Il
paesaggio davanti ai miei occhi è d’un biancore niveo,
interrotto dalla luce di decine e decine di sfere di luce dorata.
Cammino,
perplesso, per alcuni istanti, poi mi siedo. Ho bisogno di
riflettere.
La
malinconia si fa strada nel mio animo. Quel demonio di Suyodhana si è
impadronito di nuovo del mio corpo.
E,
ne sono sicuro,lo ha usato per danneggiare i miei amici.
Che
cosa avrà fatto, servendosi di me?
Mi
prendo la testa tra le mani, il cuore stretto nella morsa dello
sconforto. Ho paura di averli danneggiati, anche se non per mia
volontà.
Cosa
penseranno di me?
Un
ricordo percuote la mia mente. Suyodhana, servendosi di me, ha
cercato di uccidere te, mio amato fratellino.
Per
fortuna, tu non ti sei fatto sopraffare e, ancora una volta, lo hai
sconfitto.
Tutto
sembra essere tornato alla normalità, ma il mio istinto mi
avverte che non è così.
Alzo
la testa e il mio sguardo, perplesso, segue il movimento di queste
strane sfere luminose. Dove sono? Che posto è questo?
Non
è il regno dei morti.
Non
vedo anime urlanti, né il vecchio Caronte con la sua barca e
il suo remo.
Sorrido.
Forse, queste sono immagini legate ad un passato lontano, ormai
perduto per sempre.
Sto
cercando dei fantasmi, per non avere a che fare con la realtà.
Io
sono morto, anche se non me ne sono ancora reso conto.
Sospiro
e la malinconia si impadronisce di me. Avrei voluto fare tante cose,
compiere tante imprese, ma devo accettare l’inevitabile e
adattarmi.
E,
forse, non è un male.
Mi
sento bene in questo luogo, lontano dalle battaglie.
Non
ho più la necessità di una continua, inutile maschera
da buffone.
Forse,
nemmeno Sandokan conosce la pena che custodisco nel mio animo, fin
dall’infanzia.
Ho
perduto i miei genitori quando ero solo un bambino.
Sono
trascorsi tanti anni, eppure, ad ogni venticinque aprile, la
sofferenza del mio cuore si acuisce.
Sono
morti troppo presto, a causa del colera e della povertà del
Portogallo.
Il
mio caro fratellino conosce la mia condizione di orfano, ma non ho
mai voluto aprirgli totalmente il mio cuore, per un pudore distorto
dei sentimenti.
Per
alcuni istanti, resto immobile, lo sguardo fisso davanti a me.
Poi
mi alzo e accenno ad un passo. Se questa è una prova per
poterli incontrare, sono disposto ad affrontarla.
Vorrei
risentire l’abbraccio di mio padre, così forte e
vigoroso, e il profumo marino di mia madre.
Ad
un tratto, una voce maschile, colma di rabbioso dolore, squarcia il
silenzio.
–
Ti
odio! Maledetta spada! Avrei preferito morire, perdere il mio onore,
tutto! Ma non te, amico mio! Ovunque tu sia, non dimenticarlo! –
E’
la tua voce, Sandokan?
Di
nuovo, i miei occhi si riempiono di lacrime e la mia bocca si schiude
in un debole gemito. Non riesco a crederci…
Ti
sento distintamente, fratellino mio.
Riesco
a percepire una nota di dolore nella tua voce.
Stai
soffrendo molto per me, lo sento.
E,
ora, anche io sto male per te.
Rifletto.
Se fossi morto, non udirei con tanta, crudele chiarezza le tue
parole, fratellino, come se fossi a pochi metri di distanza da me.
Quindi,
non è stato scritto il mio destino e posso tornare alla
realtà.
Non
mi è preclusa la possibilità di vedere te, Sandokan, e
i nostri amici.
E,
forse, riuscirò a confessare a quell’adorabile tigre di
tua sorella Morugan l’amore che provo per lei.
Il
suo sguardo sottile mi manca tanto e mi accorgo ora di questo.
Mamma,
papà, perdonatemi.
Non
posso ancora raggiungervi, anche se mi mancate tanto.
Vi
prometto che, ogni venticinque aprile, accenderò una candela
in vostra memoria e pregherò per le vostre splendide anime.
Spero
che Dio accetti le preghiere di un avventuriero come me!
Quando
la mia ora giungerà, spero di venire da voi e di non lasciarvi
mai più.
Guardo
ancora le sfere. E’ uno spettacolo magnifico, ma i miei occhi
hanno bisogno di godere del mare e della luce degli astri.
Desidero
che i miei sensi scoprano sempre nuove particolarità del
nostro splendido e crudele mondo.
Questo
luogo, così pacifico, non si adatta al mio spirito, così
smanioso di avventure sempre diverse e di occasioni di conoscenza.
A
passo deciso, mi incammino e seguo il suono della tua voce,
fratellino mio.
Apro
gli occhi e, per alcuni secondi, resto immobile. Ho bisogno di
recuperare il contatto della realtà.
L’aspro
aroma del mare accarezza il mio naso e le mie orecchie avvertono il
canto degli uccelli notturni.
Stringo
gli occhi e trattengo le lacrime. Mi sono mancate queste esperienze
sensoriali, in quel mondo di quiete e candore.
Niente
potrà mai eguagliare l’intensità di quelle
impressioni.
Giro
la testa e mi accorgo di essere disteso su un sofà. Da quanto
tempo sono disteso in questa posizione?
I
ricordi si accavallano nella mia mente e non riesco a distinguere
realtà da allucinazione.
Un
debole respiro, ad un tratto, attira la mia attenzione e io giro la
testa verso destra.
Il
mio amato fratellino è seduto su una sedia e riposa, la testa
appoggiata sulla mano.
L’altra
stringe Nandaka e le luci della lampada si proiettano sulle gemme
dell’elsa, accendendole di riflessi verdi e rossi.
Riesco
a vedere la stanchezza sul tuo viso addormentato
E
un sorriso grato solleva le mie labbra. Sono rimasto su questo sofà
per diverso tempo, come se fossi morto.
Tu
non ti sei mai allontanato da me e hai atteso un segno di risveglio
da parte mia.
Quante
angosce hanno attraversato il tuo cuore, fratellino?
Sarei
stato anche io consumato dalla disperazione, se fossi stato tu in
questa situazione.
Ma
il poco sonno ti ha stancato e sei crollato.
Non
te ne faccio una colpa.
Anzi,
sono felice che tu abbia trovato un poco di riposo.
Chiudo
gli occhi. Ho pensato di svegliarti, fratellino, ma, vedendo la tua
stanchezza, ho cambiato idea.
E’
giusto che tu dorma un po’.
Hai
trascorso ore d’angoscia, a causa mia, e meriti di riposare,
per quanto possibile.
Il
sonno, ad un tratto, si impadronisce di me e io non mi oppongo. Ho
bisogno anche io di riposo…
L’alba,
fratellino, accoglierà il nostro ricongiungimento.
E,
qualche istante dopo, mi addormento.
La
luce del sole sfiora, col suo calore, il mio viso e io mi sveglio.
Mi
alzo a sedere e il mio sguardo vaga ora nel ceruleo infinito del
cielo, costellato di bianche nubi, ora nell’azzurro del mare,
lievemente increspato da una leggera brezza. Mi sento bene.
Mi
sembra di essere resuscitato dalla morte.
–
Oggi,
il mare sembra una nuvola bianca… – mormoro, quasi
parlando tra me. Sono ancora ebbro di questa felicità e la mia
bocca parla da sola, quasi senza creare un collegamento con la mente.
Ho
un bisogno quasi doloroso di liberare le emozioni che sento.
–
Mi
ricorda il sogno che ho fatto stanotte… Nuotavo, nuotavo, ma
non riuscivo mai ad arrivare a casa. – confesso. E così
mi sento.
Ho
avuto la sensazione di essermi perduto e di avere vagato nella
tenebra.
Mi
giro e vedo il tuo volto, fratellino mio.
I
tuoi occhi verdi, lucidi di felicità, cercano i miei e le tue
labbra sono sollevate in un sorriso raggiante.
Presto,
io ricambio il tuo sorriso. Mi sei mancato, amico mio.
In
quelle ore, sentivo l’amarezza nel mio cuore ed era dovuta alla
lontananza da te e dagli altri.
Ma
l’ho scambiata per incapacità di accettare la morte.
–
Yanez,
finalmente! – urli, gioioso. La tua voce esprime felicità,
Sandokan.
Ne
sono sicuro, ti senti leggero, libero da un peso.
E
anche io, in questo momento, mi sento sciolto da un carico assai
pesante.
Nulla
conta più, se non la realtà del nostro
ricongiungimento.
E,
d’impeto, mi getto tra le tue braccia e mi lascio cullare dal
tuo affetto, fratellino mio.
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