Frammenti di Specchio

di Registe
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Capitolo 11 - Cavaliere Jedi







Anakin Skywalker








Il miglior modo per battere un droide era l’imprevedibilità.
Jango glielo aveva ripetuto decine di volte, specie quando si erano ritrovati contro dei modelli classe IG armati fino all’ultima giuntura. Le macchine ragionavano per algoritmi e ripetizioni: per quanto fossero programmati nella maniera più multifunzione possibile finivano sempre per inquadrare gli eventi in pattern replicabili dai loro circuiti cognitivi.
In poche parole, erano stupidi.
Zam aveva deciso di non affidarsi al pilota automatico dello speeder. Ne aveva rubato uno in un hangar di rimessa ben distante dall’albergo dove lei e Jango alloggiavano, ed aveva trascorso le ultime due ore ad eseguire giri di prova intorno al palazzo della senatrice Amidala. Si era fermata più volte durante quei percorsi, per poi accelerare di corsa e modificare il tragitto del velivolo in modo tale che il droide astromeccanico non riuscisse a tracciarla. Non aveva idea se quel barattolo di metallo fosse in grado di registrare i movimenti degli speeder al di fuori del palazzo, ma aveva preferito non rischiare.
Era al quarto giro quando decise di agire.
Uno sguardo attraverso i binocoli le bastò per vedere il droide astromeccanico R2 uscire dalla stanza.
Le finestre di vetracciaio erano dotate di un sistema di occultamento di buon livello, ma nulla che l’equipaggiamento di un Mandaloriano non potesse superare. Da oltre le lenti vide chiaramente la stanza della senatrice Amidala, i mobili, la postazione olografica e, distesa sul letto, la sagoma stessa della donna. Regolò gli strumenti con la visione infrarossi, ma questi le confermarono che, lì dentro, non vi era nessun altro essere vivente oltre al proprio bersaglio.
Era chiaro che lo Jedi fosse nelle vicinanze, forse appena fuori la porta o di ronda nel corridoio, ma non era lì dentro e dunque le probabilità di riuscita del piano aumentarono. Si morse il labbro per la tensione, sforzandosi di non pensare al fatto che era la primissima caccia che faceva senza il suo compagno.
Si accorse di tremare.
Dopo tre minuti e ventuno secondi il droide rientrò.
Zam non aveva idea del perché la senatrice si portasse un droide astromeccanico come assistente, ma rimase immobile mentre la figura dalla testa a cupola percorreva in maniera impeccabile il perimetro della stanza sui suoi stabilizzatori senza sfiorare nemmeno un mobile. Le sue spie luminose si accesero in tutti gli angoli, facendo partire quello che le sembrò un sistema di scansione a induzione elettromagnetica. Fece ruotare più volte la testa per poi portarsi al centro della stanza, ma nessun movimento indicava che si fosse accorto della sua presenza dall’altro capo della strada.
Quando uscì, Zam premette il bottone.
Dal suo speeder si staccò la sonda con la capsula dei kouhuns. I due artropodi si agitavano violentemente contro le pareti. Tracce biancastre lungo il vetracciaio mostravano come avessero già secreto buona parte del loro veleno nel tentativo di liberarsi, ma Jango le aveva già detto di non preoccuparsi per quello. La sonda attraversò lo spazio tra i due palazzi e si appoggiò al di sotto del piano 3012, proprio nel punto in cui la finestra della camera della senatrice si univa all’acciaio del palazzo.
Obbligò le proprie dita a risponderle e dalla sonda fece partire il contenuto di una fiala di acido ukbar lungo il margine del vetracciaio, e in meno di quindici secondi scavò dentro la parete un foro poco più largo di un dito. La capsula si accostò, si sollevò all’altezza del foro ed in meno di un attimo gli artropodi schizzarono fuori nell’unico percorso a disposizione. Con un gesto secco comandò alla sonda di allontanarsi e regolò ancora di più i binocoli, col cuore che le pulsava fin dentro la gola, cercando di ingrandire l’interno della stanza fino a vedere i kouhuns emergere da dietro un mobile, galvanizzati dal battito cardiaco nelle vicinanze.
“Muovetevi…” mormorò tra sé, contando i centimetri che separavano i due minuscoli predatori dalla donna.
Questi scattarono all’unisono, scivolando lungo il tappeto, e quando si arrampicarono sulle lenzuola del letto si lasciò sfuggire un sorriso.
Un fendente azzurro balenò al centro della stanza.
Zam sobbalzò per un attimo, quasi perdendo la presa sul volante dello speeder. Portò al massimo gli ingrandimenti, il cuore in gola, gli occhi di nuovo nell’appartamento della senatrice. 
I due kouhuns giacevano ai piedi del letto, tagliati a metà. Dai loro corpi quasi carbonizzati si sollevavano delle sottili strie di fumo. 
Alzò i binocoli e vide la senatrice Amidala alzarsi dal letto e gridare mentre una seconda figura si era materializzata al centro della stanza, una spada laser alla mano ed uno sguardo carico d’odio che, Zam comprese con terrore, era rivolto proprio nella sua direzione. Ripose gli ingrandimenti alla massima velocità possibile ed accese lo speeder, chiedendosi soltanto come lo Jedi fosse riuscito ad accorgersi dei kouhuns e di lei.
Non aveva ancora compiuto un paio di metri che il vetracciaio della stanza della senatrice esplose in migliaia di pezzi e, con un unico salto, lo Jedi attraversò l’aria ed atterrò proprio sul muso del suo velivolo.
“Chi ti manda?”
Gli occhi fissi sulla spada laser di lui, accesa di un fastidioso colore azzurro, Zam si morse il labbro senza rispondere. Lo Jedi la fissò con maggiore intensità, immobile nonostante fossero in equilibrio a decine di chilometri dal suolo. “Rispondimi, donna. Chi ti manda?”
Era un umano di forse una ventina d’anni, piuttosto alto per la sua specie. Sotto le spesse vesti dell’ordine jedi, Zam vide i muscoli delle gambe pronti a scattare e soffocò l’istinto di estrarre il blaster dalla fondina e sparargli a bruciapelo. Qualcosa, la stessa sensazione fastidiosa che le aveva pizzicato la testa al ristorante, iniziò a farsi strada dentro di lei; forte, allarmante, una sorta di brivido pungente che le partiva dal centro della schiena e le arrivava alla base del cranio. Lo Jedi le stava facendo qualcosa, era chiaro, e si obbligò a pensare velocemente a qualsiasi altra cosa. 
Chissà per quale buffo motivo le venne in mente il Cancelliere Palpatine e la sua curiosa zoppia.
Il trucco sembrò funzionare, perché sul volto dell’umano si dipinse una smorfia; sentì la sua presenza dentro la testa con maggior intensità di prima, ma ormai Jango le aveva insegnato il trucco ed impregnò tutti i suoi sforzi sui minuscoli dettagli della tunica del Cancelliere e su ciò che aveva ordinato quella sera lasciando che qualsiasi altra figura svanisse dalla propria mente.
“Bel tentativo …” fece lui, stavolta con un’espressione feroce. Zam sentì la pressione dentro di lei allentarsi, e capì che lo Jedi si era stancato dei suoi trucchi mentali.
Tanto meglio.
La lama laser calò nella sua direzione dall’alto verso il basso, diretta al suo braccio. Zam lasciò di colpo i comandi dello speeder e si scansò, uscendo con un’unica mossa dalla cabina di pilotaggio mentre il vetro, surriscaldato, esplose in un inferno di schegge. Si portò in equilibrio sul velivolo, a meno di un braccio di distanza dalla punta dell’arma, e sotto i suoi piedi lo speeder fluttuò in maniera disordinata guidato solo dagli stabilizzatori interni. Ancora una volta la testa le volò al blaster bloccato alla cintura, ma era chiaro che il ragazzo le avrebbe rimandato indietro il colpo deflettendolo con la spada. Gli occhi chiari di lui la scrutarono, senza dubbio alla ricerca di qualcosa che potesse identificarla. “Stai con quegli schifosi Separatisti, vero? Ti ha pagato quel venduto di Dooku?”
Zam inchiodò le proprie iridi alle sue, comandandogli attenzione. Non avrebbe fatto il nome del suo compagno nemmeno sotto tortura, ma nonostante il cuore le stesse gridando di paura capì che poteva portare lo Jedi al suo gioco.
“Vai a limonare con un Hutt, Jedi”
E, costringendosi a tenere gli occhi aperti, si buttò.



Non ebbe il coraggio di contare di quanti piani fosse scesa, forse aveva anche gridato per il terrore; non aveva ancora urtato nessuno speeder nella caduta, e di certo il deflettore portatile che aveva acceso non le sarebbe servito a nulla se si fosse schiantata sul muso di un velivolo, ma nel volo trovò quello che le serviva. 
Una rientranza, a meno di venti metri sotto di lei, probabilmente un’area aperta per dei ricevimenti. 
Qualcuno, da lì, gridò vedendola cadere in quella direzione.
Delle luci lì sotto la abbagliarono, e strinse i denti sapendo che sarebbe stata la sua unica opportunità. Ormai a dieci metri di distanza assunse la forma di un Dug, obbligando ogni singolo muscolo del suo corpo ad obbedirle, ed aprì le dita prensili delle mani e dei piedi; fece saettare i lunghissimi arti in direzione della balaustra, una distanza inarrivabile per le sue braccia normali, e si aggrappò ad essa sentendo tutto il dolore della caduta attraversarle le articolazioni come un colpo di blaster sparato nelle spalle. Una simile mossa avrebbe sgretolato le articolazioni ed i legamenti di una qualsiasi altra razza, ma la cartilagine Dug resse il colpo e per una frazione di secondi rimase in aria, appesa alla balaustra, sentendo l’aria tornare a riempirle i polmoni dopo l’impatto mentre un paio di creature in abito elegante corsero verso di lei, gridandole qualcosa che la sua testa non era chiaramente in grado di percepire.
Il pizzicare dentro la sua testa tornò a farsi sentire, e nonostante il volo capì che non poteva permettersi il lusso di tirare il fiato.
Si tirò in piedi con un unico salto, spingendo con due calci ben assestati i suoi eventuali soccorritori. Una Tabaxi miagolò di sorpresa e fece cadere il suo drink a terra, ma Zam scavalcò lei e gli altri commensali in un paio di mosse, diretta verso la porta a vetri che conduceva all’interno; due droidi fecero per bloccarla e stavolta estrasse l’arma dalla fondina, fulminandoli entrambi.
Quando uscì, ritrovandosi in un corridoio anonimo, notò che non vi erano olocamere di sicurezza e prese la forma di una Twi’lek.
Prese a muoversi a passo svelto dentro l’edificio, sentendo dentro di sé la presenza dei poteri mentali jedi accrescersi d’intensità, come se stesse provando a mettersi in contatto con lei. Chiese ad un droide protocollare l’uscita e si infilò dentro il primo ascensore a portata incurante che fosse già abbastanza pieno. Scese di oltre dieci piani, costringendosi a calmarsi ed a pensare ad uno spostamento di fuga: l’unico pensiero fisso fu quello di sportarsi diametralmente opposta all’hotel dove Jango stava ancora dormendo. Riconobbe dall’olografia interna dell’ascensore il settore B75 e tirò un respiro di sollievo riconoscendo il luogo; una donna umana le strizzò il didietro con fare ammiccante, ma Zam le diede una spallata e non appena le porte dell’ascensore si aprirono si buttò all’esterno, respirando l’aria sporca e nera a pieni polmoni. La presenza dello Jedi aleggiava dentro di sé, seppure con minore intensità, e decise di approfittare di quell’improvviso vantaggio.
Situato un centinaio di piani al di sotto degli alloggi governativi, il settore B75 anche nel cuore della notte scintillava di vita proprio come i settori governativi in pieno giorno, illuminato dai cartelloni al neon che sfoggiavano le nuove bevande analcoliche proposte da Twi’lek in costume di bagno. I camminamenti da un edificio all’altro erano illuminati di verde e azzurro, seguendo le olografie pubblicitarie, e lungo tutte le balconate si intrecciavano piedistalli a reazione che fluttuavano da un estremo all’altro popolati da mercanti di rottami e riparatori di droidi di ogni tipologia. Non era uno degli spacci preferiti di Jango -i venditori di Coruscant avevano l’odiosa tendenza ad aumentare i prezzi ad ogni rotazione, costringendoli a delle trattative estenuanti- ma senza dubbio uno dei più forniti, dove talvolta erano scesi per acquistare integratori delle armi della Slave I che non riusciva a reperire nemmeno su Concord Dawn. L’aria artificiale era satura di campi ad elettricità statica che le fecero tremolare i lekku; rendendosi conto di un paio di occhiate rapaci lanciate dai passanti si appoggiò nel sottile spazio tra un negozio e l’altro ed assunse i tratti meno attraenti di una Togruta.
Si guardò intorno, fissando le olocamere. 
Il centro scambi era il posto che chiaramente faceva al caso suo e si mosse in quella direzione, tuffandosi nelle piattaforme e negli ascensori più affollati a disposizione. Per quanto lo Jedi fosse potente non poteva certo percepire la sua presenza ad una distanza eccessiva, e senza dubbio la confusione del settore e le interferenze elettriche avrebbero fatto il resto. Cercò di non pensare al suo compagno nonostante il terrore le stringesse lo stomaco, e mentre i grattacieli sfrecciavano accanto a lei lungo l’ascensore panoramico si ispezionò rapidamente tutto il suo equipaggiamento, staccando la batteria al comlink ed a qualsiasi altro dispositivo che avrebbe potuto tracciarla. Se lo Jedi fosse tornato al Tempio, presso il suo ordine, avrebbero senza dubbio mandato un manipolo di loro alle sue calcagna, e non poteva nemmeno permettersi di prendere in considerazione quell’ipotesi. La presenza del nemico era ormai flebile, ridotta quasi ad un ronzare nell’orecchio, e si fece coraggio quando le porte scorrevoli si aprirono e si ritrovò catapultata nel centro scambi Dahnobi.
La calca che la accolse era impressionante.
Sembrava che qualsiasi razza della Galassia si fosse data appuntamento in quel punto, ed il suo piano di camminare velocemente tra la gente venne archiviato quando una coppia di Twi’lek maschi larghi ciascuno il doppio di lei si fermarono proprio al centro del corridoio per ammirare un nuovo modello di droide astromeccanico che si esibiva oltre una vetrina. Imprecando in zolano si fece strada tra i due pachidermi solo per ritrovarsi invischiata in uno sciame di Toydariani.
Un paio di droidi di sorveglianza controllava l’accesso al centro scambi, ma li superò senza alcun problema e si incamminò verso l’area principale, dove si aprivano i principali negozi e dove senza dubbio la calca sarebbe stata maggiore. Si fece strada in mezzo a gente in fila per un chiosco alimentare, lanciando un’occhiata speranzosa al rumore assurdo che fuoriusciva dagli strumenti musicali di un paio di intrattenitori vagabondi seduti lungo il margine di una fontana da cui usciva dell’acqua olografica. Un avviso le indicò che il parcheggio delle aeronavi e dei velivoli dei clienti era situato nel blocco ovest, due livelli sopra: eludere le olocamere non sarebbe stato complesso e si diresse verso gli elevatori a passo serrato.
Il dolore che le attraversò il cervello da parte a parte fu simile ad una coltellata.
Si portò di nuovo le mani alle tempie e per poco non venne travolta dalla massa di gente. Un umano gigantesco la spinse e per poco non cadde a terra, tenendosi a stento in equilibrio mentre gli avventori sembravano una mandria di gundark impazziti davanti ad un rancor. Fece per seguirli, ancora presa dal dolore, ma le parve che le gambe si muovessero a stento, come se qualcosa le stesse afferrando le caviglie e gliele stesse tirando all’indietro.
Lo Jedi era in piedi davanti alla fontana, la mano protesa verso di lei e la spada laser accesa. 
“Affari dei Jedi, signori” disse il giovane, con un sorriso che non presagiva nulla di buono “Il mio compito è recuperare una pericolosa criminale. Potrete tornare ai vostri affari una volta che avrò terminato”.
La folla non parve affatto tranquillizzata, ma per Zam la cosa non aveva più molta importanza. Pur immaginando l’esito, estrasse il blaster dalla fondina e sparò.
L’altro parò il colpo con la lama azzurra senza alcuna difficoltà e se lo vide tornare indietro a meno di due dita dalla faccia, ma bastò: lo Jedi perse per qualche secondo la concentrazione sull’immobilizzarla, e non appena la stretta mancò lei si sentì cadere all’indietro. Prima ancora di toccare terra il cervello le tornò alla festa sulla balconata e cambiò il corpo in quello di una Tabaxi, cadendo in perfetto equilibrio sulle gambe posteriori e pronta a rialzarsi. L’istinto le suggerì di girarsi verso lo Jedi e soffiargli di sfida, e quando mosse la testa vide che la mandria di clienti aveva realizzato un cerchio compatto intorno a lei ed il suo inseguitore, tutti compatti per la paura e le facce illuminate dalla luce della spada. Anche saltando con le gambe di un Tabaxi non sarebbe riuscita a oltrepassare quella massa di idioti, e con la gola secca per il terrore capì che lo Jedi le aveva tagliato le vie di fuga.
Non mi lascia molta scelta …
Non avrebbe svegliato Jango con un bacio, dicendogli che la missione era stata un successo.
Non sarebbero andati a festeggiare sulla Terra I insieme a Boba, come lui aveva sognato.
Le fiamme del Primo Fuoco non avrebbero inciso i loro nomi nel Beskal.
Quando si lanciò contro lo Jedi, gridando d’odio, i suoi arti mutarono ancora una volta, due chele di Tarc dirette verso il suo collo. Le aprì all’unisono ingaggiando battaglia, e scartò all’ultimo quando il nemico sollevò la spada per tagliargliele in due. Il corpo del Tarc era lento e poco maneggevole, ma seguì i suoi desideri: sentì il bruciore della lama sfiorarle la schiena e si tuffò contro le gambe di lui. 
Cercò di afferrargliene una e tranciargliela di netto. Lo Jedi saltò, più veloce di lei, abbastanza da salvarsi la gamba ma non da liberarsi del tutto dal suo gioco. Zam infilzò una chela dentro la tunica, bloccandogli il salto a metà: l’umano non rovinò a terra, ma perse l’equilibrio per quei pochi secondi che le bastarono per attuare il suo piano. 
Forte della propria mole, la abbatté di peso sullo Jedi, spingendolo verso la fontana. Lui non perse la presa sulla spada laser -sarebbe stata folle anche solo a sperarlo- ma premette tutto il suo corpo pieno di scaglie sulla sua spalla destra e rimase inchiodata lì sopra con tutto l’odio che aveva in corpo, premendo anche con l’arto sinistro finché il rumore delle ossa spezzate non le riempì le orecchie di gioia. Il suo assalitore gridò e provò a contorcersi, ma per tutta risposta lei gli rivolse il muso dalle zanne acuminate contro la faccia. Soppresse il desiderio di uccidere quel bastardo -non poteva attirare su di Jango l’occhio degli Jedi più di quanto non avesse fatto- e con la chela libera lo afferrò per la tunica, lo lanciò contro una vetrina e si tuffò nella direzione degli elevatori di nuovo riprendendo le lunghe gambe dei Dub senza nemmeno voltarsi quando sentì il corpo del nemico infrangersi sul vetracciaio.
Non aveva fatto nemmeno cinque passi che l’aria le mancò dalla gola.
Si portò le mani al collo, cercando l’ossigeno, e perse la presa sulla trasformazione non appena cercò di portarsi ancora avanti, fossero stati solo pochi metri.
“Hai cercato di assassinare Padmé, maledetta”
Le orecchie le fischiavano all’impazzata, eppure la voce dello Jedi le si piantò nella testa come se fosse l’unica cosa che il suo cervello potesse captare. Cercò di sparargli ancora una volta, ma non riuscì nemmeno a voltarsi.
La fame d’aria sembrò spremerle i polmoni fino a che il dolore si confuse col bisogno di sopravvivere. 
“È quasi un peccato che debba consegnarti viva”.




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