Era
buio pesto nella stanza quando la sveglia sul comodino segnò
le tre del
mattino.
Alexis
però non dormiva quella notte: era seduta sul bordo del
letto, una mano tra i
capelli scompigliati ed il letto sfatto alle spalle. Quelle lenzuola
sembravano
raccontare una storia, una che Alexis non era disposta ad accettare
né tanto
meno ad ammettere a sé stessa: andava tutto bene, si
ripeteva come un mantra
consolatorio.
Era
tutto okay, sussurrava al soffitto durante le notti insonni, stringendo
forte
il cuscino al petto, consumata da un calore improbabile a
metà dicembre.
Quel
letto scomposto era testimone di quanto nell’ultima settimana
la ragazza fosse
stata privata del sonno. Non le veniva facile e, quando accadeva, anche
i suoi
sogni erano occupati da un riff di chitarra familiare che si ripeteva
in loop,
quasi a volerla deridere.
Alexis
si passò una mano su entrambe le guance, trovandole
accaldate e rigate di
lacrime che non ricordava di aver pianto.
La
parte peggiore era che non erano dovute alla tristezza, oh no,
tutt’altro:
avevano origine da un fattore molto più impuro che le faceva
stringere il copripiumino
con intensità. Non a caso era stata svegliata di soprassalto
da un sogno
particolarmente vivido, il fantasma di un paio di labbra bollenti che
pareva
aleggiare ancora lungo il suo collo, come un marchio. Alexis si
sfiorò la gola,
tremando.
Era
consapevole da un bel po’ di essere tremendamente attratta da
Derek e poteva
fare pace con quel tipo di sentimento: era puro e semplice desiderio
carnale,
non c’era niente di profondo in tutto ciò.
Poteva
gestirlo e continuare la sua vita con rassicurante serenità,
o quasi.
Eppure
Alexis sapeva già da un po’ che le cose avevano
superato lo status quo,
evolvendosi in un modo quasi ingestibile. Non aveva più il
controllo delle sue
emozioni e i segreti urlavano per venire a galla. Lo sentiva ogni volta
che
beveva qualche bicchiere più del solito durante un sabato
sera: le parole
pretendevano di scorrere a briglia sciolta e mettere fine alle sue
pene.
Alexis,
dal canto suo, era fermamente convinta che quello sarebbe stato
l’equivalente
di gettarla giù da un dirupo più che una
liberazione da quella sensazione di
soffocamento che la prendeva alla sprovvista se pensava a lui nel
momento e nel
modo sbagliato. Ogni volta era cauta e attenta a costruire con
meticolosità un
muro di cinta attorno di sé.
Era
stancante, era frustrante.
Era
schiacciante.
Non
era sicura del perché se la stesse prendendo così
male: mai nella sua vita era
rimasta paralizzata davanti ad una cotta.
Alexis
si ritrovò a ridacchiare senza allegria, portandosi entrambe
le mani a coprire
la bocca: definirla cotta era un’offesa bella e buona alla
sua intelligenza.
Non
era mai stata “solo una cotta”
con Derek.
I
sentimenti che provava erano di natura profonda e non le lasciavano
scampo, era
una falena condannata ad essere attratta dalla luce in modo
ineluttabile.
Si
massaggiò gli occhi stanchi con i palmi delle mani,
deridendo quel suo essere
melodrammatica: era forse tornata ad essere la ragazzina spaventata del
primo
anno?
Così
terrorizzata dal fatto di essersi innamorata di una persona
inaspettata- del
suo migliore amico? Paralizzata dalla paura di non essere
ricambiata e di
rovinare uno dei rapporti cardine della sua vita, andando a scatenare
un
effetto domino che l’avrebbe fatta tornare sola?
Oh,
Leighton l’avrebbe presa verbalmente a calci nel sedere se
avesse potuto
sentire quei pensieri e a buona ragione. E che avrebbe detto della sua
insonnia
da una settimana a quella parte?
O
di come fosse scappata dal locale con la coda tra le gambe dopo aver
sentito
Derek cantare quella canzone in particolare?
Che
l’avesse fatto inconsapevolmente o meno, il ragazzo aveva
colpito e fatto un
centro perfetto su un nervo scoperto.
Ad
essere onesta, Alexis sospettava- era quasi certa- che niente di quella
sera
fosse stato casuale, dalla scelta della serata a quella dei brani. La
ragazza si
mise le mani sul capo, lasciandole scivolare sui ricci resi crespi
dall’umidità. Li appiattì con movimenti
nervosi.
Alex
Turner doveva essersi trovato in una bella situazione del cazzo per
trovare
l’ispirazione per quella dannatissima canzone. Oppure no,
niente era sicuro.
Si
tirò piano i capelli: stava sragionando. Era sicura che la
mancanza di sonno
perturbasse la sua lucidità e le facesse galoppare i
pensieri a braccia aperte
incontro all’incoerenza. Bevve un sorso d’acqua
dalla bottiglia poggiata sul
tappeto, lasciandosi scivolare a terra, la schiena poggiata al telaio
del
letto.
Sospirò,
la testa contro il bordo del materasso, occhieggiando il soffitto, con
la
sconfitta nello sguardo. Era così presa ad insultarsi e a
canticchiare “Do I
Wanna Know?” degli Arctic Monkeys sottovoce che
sussultò, impaurita dalla
vibrazione del suo stesso cellulare.
Si
portò una mano al petto per calmare il cuore impazzito
mentre si allungò ad
afferrare il telefono, borbottando un sonoro «Dannate
notifiche».
Sbloccò
lo schermo con noncuranza, convinta che fosse una qualche notifica di
Instagram.
Non
appena scorse verso il basso il menu a tendina le scivolò il
cellulare dalle
dita, finendo a terra con un tonfo sordo, attutito appena dal tappeto.
Il
cuore aveva ripreso a galoppare impazzito, mentre la luce violacea
lampeggiava come
a schernirla, segnando l’arrivo di un nuovo messaggio.
Erano
quasi le tre del mattino di un giovedì’, chi
poteva essere così pazzo da essere
in piedi, oltre a lei? Il cuore perse un battito, tamburellando ancora
più
forsennato per ricordarle che conosceva perfettamente la risposta.
Aveva solo
intravisto l’iniziale del nome del mittente e le era bastato
per capire.
Picchiettò
le dita sulle ginocchia ansiosa, fulminando il cellulare come se da un
momento
all’altro si fosse potuto avventare su di lei ed azzannarla.
L’aggeggio
vibrò un’altra volta, prima che comparisse la
schermata di chiamata. Durò
qualche secondo appena e presto la stanza ripiombò
nell’oscurità.
Con
respiro tremante, agguantò il telefono come se fosse una
bomba a mano.
C’erano
due messaggi di Derek.
Il
ragazzo aveva messo in chiaro che non aveva sbagliato mittente: il
secondo
recitava qualcosa come “So che sei ancora sveglia, Lexi, me
lo sento. Possiamo
parlare? A meno che non ti stia disturbando”. Difficile
capire se fosse ubriaco
o semplicemente uscito di senno.
Le
arrivò un terzo messaggio mentre giocherellava senza sosta
con la cover.
Ad
Alexis si azzerò la salivazione.
Prima
ancora di poterlo leggere, il cellulare prese a vibrare nuovamente, una
chiamata in entrata proprio da parte di Derek. Ci furono diversi
squilli a
vuoto prima che Alexis riuscisse a premere con dito tremante il tasto
verde.
«Hey,
ciao» rispose la ragazza con
tono esitante.
Si
sentì un sospiro profondo
dall’altra parte, seguito da una pausa carica di emozioni a
malapena trattenute.
Alexis non poté fare a meno di mordersi le labbra con
ferocia, il fuoco
dell’impazienza che minacciava di bruciarla viva.
«Non
voglio suonare come un pervertito o uno stalker, anche se
sarà inevitabile»
iniziò a dire Derek con tono grave, quasi rassegnato, prima
di fermarsi ancora. «Ma… Sono nel parcheggio
vicino casa tua, ho
due birre. Ti va di scendere?»
Fu il turno
di Alexis di sospirare e
sospettò che quel primo, fatidico sospiro sarebbe stato il
primo di tanti
quella notte. Il cuore riprese il suo ritmo forsennato con urgenza al
solo
pensiero di Derek, notte e sospiri nello stesso spazio. Alexis chiuse
gli
occhi, scuotendo il capo per castigarsi, le unghie premute con
insistenza nel
palmo della mano, cercando invano di scacciare dalla sua mente
qualsiasi
possibile scenario che quelle tre semplici parole potessero evocare.
I secondi si
estesero pigri tra di
loro, ma la mente di Alexis non riusciva a riprendere il controllo, le
emozioni
crude si facevano spazio nel suo petto reclamando a squarciagola la sua
attenzione.
Un ricordo
in particolare stava
scorrendo come un film sotto le sue palpebre chiuse: il concerto della
settimana scorsa al Cherry’s Beat.
Alexis non
avrebbe creduto nemmeno nei
suoi più vividi incubi che la serata sarebbe finita con una
fuga da vigliacca
dal locale, le sue difese assassinate e sanguinanti sul pavimento del
loro pub
preferito.
Footnotes:
Poteva venire
fuori una OS corta ed invece, come al solito, il dono della sintesi non
mi appartiene.
Questa dunque
sarà la prima parte di tre, questa piccola follia mi girava
in testa da luglio dello scorso anno, nonostante il fatto da cui prenda
ispirazione sia avvenuto ancora prima.
Vi siete mai
chiesti "E se...?" ripensando ad un fatto che, col senno di poi, aveva
tutte le carte in regola per diventare qualcosa di meraviglioso? Questa
piccola storia è per tutti voi.
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