Ho
detto che questa storia avrebbe avuto al massimo tre capitoli? Ah-ah,
scherzavo. Sto già scrivendo il quarto e non escludo di
arrivare al
quinto.
***
Il
giorno che segue la conversazione con Edoardo è uggioso. Il
cielo è
basso e grigio e lascia cadere una pioggerella talmente sottile da
sembrare nebbia. È il tipo di giornata che invoglia a
restare in
casa, ma Rosa ha l'impressione di soffocare, rinchiusa tra le mura
della villa.
Probabilmente
non dovrebbe uscire vestita così; non oggi che ha indossato
il
vestito rosso che la zia Maria Elena le ha fatto confezionare tra
mille raccomandazioni, lodando la qualità della stoffa e dei
bottoni
di madreperla, ma la ragazza non riesce a resistere.
Nel
primo pomeriggio sgattaiola in giardino e pensa che forse nessuno si
accorgerà della sua piccola evasione perché ha
quasi smesso di
piovere e la mantella di lana che si è gettata sulle spalle
protegge
la maggior parte del suo vestito. Deve solo stare attenta a non
infangarne troppo l'orlo.
Rosa
non si ferma a pensare a dove andare: lascia che siano i suoi piedi a
guidarla e nel giro di una decina di minuti arriva al laghetto.
Tutto
è quieto. Non c'è un filo di vento e gli uccelli
palustri che
risiedono nel piccolo specchio d'acqua sono rannicchiati a poca
distanza dalla riva, le zampe posate su un qualche trespolo che
affiora appena e le penne arruffate. Non si ode il ronzio di alcun
insetto e il lago stesso è silenzioso.
L'atmosfera
è talmente immobile, quasi sonnolenta, che quando sente dei
passi
alle proprie spalle Rosa sobbalza con più enfasi di quanta
sia
accettabile.
C'è
un uomo che si aggira tra gli ulivi. È piuttosto giovane,
deve avere
solo pochi anni in più di lei, e i suoi capelli biondi sono
raccolti
in un'acconciatura antiquata, una coda bassa che non è
più di moda
da almeno un secolo. Rosa studia i suoi abiti semplici, ma dal taglio
curioso, e si stringe istintivamente al petto un ramoscello che ha
raccolto poco prima, turbata dall'inaspettata apparizione del
giovanotto.
Notando
il suo gesto, lo sconosciuto le rivolge un sorriso di scuse.
«Vi
prego di perdonarmi» le dice. «Non era mia
intenzione spaventarvi.»
«Non
mi avete spaventata» replica lei, abbassando le braccia lungo
i
fianchi, ma continuando a fissarlo con occhi attenti.
«Ammetto però
di essere sorpresa: negli ultimi tempi mi è capitato spesso
di
passeggiare lungo le rive di questo lago e prima d'ora non avevo mai
incontrato nessuno.»
L'uomo
sorride di nuovo. «La vostra presenza è una
sorpresa anche per me,
in effetti. Immagino che siate un'ospite della villa?»
chiede,
indicando con un cenno del capo il sentiero che conduce verso
l'edificio principale.
Rosa
si lascia sfuggire l'accenno di una risata. «Se
così si può dire:
il signor Antonio Colombo è mio zio; e io vivo sotto il suo
tetto,
ora.»
Il
giovane annuisce con aria solenne. «Vi faccio le mie
condoglianze,
allora. Per vostra madre.»
La
ragazza inarca le sopracciglia. «Vi ringrazio, ma sono
passati ormai
dieci anni dal giorno della sua morte. Devo supporre che l'abbiate
conosciuta? Com'è possibile? Quando ha sposato mio padre,
voi
dovevate essere soltanto un bambino...»
«Non
l'ho conosciuta personalmente», replica lui, «ma
è risaputo che
l'unica sorella del signor Colombo è morta tempo
fa.»
La
fanciulla annuisce, trovando quella spiegazione mediamente
soddisfacente. Quello che desidera veramente sapere, però,
è chi
sia quell'uomo che ha invaso un angolo di mondo che fino a poco prima
pensava appartenesse esclusivamente a lei. È
quasi
certamente un giardiniere, si dice, percorrendolo ancora una
volta con un'occhiata veloce, ma è meglio accertarsene.
«E
voi siete... Un impiegato di mio zio?» chiede, sperando di
non
risultare inopportuna.
«Esattamente»
conferma lui. «Mi prendo cura del giardino.»
La
ragazza sorride, ma non riesce a scacciare il vago senso di imbarazzo
che sembra aleggiare su quella conversazione: è strano
intrattenersi
con qualcuno di cui non si conosce neanche il nome.
La
fanciulla decide che è giunto il momento di porre rimedio a
quella
mancanza. «In questo caso, è un vero piacere
incontrarvi» dice,
imitando inconsciamente il tono artefatto della zia Maria Elena.
«Non
mi sono presentata: io sono Rosa Lombardo.»
Il
giovane pare combattuto e Rosa vede un lampo di indecisione
attraversare il suo volto. «Cosimo Ardenghi» dice
infine,
piegandosi in un piccolo inchino.
La
ragazza non può fare a meno di sentirsi intrigata
dall'apparente
reticenza del giardiniere: ha avuto la netta impressione che non
sapesse se rivelarle o meno il proprio nome.
Perché? Si
chiede, osservando per un istante il suo volto dai tratti eleganti.
È
un giovane dall'indubbio fascino, attraente nonostante i capelli
lunghi e gli abiti fuori moda. Rosa nota i suoi occhi di un azzurro
intenso e le sue spalle larghe e si sente arrossire.
Ma
che idee sono queste?! Si rimprovera. Per scacciare
la
mortificazione, si costringe a parlare di nuovo. «Siete voi
che vi
prendete cura degli olivi?» fa, indicando il pendio.
Il
giovanotto, che aveva gli occhi fissi su di lei, si guarda attorno
con espressione stupita, come se fosse sorpreso di trovarsi
circondato dagli alberi. «Sì, almeno in
parte» conferma poi. «Ma
ho chi mi aiuta.»
La
ragazza non riesce neppure a fingere di essere incuriosita dagli
altri giardinieri. In quel momento l'unica cosa importante è
quel
ragazzo biondo che sembra essere comparso come per magia nel punto
più misterioso di tutta la tenuta. L'interesse che prova nei
suoi
confronti è senz'altro segno della sua scarsa levatura
morale, ma
Rosa non può fare nulla per reprimerlo: è come se
qualcosa avesse
messo radici all'altezza del suo stomaco e ora l'attirasse verso
quell'uomo di cui conosce a malapena il nome.
È
una sensazione bizzarra e non del tutto gradevole. Non senza un certo
orgoglio, Rosa si è sempre ritenuta una persona razionale;
eppure
lì, sulle rive di quel laghetto dall'aspetto anonimo, la sua
razionalità sembra venire meno. Prima
sento una voce che
sembra appartenere all'acqua stessa, poi sviluppo questa strana
connessione con un uomo che non ho mai visto prima, pensa
la
giovane con un fremito preoccupato. Che cosa mi sta
succedendo?
Accorgendosi
del suo silenzio, Cosimo le si avvicina.
«Signorina?» le fa,
percorrendole il viso con gli occhi. «State bene?»
Rosa
si riscuote. «Oh, sì, certo» lo
rassicura, passandosi una mano sul
volto. «A volte tendo un po' a perdermi nei miei
pensieri.»
Dopo
aver pronunciato quelle parole, la fanciulla arrossisce senza motivo
e lui le rivolge un sorriso gentile. «Capita anche a
me» le
confessa in tono complice.
C'è
qualcosa di anomalo nel suo atteggiamento e la ragazza impiega
qualche istante a capire di cosa si tratta. A differenza del resto
della servitù, quel giardiniere non la tratta con deferenza
o
malcelata invidia: sembra invece amichevole, si rivolge a lei da pari
a pari. Tanta confidenza dovrebbe forse irritarla, ma Rosa non si
è
ancora abituata al suo nuovo stato sociale e, dopo settimane passate
a subire la fredda indifferenza degli zii e del cugino Edoardo, un
poco di cordialità è bene accetta.
Ciononostante
Rosa si rende conto che la conversazione rischia di prendere una
piega un po' troppo intima. È consapevole di essersi
intrattenuta
fin troppo a lungo con quel giovane e sa che è giunto il
momento di
accommiatarsi da lui - e non importa se c'è qualcosa in lei
che le
grida di non farlo, di fermarsi un altro po'.
Piegando
le labbra in un sorriso che di naturale ha ben poco, incontra per un
attimo gli occhi dell'uomo. «Ebbene, Cosimo, è
stato un piacere
parlare con voi. Tutta questa umidità mi sta però
entrando nelle
ossa e credo che sia davvero ora che io torni alla villa: sarebbe
davvero un peccato se mi prendessi un malanno...»
"...
poco prima del mio matrimonio" stava per dire, ma
per
qualche motivo le parole mutano forma prima di lasciare la sua
lingua.
«...
proprio ora che la primavera è alle porte» dice
invece.
La
voce le si spegne in un tremolio incerto, ma lui pare non badarvi.
«Il piacere è mio, Rosa» ribatte; e
tanta familiarità le fa
sobbalzare il cuore nel petto. «La primavera è la
stagione in cui
il giardino dà il meglio di sé: magari ci
incontreremo ancora?»
È
meglio di no, pensa Rosa, perché
non sta bene che
una donna fidanzata si intrattenga con un uomo che non è il
suo
promesso sposo. Lo zio Antonio non vorrebbe che io parlassi con te; e
non credo che mi convenga contrariarlo, visto che, se non fosse per
lui, non avrei neanche un tetto sopra la testa. Oltretutto il cugino
Edoardo è brutto e mi considera una stupida, ma resta
comunque un
partito migliore di un giardiniere.
Sarà
meglio che ci incontriamo di nuovo, riflette
ancora, visto
che io sposerò il padrone della tenuta e che tu sei pagato
per
curare la mia proprietà.
Le
parole che lasciano la sua bocca sono però ben diverse.
«Magari sì»
sussurra con gli occhi bassi, prima di girare sui tacchi e avviarsi
lungo il sentiero che conduce alla villa.
Nell'atmosfera
nebbiosa, lo scricchiolio della ghiaia sotto i suoi piedi è
l'unico
suono che raggiunge le sue orecchie.
***
Passano
diversi giorni prima che Rosa abbia il coraggio di tornare al lago.
Il tempo si è rasserenato e la fanciulla ne approfitta per
esplorare
le parti della tenuta che ancora non conosce bene.
Una
delle sue mete preferite è la modesta serra nella quale la
zia Maria
Elena coltiva le orchidee. Ci entra quasi in punta di piedi, dal
momento che non è sicura che la zia voglia che lei stia
lì, ma una
volta dentro rimane affascinata dai fiori eterei che sembrano sospesi
a mezz'aria, simili a farfalle che si accalcano attorno ai rigidi
steli verdi. Rosa li osserva, tende le dita verso di loro, li sfiora
senza osare toccarli: teme che, se lo facesse, cadrebbero a terra
come insetti senza più forza nelle ali.
Le
prime due volte che visita la serra la trova deserta. L'unico suono
che spezza l'umidità immobile che regna nella piccola
costruzione di
vetro è il ronzio di un insetto ostinato che, scoprendosi
incapace
di trovare la via d'uscita, percorre palmo a palmo la barriera
invisibile che lo separa dal mondo esterno.
Quando
vi si reca per la terza volta, però, il sole è
sorto da poco e
sulle prime la giovane non si accorge di avere compagnia e il suono
improvviso di una voce la fa
sussultare. «Buongiorno,
signorina» le dice una donnina di mezza età che
regge delicatamente
tra le mani un vaso che contiene un'orchidea adorna di fiori bianchi.
«Oh...
buongiorno!» replica lei arrossendo. Non ha davvero motivo di
essere
in imbarazzo, dal momento che la serra si trova su quella che presto
sarà la sua terra e che, comunque, non sta facendo nulla di
male, ma
Rosa si scopre a strisciare nervosamente i piedi sul pavimento.
La
donna le rivolge un sorriso gentile e poi si china per posare il vaso
in una tinozza ai suoi piedi. Alle orecchie della fanciulla giunge un
leggero suono d'acqua smossa. La curiosità ha la meglio
sulla
ritrosia. «Cosa state facendo?» chiede,
avvicinandosi alla
sconosciuta.
«Bagno
le orchidee» risponde di buon grado lei. Non sembra che
l'attenzione
di Rosa le dia fastidio. «Non conviene innaffiarle:
è meglio
metterle a bagno per dieci minuti. Così prendono solo
l'acqua di cui
hanno bisogno.»
«Ah»
annuisce la giovane, affascinata. «È lei che si
prende cura della
serra?» Forse è strano che ultimamente stia
incontrando tanti
giardinieri, ma Rosa scrolla le spalle: è primavera,
è normale che
vi sia tanto da fare nelle aree verdi della villa.
La
donna comunque scuote il capo. «Solo di tanto in tanto: in
realtà
si occupa quasi di tutto la signora Maria Elena. Io do solo da bere
alle piante: bisogna farlo quando il sole è ancora basso; e
la
signora non è mai stata particolarmente
mattiniera.» Lo dice con un
sorriso quasi affettuoso e Rosa si chiede se la sua gelida zia sia
capace di mostrare un volto più amichevole di quello che di
solito
riserva a lei. All'oscuro dei suoi pensieri, la donnina la guarda con
più attenzione. «Immagino che voi siate la
signorina Rosa, giusto?»
«Esatto»
annuisce lei, prima di retrocedere di un passo. «Ma vi sto
forse
disturbando? Ero venuta per guardare da vicino le orchidee, ma non
vorrei intralciare il vostro lavoro.»
L'altra
donna scoppia a ridere. «Non siete di alcun disturbo,
signorina, e
non direi che quello che sto facendo è un lavoro:
è più che altro
un passatempo. Il mio vero lavoro è nell'orto: lì
sì che c'è
parecchio da fare, soprattutto quando mio marito è troppo
occupato
per aiutarmi!»
«Anche
vostro marito lavora qui?» indaga Rosa.
La
donna più anziana annuisce. «In questo periodo si
sta occupando
della potatura degli olivi: bisogna sistemarli per bene prima che
inizino a fiorire.»
È
una coincidenza, ma la fanciulla scopre che la bocca le si è
fatta
stranamente asciutta. «I-immagino...»
balbetta, poi si ferma e
si schiarisce la voce. «Immagino che non sia un lavoro
semplice.
Sono stata dalle parti del laghetto sul lato sud, l'altro giorno, e
non ho potuto fare a meno di notare che mio zio possiede un gran
numero di quelle piante.»
«Oh,
sì», annuisce la donna, «e sono molto
produttive. Fortunatamente
il mio povero Nicola non ci lavora da solo: la sua schiena non
è più
quella di un tempo.»
Rosa
si morde inconsciamente un labbro, mentre la sua mente torna a un
paio di occhi chiari e a un corpo solido. «Sì,
proprio l'altro
giorno ho incontrato uno degli altri giardinieri: Cosimo, se non
ricordo male.»
La
donna aggrotta le sopracciglia e si asciuga le mani nel grembiule che
le cinge la vita. «Cosimo?» chiede con aria
perplessa. «Non mi
sembra che ci sia nessun Cosimo che
lavora da queste
parti.»
Di
nuovo, la ragazza avverte un rossore imporporarle le guance.
«Forse... forse ho capito male il suo nome?»
azzarda. O
forse mi ha dato un nome sbagliato, pensa confusa. Un attimo
dopo
la confusione viene soppiantata dall'indignazione. Ma
perché
avrebbe dovuto farlo? Si diverte forse a
prendersi gioco
di me? Un altro pensiero le attraversa la mente: e
se il
ragazzo che ha incontrato in riva al lago non fosse stato affatto un
giardiniere, ma qualcuno che si era infiltrato nella
proprietà di
suo zio con scopi meno che nobili? La prospettiva le fa girare la
testa.
Decisa
ad andare in fondo alla questione, Rosa cerca di richiamare alla
memoria tutti i particolari che potrebbero esserle utili.
«Dimostrava
più o meno la mia età» dice con la
fronte contratta per la
concentrazione. «Forse era un poco più vecchio, ma
non di molto.
Piuttosto alto, con i capelli biondi e gli occhi chiari. Oh, e i suoi
capelli erano più lunghi di quanto si addica a un
uomo.»
Il
volto della donna rimane impassibile per qualche istante, poi si
illumina. «Ah, ma voi state forse parlando di Claudio? Un
giovanotto
per bene, anche se dall'aspetto forse un poco trasandato?»
«Forse...»
Rosa
si interrompe. Possibile che abbia confuso "Cosimo" per "Claudio"?
I due nomi non si assomigliano affatto. E, inoltre, non è
certa che
l'aspetto del giovane che ha incontrato tra gli ulivi possa definirsi
trasandato: antiquato, sì, ma comunque piuttosto curato.
«Non
posso escluderlo» dice, ma la sua voce ha un suono ben poco
convinto
e la sua interlocutrice pare accorgersene. Rosa si sforza di
sostenere il suo sguardo indagatore e si affretta a cambiare
discorso: non può permettersi che quella donna, che sembra
avere un
buon rapporto con la zia Maria Elena, pensi che lei dimostri troppo
interesse per un uomo che non è Edoardo. «Comunque
non ha
importanza» dice, cercando di assumere un tono noncurante.
«La mia
era semplice curiosità.»
«Avrete
tempo per imparare i nomi della servitù» la
rassicura la donna.
«Non siete qui da molto e avete avuto molte cose a cui
pensare.»
La
ragazza fa un cenno d'assenso. «Certamente,
signora...?»
«Adele»
viene in suo soccorso la donnina. «Mi chiamo
così.»
Quando
poco dopo si separa da lei, Rosa pensa che dovrebbe tornare a casa
nel caso in cui la zia abbia qualcosa in da farle fare. Dopo una vita
passata a servire, non si è ancora abituata all'ozio che ora
abbonda
nelle sue giornate. Quasi senza rendersene conto, però, si
incammina
invece verso il lago: per vedere se Cosimo si aggira tra gli olivi -
e per chiedergli il suo vero nome - per scoprire se l'acqua ha
qualcosa da dirle.
Le
sponde del laghetto sono deserte, l'unico movimento che si scorge tra
gli alberi è quello di un merlo che raspa e saltella alla
ricerca di
vermi. Rosa è delusa.
«Cosimo?»
prova comunque a chiamare. Non che si aspetti una risposta. La
speranza che le formicola nel petto è sciocca: se anche il
giovane è
davvero un giardiniere - e Rosa inizia a nutrire qualche dubbio in
proposito - non passerà certo le sue giornate in quella
porzione di
parco.
«C'è
nessuno?» chiede ancora.
Le
risponde un mormorio. Cosimo? È
il suo primo
pensiero, ma no, ovviamente non è il giardiniere. La voce
che ha
parlato è femminile.
La
ragazza si avvicina al lago. Non ha mai provato a rispondere alla
voce, ma cosa succederebbe se lo facesse?
Rosa
deglutisce. «Chi siete?» sussurra mentre i suoi
occhi corrono sul
pelo dell'acqua, immobile nella luce del mattino.
Vieni, sussurra
la voce. Nella mente della giovane risuonano echi sbiaditi, racconti
di marinai e di ingannevoli canti di sirene. Nonostante ciò,
la
fanciulla si accuccia sulla riva, le scarpe ben piantate nel terreno
leggermente fangoso e le dita della mano destra che si stringono
sull'erba umida. La mano sinistra, invece, si tende verso l'acqua.
«Cosa
volete da me?» chiede Rosa. La voce le trema e si sente
sciocca a
conversare con il lago, ma come potrebbe smettere di farlo?
Sei
sola, è la risposta che giunge
dall'acqua. Sei tanto
sola.
Accovacciata
accanto a un cespuglio di ortensie, Rosa aggrotta la fronte.
È vero,
è sola, ma la solitudine non è mai stata un
problema. In
quell'istante capisce che ciò che le pesa è la
prospettiva di
rimanere intrappolata in un mondo che non le appartiene, in un
matrimonio che non la renderà mai felice. E che non
renderà felice
nemmeno suo marito, se ciò che crede di aver visto nella
biblioteca
non è stato un abbaglio. Ma cosa deve saperne un lago delle
ambasce
dei mortali?
Probabilmente
sono pazza, pensa la giovane mentre le sue dita
sfiorano il
pelo dell'acqua. «La solitudine non mi spaventa»
risponde allora,
spingendo lo sguardo fino al centro del laghetto. «Temo
piuttosto
l'infelicità: tra poco più di un mese
dovrò sposare il cugino
Edoardo e so già che lui non mi vuole, né
potrà mai volermi. E
nemmeno io gli voglio bene, del resto. Preferirei rimanere sola per
sempre, piuttosto che diventare sua moglie.»
Delle
onde sottili increspano la superficie del lago. Io
posso
aiutarti, sussurra la voce, che a Rosa non è mai
sembrata così
suadente. Posso renderti libera e anche meno sola.
La
fanciulla si morde le labbra. È una prospettiva allettante,
ma lei
non è certo tanto folle da prestare orecchio alle proposte
fatte da
una fata che vive nelle profondità lacustri o, forse, solo
negli
abissi della sua mente.
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