Capitolo 1 libro giungla 2 supercorretto
Il villaggio
degli uomini
cominciava a risvegliarsi. Tra le casupole risuonavano i rumori
degli abitanti
che si alzavano per cominciare le attività giornaliere.
Varie sagome iniziavano
ad affollare le strade, deserte solo un’ora prima. Chi per
andare nei campi chi
al mercato chi verso la città vicina.
Una figura
più
piccola delle altre tentava di farsi strada fra le persone reggendo
sulla testa
una brocca d’acqua. Gli adulti non facevano molto caso alla
bambina che temeva
di rovesciare il contenuto della brocca prima di raggiungere la casa
della sua
padrona. Passò davanti al piccolo tempio del bramino accanto
all’albero di
manghi. I canti mattutini dell’uomo di fede e
l’odore di incenso l’avvolsero
mentre si dirigeva verso la sua destinazione. La casa della sua padrona
Messua
era la più grande del villaggio perché suo marito
Rama era l’uomo più ricco. La
bambina entrò silenziosamente dalla porta di servizio e
poggiò la brocca in
cucina dove sua madre stava preparando la colazione. “Shanti
sei tu?”, sentì la
voce pacata di Messua chiamarla dalla sala. “Sì,
sono io. Ho portato l’acqua”
“Brava. Per favore va a svegliare Nathoo, io devo correre al
tempio per la
preghiera del mattino” “Si, signora”,
rispose obbediente Shanti. Messua era una
donna molto credente.
Si
addentrò per i
corridoi della casa appena in tempo per vedere Messua che usciva dalla
porta
principale. La donna indossava dei grossi cerchi di rame ai polsi e
alle
caviglie ed era avvolta in un elegante velo rosso. Shanti
osservò
meravigliata gli arredi della casa e si diresse verso la stanza di
Nathoo: il
figlio di Messua e suo marito. Aprì leggermente la porta e
sussurrò il suo
nome. “Nathoo”. Nessuna risposta. “Nathoo
è ora di alzarsi”. Non ottenendo
ancora una risposta Shanti entrò nella camera. Davanti a lei
c’era il letto imbottito
di Nathoo, ma nessuna traccia di lui. Preoccupata guardò in
giro per la stanza
ma non lo trovò. “Nathoo! Nathoo dove
sei?” Un ronfare sommesso le giunse da
fuori la finestra. La ragazzina si sporse e vide Nathoo che dormiva
pacificamente su un ramo dell’albero accanto alla casa. Il
ragazzino indossava
solo un paio di mutande rosse. Come aveva fatto a passare la notte
lì fuori con
quel freddo? E come poteva preferire un ramo duro col rischio continuo
di
cadere a un materasso pieno di piume? Shanti sospirò
pensando alla sottile
coperta stesa sul pavimento dove era costretta a passare le
proprie notti.
Non era la prima volta che lo trovava così. Per quanto la
padrona Messua
cercasse di convincere a Nathoo a dormire in casa il ragazzino sembrava
soffrire le lenzuola come il letto di chiodi di un fachiro.
Perciò spesso lo si
ritrovava a dormire sull’albero. Per fortuna quel lato della
casa dava sulla
giungla e non c’era il rischio che il villaggio
spettegolasse. Shanti si sporse
e lo chiamò di nuovo: “Nathoo. Nathoo svegliati,
devi alzarti”. Il ragazzino
alzò la testa piena di folti capelli neri.
Sbadigliò e si mise a sedere sul
ramo. “Buongiorno Shanti” “Mia madre sta
preparando la colazione. Sbrigati a
scendere, prima che qualcuno ti veda, Nathoo”. Il ragazzino
aggrottò la fronte
a quel nome e si girò dandole le spalle. “Oh, dai
Nathoo non stamattina, per
favore scendi” “Scendo solo se mi chiami col mio
vero nome” “Ma... Tua madre ha
detto che non devo più chiamarti così. Anche se
me lo chiedi” “E allora io non
scenderò”, rispose perentorio lui incrociando le
braccia. Shanti si morse il
labbro esasperata ma alla fine lo disse: “Va bene. Mowgli
puoi scendere
dall’albero per favore?”. Mowgli si girò
contento e scese giù dall’albero con
l’agilità di una scimmia. Atterrò in
ginocchio sul davanzale e Shanti si
ritrasse. “Bene ora vieni in cucina”. Il ragazzino
la seguì. L’ aveva seguita
fino dal loro primo incontro quando aveva raccolto la brocca e le era
venuto
dietro dentro il villaggio.
Shanti aveva
pensato che
fosse un altro dei bambini del villaggio che si era addentrato
avventuroso sul
limitare della giungla, non poteva sapere che in realtà
Mowgli veniva proprio
da lì. Appena arrivati nel villaggio aveva provato a
parlargli e lui non sapeva
spiccicare una parola. Quando gli altri abitanti del villaggio si erano
accorti
del bambino sconosciuto, c’era stata una grande frenesia e
tutti lo avevano
accerchiato. Mowgli si era ritratto spaventato e aveva ringhiato.
Buldeo il
vecchio cacciatore del villaggio aveva detto che doveva essere un
ragazzino
allevato dai lupi, come se ne trovano a volte. A
dimostrazione della sua
tesi indicò i segni di morsi e artigli sulla pelle nuda del
bambino. Quando
aveva provato a toccarlo Mowgli gli aveva assestato un pugno in pancia
sorprendentemente
forte per uno scricciolo tutto pelle e ossa. Era arrivato svelto il
bramino del
villaggio, un omone grasso e vestito di bianco. Davanti a quella
situazione si
era grattato la fronte punteggiata dalla pittura bianca e rossa,
incapace di trovare
una soluzione. “Quel ragazzino non
porterà altro che guai, probabilmente
è maledetto”, aveva borbottato Buldeo
piegato in due. Poi si era fatta
strada tra la folla Messua. “Fermi non fategli del male.
Nathoo, Nathoo sei
tu?” “Messua sta attenta è un animaletto
che morde”, si era lamentato Buldeo
massaggiandosi lo stomaco. La donna invece si era fatta avanti
lentamente
e aveva preso il viso di Mowgli tra le mani. Lui era rimasto fermo
immobile.
Messua lo aveva guardato dritto negli occhi poi lo aveva abbracciato
stretto.
“Sì, sì, è Nathoo, il mio
bambino. Quello che credevamo morto nella giungla.
Adesso è grande, ma i suoi occhi sono gli stessi di quando
lo cullavo in fasce.
Oh, sia ringraziato il cielo. È miracolo”. Il
bramino si era accarezzato la
barba bianca e aveva confermato che doveva trattarsi di un miracolo
degli dei.
In quel momento era arrivato anche il marito di Messua e
l’aveva trovata in
lacrime che stringeva il bambino dall’espressione spiazzata.
Il bramino gli
aveva spiegato quale miracolo avessero concesso gli dei a lui e a sua
moglie
nel restituirgli il figlio e che sarebbe stato un buon gesto
ringraziarli con
una generosa offerta al tempio. Il padrone aveva acconsentito e aveva
detto che
avrebbe accolto Mowgli in casa sua, ma non sembrava avere lo stesso
entusiasmo
di Messua per il ritorno del figlio. Mentre Messua lo aveva trascinato
via per
un braccio sempre accarezzandolo e coprendolo di baci, Mowgli aveva
lanciato a
Shanti un ultimo sguardo di smarrimento.
Era trascorso
poco più di
un anno da quella giornata, ma Mowgli ancora si sentiva perso come quel
primo
giorno. Piano piano aveva imparato a parlare. Avevano visto che
ogniqualvolta
ci stesse Shanti faceva progressi più velocemente.
Non appena ebbe
abbastanza dimestichezza, aveva provato a dire che il suo vero nome era
Mowgli
e non Nathoo, ma il marito di Messua non voleva sentire ragioni e aveva
tentato
di convincerlo che si sarebbe abituato al nuovo nome e avrebbe presto
dimenticato il vecchio nome da lupo.
Shanti rise al
pensiero
di tutte le cose del villaggio che aveva dovuto insegnarli. Quando gli
aveva
mostrato per la prima volta una padella era rimasto affascinato dal suo
stesso
riflesso e si era messo a fare boccacce strane. Gli aveva anche dovuto
spiegare
le regole del villaggio, di cui Mowgli era decisamente insofferente.
Non capiva
perché ci si dovesse lavare così spesso, quando
nella giungla poteva farlo solo
e se ne aveva voglia gettandosi nel fiume a nuotare e non in una
piccola
tinozza con il sapone che pizzicava gli occhi e aveva un saporaccio.
Quando gli
avevano fatto provare vestiti e turbante gli davano un prurito
terribile e
continuava a tentare di levarseli, che fosse o no in pubblico. Alla
fine lo
avevano lasciato solo con mutande avendo attenzione che le cambiasse
però ogni
giorno. Nel villaggio non si poteva cacciare o cogliere la frutta dagli
alberi
liberamente ma tutto quanto aveva un prezzo, che si pagava con una
strana roba
di cui tutti erano ossessionati: il denaro. In particolare, il marito
di Messua
che l’ospitava in casa aveva una grande passione per il
denaro e ogni volta era
sconvolto e amareggiato che Mowgli non ne comprendesse
l’utilità. Aveva provato
a insegnarli a fare di conto ma a Mowgli i numeri propio non gli
entravano in
testa, il pover’uomo si metteva le mani nei capelli davanti a
quelle
situazioni.
I due bambini
finirono la
colazione. Mowgli poi la seguì mentre svolgeva le
commissioni nel
villaggio. Non gli era permesso uscire di casa da solo dopo alcuni
incidenti
che si erano verificati.
Ad un certo
punto
passando nella piazza del villaggio sotto il grande albero di fichi
videro
Buldeo il cacciatore che stava raccontando una delle sue storie a un
gruppetto
intorno a lui. Buldeo era considerato l’esperto del villaggio
sulla giungla.
Ogni volta che Mowgli ascoltava doveva mordersi la lingua per non
ridere alle
sciocchezze che diceva, quando invece gli altri ragazzi del villaggio
pendevano
dalle sue labbra. “È così, vi dico. La
tigre che sta infestando i boschi vicino
a Oodyepure è posseduta dal demone di un usuraio. Quando era
in vita l’uomo
zoppicava per questo ora la tigre zoppica, ma nonostante ciò
riesce comunque a
ammazzare il bestiame dei villaggi vicini. E qualche volta anche i
mandriani”.
Nella piccola folla le donne si coprirono la bocca con le mani e bimbi
si
nascosero nelle loro sottane mentre gli uomini si scambiavano commenti
arcigni.
“Questo succede agli uomini che hanno troppo denaro fra le
mani quando devono
reincarnarsi”, disse Buldeo sollevando lo sguardo mentre
passava Mowgli, un
velato commento al suo ricco padre adottivo. Il ragazzino a quel punto
si fermò
e guardò torvo il cacciatore. Una cosa era quando veniva
additato lui da
Buldeo, il capo cacciatore non amava essere smentito sui suoi racconti
della
giungla e la sua missione era diventata di denigrare il ragazzino in
ogni modo,
ma era tutt’altra questione se diceva qualcosa contro
l’uomo che lo aveva
accolto in casa. “Quelle che dici sono tutte
stupidaggini”, alzò la voce Mowgli
fermandosi in mezzo alla piazza. Shanti si fermò
preoccupata. “Nathoo dai non
badargli, gli dai più soddisfazione
così”. Mowgli non la ascoltò e
continuò:
“La tigre di cui parla Buldeo non è affatto
posseduta, si chiama Shere Khan e
zoppica perché si è bruciata una zampa dopo che
lo scacciata via io” “Tu?
Hahaha”, rise Buldeo. Altre risate si aggiunsero dal
gruppetto. “Un filo d’erba
come te che sconfigge una tigre. Hahaha, certo che da quando hai
imparato a
parlare ne sai raccontare di frottole, eh Nathoo? Come quella volta che
hai
detto di aver cavalcato un orso”. Altre risate si sollevarono
dai membri del
villaggio. “È vero”, protestò
Mowgli, “Baloo è mio amico e mi faceva cavalcare
sul suo dorso”. Buldeo sghignazzò ancora:
“Comunque se hai già sconfitto
questa... Shere Khan, perché non la vai ad acchiappare di
nuovo? Il governo di
Oodyepure ha messo una taglia di cento rupie sulla testa della
tigre” “Quasi,
quasi lo farò”, rispose sprezzante Mowgli.
“Tale padre tale figlio”, sogghignò
il cacciatore, “Non appena si nominano le rupie andrebbero
anche in bocca a una
tigre. Haha”. Shanti cominciò a tirare Mowgli per
un braccio. Il ragazzino si
lasciava intortare facilmente da Buldeo o da chi lo prendeva in giro.
“Andiamo
Nathoo” “No, non me ne vado finché
questo vecchio bugiardo non la smette di
dire cattiverie su Kamya”. Shanti abbassò la voce:
“Andiamo Na... Mowgli, vieni
via. Così fai solo peggio. Per favore”. A sentirsi
chiamare con il suo vero
nome e guardando gli occhioni scuri di Shanti, Mowgli annuì
e se ne andò. Rosso
di rabbia si allontanò seguendo Shanti che lo teneva per
mano. “Bravo Nathoo,
dai retta alla tua amichetta shudra. Haha”, gridò
da lontano Buldeo prima che
scomparissero alla sua vista.
Ecco
un’altra cosa che
Mowgli non riusciva a concepire: il nome con cui Buldeo aveva chiamato
Shanti,
shudra. Gli shudra erano la casta dei servitori. A quanto pare nel
villaggio
degli uomini le persone erano divise in categorie quasi fossero delle
specie di
animali diverse. C’era la casta più alta, quella
dei bramini, c’era la casta
dei nobili e dei guerrieri, kshatriya, quella degli
allevatori di
bestiame, dei mercanti e contabili, vaishya, a cui appartenevano Mowgli
e la
sua famiglia e poi c’era la casta dei servitori, gli shudra,
a cui apparteneva
la famiglia di Shanti. Infine c’erano i paria, gli
intoccabili, che erano
considerati al di fuori delle caste, in realtà erano
considerati quasi al di
fuori del genere umano. A loro spettavano tutti i lavori più
umilianti e
vivevano nella miseria. Una volta Mowgli era corso in soccorso di un
vecchio
intoccabile che doveva tirare fuori l’asino del suo padrone
dal fango. Mowgli
era riuscito a parlare con l’animale che non voleva saperne
di muoversi e lo
aveva fatto uscire dal pantano. Le urla che aveva lanciato il bramino
quando lo
aveva visto! Kamya si era arrabbiato moltissimo e a casa gli aveva
fatto una
ramanzina sul fatto che non si deve mai aiutare un intoccabile, le
caste
dovevano rimanere separate. Quando Mowgli aveva chiesto il
perché, lui aveva
borbottato irritato e gli aveva raccontato una storia confusa su come
gli
uomini fossero venuti fuori dal corpo di un gigante: i bramini bianchi
dalla
bocca per recitare le scritture, i kshatriya rossi dalle braccia forti
per
governare e uccidere i nemici, i vahsya gialli dalle cosce grasse per
portare
cibo e abbondanza e gli shudra neri dai piedi sporchi e puzzolenti per
servire
le caste superiori. Mowgli non riusciva a raccapezzarcisi. Come poteva
una
creatura come Shanti, bella, delicata e profumata come un fiore, essere
fatta
del materiale dei piedi di qualcuno? Ma lì al villaggio
avevano un sacco di
storie strane sugli dei che abitavano nel tempietto del bramino. Mowgli
ogni
volta confondeva i nomi e non capiva la devozione che le persone
provavano per
quegli strani esseri. Uno aveva addirittura la testa di un elefante e
Mowgli
aveva detto che assomigliava a Hati. Per poco il bramino non lo aveva
preso a
schiaffi. Shanti vide lo sguardo pensieroso di Mowgli. “Dai,
non ci pensare.
Buldeo se la prende con te perché tu sei l’unico
che lo mette al suo posto in
mezzo a questo branco di creduloni” “Non
è solo lui. Perché qui nessuno crede a
quello che dico? Io l’ho combattuta davvero Shere Khan e sono
anche stato nel
palazzo di re Luigi” “Beh, Nathoo ...”
“Mowgli! Per favore almeno tu chiamami
col mio vero nome”. Shanti si guardò intorno:
“Mowgli, è solo che le storie che
racconti sembrano un po’ assurde” “Ma
almeno tu mi credi, vero?”. Shanti si
morse il labbro: “Io ...beh, suppongo che ...”. Non
aveva il coraggio di dirgli
di no con quello sguardo bisognoso che le lanciava. “Si, io
...ti credo. Però è
meglio che smetti di raccontarle certe storie altrimenti qui al
villaggio non
ti prenderanno mai sul serio. Dai, ora andiamo al mercato”. I
due bambini
passarono dal mercato per sbrigare le commissioni. Quando ebbero finito
Mowgli
si offrì di portare il cesto di Shanti al posto suo. Un paio
di altri ragazzini
del villaggio lo videro e cominciarono a deriderlo. “Ehi
Nathoo. Porti ancora
la spesa alla servetta? Haha”. Mowgli tentò di
ignorarli. “Che fai non rispondi
Nathoo? Ah, giusto il tuo vero nome è Mowgli, non
è vero? E balli insieme alle
scimmie. Hahaha”. I ragazzi si misero a grattarsi il capo e a
saltellare come
se fossero scimmiotti. A Mowgli formicolarono le braccia. Sapeva che se
avesse
voluto li avrebbe stesi come niente. Nella giungla era considerato
debole e
indifeso ma qui nel villaggio era forte come un uomo adulto.
“Dai non starli a
sentire”, gli disse Shanti. Alla voce di lei tutta la rabbia
di Mowgli si
dissipò. A parte Shanti non aveva fatto amicizia con altri
bambini della sua
età. Lo prendevano in giro quando non riusciva a pronunciare
qualche parola o
se non capiva le regole dei loro complicati giochi umani. E poi
trovavano
esilarante se riprendeva qualche movenza animalesca.
Buono buono
tornò dietro
Shanti nella grande casa. Non riusciva a capire come gli uomini
potessero
chiudersi volontariamente così in quelle gabbie di pietra
dove non si
respirava. Gli mancava correre e arrampicarsi libero nei grandi spazi
della
giungla. Una volta aveva avuto così nostalgia di Baloo e
tutti i suoi amici che
aveva cercato di tornarci. Non voleva scappare per sempre, voleva solo
tornarci
per una notte. Così era sgattaiolato
dall’albero fuori dalla finestra al
di là del fiume di nuovo nei suoi luoghi familiari. Quando
era tornato il
mattino dopo Messua era in lacrime e Kamya furioso. Gli
strillò quanto la
giungla fosse pericolosa e di come poteva venir divorato dagli animali
selvatici. A Mowgli veniva da ridere. Come poteva essere pericolosa la
giungla?
La sua casa. Ma quando aveva visto quanto stava male Messua non ci
aveva più
riprovato. Sentiva quanto la donna gli volesse bene. Tutte le volte che
aveva
combinato qualche pasticcio al villaggio lei lo aveva sempre difeso e
perdonato. Ogni volta che il marito si arrabbiava con lui e gli
strillava, lei
invece lo abbracciava e continuava a dire che non era colpa sua doveva
ancora
riabituarsi a vivere tra gli uomini. Ogni notte si stendeva accanto al
suo
letto e gli accarezzava i capelli cantandogli dolci ninnenanne. Gli
aveva
raccontato di come lei e suo marito nel venire ad abitare in quel
villaggio
avessero attraversato la giungla sul fiume Waingunga e la corrente li
aveva
trascinati via e rovesciati. La sua culla era rimasta sulla canoa
portata alla
deriva. A nulla erano servite le ricerche fatte nei giorni successivi.
Gli
occhi della donna si riempivano di lacrime mentre raccontava quante
notti aveva
speso pregando perché il suo piccolo Nathoo tornasse da lei.
Per anni si era
aggrappata al pensiero che il figlioletto fosse sopravvissuto
nonostante tutti
nel villaggio, compreso il marito, le avessero detto di rassegnarsi e
andare
avanti con la sua vita. E dopo dieci anni quando ormai aveva
abbandonato ogni
speranza, lui era tornato da lei. Lo stringeva forte al petto e gli
sussurrava
che ora nessuno glielo avrebbe più portato via. Mowgli
accettava imbarazzato
tutte quelle attenzioni anche se non riusciva a ricambiare pienamente
l’affetto
che quella sconosciuta gli riversava addosso. Eppure sentiva che in lei
c’era
qualcosa di familiare, qualcosa nel suo odore lo faceva sentire
protetto. Però
ancora non riusciva a chiamarla madre come avrebbe fatto con mamma
lupa, né
poteva chiamare padre Kamya, né abbracciarlo come avrebbe
fatto con Baloo e più
di tutto non riusciva a digerire quel nuovo nome che gli avevano dato:
Nathoo.
Lui era Mowgli, Mowgli il lupetto della tribù dei Seonee,
non Nathoo del
villaggio degli uomini. Ma per il momento gli occhi di Shanti e
l’abbraccio di
Messua lo tenevano lì. E poi se i racconti di Buldeo erano
veri, allora Shere
Khan era ancora in giro da qualche parte nella giungla. Mowgli
però non aveva
paura, l’aveva scacciata via una volta e lo avrebbe rifatto.
Anzi ora sapeva
come fare il fuoco. Era rimasto stupito quando aveva visto Messua che
lo usava
con tranquillità per cucinare. Il fuoco era usato nei modi
più disparati dagli
umani, per cucinare, per illuminare e riscaldare la notte. Buldeo lo lo
usava
per accendersi la pipa, un altro costume che per Mowgli era assurdo.
Tornati a casa
aiutò
Shanti nelle faccende domestiche. Pulisci, lava, spazza, riordina,
durante il
giorno c’erano sempre mille cose da fare senza poter stare
mai fermi. Sognava
come nella giungla invece avrebbe potuto restarsene a riposare sotto un
albero
ingozzandosi di frutta fresca. Nel villaggio era un periodo di magra e
frutta
non se ne vedeva più. Shanti ne soffriva molto, i manghi
erano il suo cibo
preferito. Quando tornò Messua Mowgli le chiese se si
avevano notizie di manghi
arrivati da fuori il villaggio. Lo faceva più per Shanti che
per lui ma la
madre adottiva gli rispose dispiaciuta che ancora non
c’erano. Mowgli vide la
delusione negli occhi di Shanti a quella notizia. Improvvisamente gli
venne
un’idea. C’era un posto nel villaggio dove ancora
c’erano dei manghi: l’albero
del tempio del bramino. Già immaginava la faccia di Shanti
se glieli avesse
portati. Chissà quanto sarebbe stata felice! Nel pomeriggio
finse di non
sentirsi bene e chiese di andare a letto. Messua
così apprensiva lo
lasciò andare subito. Non reggeva il pensiero che il figlio
potesse ammalarsi.
Come al solito si mise accanto al suo letto e gli canticchiò
qualche litania
mentre si addormentava. Quando pensò che si fosse
addormentato lasciò la
stanza. A quel punto Mowgli sgusciò silenzioso fuori dal
letto e uscì dalla
finestra. Si arrampicò facilmente sull’albero e
poi passò su per i tetti del
villaggio col passo lesto e felpato di una pantera. Fece attenzione che
nessuno
lo vedesse ma gli abitanti del villaggio erano talmente occupati nelle
loro
faccende importanti che non alzavano mai gli occhi al cielo.
Arrivò
sul tetto a cupola
del piccolo tempio e tese le orecchie. Sentì il mormorare
preghiere sommesso
del bramino. Perfetto, l’uomo era distratto e poteva agire
indisturbato. In
punta di piedi strisciò lungo il cornicione del tetto fino a
dove si stendevano
i rami carichi di manghi. Mowgli tese il braccio ma i frutti succosi
erano di
qualche centimetro al di fuori della sua portata e per quanti sforzi
facesse
non riusciva a raggiungerli. Prese un bel respiro e si calò
a testa giù piano,
piano, reggendosi con le cosce intorno a una scultura del tetto. Nel
suo campo
visivo capovolto apparve lentamente l’interno del tempio e
vide il bramino
intento a canticchiare con voce stridula ad occhi chiusi. Cercando di
non fare
alcun rumore Mowgli allungò le braccia per cogliere i
manghi. Ne riuscì a
prendere ben cinque, voleva fare Shanti molto contenta. I frutti
però erano
difficili da tenere tutti insieme, perciò ne teneva quattro
stretti al petto
con entrambe le braccia e uno premuto sotto il mento. Ora la parte
difficile
sarebbe stata risalire con la sola forza delle gambe. Si
sforzò contraendo i
muscoli delle cosce ma non riusciva a risalire. Riprovò
un’altra volta e la
pietra vecchia dello spuntone al quale si era aggrappato
scricchiolò. Sbarrò
gli occhi temendo che il materiale cedesse e lui fosse colto dal prete
con la
refurtiva ancora in mano. Riprovò ancora e ci fu uno
scricchiolio più forte. Il
bramino aprì un attimo gli occhi e Mowgli trattene il
respiro. L’uomo rimase
col capo teso qualche secondo poi ricominciò con le
preghiere. Mowgli fece un
ultimo sforzo e si tirò su con i manghi. In ginocchio sul
cornicione tirò un
sospirò di sollievo ma questo fece scivolare il mango che
aveva sotto il mento.
Veloce si mosse e riuscì a riacchiapparlo con una mano. Il
movimento improvviso
però fece scricchiolare la pietra ancora di più.
Intuendo che non poteva
reggere il suo peso ancora per molto si rimise svelto in piedi tentando
di non
perdere nessun mango. Lo spuntone alla fine cedette e crollò
nel cortile con un
rumore di pietra spezzata. Il bramino trasalì a quel rumore
e vide cos’era
successo. Sbuffando si alzò e andò veloce verso i
resti di mattoni. Alzò lo
sguardo per vedere cosa aveva potuto causare quell’incidente
ma vide solo il
punto in cui il testo era franato, per il resto era deserto.
Mowgli
era scappato
via veloce e se la rideva sotto i baffi. Ora Shanti sarebbe stata
contentissima. Forse gli avrebbe anche dato un bacio. A quanto pare gli
esseri
umani facevano così quando erano innamorati. Glielo aveva
detto Messua quando
l’aveva vista farlo con suo marito. Erano dei baci sulle
labbra, d’amore,
non dei baci affettuosi come quelli che gli dava sempre Messua. Perso
nelle sue
fantasticherie amorose però il ragazzino non fece attenzione
a una tegola
incrinata. Con un capitombolo cadde giù dal tetto in testa a
qualcuno. Sia il
bambino che il malcapitato urlarono di dolore all’impatto col
terreno. Mowgli
si massaggiò dolorante la schiena e vide davanti a
sé nientemeno che Buldeo che
tentava di tirarsi su il turbante conficcato sopra gli occhi.
“Ahi. Mpfh.
Chi c’è? Appena vedo chi sei giurò che
ti appendo al muro insieme alle mie
teste di cervo”. Mowgli trattene il respiro e
cercò veloce di recuperare i
manghi sparpagliati. Buldeo intanto si era alzato in piedi ma cercava
ancora di
liberarsi dal turbante. “Ohi, ohi, la testa. Chiunque sei, la
pagherai cara”.
Mowgli riacchiappò in fretta l’ultimo mango e
passò veloce accanto a un Buldeo
che tastava in giro come un ceco. Il movimento improvviso fece
sussultare di
sorpreso l’uomo che cadde di nuovo a terra. Questa volta
però il turbante si
sollevò e riuscì a vedere Mowgli che girava
l’angolo, con le braccia piene di
manghi. “Ah, sei tu Nathoo. Piccolo delinquente, lo sapevo
che eri un bugiardo
e un ladro. Ehi, prendetelo presto. Al ladro! Al ladro! Nathoo sta
rubando i
manghi del tempio”. Mowgli corse ancora più veloce
ma le urla di Buldeo stavano
attirando altre persone in quella strada. Non appena videro Mowgli con
i manghi
esclamarono oltraggiati e inorriditi. Era un sacrilegio rubare i manghi
del
tempio e non era la prima volta che il ragazzino lupo faceva una cosa
del
genere. Quel Nathoo era decisamente indisciplinato, tutta colpa di
Messua e suo
marito se veniva su così. Che qualcuno chiamasse il bramino
per punire quella
blasfemia. Mowgli si trovò circondato mentre gli urlavano
contro. In quel
momento Buldeo venne fuori da dietro il vicolo col turbante di
traverso.
“Eccoti qua piccolo mascalzone della giungla. Questa volta un
bel paio di
legnate non te le leva proprio nessuno”. Prese brusco Mowgli
per un braccio
facendogli cadere i manghi a terra. “Ora andiamo dal bramino
e vediamo cosa
avrà da dire su tutto questo” “Che sta
succedendo qui?”, tuonò una voce tra la
folla. Le persone fecero si spostarono e spuntò Kamya il
marito di Messua.
L’uomo
era vestito con
una giacca corta di tessuto giallo con ghirigori ricamati sopra e un
turbante
di seta verde. Indossava delle scarpe dalla punta arricciata. Non
molti usavano
le scarpe al villaggio, o meglio non molti potevano permettersele.
Questo a
Mowgli piaceva perché così non era costretto a
indossarle pure lui. Quando
Messua gliene aveva regalato un paio e lo aveva osservato sognate che
le
incalzava si era ritrovato barcollante come su dei trampoli. Kamya
aggrottò le
sopracciglia e richiese a gran voce: “Allora, si
può sapere cosa sta succedendo
qua?”. Buldeo sogghignò: “È
tuo figlio Nathoo, Kamya. A quanto pare i manghi
gli piacciono così tanto che ha deciso di prendere quelli
del tempio”, indicò
la prova del misfatto sparsa ai piedi di Mowgli. “Ma
d’altro canto cosa ne può
sapere un bambino cresciuto nella giungla su cosa siano il rispetto e
la
sacralità degli dei”. Kamya vide i manghi per
terra e guardò torvo il
ragazzino. “Mowgli. Ne avevamo già parlato su come
funzionano le cose qui nel
villaggio. Non puoi prendere quello che trovi come ti pare e piace come
se
fosse tuo. Qui ogni cosa si paga se si vuole averla. Hai capito? Quante
volte
te lo devo ripetere”. Mowgli tenne lo sguardo basso
vergognandosi. “Mi hai
sentito?” “Si, signore”, rispose
debolmente. “Ora andiamo via. Appena siamo a
casa riceverai una punizione che non te lo faccia dimenticare di
nuovo” “Un
momento”, disse Buldeo tenendo il braccio di Mowgli
più stretto, “Come sappiamo
che lo punirai tornato a casa? Quel cuore tenero di tua moglie lo
accarezzerà e
coccolerà come un cucciolo ferito invece di bastonarlo come
merita. Io dico che
qui va dato un esempio davanti a tutto il villaggio”
“Tu invece lo mollerai
subito. Non permetterò che Nathoo venga malmenato in
pubblico come il figlio di
un servo. Me ne occuperò io a casa mia”
“Cosa sono tutte queste urla?”, la
folla fece spazio al bramino che si reggeva ansimando al suo bastone.
“Cosa c’è
da litigare tanto nel nostro tranquillo villaggio? Oh, per Visnu, i
miei
manghi. Ecco cos’erano quei rumori di prima”.
Buldeo sogghignò trionfante.
“L’ho beccato con le mani nel sacco bramino Purun.
Il ragazzo merita una
punizione per aver offeso gli dei in questo modo”. Altre voci
si unirono in
favore di Buldeo. Il bramino scosse la testa sconsolato: “Oh,
Nathoo, Nathoo.
Credevo che ormai questi incidenti fossero finiti. Ragazzo non hai
paura che
Kali venga a cercarti la notte dopo che combini queste offese contro il
tempio?” Mowgli sbuffò arrabbiato: “Che
venga pure questa Kali. Le darò un
pugno da stendere un orso” “Nathoo, basta
ora”, gli strillò Kamya. Mowgli non
resistette più: “Smettila di chiamarmi con quel
nome. Smettetela tutti. Il mio
nome non è Nathoo, è Mowgli. Mowgli!
Mowgli!” “Non una parola di
più”, lo zittì
Kamya. L’uomo sbuffò irritato e tirò
fuori la borsa. “Ecco bramino Purun”,
diede varie monete d’argento al santone, “Queste
dovrebbero ripagare più che
profumatamente l’errore madornale di Nathoo. Perdonatelo vi
prego. È solo un
ragazzo che ancora non conosce bene le regole del villaggio, sono certo
che non
intendeva farlo con malizia. Mia moglie viene ogni giorno a pregare da
voi e
sarà molto delusa e dispiaciuta dal gesto di nostro figlio.
Io stesso ne sono
sorpreso e deluso e mi occuperò della sua
punizione”. Il bramino guardò con
occhi scintillanti le monete d’argento poi parlò
con voce pacata: “Oh, Kamya
sono certo che il piccolo Nathoo si deve essere confuso”
“Bramino non
potete–“,protestò Buldeo ma
l’uomo di fede continuò, “Ciononostante
il tempio
non è un banco del mercato dove si può pagare per
mangiarsi un mango.
Oltretutto Nathoo nel compiere il furto ha rotto un pezzo del tetto.
Una parte
sacra di un edificio ben più vecchio sia di lui che di te
che anche di me”,
sporse avanti la mano già piena. Kamya digrignò i
denti ma diede altre monete
d’argento al prete. “Bene dunque dicevo... Nathoo
deve pagare per il suo
crimine, un pagamento non in denaro questa volta. Andrò a
meditare sulla
faccenda e stasera verrò a parlarne con te e Messua. Buona
giornata Kamya”
“Buona giornata anche a voi”, disse il mercante a
denti stretti guardando male
Mowgli. Buldeo lasciò soddisfatto la presa e il ragazzino
seguì lemme lemme
Kamya.
Tornando a casa
Mowgli
non parlò ne lo guardò negli occhi. Kamya
camminava a grandi falcate e sbuffava
come un rinoceronte. “Quando saremo a casa facciamo i conti.
E non andare a
nasconderti tra le gonne di tua madre. Quella povera donna... Come se
non
avesse già abbastanza preoccupazioni per te. Si
può sapere cosa ti è passato
per la testa? Perché hai dovuto fare un gesto del genere?
Non ti sfamiamo già
abbastanza? Perché sei dovuto andare a rubare i manghi del
tempio?” Mowgli
mormorò qualcosa a bassa voce. “Cosa hai
detto?”, tuonò Kamya. “Li volevo dare
a Shanti” “Che? La piccola shudra? Tutto questo per
lei? Cosa... Mpfh, meglio
che stai zitto sono già abbastanza infuriato”.
Appena entrarono in casa, Messua
corse in lacrime ad abbracciare Mowgli. “Oh, Nathoo, Nathoo.
Per fortuna stai
bene. Ero passata per vedere se stavi meglio e ho trovato il letto
vuoto. Oh,
per un attimo ho temuto che fossi tornato di nuovo nella giungla,
invece sei
qui con me e stai bene”. Mowgli sentì stringersi
la gola. “Messua lascia subito
il ragazzo. Se sapessi cosa ha fatto preferiresti fosse di nuovo nella
giungla”
“Cosa? Che ha fatto? Che è successo?” ,
disse lasciando Mowgli guardando il
marito spaesata. “Ha rubato i manghi del tempio ecco cosa
è successo”. Messua
lanciò un gemito sconvolto: “Oh, Nathoo, Nathoo.
Perché lo hai fatto? Lo so che
me li chiedi da giorni i manghi ma bisogna avere pazienza se in questo
periodo
non ci sono. Oh, mio piccolo Nathoo perché lo hai
fatto?”. Mowgli non riuscì a
guardare Messua negli occhi e in quel momento vide Shanti e sua madre
sulla
soglia della porta della cucina. Alla vista della bambina ogni parola
gli morì
in gola. “Perché lo ha fatto non
importa”, tagliò corto Kamya. “Stasera
Nathoo
andrà a letto senza cena e non provare a arrampicarti di
nuovo fuori dalla
finestra. Lo devo far tagliare quel maledetto albero”
“Oh, Kamya non essere
così duro. È un bravo bambino, ancora non ha
capito bene come funzionano le
cose. Sono certa che non l’ha fatto apposta”
“Non lo difendere come fai sempre
Messua. È colpa tua sé ancora non ha capito come
ci si comporta in mezzo agli
uomini e non come se fosse ancora tra gli animali della
giungla” “Ma Kamya ...”
“Niente ma. Stasera il bramino passerà a casa
nostra per dirci quale punizione
spetta a Nathoo, fino ad allora non voglio più rivedere la
sua faccia da
ladruncolo di manghi. Vai in camera tua!” Mowgli con lo
sguardo basso si avviò
verso camera sua. Lanciò un ultimo sguardo vergognoso a
Shanti per poi
scomparire nella stanza.
Si
gettò sul letto
sconsolato. Sentì le lacrime che cominciavano a uscirgli
dagli occhi. Non ne combinava
mai una giusta. Qui tutto quello che aveva imparato nella giungla si
era
rivelato inutile. Il cuore gli stringeva allo sguardo di dolore che gli
aveva
lanciato Messua. Perché era dovuto finire in quel villaggio?
Sarebbe potuto
restare nella giungla ora che Shere Khan era scappato. Poi
però si ricordò
dello sguardo di Shanti e ci ripensò. Ciononostante
però si sentiva
terribilmente solo lì. Nessuno poteva capirlo. Neanche
Shanti per quanto ci
provasse poteva capire la vita che aveva nella giungla.
Sospirò e alzò lo
sguardo verso la finestra. Quanto avrebbe voluto poter stringere il
pelo caldo
di Baloo in quel momento. Chissà cosa stava facendo il suo
papà orso in quel
momento? Di sicuro lo avrebbe trovato intento a ballare e cantare.
Nda
Il
libro della giungla era uno dei cartoni che amavo di più da
bambino. E
ho amato anche i libri di Kipling da cui è stato tratto.
Adoravo anche la serie
a cartone dei cuccioli della giugnla. Dei nuovi liveaction della disney
quello
sul libro della giungla è l’unico che si salva
secondo me. In compenso il
cartone scadente “Il libro della giugnla 2” non mi
è mai piaciuto. E
riguardandolo in quarantena ho rivisto un sacco di cose che non mi
convincevano. Così ho pensato di scrivere un seguito diverso
per il classico
disney. La cosa mia aveva preso molto e in due settimane avevo scritto
tantissimo poi è andata nel dimenticatoio. Ci ho inserito
dentro vari elementi
dei libri di Kipling, il titolo viene dal secondo il libro, il capitolo
“Giungla alla riscossa”. Buldeo, Purun e Messua
erano presenti nel libro e
anche Kamya che però non aveva nome (l’ho preso da
uno dei bufali della mandria
che conduce Mowgli. Anche nella trama ci saranno altre cose dei libri
ma anche
tante sorprese che riprendono più lo stile del cartone.
Questa è la mia prima
long ed è abbastanza sono arrivato a 40000 parole e ancora
non è finita. Spero
che cominciando a pubblicare capitoli mi sbrigo a finirla. Buona caccia
a chi è
stato così gentile da arrivare fino a qui!
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