Stone's love

di Joy2000
(/viewuser.php?uid=775555)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


nda: ... vabbe le scrivo dopo, godetevi la storia :)

STONE'S LOVE


Corri, corri, vai avanti, ancora, ancora, non mollare. Nasconditi dietro l’angolo. Stringi la ferita. Brucia. Stai perdendo molto sangue…non ce la farai. Ti stanno inseguendo ormai da 2 ore e non ti hanno persa neanche per un istante. Devi correre, ti hanno vista. Non hai più fiato, ma continua a scappare o ti uccideranno. Le strade di Birmingham sono fredde, bagnate e scure, non me le ricordavo così scivolose e strette. Sono quasi claustrofobiche, con l’odore ristagnante di sterco di cavallo. Sono allo stremo. Non ce la faccio più e il sangue non si ferma. Devo nascondermi da qualche parte. C’è un pub.
“Puttana, fermati!” sento da lontano Francis, uno dei due bastardi ai cui devo dei soldi. Mi avevano venduto dell’oppio. Ormai era diventato il mio unico rimedio per prendere sonno. Il problema era che costava troppo. Francis e Jack si erano mostrati disponibili con me e mi avevano fatto credito un paio di volte. Forse tre…o quattro. Ero riuscita a prendere tempo con loro, concedendomi, ed era stato così umiliante e doloroso che mi ero  ripromessa di non rifarlo mai più.
I due sono a dieci passi da me. Entro in fretta nel pub, il barista e tutti i clienti rivolgono il loro sguardo su di me. Per una frazione di secondo non so cosa dire. La ferita mi fa male, credo che il proiettile sia rimasto dentro. Sento le voci dei due uomini sempre più vicine. Ansimo in ansia. Mi volto alle spalle. Sono proprio dietro di me.
“Cazzo!” urlo, mentre corro verso il bancone per chiedere una pistola, ma ormai è tardi. I due uomini mi puntano le loro contro. Rimango immobile, mentre i clienti del pub vociferano fra di loro, creando un fastidioso chiacchiericcio. All’improvviso, dalla saletta privata del pub esce un uomo, sulla trentina, ha un berretto che gli copre alcuni tratti del volto, indossa un cappotto lungo nero, con la pelliccia, e un completo ingessato. Sembra elegante, un uomo altolocato, ma le sue scarpe dimostrano il contrario, sono sporche di fango e piuttosto vecchie. Niente vernice e lacci curati.
“Che succede qui?!” chiede l’uomo col berretto, piuttosto infastidito. Mi guarda e lo guardo impaurita. Poi sposta il suo sguardo su Francis e Jack. Capisco che intuisce la situazione quando lentamente estrae  la pistola dalla fondina, nascosta dal cappotto. La punta ai due uomini che fino a qualche minuto prima mi stavano inseguendo. Osservo la situazione mentre le forze iniziano a venirmi meno, lo sento, ma cerco di rimanere in piedi, e mi appoggio al bancone barcollando mentre mi stringo la ferita. Sudo freddo. Istanti interminabili di agitazione.
“Ci deve dei soldi, 1200 sterline”  ringhia Jack, distogliendo per un secondo il suo sguardo da me.
“è vero?” mi domanda l’uomo con il berretto. Annuisco colpevole.
“Ho già detto ai due signori che glieli renderò quando ne avrò” affermo fingendomi sicura, ma la mia voce trema, così come le mie gambe. Voglio solo chiudere gli occhi e riaprirli fingendo che sia tutto un sogno.
“Brutta puttana! Io ti ammazzo” grida Francis avanzando a passi veloci verso di me. Ho paura, ma le mie gambe non si muovono e rimango paralizzata. Francis mi punta la pistola a un palmo dal naso e io chiudo istintivamente gli occhi sperando che tutto finisca il prima possibile. All’improvviso sento uno sparo. Penso di essere nuovamente ferita, invece no. Apro gli occhi lentamente e vedo l’uomo con il berretto con il braccio destro alzato e con in mano la pistola fumante. Aveva sparato al soffitto. Tutti lo guardiamo ammutoliti. Non sappiamo cosa aspettarci.
“Facciamo così” dice abbassando la pistola. La ripone nella fodera. Poi prende una custodia in oro dalla tasca del pantalone. Estrae una sigaretta e se la passa sulle labbra, come per accarezzarle. Infine la stringe in bocca e l’accende. Aspira e riprende “Vi do 600 sterline e voi ve ne andate dal mio bar”
Jack gli ride in faccia. Francis tiene ancora puntata la pistola verso di me. Il mio cuore è  a mille. Più sangue pulsava, più la mia ferita ne perdeva. Inizio ad essere quasi assente.
“E perché mai dovremmo accettare?” chiede Jack, serio e offeso dalla proposta indecente.
“Perché sono Thomas Shelby e se  non accettate saremo costretti a uccidervi” A quelle parole, pronunciate in tono calmo e pacato tra una boccata di fumo e l’altra, Jack e Francis si mostrano stupiti e impauriti. Non ho mai visto le loro facce sgomente e ho un brivido realizzando che l’uomo col berretto deve essere più cattivo dei due bastardi. A chi si riferisce con quel “saremo costretti”? E perché mi sta salvando la vita? Forse vuole qualcosa in cambio. Thomas Shelby prende dalla tasca interna del cappotto dei soldi, un bel mazzetto di sterline, li porge a Jack, il quale fa cenno a Francis di andare. Francis mi lancia un’ultima occhiata disgustata e indietreggia lentamente seguendo l’amico. Tiro un sospiro di sollievo mentre li guardo uscire dal bar. Sono salva. Almeno per ora.
Thomas Shelby si avvicina verso di me, a passo lento. Sono di nuovo agitata. Non so cosa vuole da me, non so neppure come posso sdebitarmi. Non so se mi vuole far del male... È a una dozzina di piedi di distanza, si toglie il cappello, I capelli sono schiacciati e Thomas cerca di aggiustarseli alla meno peggio. Mi guarda. Ha degli occhi chiari, azzurri, perfetti, ma così freddi ed enigmatici che ne rimango quasi ipnotizzata. L’uomo si avvicina ancora e siamo ad una distanza di un paio di piedi. Mi inizia a girare la testa. Rivolgo subito il mio sguardo alla ferita: aveva preso a gocciolare a terra e stava sporcando il legno del pub. Premo. Il dolore aumenta in maniera considerevole. Guardo il signor Shelby, pronuncio a stento un flebile
“Grazie…”  e poi le gambe smettono di reggermi. Chiudo gli occhi. Cerco di rimanere cosciente ma mi sento come in un sogno. Sento delle voci e quella di Thomas ordina di chiamare un medico. Avverto la sua presa forte sulla mia nuca e sulle gambe. Deduco che mi ha preso in braccio prima che cadessi rovinosamente a terra.
“Resta con me, capito?” mi sussurra nell’orecchio e poi non sento più niente.
Apro gli occhi svegliata da un dolore indescrivibile al fianco. Cazzo Jack aveva fatto proprio centro nel mio addome. Metto a fuoco e mi trovo sdraiata su un letto, circondata da 5 uomini. Un ragazzo sulla ventina, occhi chiari e un fiammifero tra le labbra; un uomo che da poco ha passato  i trenta che sorseggia un bicchiere pieno di quello che credo sia del wishkey; un ragazzo di colore che affianca un uomo, forse il padre e infine Thomas. Provo a muovermi ma il mio viso si contorce in un’ espressione di sofferenza. Thomas mi preme una mano sul braccio e mi intima di non muovermi.
“Adesso bevi questo” mi dice prendendo dall’uomo di prima il bicchiere con l’alcol. Assaggio. Avevo ragione, è wiskey. Ne bevo un sorso. “Bevilo tutto, fidati, me ne chiederai dell’altro”. Faccio come mi dice e lo finisco. Non capisco che sta succedendo. L’alcol mi arriva subito alla testa e mi sento ancora più confusa e annebbiata.
“Jeremiah ti estrarrà il proiettile. Poi ti chiuderà la ferita.” Continua indicando l’uomo di colore. “ Ti farà molto male, adesso ti do una mela da stringere in bocca.” Thomas parlava in modo sistematico e chiaro. Non posso far altro che annuire anche se sono spaventata da ciò che mi verrà fatto. Ma decido di mostrarmi forte. Non conosco Thomas Shelby e non voglio dargli la possibilità di conoscere le mie paure. Non so cosa vuole da me, ma so che non è il caso di abbassare la guardia neanche in un momento del genere.
“Niente mela” affermo secca. “Prendo un altro bicchiere di Wiskey”
Dopo averlo bevuto mi sdraio. Alla mia destra c’è Thomas con gli altri, alla mia sinistra il padre e il figlio. Mi levano la gonna delicatamente e mi alzano la camicia, che il signor Shelby mi tiene sollevata. Sento un ferro bollente che pian piano avanza nella ferita. Voglio piangere, voglio urlare, il wiskey non era abbastanza. Il dolore è indescrivibile e prendo a muovermi spasmoticamente sul letto mentre digrigno i denti e ringhio.
“Arthur, John, tenetela” ordina Shelby ai due uomini che prendono a tenermi le gambe e il bacino per non farmi muovere. Il ferrò era sceso in profondità e aveva toccato il proiettile conficcato nella mia carne. I due uomini non riuscivano a tenermi ferma. Sembravo un cavallo pazzo. A un certo punto Thomas mi preme la mano sulla fronte. Mi blocca la testa e lo fulmino con lo sguardo isterico del dolore. Lui mi inizia a parlare, è delicato, mi dice che andrà tutto bene e che devo respirare lentamente. I suoi occhi sono preoccupati, lo sento. Sento che non ce la farò. Sento che morirò nel mentre, durante l’intervento. Comunque inizio a respirare lentamente cercando di liberarmi del dolore con ogni mio respiro. Sento il ferrò che si allontana sempre di più dalla pallottola e poi all’improvviso sento un suono metallico.
“La pallottola è fuori” afferma Jeremiah. “Isaiah, aiutami a chiudere, sta continuando a perdere sangue” ordina a suo figlio. Mi prende il panico. Mi sento mancare. E guardo per un ultima volta gli occhi freddi di Thomas. Poi tutto nero.
Svegliati, apri gli occhi. Non puoi tenerli chiusi o gli incubi ricominceranno.
Sento delle voci basse e confuse.
“Ha la febbre alta…non scende…dobbiamo stare attenti affinchè superi la notte. Poi il peggio sarà passato”
“Cosa devo fare?”
“controllarla. Potrebbe avere una nuova emmorragia. In tal caso manda Finn a chiamarmi”
“Grazie di tutto Jeremiah”
Sento dei passi. Non riesco ancora ad aprire gli occhi, nonostante la curiosità. Mi sento debole e ho freddo, tanto che inizio a tremare. Ho sete, tanta sete, ma ogni più piccolo movimento mi pesa perché ho il corpo indolenzito. La ferita al fianco pulsa e sarà sicuramente infiammata. Il rumore dei passi è costante, vanno su e giù per la stanza nervosi, perciò decido di aprire gli occhi. Non riesco a vedere subito e inizialmente la figura ha i contorni sfocati. Poi mano a mano diventa più nitida: è Thomas. Adesso si è fermato di spalle al letto su cui sono distesa e si accende una sigaretta. In un soffio lo chiamo, troppo flebile per essere sentito. Ci riprovo: “Signor Shelby” e per lo meno la voce questa volta esce più chiara. Thomas si gira e mi guarda, sembra stupito, ma è difficile a dirsi perché le sue espressioni sono minime. Poi si precipita accanto a me.
“Come ti senti?” mi chiede. Tono serio e sguardo impassibile.
“Acqua per favore” dico subito, avendo paura di perdere di nuovo i sensi. Versa dell’acqua da una caraffa in ottone in un bicchiere di vetro. Poi me lo porta alle labbra e mi aiuta a bere, dopo aver spento la sigaretta.
“Meglio?” domanda. Annuisco. Si siede accanto a me sul letto, delicatamente e io lo guardo sospettosa. Lui capisce e mi spiega “Voglio solo vedere se hai la febbre”. Mi preme una mano sulla fronte e la ritrae subito, preoccupato. “Scotti” si limita a dirmi. “devi riposare”. Facile a dirsi. Appena avrei chiuso gli occhi gli incubi si sarebbero impossessati della mia mente e avrei potuto non svegliarmi più e rimanere intrappolata nel mio inferno. Senza parlare del fatto che ad occhi chiusi non avrei visto ciò che Shelby avrebbe potuto farmi.
“Signor Shelby, devo andare via” pronuncio cercando di essere convincente. Thomas si alza e mi guarda dall’alto con le braccia incrociate, ancora una volta non capisco cosa pensa. I suoi lineamenti duri sono immobili e non proferisce parola. Per questo provo a scoprirmi e ad alzarmi seduta sul letto. Una fatica immensa, che compio a denti stretti, cercando di non mostrare troppa sofferenza. Ce la faccio. Ho le spalle contro il cuscino che mi tiene dritta. Ho le braccia scoperte e tremo come una foglia. Me ne accorgo, ne sono consapevole, ma il desiderio di andarmene è più forte del dolore in questo momento.
“Non sei in condizione di muoverti. Rimani a riposare” mi dice secco. Lo guardo contrariata. Perché  non capisce?
“Voglio andarmene via” affermo innervosita guardandolo fisso negli occhi. Anche lui sembra contrariato e francamente non capisco il perché: non ci conosciamo, non ci siamo mai visti prima, perché dovrebbe preoccuparsi di me?
“Senti, non so il tuo nome, non so perché te ne vuoi andare quando evidentemente stai male, non so niente di te. So che ti ho fatto un favore e in cambio il minimo che puoi fare è riprenderti. Altrimenti avrò speso a vuoto 600 sterline. È chiaro?” Il tono di Thomas è severo e intimidatorio, mi dà fastidio, non ha niente a che vedere con quel tono dolce con cui mi aveva sussurrato “Rimani con me” mentre svenivo al bar. Sbuffo seccata.
“Sono Olivia Stone, per gli amici Lily” mi presento, e ormai arresa torno a distendermi nel letto.  Thomas si mette la mani in tasca e annuisce.
“Benvenuta in casa Shelby, Olivia”
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
È notte fonda, Thomas è venuto a controllarmi un paio di volte e mi ha trovato puntualmente con gli occhi aperti. La febbre aumenta, così come i brividi. Sta diventando faticoso perfino respirare. Inizio ad essere stanca, ma non appena provo a chiudere gli occhi ecco i demoni che mi tormentano. Li riapro spaventata e ho voglia di gridare aiuto, ma a che servirebbe? Nessuno capirebbe, perché agli occhi della società gli omicidi ormai fanno parte di una routine malata che però non viene mai condannata. La polizia è corrotta, i cattivi si uccidono tra di loro mietendo  vittime innocenti. La situazione non può cambiare, quindi perchè chiedere aiuto?
Thomas entra nella mia stanza e ancora una volta mi trova sveglia e vigile, ma non dice niente. Mi tocca la fronte. Sì, la febbre ormai è alta.
“Devo vederti la ferita, scopriti” mi ordina con modi poco gentili. Ho freddo, e con non poca difficoltà mi scopro il fianco. Osserviamo insieme la fasciatura che per fortuna mostra che la ferita non ha ripreso a sanguinare. Sono sollevata. Thomas mi fa ricoprire.
“Non hai riposato per nulla, perché? Non scenderà mai la febbre così” mi dice con più clemenza. Non gli rispondo, non capirebbe.
“che ore sono?” gli chiedo poi. Prende l’orologio da taschino
“Sono da poco passate le tre”
“E come mai sei sveglio?” gli domando curiosa. 
“Gli uomini in affari non dormono mai” mi risponde, senza darmi spiegazione. È una risposta lapidaria, che spiega tutto e niente allo stesso tempo. Thomas Shelby sembra una cassaforte, di cui io non capisco neanche lontanamente la combinazione, e avrei potuto impegnarmi con tutte le mie forze per provare a indovinarla, ma non l’avrei mai scoperta.
“Di cosa ti occupi?” gli chiedo mostrandomi interessata
“Cavalli”
Non sembra abbia voglia di parlare, eppure continua a rimanere nella mia stanza. A quel punto ne approfitto
“Hai una sigaretta?” mi informo. Prende dalla tasca la custodia dorata e ne estrae una. Ripete il movimento meccanico che ormai avevo memorizzato e l’accende. Inizia a fumare. Sono interdetta, pensavo avesse capito che sono io quella che vorrebbe fumare.
“Non ne hai una per me?”
“Dormi e sono sicuro che non appena ti sveglierai te la ritroverai in bocca” risponde lui ironico. Sorrido a stento perché non ho forze. Sono divertita e allo stesso tempo offesa. Mi sento una bambina che è stata presa in giro da un uomo furbo e acuto.
“Non mi comprerai con una sigaretta” gli dico di rimando
“Non era mia intenzione farlo, ma non so cosa dirti. Tanto vale provare. Mi dispiacerebbe togliere il tuo cadavere dal mio letto domani” Sono turbata. Thomas è troppo schietto. E poi…il suo letto? Quindi mi trovavo nella sua stanza?
“Mi spiace averti tolto il tuo letto. È per questo che non dormi?”. Il signor Shelby aspira e si prende il tempo di riflettere con gli occhi persi nel vuoto. Vedo che si fanno malinconici e intuisco che qualche ricordo gli stia tornando in mente.
“No” risponde e basta. Provo ad indagare, ho voglia di sapere cosa mi nasconde. Ho paura di lui, e sono combattuta tra il chiedergli qualcos’altro e rimanere al mio posto.
“E come mai allora?” tento sperando di non scoprire qualcosa su di lui che in realtà non vorrei sapere.
“Te l’ho detto, gli uomini in affare non dormono mai”. Thomas pronuncia quelle parole con l’amaro in bocca. È strano come fino a qualche attimo prima fosse difficile interpretarlo, mentre ora lo sento così vicino da capire cosa prova. Forse non dorme per i miei stessi motivi. Forse siamo collegati per qualche assurda ragione che ancora entrambi ignoriamo.
“E passerai la notte a farmi compagnia?”
“Non la chiamerei compagnia, piuttosto sorveglianza. Devo accertarmi che la febbre cali e che la ferita non riprenda a sanguinare”
“Non ha niente di meglio da fare, signor Shelby?”. Thomas abbozza un sorriso
“No. Puoi chiamarmi Thomas, per gli amici Thommy”
“Thomas, se mi fai un favore prometto di addormentarmi, così la febbre scenderà e saremo tutti più tranquilli”. L’uomo dagli occhi azzurri mi guarda interessato, dandomi conferma che ho catturato la sua attenzione. “Se hai una boccettina di oppio possiamo dormire sereni entrambi”. Thomas rimane ammutolito e continua a fissarmi. Probabilmente sta valutando l’idea, che per quanto mi riguarda ha solo vantaggi. Poi esce dalla stanza. Penso mi abbia mandato mentalmente a quel paese per la proposta indecente…invece no. Torna pochi attimi dopo con la boccettina ambita e tanto desiderata. I miei occhi brillano e mi sento subito meglio.
“Si fa a metà. Bevo prima io”. Annuisco sorridente e felice di ricevere la pozione magica per dormire. Thomas stappa la boccetta e se la porta alle labbra. Un bel sorso gli scende giù per la gola. Poi mi passa la bottiglia, con esattamente metà dell’oppio. Lo bevo, avida, assaporando il gusto amaro ma soddisfacente. Passo quindi la boccetta vuota a Tommy, che si siede accanto a me. Mi punta un dito contro e mi ordina di dormire, come farebbe un papà con la figlia.
“Non farmi pentire di averti accontentato” conclude rassegnato, alzandosi dal letto e andandosi a posizionare su una sedia posta in un angolo della stanza. Allora è vero che vuole sorvegliarmi…
A questo punto l’oppio sta già dando i suoi effetti, mi sento trasportare su una scia di sonno che presto mi fa perdere conoscenza facendomi cadere in un mondo a me avverso, ma necessario.


NDA: allora  ci tengo a spiegarvi il gioco di parole del titolo. Stone vuol dire pietra, perciò la traduzione letterale  sarebbe amore di pietra nel senso che è rigido e solido proprio come questa, ma Stone è anche il cognome di Olivia, perciò ecco il giochino...simpatico vero? Spero di sì, fatemi sapere nei commenti, penso onestamente che la mia storia sia piuttosto appassionante, e me lo auguro sinceramente, ho già altri capitoli perciò aspetto feedback!
-Joy




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3954761