Questa
è una piccola storia scritta di getto, tanto per ingannare
il tempo.
Non cercate in essa verosimiglianze storiche o geografiche,
né
nessun concetto profondo o filosofico. Sarà breve: due
capitoli, tre
al massimo.
***
«Le
occorreranno degli abiti nuovi.»
Rosa
si aggiusta la gonna mentre gli occhi infossati del cugino Edoardo la
percorrono da capo a piedi. Sa di non vestire all'ultima moda, ma il
corpetto che indossa è ben inamidato, il colletto della
camicia di
pizzo è immacolato e la sarta è stata capace di
allungare ad arte
la sottana color carta da zucchero: solo un occhio esperto saprebbe
individuare il punto dove l'orlo finiva, all'incirca una decina di
centimetri sopra alla caviglia coperta dagli stivaletti di cuoio
consunto.
Chissà
se il cugino Edoardo ce l'ha, l'occhio esperto. Di certo i suoi abiti
parlano di un lusso ostentato - ma non veramente posseduto - e il suo
cilindro lucido sembra scimmiottare quelli dei signori di
città che
mai si accosterebbero di buon grado a un campagnolo arricchito
com'è
il figlio dello zio.
«Ma
certo, figlio mio» lo asseconda la zia Maria Elena.
«Tua moglie non
ti farà sfigurare.»
Seduto
sulla poltroncina accanto alla finestra, lo zio Antonio esala un
sospiro puzzolente di sigaro. «Ha il portamento di una
cameriera»
dice indicando la nipote con un cenno della mano grassoccia.
«Gli
anni trascorsi a servizio devono averla rovinata. È un vero
peccato.
Me la ricordo quand'era ragazzina: aveva la stessa grazia di sua
madre, pace all'anima sua.»
La
zia Maria Elena le si avvicina e le pianta una mano tra le scapole.
«Riesci a tenere le spalle dritte, ragazza?» le
dice, scrutandola
con una piega contrariata delle labbra sottili. «Ce la fai a
tenere
la testa alta, senza guardarti i piedi con l'aria di una che si
vergogna come un ladro?»
«Sì,
zia» sospira Rosa spingendo indietro le spalle e alzando
docilmente
il mento. Nonostante la provocazione della donna, però, si
guarda
bene dall'incontrare veramente i suoi occhi. L'aria
di una
che si vergogna come un ladro, ha detto la zia Maria Elena, e
le
parole non sono state di sicuro scelte a caso.
Alla
zia non è mai andato giù il fatto che Angelina,
la madre di Rosa,
abbia sposato uno come Sante Lombardo: un giovanotto che non aveva
che pochi spiccioli in tasca e che oltretutto veniva anche da
lontano. Lei e la mamma di Rosa non avevano nessun legame di sangue -
Angelina era la sorella dello zio Antonio - ma la zia aveva
probabilmente sognato un matrimonio ricco per la giovane cognata, un
matrimonio che portasse un po' di buona
società in
quella casa di campagna che suo marito si era potuto permettere
grazie a dei commerci tanto insperati quanto fortunati.
E
invece niente. Angelina era morta anzitempo per un male improvviso,
lasciando una figlia undicenne e un marito dall'ingegno fino, ma che
aveva la sfortunata tendenza a fare il passo più lungo della
gamba.
Un anno dopo Rosa era finita a servizio da una famiglia di
industriali e ora, dieci anni dopo la morte di Angelina, Sante
Lombardo è finito in galera con l'accusa di aver rubato una
certa
quantità di denaro al suo datore di lavoro.
Rosa
non ci crede. Sa che il suo papà non è un
cittadino modello, ma di
sicuro non è nemmeno un ladro. Poco importa, comunque:
l'hanno
arrestato lo stesso e, a causa del suo arresto, i signori Fiocchi
hanno licenziato Rosa. Perché non possiamo
permetterci di
tenere in casa una domestica che viene da una famiglia di ladri,
hanno detto. Non vorremmo mai che un giorno o l'altro
anche
le tue mani si allungassero un po' troppo.
Il
che l'ha condotta nella situazione in cui si trova in quel momento.
Scrivere una lettera allo zio Antonio l'era sembrata un'eccellente
idea, almeno sulle prime: non avrebbe mai immaginato che lo zio
avrebbe accettato di ospitarla solo se lei si fosse impegnata a
sposare Edoardo, che era il più vecchio dei suoi tre figli e
che era
ancora scapolo.
«Non
parla tanto» osserva il cugino Edoardo aggrottando le
sopracciglia
sulla fronte spaziosa. «Non che sia un male, dal momento che
non
sopporterei mai una moglie pettegola, ma non è che
è ritardata?»
Lo
zio Antonio grugnisce. «Non dire corbellerie, Edoardo. Rosa
è
riservata, ma non ha alcun difetto mentale.»
La
ragazza si sente in dovere di dire qualcosa. «È
così, cugino» lo
rassicura con un piccolo sorriso. «La posizione che ho
ricoperto
negli ultimi anni mi ha insegnato a tenere a freno la lingua, ma sono
in grado di fare conversazione, se necessario.»
Il
cugino Edoardo sventola una mano. «Non sarà
necessario. Ciò che
conta è che tu sia una moglie assennata, che non crei
scandali e che
impari in fretta a mandare avanti la casa.»
Rosa
serra le labbra e si sforza di non mostrare il proprio scontento. Il
cugino Edoardo e la zia Maria Elena sono scortesi e maleducati, ma
lei non deve dimenticare di essere ospite, in quella casa. Fino a
quando non si celebrerà il matrimonio, se lo zio Antonio la
terrà
sotto il suo tetto sarà solo per il suo buon cuore e lei non
può
permettersi di fargli rimpiangere quella decisione. Il rischio di
finire in mezzo a una strada è concreto: non le restano
altri
parenti ancora in vita e trovare un nuovo impiego senza referenze
è
pressoché impossibile.
«Molto
bene» dice la zia, prendendo a girare attorno a Rosa come un
lupo
che studia la sua preda. «Vatti a sistemare i capelli,
ragazza. Mio
figlio ha ragione, e infatti ho chiamato la sarta perché
venga a
prenderti le misure: non puoi farti trovare spettinata come una
contadinotta appena emersa dal fienile.»
***
«Voglio
che tu sappia che il furto non sarà tollerato.»
Rosa
si volta verso il cugino Edoardo. «Perché dovrei
rubare in casa
mia, cugino?»
La
fronte dell'uomo si increspa e la fanciulla pensa per l'ennesima
volta che la sua testa assomiglia a un uovo sodo: un brutto uovo sodo
con un ciuffo di capelli scuri sulla sommità del guscio e
un'espressione perennemente accigliata.
«Questa
non è ancora casa tua, cugina, e
ti ho sorpresa un po'
troppe volte a girovagare per la biblioteca: cosa ci vieni a
fare?»
La
fanciulla si sente arrossire. In biblioteca non ci va di certo per
leggere, e il cugino Edoardo lo sa. Ha frequentato la scuola
per
un paio di anni soltanto, troppo pochi per acquisire dimestichezza
con la parola scritta: i caratteri neri che ingombrano le pagine dei
libri le fanno venire il mal di testa e le si confondono davanti agli
occhi. Rosa sa leggere giusto la lista della spesa e poco di
più.
Però le piace respirare l'odore della carta e delle
copertine di
pelle, dell'inchiostro e del legno massiccio di cui sono composti i
mobili. Le piace il silenzio della biblioteca, un luogo poco
frequentato anche dai padroni di casa.
«Dunque,
cugina?» la incalza il cugino Edoardo.
«Ci
vengo per passeggiare» replica Rosa, cercando di assumere un
tono
altezzoso.
Edoardo
scoppia a ridere: un suono quasi grottesco, quando a emetterlo
è
quell'uomo troppo serio e con un accenno di doppio
mento. «Pensavo
che per le passeggiate ti fosse sufficiente il parco. Hai davvero
bisogno di percorrere avanti e indietro questi quattro corridoi? Qui
si viene per istruirsi, non per fare esercizio fisico.»
Rosa
pensa che al cugino Edoardo non debba interessare dove lei vada a
passeggiare, ma cosa può dire in sua difesa? È
evidente che lui non
la vuole lì e allo stato attuale delle cose ha ancora il
diritto di
allontanarla da qualsiasi stanza in cui la sua presenza non sia
gradita.
«Hai
ragione» concede allora. «I giardini sono molto
più indicati per
pratiche di questo tipo, soprattutto con la bella stagione che
è
ormai alle porte.»
Il
cugino Edoardo fa un cenno d'assenso che gli fa tremolare la carne in
eccesso sotto al mento. «Vai, allora. Pare che l'aria fresca
faccia
bene alle signore.»
Lo
dice in un tono che lascia chiaramente intendere che non la ritiene
parte di suddetta categoria, ma Rosa non se la prende più di
tanto:
ha passato poco meno della metà della sua vita a fare la
cameriera
ed è consapevole della propria posizione sociale. Gli anni
trascorsi
con i Fiocchi, poi, le hanno fatto conoscere un certo numero di
signore e Rosa ha avuto modo di osservare che quelle donne eleganti
non sembravano tanto più felici di quelle che erano parte
della
servitù.
La
giovane si inchina appena in cenno di saluto e poi lascia la
biblioteca. I suoi piedi la portano oltre le modeste scale di granito
che conducono al piano inferiore e oltre il pavimento di cotto della
sala da pranzo. Prima di raggiungere la porta che dà sul
giardino,
Rosa si imbatte in Maddalena, una delle ragazze che lavorano in
cucina, e arrossisce quando questa le fa la riverenza. Anche se
è
passato ormai un mese da quando ha messo piede per la prima volta
nella casa dello zio Antonio, non si è ancora abituata a
essere
trattata con tanta deferenza da persone che fino a poco tempo prima
erano sue pari.
Con
un sorriso imbarazzato, Rosa si affretta a raggiungere il giardino.
Quando i suoi piedi si posano sulla ghiaia che ricopre lo spiazzo
antistante all'ingresso principale, la fanciulla si concede un
sospiro di sollievo, respirando a pieni polmoni l'aria frizzante di
inizio marzo.
Da
quando è iniziato il suo fidanzamento con il cugino Edoardo
ha
spesso l'impressione che le manchi il fiato. Le sembra quasi di
essere in procinto di entrare in una gabbia dalla quale le
sarà poi
impossibile uscire. Sa che è una sciocchezza: per quanto
poco
desiderato, quel matrimonio migliorerà la sua condizione. Sa
anche
che ci sono uomini peggiori di Edoardo: suo cugino ha quindici anni
in più di lei ed è tutt'altro che avvenente, ma
saprà garantirle
una vita agiata. È chiaramente disinteressato a lei e non ha
mostrato il benché minimo cenno di affetto nei suoi
confronti, ma
nelle settimane che ha trascorso nella casa di suo zio Rosa l'ha
studiato bene e ha visto che non è un uomo violento: al
più è
supponente e costantemente annoiato.
E
anch'io sarò presto terribilmente annoiata,
se diverrò la
moglie di un uomo del genere, pensa la ragazza, sistemando un
boccolo scuro che è scivolato via dalla posizione nella
quale era
stato appuntato.
Ci
sono destini certamente peggiori, riflette Rosa. Ce ne sono anche di
migliori, ma essi non sono alla sua portata, considerato il suo stato
sociale.
Talvolta
le viene il dubbio che parte dell'inquietudine che prova sia legata
all'improvviso cambiamento del suo stile di vita. Non è mai
stata
abituata a starsene con le mani in mano e il fatto che il lavoro
manuale le sia stato proibito da un giorno all'altro le riempie le
membra di un formicolio nervoso.
Camminare
le farà bene.
Rosa
si avvia lungo il viottolo curato che parte dall'edificio principale
e si dirige in leggera pendenza verso i prati e gli orti di cui
è
ricca la proprietà dello zio Antonio. La giovane passa
accanto alle
stalle nelle quali sono ricoverati alcuni cavalli che le sono stati
presentati come purosangue di ottimo lignaggio: Rosa ci capisce poco,
di cavalli, ma il signor Fiocchi ne era un grande appassionato e
negli anni le ha trasmesso alcune nozioni a proposito di quelle
bestie. Quelli dello zio Antonio le sembrano più ronzini,
che
campioni, ma la giovane si guarda bene dall'infrangere le illusioni
dell'uomo. Del resto, quegli animali non porteranno nelle sue tasche
i proventi delle vittorie in pista, ma tengono occupato lo zio e
migliorano il suo umore.
Oltre
le stalle il terreno degrada in maniera più decisa.
L'assolato
pendio meridionale è costellato da olivi: una vista
insolita, a
quelle latitudini. L'olio prodotto dai frutti di quelle piante
è
sorprendentemente buono e Rosa pensa che lo zio Antonio ha ben
ragione di esserne fiero.
La
calma della giornata di inizio primavera è spezzata da
un'improvvisa
bava di vento e le mani della fanciulla volano ad afferrare la
sottana. Non che vi sia davvero il pericolo che essa si sollevi in
maniera sconveniente - la stoffa dell'abito verde che indossa,
all'ultima moda, è troppo pesante perché quel
venticello possa
smuoverla - ma le buone maniere hanno il sopravvento sul buonsenso.
Ferma
sul piccolo promontorio che sovrasta quella porzione della
proprietà
dello zio, Rosa lascia che i suoi occhi accarezzino il paesaggio: i
tronchi contorti degli olivi che ricoprono parte del declivio, il
laghetto argenteo che si trova in fondo a esso, i cespugli che
crescono nei pressi delle rive e che già recano traccia dei
boccioli
che si apriranno nel giro di poche settimane, le siepi che,
laggiù
in fondo, segnano il limite estremo della tenuta che un giorno
sarà
sua. L'aria è tersa e frizzante e Rosa ha l'impressione che
il suo
respiro si faccia più lieve, più facile.
Un
piccolo sprazzo giallo accanto ai suoi piedi attira la sua attenzione
e Rosa si china per cogliere un fiore di tarassaco. Se lo rigira
lentamente in mano e il lattice amaro e biancastro le impiastriccia
le dita. Sentendosi più leggera di quanto non si sentisse
quando era
in casa, la ragazza inizia la discesa verso il modesto specchio
d'acqua la cui superficie è parzialmente occupata da canne
verdeggianti e da ampie foglie di ninfea.
È
un angolo grazioso, quello in cui si trova in quel momento, e la
giovane pensa che non le dispiacerebbe trovare una panchina su cui
sostare per qualche minuto. È un vero peccato che non ce ne
sia
nemmeno una. Forse, quando saranno sposati, potrebbe chiedere al
cugino Edoardo di realizzare quel suo piccolo desiderio.
Le
sue orecchie colgono il suono di una voce sommessa e Rosa si volta
per fronteggiare il lago. I suoi occhi perlustrano le rive, i
cespugli e il canneto, poi scorrono verso il sentiero che l'ha
condotta lì.
Non
c'è nessuno. Forse ha udito una voce portata dal vento?
Dov'è la
donna che ha parlato con voce chiara, ancorché troppo
flebile perché
lei potesse distinguere le parole? C'è forse qualche serva
nascosta
tra la vegetazione che circonda il lago? Forse
è in
compagnia? Si chiede Rosa arrossendo, ricordando
quella
singola volta in cui anche lei si è appartata con un garzone.
Un
po' in imbarazzo, la ragazza si chiede se non sia il caso di
proseguire la passeggiata, concedendo un po' di intimità
all'ipotetica coppia che si cela alla sua vista, quando un nuovo
sussurro si leva da un punto davanti a lei.
Rosa
sente che il suo cuore accelera i battiti. Le vaghe parole che le
giungono alle orecchie non sono pronunciate nel tono eccitato di due
giovani che si scambiano effusioni, ma in quello quieto e solenne di
una madre che tranquillizza il proprio bambino. La cosa che
più la
turba, però, è il fatto che la voce sembra
provenire proprio dal
centro del lago, dal punto in cui - immagina - l'acqua è
più
profonda.
Com'è
possibile? Si chiede. I suoi occhi sfiorano per un
istante
la coppia di cigni che pascola poco lontano. Che
siano stati
loro a parlare? O forse i pesci di questo lago hanno una voce?
Dopo
un istante di silenzio, nuove parole risuonano sulla superficie
dell'acqua. Pace, crede di sentire la
ragazza. Pace,
figlia mia.
Quando
Rosa si dirige di nuovo verso la casa dello zio, lo fa correndo.
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