Alive
Beep!
La
giovane passò il tornello
della metropolitana e si mise ad aspettare sulla banchina.
Il
mondo sotterraneo era grigio e
senza vita, plumbeo come una tomba. La tomba di Cedric.
Oh,
sì, erano passati anni, da
allora, eppure si svegliava ancora tutte le notti: Cedric, il suo
sorriso prima
di entrare in quel labirinto, e poi il suo corpo senza vita, i suoi
occhi
vitrei, il suo cuore che non avrebbe mai più battuto. Era
ancora troppo dura.
Oh,
ci aveva provato, eccome. Era
uscita con altri ragazzi – Harry, certo, ma non solo
–, ma non ce la faceva.
Come se lui fosse lì, le
sembrava di
tradirlo, abbandonarlo. Non gli aveva nemmeno detto addio.
Al
funerale era svenuta, non ce
l’aveva fatta a reggere l’emozione. Tutti quei
fiori bianchi, e la gente
triste, pianti, lacrime e commozione, la madre che non riusciva a stare
in
piedi, e lui là, come addormentato, la testa appoggiata su
un cuscino bianco,
gli occhi chiusi su questo mondo, chiusi, chiusi, chiusi…
“Mi
spiace, siamo chiusi”
Fantastico.
Insomma, il Medimago
che l’aveva in cura si era messo a lavorare in privato, solo
per avere vacanze
ogni due o tre giorni? Lei ormai non dormiva più, non
mangiava più, non aveva
più interesse in niente.
Cinque
anni. Erano passati
esattamente cinque anni da quel giorno. Quel mago era stato
l’unico ad aiutarla,
con un infuso da bere per un mese. Forse non era il massimo,
essenzialmente la
riduceva ad un vegetale, ma almeno non soffriva, almeno non vedeva,
almeno non
urlava ancora e ancora nel sonno il suo nome.
Sua
madre, incapace di vederla
così, le aveva proposto l’Oblivion, ma lei si era
opposta con tutte le sue
forze. Cedric era così inestricabile dai suoi ricordi, dalla
sua mente, che
eliminare lui le pareva eliminare se stessa del tutto.
Suo
padre, più pragmatico, consigliò
di andare da uno psicologo babbano. Lei liquidò la proposta
con una risata
sarcastica: già si immaginava la faccia del povero
malcapitato mentre lei gli
parlava che il suo fidanzato, il suo unico, il suo migliore amico era
stato
ammazzato alla soglia dei 18 anni dal Mago Oscuro più
potente di tutti i tempi.
Quasi
non si accorse di andare a
sbattere contro qualcosa.
“Ehi,
ti sei fatta male?”
Cho
alzò gli occhi dal
marciapiede, mentre una mano si tendeva per aiutarla a ritirarsi su.
Guardò
la mano dalla presa
sicura, il braccio nascosto dalla camicia ben stirata, ma fu quando
arrivò al
volto dell’uomo che si sentì morire.
Aveva
i suoi occhi. Gli occhi di
Cedric, ancora brillanti, ancora vivaci, ancora vivi.
“Scusi,
ero…”
“Sovrappensiero?
Immaginavo”
rispose lui. Aveva un accento curioso, forse straniero.
“Guarda, ti sei anche
sbucciata il ginocchio. Vieni, ho lo studio medico qui vicino: meglio
disinfettarsi, le strade di Londra non sono certo il massimo come
igiene!”
Lo
studio, anche se asettico, non
era freddo come gli altri. I rumori della strada giungevano come da un
posto
lontano, e nell’ambulatorio freddo c’era odore di
bergamotto e fiori.
Fiori,
gelo, tomba, morte.
Cedric.
In
ogni pensiero, in ogni cosa,
in ogni fatto che le capitava, c’era sempre Cedric. Col suo
sorriso, con la sua
gentilezza, con i suoi abbracci nei quali si sentiva protetta. Senza
guscio,
senza appigli, come avrebbe fatto?
“Ecco
fatto!” disse lui, fissando
la garza sul retro del ginocchio. “Tienilo mosso, o
sarà una tragedia ogni volta
che vorrai piegare il ginocchio”
Cho
borbottò un “Grazie”, lasciò
cinque sterline sul lettino, si infilò le
decolleté senza calze e s’avviò verso
l’uscita.
Quando
ebbe la mano sulla
maniglia, una mano le si posò sulla spalla.
“Scusa,
che fai?” Cho lo guardò
di nuovo, quell’uomo con gli occhi di Cedric, che le porgeva
la banconota. “Non
è un bar per ferite, questo… anche se ritengo che
il tuo male non sia al
ginocchio”.
Cho
non rispose, ma abbassò la
testa mentre una lacrima silenziosa le rotolava sulla guancia.
“Quando
è morto?”
“Cinque
anni fa”
“Parente?”
“Fidanzato”
“Accidenti”
“È
accaduto tutto così in fretta.
Mezz’ora prima era vivo, e poi, poi…”
Scoppiò a piangere, crollando su una
sedia della sala d’aspetto, mentre il dottore le porgeva un
fazzoletto di tela,
come un cavaliere vecchio stile. “Ogni giorno ogni azione mi
rimanda a lui, la
notte mi rivedo il suo viso senza vita, ancora e ancora e ancora. Tutti
mi
dicono di dimenticare, di lasciarlo andare, ma non ce la
faccio… stavamo
assieme da anni, e sin dall’inizio sognavo il nostro
matrimonio, vivere assieme
giorno dopo giorno, i figli, il lavoro, tutta la vita, e invece sono
sola”.
“E
provare ad andare avanti ti
sembra una violenza, un abbraccio suona come un tradimento, ed
è lì, e non vuoi
e non puoi liberartene senza perdere parte di te, come se fossi senza
più
guscio”
Lei
di nuovo non rispose, e si
limitò ad asciugarsi gli occhi nel fazzoletto, ormai sporco
di rimmel e
lacrime.
“Sai,
ci sono passato. Mia moglie
è morta investita da un camion. Era uscita solo per prendere
il pane, e un
attimo dopo…” La voce tremò un poco, ma
non perse il controllo. “Ascoltami,
devi andare avanti, non perché te lo dicono gli altri, ma
perché te lo dice il
tuo fidanzato. Lui vivrà in te: nei tuoi pensieri, nelle tue
azioni… Se lui è
morto, tu non puoi permetterti di farlo: se non puoi vivere con lui,
vivi per
lui. È l’unico modo, credimi”
Cho
stiracchiò la bocca. Un
abbozzo di sorriso, dopo così tanto, per
quell’uomo senza guscio come
lei. Si avviò nuovamente verso
l’uscita,
quando lui le chiese: “Posso almeno sapere il nome della
proprietaria del
ginocchio sbucciato?”
Lei
si voltò, e rispose: “Cho,
Cho Chang. Ancora grazie, dottor…”
“Bosch,
Armin Bosch” Le sorrise,
e mentre le dava il suo biglietto da visita Cho sentì
qualcosa che si muoveva,
dalle parti dello sterno. Era il suo cuore che cominciava a battere?
“Quando
senti il bisogno di parlare, chiamami pure. Non sono uno psicologo, ma
magari
un amico in più non fa mai male”.
Mentre
Cho usciva, non sapeva che
l’avrebbe chiamato già quella sera per scacciare
gli occhi vuoti di Cedric, e
che le telefonate sarebbero diventate appuntamenti. Mentre tornava alla
stazione della metropolitana, non sapeva che solo pochi anni dopo
sarebbe
diventata la signora Bosch, con una cerimonia sobria e senza invitati
nel
municipio del quartiere dove abitava Armin. Non sapeva che, per
riuscire ad
andare avanti, avrebbe lasciato il lavoro all’Ufficio per gli
Sport Magici –
troppo Quidditch, troppo Cedric – e sarebbe diventata la
segretaria del dottor
Bosch, trasferendosi in Olanda e tagliando per sempre i ponti con quel
mondo
crudele, con cui non voleva aver più nulla a che fare.
Quando scoprì che non
poteva avere figli, tirò un sospiro di sollievo al pensiero
che niente più
l’avrebbe legata a quella sua fase cupa della sua
adolescenza, alla sua
innocenza violata in quella notte di giugno dal più cupo dei
mali. Ormai era Cho
Bosch, e la sua vita, l’unica che l’interessava,
era tra le braccia di Armin,
così lontano da Cedric tranne che per gli occhi, che le
aveva curato le ferite
dell’anima come aveva fatto col ginocchio di tanti anni prima.
Si
erano curati a vicenda, pensò
mentre lo guardava dormire al suo fianco, illuminato dalla luce dei
lampioni
che entrava dalla finestra. Cedric se n’era andato, il cuore
che aveva smesso
di battere col suo era stato sostituito da un altro cuore, un altro
amore,
diverso, semplice, in un mondo più semplice, lontano da quel
mondo e da quel
dolore.
Si
erano costruiti un nuovo
guscio a vicenda. Era protetta, era viva.
|