Di sangue e di scelta.

di Ale Villain
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Di sangue e di scelta
© AleVillain
 





















 
4 Aprile 2017 H 3.15
Si svegliò di soprassalto. La sveglia aveva suonato ancora alle 3:15 del mattino. Fece un respiro profondo, portandosi la mano sul petto per calmarsi, prima di pigiare il tasto per far smettere quel ticchettio ripetitivo. Si ripromise che avrebbe sistemato quel dannato affare.
Era da tanto tempo che non si svegliava più a quell’orario. Per un lungo periodo, quello era stato l’orario stabilito: lui andava a letto molto presto, per poter risposare un po’ prima di andare in giro. Prima di andare a caccia, come dicevano alcuni suoi compagni.
Tutto sembrava essere cambiato non appena aveva conosciuto lei, la ragazza che ora gli dormiva accanto. Era più giovane di qualche anno ed era una gran gelosona. Ma la amava, Dio se la amava. Anche lei aveva sempre ricambiato quel sentimento. Fino a quel maledetto 3 giugno 2016.
Aveva sperato si fossero sbagliati, ma a quanto pare no. Era andata proprio così.
Si stropicciò gli occhi con le mani e sbadigliò, decidendo di alzarsi per prendere un bicchiere d’acqua. Infilò i piedi nelle pantofole blu scuro e si diresse in cucina.
Non ebbe nemmeno voglia di aprire il frigorifero per prendere la bottiglia; preferì riempire direttamente il bicchiere dal rubinetto. Bevve una generosa sorsata d’acqua e gettò l’occhio alla finestra alla sua sinistra.
Fuori era appena illuminato dai lampioni, ma non c’era alcun rumore, il che era sempre d’aiuto nel conciliare il sonno. Ed era proprio in momenti di solitudine e silenzio come quelli, che gli tornava sempre voglia di andare a ‘caccia’.
Sciacquò velocemente il bicchiere e lo mise a scolare sopra il lavandino, dopodiché decise di tornarsene a dormire.
Aprì lentamente la porta della camera da letto, non volendo svegliare la ragazza, nonostante sembrasse immersa in un sonno profondo. Si avvicinò a lei e le sfiorò la frangetta color rame con le dita. Era proprio bella.
Stava per raggirare il letto e tornare a sdraiarsi dov’era prima, quando il telefono della sua amata si illuminò. Era l’unico momento della giornata in cui poteva sbirciare, per cui, incuriosito, si avvicinò al comodino; con il cuore in gola, lesse la notifica sullo schermo.
Non era un messaggio, ma una notifica del dispositivo che l’avvertiva che a breve ci sarebbe stato un aggiornamento. Tirò un lieve sospiro di sollievo, prima di notare una cosa: sotto alla notifica del software, vi era un’altra notifica, risalente a diverse ore prima - circa una decina - quando lei era a lavoro.
Una chiamata persa: Giovanni Doria.
Il ragazzo sorrise malizioso tra sé e sé, prima di dare un leggero bacio sulla fronte alla amata e rimettersi sotto le coperte.
Il gioco era iniziato.
 

 
***
 
 
 
3 Aprile 2017 H. 10.34
Non si era mai resa conto di quanto potesse essere scomoda la metropolitana. Gente che ti spintonava, odori poco gradevoli, urla, rumore assordante.
Ambra sbuffò, chiudendo per l’ennesima volta la chiamata. Se continuava così, non si sarebbe meravigliata se Richard l’avesse lasciata senza pensarci due volte.
Era da un quarto d’ora circa che il suo ragazzo la chiamava, lei rispondeva e puntualmente doveva mettere giù perché qualcuno la spintonava, c’era rumore e non sentiva oppure si distraeva per controllare a che fermata erano.
Quella volta decise di aspettare di essere arrivata quantomeno alla sua fermata. Alla lezione in università avrebbe anche potuto pensarci più tardi.
“Miracolo” mormorò Richard, non appena prese la chiamata.
“Scusami” rispose subito lei “Stare al telefono in metro è impossibile. Che devi dirmi?”
Sentì Richard sospirare appena.
“Una cosa riguardante l’estate”
Ambra deglutì, cominciando a sentire il cuore accelerare il ritmo.
“Ti ascolto”
Qualche attimo di silenzio, interrotto solo dai suoi passi che si avviavano verso la fermata del pullman.
“Sai che a maggio mi laureo, no?” cominciò lui “Ecco, i miei hanno deciso di regalarmi un viaggio a luglio”
“Ma è fantastico!”
“In Spagna”
“Portami una calamit-“
“Di tre settimane”
Ambra arrestò la camminata.
“Come tre settimane?”
Richard sospirò, stavolta in maniera più profonda.
“E ad agosto vai di nuovo da tuo cugino in America. Per un mese”
“Sì, lo so” si affrettò a dire lui “Ma è solo per quest’anno. Se riusciamo, ci facciamo un week end a giugno io e te”
“Quale week end a giugno? Io ho la sessione estiva”
Sentiva che si stava innervosendo. Doveva rilassarsi. Non era la fine del mondo, doveva solo essere contenta che il suo ragazzo si facesse anche un’altra vacanza oltre al solito periodo passato in America dal cugino. In fondo si stava per laureare.
Doveva rilassarsi.
“Allora dopo che torno dall’America” tentò, cercando di risultare più convincente.
“Più di tre anni che siamo insieme e sei sempre tornato il 28 agosto. E io ho la sessione di settembre”
“Cristo…” lo sentì imprecare appena “Ma… Io non so ancora le date precise del viaggio in Spagna, ok? Magari abbiamo una settimana a fine luglio per…”
“Senti, io sto andando in università” cercò di tagliare corto la rossa.
“Ma, Am…” provò, per poi subito dopo dire, con tono più rassegnato: “Va bene. Buona lezione”
Forse aveva capito che non era il caso di continuare ad insistere, non in quel momento.
“Grazie” rispose freddamente.
“Scrivimi quando sei uscita, per favore”
“Certo”
Chiuse la chiamata.
Alla fine non c’era riuscita a calmarsi come avrebbe voluto. Poteva anche essere futile il motivo per cui si era arrabbiata, eppure non aveva potuto farne a meno: due anni di fidanzamento e non erano riusciti a farsi neanche un viaggetto, che fosse per un motivo o per un altro.
Non le piaceva ammetterlo, ma la colpa era quasi sempre di Richard: un anno non aveva abbastanza risparmi; l’anno prima aveva degli esami importantissimi a luglio e a settembre, non poteva partire e perdere tempo. Ora la laurea e il viaggio in Spagna.
Sbuffò sonoramente, mentre vedeva il pullman avvicinarsi alla sua fermata.
 
La lezione di filologia romanza non poteva essere più noiosa di così.
Ambra guardò per l’ennesima volta l’orario sul telefonino. Le 11.45. Mancava ancora un’ora buona per la fine della lezione.
Abbassò lo sguardo sul proprio quaderno degli appunti. La prima parte della pagina era scritta bene, più o meno ordinata, con le parole più importanti evidenziate di giallo. Dalla seconda metà della pagina, si trattava solo di qualche frase o parola qua e là.
Sbuffò silenziosamente. Già sapeva che, come ogni altro esame, avrebbe finito per studiare solo sui manuali.
Ma cosa vengo a fare a lezione?
Si stropicciò gli occhi per qualche istante, poi, cercando di fare meno rumore possibile, decise di raccogliere le proprie cose e levare le tende. Non stava più ascoltando le parole del professore, ormai era lì solo per fare presenza. E, tra sé e sé, pensò che si sarebbe spacciata per frequentante lo stesso.
Uscì dall’aula evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del professore e chiuse la porta molto lentamente. Meno dava nell’occhio, meglio era.
Decise di fare una capatina in bagno, prima di tornare alla fermata del pullman e pensare ad una scusa da inventare con suo fratello sul fatto che fosse tornata prima dell’orario previsto. Per l’ennesima volta.
Entrò nei bagni femminili, prima di rendersi conto che aveva davanti cinque ragazze. Su una delle due porte dei bagni, c’era appeso un foglio con una scritta a penna: GUASTO.
Sbuffò dalle narici, prima di autoconvincersi che ce l’avrebbe fatta a resistere fino a casa.
Uscì dal bagno e fece per tirare dritto verso la porta d’uscita, quando si rese conto di una cosa: il corridoio era deserto. Il bagno dei maschi pure.
Diede una rapida occhiata in giro e constatò quello che aveva appena pensato. Non c’era un’anima in quel piccolo corridoio.
Si avvicinò piano al bagno dei maschi, come timorosa. Non sapeva neanche di cosa dovesse avere paura; inoltre, se fosse arrivato un ragazzo, poteva semplicemente dire la verità.
Pensò a come sarebbe stato soddisfatto suo fratello Giovanni nel sentirsi raccontare una scena del genere. Oppure l’avrebbe presa in giro a vita, chissà.
Scese i due gradini nel bagno dei maschi e bussò ad una delle porte. Nessuno rispose, per cui aprì lo zaino per prendere i fazzoletti.
Aveva appena tirato fuori il pacchetto finito a metà, quando un movimento alla sua sinistra, appena percepito con la coda dell’occhio, attirò la sua attenzione.
Si voltò verso sinistra e lo vide: un ragazzo, dai capelli rosso fuoco, un sacco di orecchini e gli occhi piccoli, dal taglio asiatico. Azzurri come il mare. Era bellissimo, ma c’era qualcosa che non andava e se ne rese conto osservando com’era vestito: una tuta verde scuro, che ricordava molto il verde militare, con un colletto molto pronunciato che lasciava intravedere una porzione di petto.
Quella porzione di pelle scoperta si intravedeva appena: su di essa, lo sconosciuto portava al collo una mascherina di pelle, con due fori laterali all’altezza del naso e dei lacci cuciti sul davanti, a coprire l’unico pezzo della mascherina aperto.
Ambra deglutì.
Sei una ragazza. Cosa ci fai in questo bagno?
La ragazza sbatté le palpebre più e più volte. Che lingua era? Cinese? Giapponese? Era un po’ razzista da dire, ma a lei gli asiatici sembravano più o meno tutti uguali. Un po’ come a tutti gli occidentali, a dirla tutta.
“Ehm…” fu solo in grado di dire.
Il ragazzo non attese una risposta, si limitò a ghignare – probabilmente aveva intuito benissimo che la ragazza non aveva capito una parola – prima di scroccarsi le dita delle mani.
Notò che aveva spostato lo sguardo dietro di lei.
Molto lentamente girò il viso nella direzione opposta. Un altro ragazzo, anch’esso dai lineamenti asiatici. Però era meno particolare dell’altro: occhi scuri, capelli nero corvino lasciati cadere morbidi, con qualche ciuffo sulla fronte, qualche orecchino. Vide un piercing al sopracciglio sinistro.
Era vestito quasi uguale a quell’altro, con una tuta verde scuro. Non aveva alcuna mascherina, sul petto infatti gli ricadeva una catenina d’argento. Ne aveva anche un’altra di catena, tenuta in vita quasi fosse una cintura e un polsino, sull’avambraccio destro.
Da dove diavolo erano usciti?
Non fece in tempo a formulare altri pensieri, perché un dolore lancinante all’altezza della nuca la destabilizzò improvvisamente. L’ultima cosa che vide, fu l’immagine sfuocata dello sconosciuto di fronte a lei che alzava il sopracciglio con il piercing.
 















 
Angolo Autrice
Sono tornata! E sono anche emozionata, perché questa storia la sto scrivendo da veramente tanti mesi (ho quindi un sacco di capitoli in cantiere), ci ho speso energie, un sacco di riscritture e blocchi incredibili. Ma finalmente è riuscita a prendere la forma che volevo, per cui ho pensato che fosse il caso di pubblicarla. 
Vi avverto che potranno esserci passaggi e intrecci più complicati da capire, ma il tutto verrà spiegato a suo tempo.
Questa sarà una long-fic, più lunga della mia ultima storia (per chi volesse leggerla, si chiama Blame on me) ed è palesemente ispirata a dei personaggi famosi esistenti. Ma io ho voluto renderli miei, adattandoli al contesto in cui li ho inseriti e modificando praticamente tutto. 
Niente, detto ciò spero vivamente che la storia vi possa piacere, farmelo sapere sarebbe veramente gradito.
Alla prossima.
 




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