Fantasmi e stanze dimenticate

di Rosette_Carillon
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                                                                                                                         Fantasmi e stanze dimenticate
 










 
 
 
 
 
Marta sente il cuore in gola.
Si poggia tremante contro la porta della stanza, chiude gli occhi e respira.
Il cellulare smette di vibrare; il suo cuore, invece, continua a galoppare nel petto. Le gira la testa, le manca l’aria.
Sa già di chi è quella chiamata persa, l’ennesima, e non ha nessuna intenzione di rispondere, o di richiamare. Vuole solo essere lasciata in pace. Perché è così difficile da capire?
Apre gli occhi.
Quella è la stanza in cui Harlan è morto.
È la prima volta che entra lì da quando si era trasferita nel maniero.  Tutto è rimasto al suo posto, perfettamente immobile, sembra quasi che il tempo non sia passato: è inquietante.
Quei giorni sono trascorsi e lei, benché faccia fatica a crederci, li ha vissuti. È stato come in un sogno, un incubo, ma li ha vissuti.
La polvere sul pavimento, sui mobili, l’odore di chiuso ne sono una prova: il tempo è passato.
Ha deciso di dare una pulita anche lì dentro, si è fatta forza e ha messo piede in quella stanza, ma no, non ce la fa, non ci riesce.
Fuori, il sole sta tramontando, e le ombre si allungano sulle pareti.
L’unica cosa che le rimane da fare è recuperare il suo cellulare posato lì, proprio sul tavolo doveva ha giocato la ultima partita con Harlan, e andarsene. Chiudere quella stanza per non entrarci mai più.
Ha paura. Stupidamente e irrazionalmente paura.
È quasi come se Harlan fosse ancora lì, le sembra quasi di avvertire la sua presenza vicino a lei. Se non fosse stato per lei, lui avrebbe avuto ancora altri anni da vivere.
Si porta una mano tremante al cuore.
Respirare. Deve respirare.
Harlan non sarebbe certamente tornato dal regno dei morti sotto forma di spirito per tormentarla. Era sempre stato buono con lei.
Il display si riaccende, il cellulare vibra.
Marta vede nero, il mondo attorno a lei perde forma e colore, e sente il suo corpo cadere per terra.
È il gelo a risvegliarla, e una voce preoccupata che a lei arriva lontana.
<< O mio dio. >>
Dei passi, una mano sul suo volto.
Marta si muove, apre gli occhi.
<< Marta? Marta! >>
È Meg.
Meg? Che ci fai lei lì? << Cos’è successo? >>
<< Faccia piano, Marta, piano. >> È il detective Blanc.
Cosa sta succedendo?
Marta si mette in piedi. Non si chiede nemmeno come abbiano fatto i due a entrare in casa, non lo vuole sapere.
Vuole stare sola, non vuole vedere nessuno. << Andate via, >> mormora allontanandosi.
Meg le va dietro, chiama il suo nome, ma lei non la ascolta. Continua a camminare reggendosi alla parete. Inciampa nei suoi piedi e cade in ginocchio.
Meg le è subito accanto << Marta, ssh, andiamo, vieni con me. >>
Scuote la testa mentre calde lacrime le rigano le guance.
<< Ehy, ssh, >> l’altra donna le accarezza il volto, sfiorandole la guancia con gli anelli << ssh, tranquilla. Va tutto bene. >> cerca di rassicurarla. << I-io e il detective… >> si sente in dovere di spiegare << il detective non riusciva a contattarti, e io avevo un duplicato delle chiavi…eravamo preoccupati. Non dovresti stare sola, >> la abbraccia piano, temendo di essere respinta << ne hai passate tante. Lasciati aiutare. Ti prego…voglio-voglio solo starti vicina, aiutarti. Voglio farmi perdonare… >> si mette in ginocchio, stringe Marta più forte facendola posare la testa contro il suo seno. Le accarezza i capelli, la fronte.
Il detective è ancora lì, guarda in silenzio le due donne, e ringrazia il suo intuito che gli ha suggerito di preoccuparsi della giovane infermiera.
 




 




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