Premessa:
questa è una Soulmate!Au, ambientata in un universo simile
al nostro
ma con una situazione politica un po' diversa, è di sfondo
però può
essere utile per capire il clima. Oltrettutto ho utilizzato certi
tratti della Soulmate!Au ma a modo mio: il mondo infatti si divide da
una parte in Marchiati, che hanno una determinata frase o parola
incisa sulla pelle, destinata a cancellarsi se pronunciata dal
proprio soulmate; dall'altra ci sono i Macchiati, i quali hanno in un
punto determinato una macchia nera, come d'inchiostro,che si
potrà
eliminare solo se toccata dal proprio Soulmate che ne avrà a
sua
volta una, tendenzialmente nello stesso punto.
A
simple
love
1
Se
qualcuno avesse chiesto a Sasuke Uchiha di
parlare
di sé, questi si sarebbe definito un uomo tranquillo, con
una vita
semplice e interessi modesti,
un bozzolo di confortanti abitudini cadenzate da ritmi altrettanto
scanditi, simili
all’ondeggiare
placido di una barca mai
distante dal
suo porto sicuro. Per tali ragioni, egli
non credeva, né
desiderava
che qualcuno potesse
interessarsi alla
propria noiosa, abitudinaria, vita privata e ciò
rappresentava un
immenso sollievo in termini di dispendio di energie mentali.
Se
invece la
stessa identica richiesta fosse stata fatta
a Naruto Uzumaki, beh, lì era tutt’altra faccenda;
non che ci
fosse granché di particolarmente straordinario nella vita di
un
taxista, ma questi
poteva ammettere con ogni ragionevole certezza di aver sperimentato
in trent’anni di esistenza molte più cose di un
suo coetaneo, o
forse addirittura di chi portava persino
maggiori
anni sulle spalle. Ma non era il proprio lavoro nello specifico a
renderlo felice – in fondo era un mestiere come un altro, sebbene
stressante e per certi versi rischioso: avrebbe infatti
potuto caricare in auto uno serial killer e saperlo solo in procinto
di morire – era
più in generale il modo in cui affrontava la vita, con
uno stato d’inguaribile ottimismo verso il futuro. Le cose
sarebbero migliorate, la crisi economica e
i dissidi
del proprio paese rientrati,
avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi
nel frattempo di amori momentanei mischiati
a
flebili
speranze
che
forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto
sarebbe
stato... lui,
nessun altro che lui, quello giusto insomma.
Al
contrario di Sasuke, dunque, Naruto attendeva una chiacchiera
casuale, qualcuno che gli chiedesse della sua vita e lui avrebbe
avuto tempo extra per raccontarla, nella propria
quotidianità piccola ma a suo modo straordinaria.
Era
conscio che esistevano tante tipologie di manifestazione del
soulmate, segno della fantasiosa varietà della genetica
umana,
alcune squisitamente realizzabili, altre un po’ meno,
ulteriori
ancora destinate sin dal principio a finire in tragedia. Dal suo
canto poteva ritenersi fortunato: nel proprio caso la
probabilità
del trovare il soulmate era una mera condizione di attesa ricca di
persin troppe possibilità e, di conseguenza, di illusioni.
In
una di quelle attese, Naruto si coprì il braccio
assicurandosi che
non si potessero vedere le proprie parole scritte sopra. Ricordavano
un graffio ma non gli causavano alcun dolore, eccetto il fremere
della pelle quando qualcuno le pronunciava, brividi leggeri
sull’epitelio arrossato.
“Niente
zucchero, grazie.”
Tese
l’orecchio dopo averle sentite, sollevando lo sguardo verso
chi le
aveva pronunciate. Si ricordò dov’era in quel
momento di pausa, il
taxi posteggiato fuori in doppia fila, sotto i fiocchi di neve spessi
come matasse di lana che dall’alba avevano cominciato a
cadere
pigri sulla città, risucchiando i rumori della strada come
se
volessero mangiarli.
Una caffetteria qualsiasi, anche se sempre la solita, in cui vi si
recava ogni mattina, ogni giorno della sua straordinaria esistenza:
con le sedie in ecopelle un po’ consunte, il bancone ampio
dove la
gente si appoggiava, i tavoli in formica su cui, come in un rituale,
erano
disposte
le salse e lo zucchero, mentre
l’odore
intenso del caffè si
mischiava
a quello delle torte burrose che s’incollavano al
palato.
Vide
la
donna che
aveva appena ordinato
prendere il resto dalla commessa. Contemplò
il suo sorriso e pensò che poteva innamorarsene. Poi
sbirciò la
scritta sul proprio braccio, quello stupido, banale, ridicolo
niente
zucchero, grazie
inciso sulla sua pelle; sospirò, neanche troppo deluso quando
constatò
che non stava sparendo.
“Non sei
tu.”
Ciononostante,
sorreggendosi il
mento con la mano, osservò la donna un’ultima
volta uscire dalla
porta con il proprio caffè take-away senza zucchero.
Accennò un
sorriso, scuotendo la testa. Finì di bere il proprio
cappuccino e
lasciò una mancia a Dorothy, la ragazza della caffetteria
che
ringraziandolo gli domandò:
“Niente
fortuna?”
Naruto
schioccò la lingua,
aggiustandosi il cappuccio imbottito sopra la testa dopo aver chiuso
la zip del giaccone: “No, nemmeno oggi. Ma era una bella
persona,
questo si vedeva.”
Sorrise e la cameriera
sorrise di
riflesso. Allora Uzumaki con un cenno del mento le domandò:
“Tu?”
Lei si
portò una mano sul collo
dove, nascosto da un fazzoletto abbinato alla divisa, Naruto sapeva
esserci una macchia nera – un’altra di quelle
mirabolanti
varianti genetiche del trovare un soulmate – e scosse la
testa:
“No, no, non succederà mai. Dovrebbe strozzarmi
per farmi andar
via il segno e io forse dovrei strozzare lui. Te l’ho detto,
è
impossibile.”
“E io ti
dico che forse,
magari, deve solo baciarti sul collo” replicò
l’altro,
sollevando le sopracciglia con un sorriso sornione.
Dorothy
scosse nuovamente
la testa, sorridendo con affetto: “Naruto, vorrei
sinceramente
avere la tua visione positiva delle cose.”
Il
sorriso si fece maggiormente
schivo, persino triste, e il ragazzo si dispiacque una volta di
più
che mai, nemmeno tra anni, loro
due avrebbero
potuto scoprire di essere soulmate: i
Macchiati,
come Dorothy, non avrebbero mai visto cancellato il proprio
inchiostro da qualcuno come Naruto, Marchiato
da lettere incise nella carne; così come Naruto non avrebbe
mai
visto sparire i propri segni per mano della triste ma gentile
cameriera della caffetteria. Un’incompatibilità
di modi con
cui il fine ultimo si realizzava, o così sostenevano
i
saggi scientifici
che
ancora tentavano
di spiegare il fenomeno più complesso della razza umana.
Uscendo,
il
taxista si riparò meglio il collo e con una corsetta rapida
si
affrettò a entrare in macchina, scrollando qualche fiocco di
neve
caduto su maniche e cappuccio. Sbuffò appena per il freddo
intenso
della giornata, poi avviò il motore e posizionò
il telefono per
vedere le nuove prenotazioni
tramite l’applicativo.
Scelse
il richiedente più vicino e si mise
in marcia, godendo del tepore che iniziava a scaldare
l’abitacolo,
espandendo l’odore di cannella e arancia del profumatore
incastrato
nelle griglie del riscaldamento. Naruto
forse
non era una delle persone più ordinate sulla faccia della
terra, ma
gli piaceva lavorare in un ambiente pulito e avvolto da aromi capaci
di coccolarlo, specie quando la
morsa del
freddo incalzava, così come la minaccia di smascherare ai
suoi
stessi occhi la reale pacatezza
della sua vita.
Percorsi
un paio di isolati, vide sostare all’indirizzo segnalato un
tizio
con un cappotto lungo e nero, una sciarpa altrettanto lunga e capelli
scuri schiacciati sotto a un cappello di lana coperto da qualche
fiocco. Questi
gli
tese il braccio per assicurarsi che si fermasse, cosa che Naruto
fece, tirando giù il finestrino dal lato passeggero per tendersi
e domandargli con un sorriso cordiale:
“Buongiorno!
Chiamato un taxi?”
Notò che
aveva una borsa a
tracolla strapiena e, quando il cliente si abbassò a sua
volta, vide
anche che il naso arrossato per il freddo spiccava adorabilmente
sulla carnagione bianca.
“Sì.
Può portarmi al 112 di
Eight Street?”
Il taxista lo
fissò un istante,
come incerto di aver capito bene: “Eight Street? È
la periferia
della zona ovest, sicuro di sapere quello che fa?”
Fu
certo di essere riuscito a scorgere
anche sotto metri e metri di sciarpa le labbra contrarsi in quello
che sembrava disappunto, anche se gli occhi scuri lo fissavano
immutati: “Sicurissimo. Lei è sicuro invece di
saperci arrivare?”
Piccato, Naruto
schioccò la
lingua. Guarda te ‘sto stronzetto quanto se la crede.
Gli
aprì la portiera ed esordì: “Salti su,
ci arriverà senza nemmeno
rendersene conto.”
Udì
un impercettibile sospiro, poi mentre lo sconosciuto richiudeva la
portiera e si allacciava la cintura, tenendo la borsa sulle gambe,
Naruto avviò il tachimetro immettendosi
in strada.
“Ci va per
lavoro? Non mi
capitava da diverso tempo di accompagnare qualcuno da quelle
parti.”
La periferia ovest era
una delle
zone dove la giurisdizione del governatore delegato faceva
più
fatica ad arrivare: i ribelli antimonarchici, quelli che imputavano a
un monarca inetto la colpa del calo del lavoro, della
povertà e
della conflittualità con nazioni di stampo repubblicano; un
re senza
polso che delegava troppo il controllo delle provincie a governatori
ancora peggiori. Così ormai era la situazione da anni,
Naruto se ne
era fatto una ragione, anche se da diversi mesi gli attentati e le
rappresaglie per le nuove leggi, che oltretutto mal tutelavano chi
non aveva ancora avuto la fortuna di incontrare il proprio soulmate,
si erano intensificate.
“Quando
è stata l’ultima
volta?”
“Prego?”
domandò Naruto,
interdetto.
“Che ha
accompagnato qualcuno
lì” spiegò l’estraneo,
abbassandosi la sciarpa. Le labbra
pallide disegnavano una sorta di mezzo sorriso, con l’aria
vagamente ironica.
“Bah,
sarà stato tre mesi fa.”
“Capisco. Ha
paura, adesso?”
Fermo al semaforo
Naruto si voltò
a guardarlo. Non riusciva a capire se lo stesse semplicemente
provocando o se lo chiedesse con interesse quasi scientifico,
perché
il sorrisetto di prima era sparito.
“Onestamente?
Sì. Possono
spararmi, o possono sparare a lei. Potremmo essere coinvolti in
un’esplosione di qualche bomba. Ma d’altronde il
mio lavoro è
anche questo, la consapevolezza del rischio.”
Scrollò le
spalle, svoltando.
L’autoradio trasmetteva una canzone tranquilla, di quelle da
giorni
spensierati.
Con la coda
dell’occhio colse
un movimento del corpo dell’altro e poco dopo
arrivò il suo
interrogativo:
“La
consapevolezza del
rischio?”
Uzumaki sorrise:
“Sì. So che
non è un mestiere esente da pericoli, capisce? Per esempio,
la sua
borsa – gliela indicò con un cenno ma
l’altro non mosse un
muscolo – potrebbe contenere una pistola, è bella
piena
d’altronde. E lei essere un terrorista del FLA, il temibile
Fronte
di Liberazione Antimonarchico, che mi odia semplicemente
perché
esisto, perché sono un simbolo di un lavoratore super partes
che
porta chiunque, senza distinzioni, compresi i disgustosi funzionari e
compagnia cantante; dunque, sempre parlando per ipotesi, potrebbe
decidere di tirare fuori da quella borsa la sua pistola e spararmi,
bam, così, dritto in faccia. E io non
avrei modo di
difendermi, sono qui, legato da una cintura, in macchina solo con
lei.”
Gli sorrise,
continuando a
guidare.
Ma
l’uomo non sorrise a sua volta. Occhieggiò
anzi
la borsa, poi tornò a posare il suo sguardo sul taxista e
solo
allora replicò: “Penso sia
la
cosa più interessante che ho sentito oggi. E con il lavoro
che
faccio, mi creda, di
cose interessanti ne sento parecchie.”
Cadde
il silenzio. Con crescente nervosismo Naruto
strinse le mani sul volante, lanciò un’occhiata
alla borsa che
l’altro iniziò ad aprire, facendo scattare i
lacci, e spalancò
un istante la bocca, scoprendo di non avere più salivazione.
Accennò
un sorriso incerto, dandosi dell’idiota per la sua smania di
parlare, infine
riuscì a
domandare:
“E che lavoro fa? Spero non il terrorista.”
Rise,
nervoso. Si fermarono in coda al semaforo. Attorno a loro le strade
erano meno frequentate, cartelli di protesta appesi ai muri
più
fatiscenti, come se ogni cosa, ogni centimetro di marciapiede, di
strada, di insegne decadenti fosse stato via
via
dimenticato da quella
fetta di umanità
che si definiva importante e che quindi, di
riflesso,
si
fregiava
del
potere di decidere a
sua volta
cosa fosse
importante e cosa no.
Ma
Naruto non era davvero idiota: era un chiacchierone, certo, un
ottimista inguaribile, un amante del caffè e dei piccoli
rituali
alla ricerca di un soulmate che non avrebbe mai trovato – non
così
almeno, la vita era troppo imprevedibile per piegarsi a un certosino
lavoro fatto di ripetizioni – però
conosceva il mondo, nonostante il mondo non conoscesse lui, taxista
tra i tanti in una città piegata da quelli che, a conti
fatti, era
una microscopica, degenerante, guerra civile.
Non
si sarebbe fatto uccidere sul suo taxi da un colpo di pistola.
Mise la mano sulla
cintura,
pronto a far scattare il gomito prima che l’altro, con il suo
cappotto pulito, i suoi guanti di lana, il cappello bagnato di neve,
potesse tirare fuori l’arma.
Lo scorse armeggiare
nella borsa
fino a che, al click della cintura che rapido
Naruto fece
scattare, l’uomo tirò fuori... un
tesserino.
Un banalissimo,
innocuo
tesserino.
Il taxista si
bloccò. Qualcuno
dietro di lui suonò il clacson, così
avanzò sebbene a rilento, con
i muscoli in tensione che cercavano di rilassarsi senza riuscirci.
Poi il passeggero
spiegò, in un
fluire morbido di parole, ma allo stesso tempo espresse con decisione
quasi guerriera, antica, di chi si prepari con ascia e scudo a
proteggere terre selvagge: “Sono un giornalista.”
Sentendo il nervoso
defluirgli
simile a veleno dalla punta delle dita, persino da quelle dei piedi,
Naruto balbettò qualcosa di inconsistente fino a che nel
mezzo del
traffico rise, una risata un po’ sconnessa, e scosse la testa
quasi
lacrimando: “Oh... oh, ok, capisco, cavoli. Phew, un
giornalista.”
Ignorando il
sopracciglio
sollevato con disappunto dell’altro, Naruto lanciò
un’occhiata
al tesserino con il numero di appartenenza all’Ordine:
“Sasuke
Uchiha. Giornalista.”
Gli piacque come
suonarono quelle
parole, preannunciavano l’inizio di qualcosa. Ogni nome e
cognome
secondo Naruto possedeva musicalità nascoste, da pronunciare
così,
durante una conversazione, similmente a un incantesimo.
Il giornalista in
questione
ritrasse il tesserino, forse non aspettandosi che il guidatore
leggesse così in fretta, e dopo aver assottigliato gli
occhi,
pensoso, ribadì con un mezzo sorriso trionfante di
realizzazione:
“Aspetta. Ah, la pistola. Pensava che davvero avessi una
pistola?”
Colto in fallo, ma
troppo
orgoglioso per cedere terreno, Naruto sentì suo malgrado di
arrossire fino alla punta delle orecchie, però fu veloce a
replicare: “Sasuke, vai in giro nel peggio quartiere della
città,
troverei strano il contrario casomai, che tu non abbia una
pistola.”
Non si rese nemmeno
conto di
avergli dato del tu, né di aver adottato un sorriso sornione
che
faceva venire all’altro voglia di prenderlo a schiaffi. Fu
forse
per questo che Uchiha incrociò le braccia al petto, o forse
perché
più schivo di quanto volesse far intendere.
“Certo che
hai sempre da
ribattere, eh?”
“Beh, non
sono il solo qui
dentro” rispose l’altro, sbattendo le palpebre
senza smettere di
sorridere.
Non
gli era sfuggito che pure Sasuke gli aveva dato del tu, sebbene in
quel momento avesse
roteato gli occhi apparentemente spazientito, o rassegnato, magari
ambedue le cose. Tutto sommato, non sapeva bene perché,
però si
sentiva di sorridere di
fronte a quel gesto:
non ridere di lui, o della situazione, bensì semplicemente
provare
quell’istintivo bisogno di esternare una propria condizione
di
felicità, più genericamente di benessere. Un
inclinarsi
delle labbra verso l’alto. Assurdo quanti sentimenti vi
fossero
racchiusi in un movimento muscolare.
Prima
che potesse aggiungere altro, però, il giornalista si
abbassò per
vedere meglio attraverso il vetro e confermò che erano
arrivati a
Eight Street. Le macchine parcheggiate erano più che altro
utilitarie, quasi volessero mimetizzarsi con l’asfalto per
essere
ignorate, come il resto della gente che passava lungo i marciapiedi,
affollati a tratti di bancarelle, a tratti di spettatori casuali
della vita che, con atteggiamenti curiosi ma ostili, vicino alle
porte di case e negozi sostavano quasi in attesa che capitasse
qualcosa di grosso; era come se ne avessero la certezza assoluta, con
quelle facce indurite
che squadravano chiunque non fosse memorizzato nel loro sistema di
riconoscimento del vicinato, e volessero essere certi di trovarsi in
prima linea quando tale evento si fosse presentato.
“Non mi
sembra troppo cambiata”
ammise Naruto, meditabondo.
“Lasciami
pure qui” replicò
l’altro, con la mano già sulla maniglia. Ma si era
bloccato,
fissando la strada davanti a sé, come colto da una
riflessione
complessa.
“Sicuro?”
Spostò poi
lo sguardo verso
Naruto, il quale lesse nei suoi occhi una difficoltà quasi
inumana,
ma al tempo stesso una vulnerabilità che gli strinse il
cuore e lo
fece sentire in colpa, come se avesse violato inavvertitamente
qualcosa di privato. Allora Sasuke gli chiese:
“Ti
spiacerebbe attendere che
finisco l’intervista? Mi hanno concesso dieci minuti, sicuro
riuscirò a strapparne di più, ma comunque non ci
metterò molto.”
La
vulnerabilità era sparita,
lasciando solo un’eleganza fiera sul volto dalla pelle
chiara,
forse per gli occhi intensi, notturni, in qualche modo saggi.
Fu in quel momento,
davanti a
quella richiesta, che Naruto si ritrovò a chiedersi se lo
sconosciuto di nome Sasuke Uchiha avesse un soulmate. Se fosse un
marchiato o un tatuato, se cercasse disperatamente, se odiasse farlo,
o se, come lui, avesse preso il tutto come un gioco d’attesa
tra un
caffè e l’altro, un blando intrattenimento, il
gratta e vinci su
cui non si scommetteva più di un dollaro.
Scrollò le
spalle, prima di
rispondere: “No, no, tranquillo. Sai già dove ti
riporterò dopo?”
“Alla mia
sede del giornale. Ti
ringrazio – tirò nuovamente fuori il portafoglio e
gli sporse un
biglietto da visita – questo è
l’indirizzo.”
Naruto lo prese,
osservandolo, e
annuì dopo esserselo messo nella tasca del giaccone:
“Ok, nessun
problema. Ehi, se lì dentro hai bisogno di una mano fammi un
fischio, sosto qui davanti.”
Sasuke
sembrò
ponderare quanto potesse essere udibile un fischio nel mezzo di una
casa, per quanto costruita
con
sommaria edilizia, ma non obiettò, limitandosi
invece a ringraziarlo
con un cenno. Fece un breve sospiro ma
prima di uscire si tolse cappello e guanti, quasi per nobilitare la
propria figura rispetto al freddo invernale, dunque
si ravvivò i capelli umidi schiacciati e
aprì lo sportello.
Si
voltò verso il taxista e gli chiese: “Come ti
chiami?”
“Naruto
Uzumaki.”
Sperò che
il suo nome e cognome
suonassero altrettanto musicali. Si sentì un po’
sciocco, un
trentenne sognatore nel ben mezzo di un quartiere al tracollo. Ma gli
piacque sentirsi così, vivo.
“Piacere,
Naruto Uzumaki.
Grazie del favore, ci vediamo dopo” rispose
l’altro, dopo averlo
guardato un istante.
Il
taxista lo osservò
scendere: fu allora, nel
movimento fluido prima di chiudere la portiera,
che gli vide il palmo delle mani. E
una macchia nera su quello destro.
Sasuke
era un Macchiato.
Naruto sentì lo stomaco contrarsi, affossato fin dentro le
viscere.
Provò
un senso così profondo di delusione e
d’ingiustizia cosmica di
fronte alla lampante consapevolezza, arrivata come uno schiaffo in
pieno viso, che Sasuke sì cercava un soulmate ma…
non sarebbero
mai stati l’uno dell’altro. Si dette
dell’idiota per quella sua
facilità a illudersi, quel suo interesse momentaneo che con
altrettanta rapidità poteva mutare in amore senza speranze.
Con
un nodo allo gola
tirò giù il finestrino e gli urlò,
prima che l’altro entrasse:
“Ti vado a
prendere un caffè
nel frattempo? Io ne berrei uno per ammazzare il tempo.”
Un’ultima,
stupida conferma.
Scoprì di
non voler sentire la
risposta. Ma tanto valeva scivolare un po’ di più.
Sasuke lo
guardò un istante
stranito, poi scrollò le spalle e gli urlò:
“Ok, va bene – ci
pensò un istante – un americano. Con almeno due
bustine di
zucchero. Quando arrivo ci aggiustiamo per quello che hai speso
assieme a quanto già ti devo.”
Con la voglia di
piangere Naruto
gli sorrise, annuendo, meravigliandosi per quel senso impeccabile di
correttezza dell’altro, ma al tempo stesso avvertendo il
groppo
alla gola tramutarsi in una morsa. Appoggiò le mani sul
volante dopo
aver richiuso il finestrino, appoggiandovi la fronte sopra.
Sentì
l’ironia profonda di
tutta quella situazione, perché non solo aveva avuto la
conferma
definitiva che il giornalista Sasuke Uchiha, incontrato per caso in
una città di milioni di abitanti, non avrebbe mai cancellato
le
scritte dal suo braccio, né lui il suo inchiostro, ma ora si
ritrovava lì, da solo, in un quartiere dimenticato da una
buona
parte di quei milioni di esseri umani della metropoli a dover cercare
un caffè promesso, nonostante la sola idea di berlo ormai lo
faceva
vomitare.
Ciononostante si
ricompose.
Riaprì gli occhi e uscì dopo aver parcheggiato
meglio l’auto,
sperando che nessuno dei molteplici osservatori sui vari marciapiedi
gliela rubasse, dunque andò alla prima caffetteria trovata
all’angolo, prese quel che doveva, e dopo aver messo le
bevande
nell’abitacolo si risolse ad aspettare.
Non finì
neanche di pensare a
come avrebbe ingurgitato del caffè amaro come la sua vita in
quel
momento che sentì all’improvviso degli spari.
Sollevò la testa di
scatto e di riflesso avviò il motore, sentendosi
scioccamente come
il complice di una rapina, pronto a scappare col bottino e il suo
socio in arrivo correndo con un sacco di bigliettoni. E in effetti il
suo socio arrivò, anche correndo, ma senza bigliettoni
bensì
gridandogli secco:
“Riparti,
Naruto, riparti!”
Dimentico dei
caffè, del groppo
in gola e della sequela di disillusioni della sua esistenza,
galvanizzato dall’adrenalina Naruto aprì lo
sportello a Sasuke che
si infilò dentro con il cappotto aperto, la sciarpa che
minacciava
di cadergli a terra e la borsa sempre strabordante ma con carte che
uscivano come se cercassero di scappare.
Qualcuno lo aveva
inseguito,
rapido, feroce e, prima che Naruto riuscisse a immettersi in
carreggiata, sparò loro dietro. Fu Sasuke a fargli abbassare
la
testa.
In quel preciso
istante vennero
inondati da schegge di vetro schizzate dal parabrezza infranto: un
proiettile aveva perforato il parabrezza posteriore, percorso in
lunghezza l’abitacolo per poi uscire attraverso il parabrezza
anteriore, mancando i due passeggeri per un soffio.
“Cazzo!”
esclamò Naruto, schiacciando però
sull’acceleratore mentre si
sparava
in strada con la macchina, ricevendo colpi di clacson di chi non
aveva ancora realizzato di trovarsi nel mezzo di una sparatoria e
urla di chi, invece, l’aveva capito eccome.
“Porcaputtana!
Porca di quella
puttana!” esclamò ancora, ma quasi in un
guazzabuglio confuso di
parole mentre il cuore gli stava esplodendo in petto e
nell’abitacolo
aveva iniziato a diffondersi aroma di caffè rovesciato,
mischiato al
freddo della neve che penetrava attraverso i fori del vetro.
Sasuke si era girato
per guardare
se li stessero inseguendo ma scorse solo lo stronzo che gli aveva
sparato diventare un puntino minuscolo nel mezzo del caos. Cercando
di trovare il controllo del proprio respiro si rimise seduto
normalmente, allacciando maldestramente le cinture perché
ancora,
nonostante gli anni e i rischi, le mani gli tremavano.
“Stai
bene?” domandò infine
spostando lo sguardo verso Naruto.
Questi non si
voltò a guardarlo,
impegnato a schivare macchine e allontanarsi il più
velocemente
possibile da lì, anche se avrebbe tanto voluto fissarlo
negli occhi:
“Tu mi chiedi se sto bene? Cazzo, ho… –
cercò di trovare le
parole ma vedere un buco di fronte a lui dove era poco fa passato un
proiettile destinato alla sua testa non lo stava aiutando –
ho la
macchina a pezzi perché ci hanno appena sparato. Sparato!
Sto bene
nel senso che sono vivo, ma se non mi devo cambiare le mutande
è
solo perché… non lo so, perché ero
troppo impegnato a non venire
traforato per aver tempo di cagarmi addosso! Chi dovevi intervistare,
eh, il leader del FLA con tutto il suo corteo di terroristi al gran
completo?”
Domandò,
quella volta voltandosi
con gli occhi azzurri spalancati e una specie di sorriso isterico.
Tutto sommato, nel
sentirlo
parlare e per la complessa assurdità della situazione, senza
volerlo
a Sasuke scappò una mezza risata.
“E
che cazzo ti ridi?!” gridò
ancora Naruto, esasperato, anche se il sorriso isterico permase,
trasformandosi contro la sua volontà in un sorriso vero e
proprio.
Al
che Sasuke rise definitivamente e scosse la testa, muovendo una mano
come per fermarsi: “Ok, ok, scusa, è inappropriato
ma fai delle
facce assurde e quello che hai detto, beh, mi ha fatto ridere
– si
umettò le labbra, ritrovando una parvenza di
tranquillità per poi
ammettere con serietà eccessiva, come per bilanciare
– comunque
sì, stavo intervistando Edward Johnson, che
secondo molteplici fonti potrebbe essere il vice.”
Si morse un labbro.
Finalmente
ormai lontano dalla zona ovest, Naruto inchiodò vicino a un
marciapiede e si voltò a guardare Sasuke, incerto se
ammirarlo, se
mandarlo a fanculo, se mordergli a sua volta il labbro e
strapparglielo via perché... cazzo, era più bello
di quanto potesse
tollerare, o se chiedergli cosa gli passasse per la testa per
decidere di
andare direttamente nella bocca dell’inferno.
“Che cazzo
gli hai detto per
farti sparare addosso?” fu invece tutto quello che
riuscì a dire.
Con
serietà ritrovata e una sorta di profonda riflessione,
l’altro gli
rispose: “Che approvavo il suo pensiero per quanto riguarda
la
disparità delle leggi tra chi ha il
soulmate e chi no, ma la sua piega terroristica era inaccettabile e
prima o poi lo avrebbero fatto fuori – schioccò la
lingua,
apparentemente imperturbato – ecco, forse questo non dovevo
dirglielo, ma rimanere imparziale, credimi, è difficile.
Però ho
l’intervista registrata, verrà fuori un
bell’articolo”
constatò
ancora, tirando un breve sospiro e riprendendo ad assumere
quell’aria
di superiore intelligenza, come se la sua mente brillante
fosse destinata consapevolmente a grandi cose. Pur trovandosi in
un’auto ammaccata, che puzzava di caffè e
vagamente di polvere da
sparo.
Naruto
appoggiò la testa contro
il sedile e dopo un istante scoppiò a ridere, quella volta
senza
trattenersi.
“Tutto
questo ti fa ridere?”
sbottò l’altro, dimentico che prima aveva fatto la
stessa cosa.
“Sì
– ammise tra una risata
e l’altra, asciugandosi le lacrime dagli occhi –
è che, sai, ti
vedo arrivare quando ti ho preso tutto molto figo e composto, con il
tuo può portarmi al 112
di Eight Street –
scimmiottò divertito la voce impostata di Sasuke
– e poi te ne
esci con queste dichiarazioni arrabbiate, convinte, sai, di chi non
ci sta e ti fai addirittura sparare addosso.
Insomma…” lo guardò,
la risata divenne un morbido sorriso e la voce più
contenuta, quasi
una confessione detta sulla punta delle labbra “sei proprio
un bel
tipo.”
Anche
se non berrai mai il caffè senza zucchero, anche se non
sarò certo
io a farti sparire la macchia scura sulla tua mano.
Sasuke
sorrise. Un sorriso schivo, dopo il quale scosse appena la testa e,
per effetto, più
cercava di contenerlo, più il sorriso si allargava,
quasi di chi non fosse abituato a farlo ma gli piacesse troppo
per rinunciarvi:
“Ce lo ricorderemo per anni, eh? Anche tu non sei stato male,
sei
partito con un bello sprint.”
“Non
sono stato male? Sono stato leggendario vorrai dire, già
solo per il
fatto che non ti ho lasciato a piedi appena sentiti gli
spari”
ammise Uzumaki
con orgoglio, per poi chiedergli dove accidenti Sasuke volesse ancora
andare, se a farsi sparare da qualcun altro giusto per completare
l’opera d’arte sul suo taxi scassato, o tornare
effettivamente
alla sede del giornale.
Sasuke optò
per la seconda
scelta, aggiungendo: “Ti porterò a riparare
l’auto. E… a
lavare. Mi spiace per il caffè, quanto ti devo?”
Di nuovo la sua
correttezza
precisa. Naruto sospirò mentre proseguiva lungo la strada,
sentendo
l’impulso frivolo, di chi amava la vita e le persone, di
baciarlo
per la serietà e la correttezza che Sasuke ci metteva.
“Lascia
stare il caffè. Se
vuoi possiamo vederci per una birra un giorno”
buttò lì con fare
casuale.
Pensò
che magari il giornalista gli avrebbe risposto che era troppo preso
a farsi uccidere anche dai filomonarchici per bilanciare gli
equilibri karmici della sua persona.
“Una birra,
eh? Stasera sei
impegnato?”
Per poco
l’altro non si strozzò
con la sua stessa saliva: “Beh, stasera pensavo di andare al
Murphy’s con alcuni amici, ma…”
“Il
Murphy’s quello su
l’Adison Avenue?” lo interruppe l’altro.
“Sì.”
“Beh,
è un pub, c’è la
birra, mi pare perfetto. Ti raggiungo lì, il tempo oggi di
preparare
l’articolo, mettermi d’accordo con la carrozzeria
per la tua auto
e lavarmi.”
“Oh.
Wow, ok – il cuore gli aveva fatto una capriola assieme allo
stomaco, o forse viceversa, non capiva bene e tutto stava accadendo
parecchio in fretta per uno abituato ad attendere l’amore
della sua
vita un caffè alla volta – andata. Ci
sto” annuì, con
gli
occhi luminosi.
La
sua vocina interiore gli ripeteva di non essere stupido, di non
innamorarsi come al suo solito di cause perse, ricordandogli
che
Sasuke agiva
con tanta urgenza solo per mettere a posto la faccenda della
macchina,
ma la mise a tacere, soffocata da quel senso di trionfante
felicità
che gli chiedeva, affamato
d’amore,
di godersi il momento e basta.
“Sempre
che non
ti scocci, prometto
che
non ti ruberò molto tempo dagli altri”
rettificò l’altro, come
ripensandoci.
“Ma
va – esclamò in fretta Naruto – noi
saremo lì dalle 20,00 per mangiare qualcosa. Ti
aspetto.”
Erano arrivati di
fronte alla
sede del giornale, un bell’edificio elegante incassato tra
alti
grattacieli e strutture importanti, di quelle dove sembrava dovesse
decidersi il destino del mondo.
Per un istante nessuno
dei due
parlò, infine Sasuke si slacciò la cintura e
confermò: “Ti
raggiungerò dopo allora – sembrò
tentato di chiedergli qualcosa,
lo guardò, poi ci ripensò – grazie
ancora per oggi. So che se ci
fosse stato qualcun altro al posto tuo con ogni probabilità
non mi
avrebbe aspettato. Ti devo molto più di un
caffè.”
Aprì
lo sportello prima che Naruto potesse dire qualcosa. Questi
recepì
nuovamente
quella sfumatura di carattere schivo che si apriva di
rado,
ma quando lo faceva intendeva ogni singola parola pronunciata.
Sorrise, per poi sospirare dopo che si salutarono.
Se, chiedendo a Naruto
Uzumaki di
parlare di sé, questi avesse detto di trovare straordinaria
la
propria modesta esistenza, avrebbe detto il vero.
Se
a Sasuke Uchiha avessero chiesto la stessa cosa, nell’affermare
di essere una persona modesta con una vita semplice… beh, Sasuke
Uchiha
avrebbe mentito.
Ma
d’altronde va così: non sempre si rivela tutto
quello che si
pensa. Soprattutto, a
volte
nemmeno la scienza postulava
teorie corrette, per questo a volte occorreva
rivederle sulla base di casuali, complicate e imprevedibili
eccezioni. Naruto e Sasuke, infatti,
sarebbero stati una di quelle.
Sproloqui di una zucca
Questa fanfiction, che
sarà di quattro capitoli piuttosto lunghetti, è
per Angelica che mi ha ispirato tantissimo e, inconsapevolmente,
spronata a tornare a scrivere, soprattutto di personaggi di cui ogni
volta credo di averne abbastanza e che invece finiscono per non
stancarmi mai. Tanti auguri di Buon Natale, Angelica, spero davvero che
questa storia ti piaccia e possa trasmetterti qualcosa.
Grazie a tutti per
aver letto <3
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