarle.
Continuò
a ripetere le parole dell'incantesimo finché una enorme
fiammata si sprigionò dalla stella fino quasi al soffitto e
una voce sconosciuta e piuttosto irritata esclamò “Per
la miseria boia, che cavolo succede?"
Subito
dopo si sentì un tonfo e le fiamme furono sostituite da una
fumata rosso sangue al centro della quale gli sembrò di
scorgere una sagoma umana.
Il fumo
si diradò fino a scomparire e Yetunde, le cui labbra si erano
finalmente fermate, si ritrovò davanti una creatura con le
corna e due grandi ali da pipistrello che lo guardò dritto
negli occhi facendogli gelare il sangue nelle vene, aveva davvero
richiamato un demone infernale sulla terra!
La
creatura aveva i capelli ricci e una barba nera appena accennata, era
seduta al centro del cerchio e aveva un'aria decisamente contrariata.
Yetunde
fu colpito dai vestiti indossati dal demone, scarpe da ginnastica
Nike, jeans e giubbotto da marinaio neri.
Per terra
c'era un berretto da marinaio.
"Di,
un po' moccioso, non mi dirai sul serio che sei stato tu a
intrappolarmi in questo cerchio?" lo apostrofò il demone
piuttosto irritato .
Yetunde
aprì la bocca per rispondere ma non riuscì ad emettere
alcun suono, era troppo terrorizzato!
"Senti
ragazzino, non è che abbia molto tempo da perdere, ti dispiace
rispondermi?" lo incalzò il demone raccogliendo il
berretto da marinaio e alzandosi in piedi.
Yetunde
notò che il demone non era molto alto e a dir la verità,
una volta che ci si abituava a corna e ali, nemmeno tanto
spaventoso.
"I...io,
n… non pensavo… era solo un… un gioco!"
Il demone
lo fissò allibito.
"Evocare
demoni infernali non mi sembra tanto un bel gioco, ragazzino! E non
mentirmi, sono un demone, lo sento quando qualcuno mi dice una
menzogna, che accidenti pensavi di fare?"
Il
ragazzino abbassò lo sguardo e due lacrime cominciarono a
scorrere lungo le sue guance.
Il demone
alzò gli occhi al cielo sbuffando "Adesso ci manca solo
che ti metta a piangere! Senti, ti è andata bene che stavo
passando io e non Razel, tanto per dire. Quindi facciamo così,
tu ora apri questo stupido cerchio di sale, mi lasci libero e io farò
finta che non sia successo niente, ok?"
Il
ragazzino osservò stupito il demone "Davvero non puoi
uscire dal cerchio?"
"A
quanto pare no, quindi datti una mossa, prima che io mi arrabbi sul
serio!"
Yetunde
ci pensò su un pochino e poi disse deciso "No!"
"Cosa?"
domandò allibito il demone.
"Senti
ragazzino, parliamoci chiaro, sto cominciando ad innervosirmi!
Liberami immediatamente o…!"
"O
cosa? Sei imprigionato in quel cerchio senza poterne uscire fino a
quando non decido io di liberarti!" rispose il ragazzino
incrociando le braccia con aria trionfante.
Il demone
ammutolì, poi un sorrisetto gli spuntò sul viso, quel
piccolo umano cominciava a stargli simpatico.
"Guarda,
guarda, il moccioso non è poi così frignosetto come
sembrava, e va bene, quindi che cosa vuoi in cambio della mia
libertà?" domandò divertito.
Yetunde
esitò un attimo, poi ripensò a tutte le cattiverie che
aveva subito da Marco e i suoi amici, si fece coraggio e disse"
Voglio che mi aiuti a liberarmi di Marco e dei suoi stupidi amici,
sono stufo dei loro scherzi!"
Il demone
spalancò gli occhi e cominciò a ridere "Scusa, ma
seriamente tra tutti i favori che potresti pretendere, l'unico che mi
stai chiedendo di concederti è di poter dire a quattro
fessacchiotti che se non la smettono chiami tuo cugino grande?"
"Non
c'è nulla da ridere!" replicò offeso Yetunde.
Ma il
demone non la smetteva di ridere.
"Ti
ho detto di smetterla, perché vuoi umiliarmi anche tu?"
urlò il ragazzino.
"Tu
non sai cosa significa sentirsi accusare tutti i giorni di essere
diverso, svegliarsi tutte le mattine con la paura di alzarsi
dal letto perché sai che dovrai affrontare un altro giorno
infernale!" terminò rabbioso sentendo di nuovo le lacrime
rigargli le guance.
Il demone
a quelle parole smise di ridere e si fece serio "Ti sbagli
ragazzino, almeno da questo punto di vista posso capirti molto più
di quanto pensi!" commentò malinconicamente.
"Allora
aiutami!" lo pregò Yetunde.
Il demone
sospirò "E va bene, ti aiuterò in cambio della mia
libertà. A proposito, come ti chiami?"
"Yetunde!
E tu?"
Il demone
incrociò le braccia "Il mio nome è Azaele. Ora che
ci siamo presentati, mi liberi o no?"
Il
ragazzino esitò un po' impaurito, ma poi pensò che il
demone aveva fatto un patto e non poteva mentire, così passò
la punta di un piede sul cerchio di sale per aprirlo.
Il demone
fece un passo fuori dal cerchio lo afferrò per la maglietta e
lo spinse contro il muro "Dimmi ragazzino, i tuoi genitori non
ti hanno insegnato che dei cattivi non ci si deve fidare?"
sibilò contro il viso terrorizzato di Yetunde che cominciò
ad ansimare.
Il
demone, che tutto sommato non era poi così cattivo come voleva
fargli credere, se ne accorse e si preoccupò, temendo di
provocargli un colpo al cuore lo lasciò andare e spalancò
le ali.
"Per
questa volta te la cavi ragazzino, ringrazia che ho impegni più
urgenti che portarmi un moccioso all'Inferno, ma la prossima volta
pensaci bene prima di fare una fesseria del genere, potresti
incontrare qualcuno molto più cattivo di me!"
"Aspetta, avevi promesso di aiutarmi!" esclamò
Yetunde.
Il demone
alzò un sopracciglio "Nel caso non lo avessi ancora
capito, ti ho mentito!"
Yetunde
lasciò andare le braccia lungo il corpo e cominciò a
piangere silenziosamente.
Azaele si
sentì un po' in colpa, quel ragazzino gli era simpatico e in
fondo era vero, si stava rimangiando la promessa appena fatta e poi a
dirla tutta non sopportava i bulli, anche all'Inferno ce n'erano in
abbondanza.
"E
va bene, facciamo una cosa veloce però, ti ho già detto
che non ho molto tempo da perdere!"
#
"Eccoli,
sono loro!" disse Yetunde indicando Marco e gli altri che se ne
stavano seduti a chiacchierare sulle scale davanti all'entrata della
scuola.
“Come
pensavo, sono solo quattro mocciosi!” pensò Azaele che
si era reso visibile solo per Yetunde, sbuffò annoiato ma
ormai aveva dato la sua parola.
In quel
momento passò la ragazzina con i capelli rossi, Marco e gli
altri visto che non c'erano altre vittime da prendere di mira,
rivolsero subito la loro attenzione su di lei.
Uno di
loro le diede una spinta e le fece cadere lo zaino che si aprì
sparpagliando libri e quaderni a terra, i ragazzi si gettarono su
libri e quaderni minacciando di strapparli in mille pezzi e ridendo
divertiti. La ragazzina cercava disperatamente di recuperare i
quaderni, ma più cercava di strapparli dalle mani dei ragazzi
e più loro li sollevavano sopra le loro teste ridendo.
Yetunde
infuriato si rivolse ad Azaele "Perché non fai niente?
Aiutala!"
Azaele
gli rispose facendo spallucce "Non è una cosa che mi
riguarda né posso intervenire, io ho fatto un patto con te,
non con la ragazzina!"
"Ma
non possiamo permettere che continuino!"
Allora
aiutala tu, no?" rispose Azaele come se fosse la cosa più
ovvia del mondo.
Il
piccolo umano lo fissò un po' deluso "Non sei di molto
aiuto!"
Azaele
alzò le spalle e aprì le braccia come per dire "Che
posso farci?"
Yetunde
scosse la stessa e si precipitò in aiuto della ragazzina
"Piantatela, siete solo dei gran cretini!"
Marco si
voltò e gli rivolse un sorriso sprezzante "Ragazzi, è
tornato Africa! Stavolta non te la cavi con una secchiata d'acqua!"
Yetunde
capì che era meglio dileguarsi e cominciò a correre
inseguito dai bulletti.
Azaele
volò dietro ai ragazzi urlando "Yetunde se non mi chiedi
aiuto non posso intervenire!"
Yetunde
continuò a correre, svoltò in una strada senza uscita e
quando arrivò al termine del vicolo si girò e si piegò
ansimante poggiando una mano su un ginocchio e l'altra su un fianco.
Marco e
gli altri lo raggiunsero minacciosi.
"Ti
sei fregato da solo, Africa!" sogghignò Marco.
Yetunde
alzò il viso, rivolse un largo sorriso ai suoi avversari ed
esclamò "Aiutami, Azaele!"
Marco e
gli altri lo guardarono senza capire.
Una voce
allegra fece voltare i quattro bulletti "Quattro contro uno é
un po' da codardi non trovate?"
I ragazzi
si ritrovarono ad osservare un adulto sulla trentina, vestito di nero
e con un berretto da marinaio in testa.
Marco
assunse un'espressione battagliera e gli rispose "Non so chi
sei, ma é meglio se ti levi dai piedi, questi non sono fatti
tuoi!"
L'uomo
sorrise divertito "Uh, che paura! Il piccolo codardo mi sta
minacciando!"
Marco
fece un cenno ai suoi amici che circondarono Azaele, uno di loro tirò
fuori un coltellino svedese, lo aprì e lo tese minaccioso
verso Azaele che a quella vista strabuzzò gli occhi e non
riuscì a trattenere una risata fragorosa “Moccioso, sul
serio pensi di avere una qualche parvenza di dignità con
quell'aggeggio ridicolo in mano?"
"Quell'aggeggio
fa più male di quello che pensi, stronzo, e lascia dei bei
ricordini sulla pelle!" lo ammonì Marco.
Azaele
non era tipo da offendersi facilmente, ma sentirsi chiamare stronzo
da un bulletto di tredici anni lo irritò non poco.
"Sai
una cosa stronzetto, tu e i tuoi amici mi avete già stancato,
vi consiglio di piantarla di tormentare Yetunde o chiunque altro non
faccia parte del vostro piccolo circolo di imbecilli o ve ne farò
pentire amaramente!"
Marco gli
rise in faccia “Sarai anche un adulto ma noi siamo in quattro
come pensi di farci pentire?"
"Portandovi
con me all'Inferno!"
"Che
gran cazzata!" commentò Marco ridendo e dando una manata
ad uno dei suoi amici per fargli capire che doveva ridere, al che
anche gli altri ragazzini si unirono alla risata.
Ma la
risata si strozzò loro in gola quando dalla schiena di Azaele
spuntarono un paio di ali nere da pipistrello, ai lati del suo
cappello apparvero due corna e le pupille divennero completamente
rosse.
Il demone
sorrise mostrando quattro canini da lupo e commentò con una
voce profonda che non aveva più molto di umano "Vi avevo
avvertito!"
I
bulletti iniziarono a correre, ma Azaele in un battito d'ali li
raggiunse, afferrò Marco per un braccio e lo spinse contro il
muro.
Il
ragazzo urlò terrorizzato quando il demone avvicinò il
viso così tanto al suo naso da fargli sentire l'odore di
zolfo emesso dal suo respiro.
"Ora
non ridi più, stronzetto?" sogghignò Azaele
crudelmente.
"Lasciami,
lasciami andare, per favore!" pregò il ragazzo
terrorizzato.
"Perché
dovrei?" ringhiò il demone.
"Ti
prego, ti prometto che lascerò in pace Yetunde e tutti gli
altri!" lo supplicò Marco piangendo.
"Oh,
adesso piangi? Bé, e troppo tardi moccioso, hai perso la tua
occasione, vedrai che l'Inferno ti piacerà, ci sono una sacco
di codardi come te!" sibilò stringendo gli artigli
intorno alle spalle del ragazzo che cercò inutilmente di
divincolarsi urlando disperato che non avrebbe tormentato mai più
nessuno e che per favore non lo portasse all'Inferno.
Ma il
demone non si lasciò impietosire, batté un piede sul
marciapiede provocando delle scintille dalle quali cominciarono a
svilupparsi delle lingue di fuoco sempre più alte.
"Noooo!"
urlò Marco terrorizzato.
"Azaele,
ti prego, lascialo andare!".
La voce
ferma di Yetunde fece voltare Azaele che lo osservò con aria
dubbiosa.
"Ne
sei sicuro?"
Il
ragazzino annuì "Credo che abbia imparato la lezione!"
"Ok!"
rispose Azaele lasciando andare Marco che non appena si sentì
libero scappò via come una lepre.
Il demone
e il ragazzino rimasero in silenzio finché Marco sparì
dalla loro vista svoltando l'angolo.
"Lo
avresti portato davvero all'Inferno con te?" domandò
Yetunde.
Azaele
che, a parte per le ali, aveva ripreso il suo aspetto umano, sorrise.
"L'Inferno
non è posto per i tredicenni, neanche per dei fessacchiotti
come quei quattro bulletti!"
“Allora
tutte quelle scintille, l'odore di zolfo e tutto il resto servivano
solo a spaventarlo?”
“Un
vero performer deve saper creare la giusta atmosfera quando
interpreta una parte, non credi?” ammise Azaele strizzandogli
l'occhio.
"Non
mi sembri tanto cattivo, per essere un demone!" commentò
Yetunde sorridendo.
"Non
so se posso considerarlo un complimento!" ridacchiò
Azaele.
"Bene,
ho rispettato il nostro patto, é ora che io vada! Prima però
voglio che tu rifletta su una cosa importante. Salta su!"
propose Azaele inginocchiandosi per permettere a Yetunde di salirgli
sulla schiena.
Il
ragazzino lo guardò un po' titubante e poi decise di fidarsi.
“Stringiti
bene!” lo ammonì il demone alzandosi in volo.
"Maremma,
che figata!" esclamò Yetunde sporgendosi dalle schiena di
Azaele e osservando Firenze dall'alto.
"Vedi
di non sporgerti ragazzino, non è il caso che ti vedano
svolazzare!" lo sgridò Azaele.
Arrivato
sopra Piazza della Signoria, Azaele atterrò sulla torre di
Palazzo Vecchio e indicò la gente che attraversava la piazza
camminando svelta.
"Guarda
quelle persone che attraversano Piazza della Signoria, da quassù
sembrano tutte uguali no? Eppure se ti avvicini ognuna di quelle
persone è diversa dalle altre, è proprio questo il
bello dell'individualità, capisci? Siamo tutti uguali ma anche
tutti diversi. Ricordatelo la prossima volta che ti sentirai dire che
sei diverso e ricordati anche
che vedere
gli altri tutti uguali o tutti
diversi dipende solo dal punto di vista di chi guarda!"
“Ok,
me lo ricorderò!” rispose il ragazzino un po' triste,
aveva capito che per Azaele era ora di andare via ed era un po'
dispiaciuto.
Il demone
sorrise, accarezzò una guancia di Yetunde e si alzò in
volo “Ciao ragazzino, stammi bene!”
“Ciao
Azaele” lo salutò Yetunde.
Guardò
il demone allontanarsi fino a che non riusci più a vederlo,
quindi tornò a osservare la piazza.
Mentre
rifletteva sulle parole di quello strano amico infernale
improvvisamente un pensiero gli attraversò la mente "Porca
miseria! E adesso come scendo da quassù?"
#
"Yetunde!"
chiamò la ragazzina dai capelli rossi.
Il
ragazzino si voltò e sorrise a Cathrine.
La
ragazzina con i capelli rossi dopo l'incidente con Marco e la sua
banda aveva cercato Yetunde per ringraziarlo, avevano iniziato a
chiacchierare e a fare amicizia e così aveva scoperto che
Cathrine
era in Italia da poco, che suo padre era Anglo-Italiano e sua madre
Irlandese e che lei a volte si sentiva un po' sola perché
ancora non era riuscita a farsi degli amici.
Yetunde
le aveva proposto timidamente di fare merenda insieme la mattina dopo
e la ragazzina era arrossita un po', ma aveva accettato.
Si
sedettero su una panchina nel cortile della scuola e tirarono fuori
le rispettive merende.
Cathrine
aprì una Coca Cola e prima di offrirla a Yetunde prese una
cannuccia dal suo zaino, si accorse che era un po' corta, provò
a usarla lo stesso ma la cannuccia quasi sparì dentro la
lattina.
Yetunde
rise ed esclamò allegramente "Maremma maiala, la tua Hoha
Hola ha davvero una Hannuccia Horta Horta!"
Cathrine
rise e commentò "Ahahah, voi Fiorentini avete un accento
troppo bello! Lo adoro!"
Yetunde
la osservò sorpreso, era la prima volta che qualcuno lo
definiva Fiorentino, poi pensò che Cathrine era
Irlandese, ricordò le parole di Azaele e sorrise.
Questa
storia è stata ispirata dal prompt Una
Coca-Cola Con La Cannuccia Corta Corta suggerito
da
Carme93,
che ringrazio.
Spero
che il modo in cui ho sviluppato la sua proposta possa soddisfare, se
non del tutto, almeno in parte le sue aspettative.
Yetunde
e Cathrine sono ispirati ai personaggi che appaiono nel brano di
Lorenzo
e
Michele
Baglioni, anch'esso indicato da Carme93 e di cui in apertura ho
riportato un estratto del testo e il link
per chi volesse ascoltarlo.
Azaele,
protagonista della mia long “Un diavolo a Roma” appare
qui come guest star (chissà poi che ci faceva a Firenze?).
L'incantesimo
che Yetunde ruba a Sabrina Spellman per dominare un demone è
una mia invenzione, almeno credo, non mi pare infatti che Sabrina
abbia mai costretto un demone a obbedirle.
L'idea di
Azaele imprigionato nel cerchio di sale invece è
spudoratamente rubata alla puntata in cui Sabrina imprigiona suo
padre Lucifero nello stesso modo.
Nota 1:
fare forca, marinare la
scuola
|