A
dodici anni, Remus Lupin si guarda allo specchio e si sente sporco,
indegno di definirsi umano. Le cicatrici ancora
fresche sul
suo pallido viso e sulle sue braccia esili sono il marchio di
un'innocenza rubata, di un morbo onnipresente e del disgusto che
prova verso se stesso.
Eppure i suoi occhi rimangono sempre
asciutti, spogli di lacrime. La vita ha costretto Remus a crescere
troppo in fretta, convincendolo che piangere significherebbe
ammettere di essere deboli – lui si vede
già come un giovane
uomo che non può abbandonarsi a tali fragilità
– e ammettere
di esseri umani – lui umano non si sente affatto,
non con quel
mostro che si annida al di sotto della sua carne e che non merita
neanche la consolazione del pianto.
A
diciannove anni, di tanto in tanto Remus piange; dopotutto non
c'è
molto da fare quando la guerra continua a mietere vittime, quando
ogni giorno porta con sé il nome di un membro dell'Ordine
della
Fenice scomparso o caduto in battaglia.
Eppure
non si abbandona mai a un vero e proprio pianto; si limita a
lasciarsi scivolare le lacrime sulle guance per qualche secondo prima
di sfregarsi le nocche sulle palpebre e ingoiare il dolore, quel
dolore silenzioso e messo a tacere che gli brucia le ossa come una
febbre per la quale non esiste cura.
A volte, Remus non può fare
a meno di chiedersi cosa proverebbe ad esplodere e riversare fuori
tutti i suoi mali attraverso le urla e i singhiozzi, come faceva da
piccolo quando si risvegliava da un incubo.
Forse
non riesco a piangere davvero perché non sono davvero umano.
È
un pensiero che ha rivelato a voce alta solo a Sirius, ricevendo in
risposta uno sguardo contrariato e un brusco; -Smettila con queste
cazzate, Rem. Non permetterti mai più di dire una cosa del
genere.
Tu sei umano quanto tutti noi, forse più di tutti noi.
Quelle
parole, per Remus, valgono quanto un ti amo.
Il
suo modo di ringraziare Sirius è afferrarlo per la vita e
tirarlo a
sé, fino a ricadere entrambi sul letto dalle coperte sfatte
e
annegare in un bacio famelico in cui le loro labbra tremano
all'unisono.
Quando Remus affonda il viso nell'incavo del collo di
Sirius, il profumo della sua pelle gli fa perdere la testa.
Più che
innamorato, si definirebbe assuefatto da lui; assuefatto dal modo in
cui le dita del ragazzo danzano sul suo corpo, da quei capelli
d'onice in cui ama affondare le mani, da quei lineamenti arroganti e
quegli occhi languidi che sembrano divorarlo solo con lo sguardo.
In
quelle notti che sono tutte loro, notti in cui ringraziano di essere
ancora vivi e di potersi ancora stringere l'uno all'altro, Remus e
Sirius si abbandonano al loro istinto animale e al bisogno di
lacerarsi, mordersi, graffiarsi la schiena a sangue, urlare –
urlano senza ritegno persino quando passano la notte insieme al
Quartier Generale dell'Ordine della Fenice, al punto che James li
prende spesso in giro durante la colazione – Vedete,
se mettete
insieme due bestie in calore come questi due il risultato non
può
che essere un'accoppiata esplosiva! – facendo
ridere Lily,
Sirius e Peter e facendo arrossire Remus.
Eppure,
nel momento in cui il fuoco liquido dell'orgasmo si dilegua
lasciandoli sudati e affannati tra le coperte, la passione si spegne
come braci morenti al suolo e Remus sente l'istinto animale lasciare
spazio alla tenerezza che gli strazia lo stomaco.
Ama
osservare Sirius che dorme disteso accanto a lui, con il viso
illuminato dalla luce di una lampada o dai raggi del sole di
mezzogiorno che filtrano attraverso le persiane. Ama poggiare un
bacio tra i suoi capelli scarmigliati, ama sfiorare lentamente i suoi
zigomi e le sue tempie cercando di imprimere in quel tocco tutti i
sentimenti che strepitano dentro di lui e che è
così difficile far
trapelare attraverso le parole.
Ama il modo in cui il braccio di
Sirius si stringe intorno alla sua vita mentre dormono insieme. Ama
quei baci roventi che gli ricoprono il collo e che sembrano
letteralmente bruciargli la pelle nella loro intensità, come
un
incendio che devasta tutto ciò che trova sul suo cammino,
come un
terremoto che lo sconquassa fino alle viscere e lo ingloba
nell'estasi tanto decantata dai poeti; l'estasi dell'amore, il
miracolo della pelle contro la pelle.
Quando
Sirius è al suo fianco, Remus sente di poter dimenticare
l'odio
verso se stesso e la diversità che ha creduto potesse
condannarlo a
un'esistenza di solitudine.
Quando
Sirius è al suo fianco, Remus sente di potersi definire
almeno in
parte umano.
A
ventuno anni, Remus ha occhi vestiti di anedonia che fissano assenti
il ritaglio di una pagina di giornale. La sua mente annebbiata fa fatica ad
afferrare il significato di quelle parole, a ricostruirne il senso
logico – dodici Babbani morti nell'esplosione...
Peter Minus...
solo un dito... Black... Azkaban...
Con
gesti lenti e meccanici, Remus attraversa la stanza, poggia il
giornale sulla scrivania, rimesta le braci del fuoco scoppiettante
nel camino con un attizzatoio, poi va a sedersi sul bordo del letto e
rimane lì con lo sguardo perso nel vuoto.
Passa
qualche minuto prima che la sua mente inizi pian piano a
risvegliarsi; prima arrivano lievi punte di spillo, poi lame roventi
che gli squarciano la nuca e lo costringono a piegarsi in avanti, i
pugni chiusi e gli occhi serrati, il viso contorto dal dolore.
James.
James
è andato, perduto per sempre. Perduta la vena canzonatoria
della sua
voce, perduti gli occhiali squadrati che gli scivolavano sul naso,
perdute le lacrime silenziose che gli hanno bagnato il viso quando
è
nato Harry.
James, che quando ha scoperto della sua natura di lupo
mannaro lo ha abbracciato in un impeto di affetto fraterno –
l'affetto di cui Remus, fino a quel momento, non si era mai accorto
di aver bisogno.
Lily.
La
sua risata cristallina non esiste più – non
esisterà mai più.
Persi i suoi occhi di smeraldo, perite le braci dei suoi capelli.
Lily,
che elargiva sorrisi gentili a tutti e che poco prima dei M.A.G.O. si
era offerta di dare ripetizioni a un Peter in piena crisi di
nervi.
Peter... Peter, le cui gote andavano a fuoco quando
un professore gli faceva un complimento e i cui occhi azzurri
brillavano quando James, Sirius o Remus gli scompigliavano
affettuosamente i capelli.
Peter, così puro, così apparentemente
fragile. Peter, che si è dimostrato più
coraggioso di tutti loro.
Peter,
il cui unico peccato è stata l'innocenza.
Se ne sono andati, se
ne sono tutti andati. Tutte le persone che hanno infuso colore alle
sue giornate e reso la sua vita degna di essere vissuta, tutte le
persone senza le quali forse Remus sarebbe arrivato a contemplare
l'ipotesi di affondarsi una lama nella carne e morire con il sangue
coagulato sulle braccia.
Spariti come cenere al vento, come se non
fossero mai esistiti. Di loro rimarranno solo i ricordi – ma
cosa
te ne fai dei ricordi quando tutto ciò di cui hai bisogno
è che le
persone che hai amato continuino ad essere carne, ossa e sangue,
suono di passi che si avvicinano, voce e profumo che riempiono la
stanza?
Sirius.
Come
conciliare il ricordo di quel giovane brusco, impetuoso ma dall'animo
nobile con l'immagine del pazzo che ha venduto James e Lily a
Voldemort e ha ridotto a pezzi Peter?
Per un po' Remus fatica a
razionalizzare quell'atroce verità. La sua mente vacilla,
inciampa
su sentieri infidi, s'impiglia tra rovi spinosi, come se sangue nero
defluisse dalle sue sinapsi riempiendogli le orecchie d'un rombo
cupo.
Quando viene trafitto dalla consapevolezza di aver amato un
assassino, la bile gli contorce lo stomaco e gli
risale su per
la gola. Non ricorda di essersi mai sentito così empio in
vita sua,
come se la vera anima da diavolo di Sirius Black – un'anima
sporca
come il suo nome, come le mani da traditore alle quali Remus si
è
affidato senza remori – avesse annerito e marcito la sua
stessa
epidermide.
Forse ho amato un mostro perché io stesso sono un
mostro. Forse le nostre anime si sono in qualche modo riconosciute.
Forse...
Nonostante la stanza sia riscaldata del fuoco, Remus
inizia a tremare violentemente. Tremano la sua gola, tremano le sue
gambe, tremano le sue mani che torturano i lembi del corpiletto.
Tremano i suoi lombi, tremano le sue ciglia, tremano le sue pupille
–
e finalmente Remus scoppia a piangere.
Un pianto vero, catartico,
in cui Remus si lascia cadere in ginocchio con la vista annebbiata
dalle lacrime e le spalle scosse da singhiozzi convulsi, intervellati
da brevi urla intrise del dolore di chi ha perso tutto, di chi
è
morto senza morire.
Piange, Remus, piange senza vergognarsi di non
essere abbastanza uomo. Ed è allora che capisce; a renderlo
umano
non è l'amore che ha creduto di aver condiviso con Sirius,
ma il
dolore unito al senso di colpa per essersi fidato della persona
sbagliata – perché un vero
mostro non può provare un tale
dolore e un tale senso di colpa.
Quando le lacrime si seccheranno
i suoi occhi torneranno a rivestirsi di anedonia – ma ora la
sua
gola brucia, le sue labbra sono invase da un sapore salato, le sue
unghie spezzate lacerano il pavimento e Remus non si è mai
sentito
più umano e più degno della
consolazione del pianto.
*
NdA
Pacchetti
del contest
1 PERSONAGGIO
= Remus Lupin
2
AVVERTIMENTI/SOTTOGENERI = Romantico
3
PROMPT = Pianto
All'inizio
pensavo di scrivere una storia più breve, dai toni sempre
tristi ma
un po' più leggeri, invece mi è uscita questa
roba. Credo di
esserci andata pesante con l'Angst. (Ultimamente ne sto facendo
incetta, dovrei distaccarmene e darmi al genere Fluff)
Mi
sono
divertita parecchio a scriverla, anche perché non avevo mai
trattato
il tema della solitudine di Remus dopo la morte di Lily e James e il
presunto tradimento di Sirius.
Piccola
precisazione; mi sono concessa la licenza di mettere insieme Remus,
Sirius e gli altri personaggi in questo quartier generale, da me
immaginato come una casa dove le persone, per questioni legate alle
missioni e alle riunioni dell'Ordine della Fenice, potevano fermarsi
a dormire per qualche notte. (Insomma, un po' come Grimmuald Place)
Spero
che
abbiate apprezzato la storia, ringrazio chiunque lascerà una
recensione :)
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