And
The Waltz Goes On
Ciò
che dà un senso alla vita, lo dà anche alla morte
(Cit. Antoine de
Saint-Exupéry)
Non
c'è vita senza morte, e non poteva esserci un Curatore senza
colei
che permetteva il riempimento sia del suo archivio che di una
discreta parte dei suoi pensieri.
Laddove
il Curatore era il guardiano di tutte le storie mai scritte, Livvy
Valadi era la custode di tutte le vicende che ancora dovevano venire
raccontate; proprio come l’uomo, nemmeno lei ricordava da
quanto
tempo stesse svolgendo il suo compito o se l’avesse mai fatto
qualcun altro prima, tutto ciò che sapeva era che viaggiasse
quasi
più di lui per potergli procurare altro materiale, e quanto
ciò le
desse da fare: era un'instancabile esploratrice, un'avventuriera,
magari un'archeologa o un’antropologa, tempo concedendo, ma
trovava
sempre l’occasione, tra un viaggio e l'altro, per tornare a
far
visita al suo collega.
Era
proprio quel giorno che il Curatore la stava aspettando, quasi con
impazienza avrebbe osato ammettere, ma solo a se stesso: confessarlo
anche a Livvy sarebbe stato superfluo, giacché l'avrebbe
capito da
sola. Avrebbe giurato che fosse passato molto tempo dal loro ultimo
incontro ma una stima precisa sarebbe stata impossibile visto quanto
relativo fosse il trascorrere dei giorni o addirittura degli anni
all'interno dell'archivio.
Quando
aveva cominciato a sentire i suoi pesanti passi rimbombare per i
corridoi altrimenti sereni ma vuoti, il Curatore aveva voltato lo
sguardo verso la porta preannunciandola ai suoi preziosissimi tomi.
-Sta
arrivando- aveva mormorato impassibile continuando a sistemare alcuni
dei libri sullo scaffale cui appartenevano.
Nel
tono della sua voce si nascondeva quella che lui stesso non sapeva
interpretare se come una nota di irrequietezza o di trepidazione:
Livvy era una ventata d'aria fresca nella sua polverosa biblioteca,
una macchia di colore nel grigiume dell'atmosfera ovattata ma
all'inizio era sempre un po' difficile adattarsi ai suoi scoppi di
energia.
Quando
i suoi passi non riuscirono ad essere più attutiti nemmeno
dai
pregiati tappeti, e il requiem di Mozart non fu l'unico suono a
riempire il silenzio, il Curatore seppe che era proprio dietro
l'angolo; le porte vennero spalancate con forza cozzando contro
l'attaccapanni e uno dei muri.
-CURATORE!-
lo salutò Livvy animatamente, facendo risuonare la sua voce
per
tutto il salone -Vecchiaccio! Vieni ad abbracciarmi! È una
vita che
non ci vediamo! Guarda se lo devo dire proprio io, poi! Ahahah!-
Ed
eccola lì, in tutta la sua fresca bellezza eternamente
rigogliosa:
pelle imbrunita dal sole, folti capelli biondo grano, quasi sempre
raccolti in una lunga e disordinata treccia, labbra carnose e guance
rosee, un fisico atletico del quale spiccavano soprattutto i fianchi
pronunciati e un seno abbondante. Tutti segni di una persona fertile
e in perfetta salute.
Non
rimase sull'uscio della biblioteca che per una manciata di secondi
prima di prendere a muoversi freneticamente per la stanza.
-Ho
visto cos'è successo a Little Hope e sono venuta a
festeggiare! Ma
prima, le cose più importanti! Voglio dire, che è
tutta ‘sta
mosceria?! Aprile 'ste finestre, ti farà bene l'aria fresca!-
L'esploratrice
si diresse in tutta fretta a sbloccare i ganci che tenevano chiuse le
vetrate, poi si avvicinò allo spento caminetto in marmo e ci
lasciò
cadere con un tonfo il suo ingombrante zaino; essendo perennemente in
viaggio, erano pochi gli effetti personali con cui si muoveva ma
immancabili erano il suo zaino da viaggio, la sua tenda e il laptop
dall'inspiegabile capienza. Lo estrasse dal suo bagaglio e
andò a
poggiarlo sulla scrivania in mogano.
Forse
c’era un po’ troppa foga nelle sue azioni, ma per
quante ne
avesse viste o subite, quel peculiare pezzo di tecnologia non ne
aveva mai risentito.
-Ti
ho portato l'inizio di cinque, no no, sei! Sei nuove magnifiche
storie!- anticipò colma di fervore -Non tra le migliori che
abbia
mai visto, ma comunque buone- si strinse nelle spalle venendo colta
da un lampo l’attimo seguente.
Preso
com'era dal riordinare i tomi rilegati in pelle, il Curatore
continuò
a lavorare indisturbato fino a che il giradischi non venne
bruscamente interrotto; girò la testa quanto bastava per
sbirciare
la ragazza da sopra la spalla e notò che Livvy, voltata di
spalle a
sua volta, aveva sollevato la puntina per fargli ascoltare uno o due
pezzi di sua scelta; accanita frequentatrice di discoteche e concerti
com’era, aveva scelto il live di "High hopes" dei Panic!
At The Disco per riempire la stanza.
-Dicevamo,
insomma, festeggiare! Il bastardo di Little Hope, Anthony, ce l'ha
fatta! Ha superato i suoi traumi e si è lasciato i suoi
demoni alle
spalle!- come si fu sfilata il suo gonfio cappello newsboy di panno
bianco e lo ebbe lanciato dall’altra parte della stanza, la
sua
cascata di morbidi boccoli le ricadde sulle spalle esili, coprendole
la schiena fino ai fianchi.
Corse
a recuperare due lattine di energy drink da una tasca esterna del suo
zaino e ne gettò una sulla scrivania accanto al portatile.
Il
Curatore, con ancora due volumi tra le braccia, continuò ad
osservarla mentre stappava la coloratissima lattina e si dirigeva
verso la vecchia lavagna sistemata nell’angolo accanto al
proiettore; lo sgargiante design delle bevande, l’andamento
sensuale della sua affezionatissima amica, il morbido nodo di fluenti
capelli biondi e le note piene di brio, donavano un’atmosfera
così
viva da far sembrare che stessero per dare davvero il via una festa
nonostante fossero in due soltanto. Per qualche arcano motivo, anche
il vecchio zaino bianco, malandato e pieno di terra, pareva una
presenza in più, forse perché ricordava un
candido pastore svizzero
lasciato a recuperare le forze dell’ultimo viaggio, se visto
con la
coda dell’occhio.
Mentre
Livvy tamburellava a ritmo con le dita, l’uomo
sistemò gli ultimi
albi, raccolse la bibita e raggiungesse l’esploratrice.
-No,
grazie, mia cara. Sai che non sono solito consumare questo genere
di…
Miscela- le disse restituendole il drink senza averlo assaggiato.
Ogni volta che increspava le labbra sottili in
quell’enigmatico
sorriso, gli occhi si assottigliavano anch’essi in
un’espressione
che Livvy non sapeva se definire snervante o intrigante. Dopotutto,
un sorriso è pur sempre un sorriso ma condiscendente come il
suo?
Poteva anche risparmiarglielo: lei non era uno dei suoi ospiti. Non
una qualsiasi quantomeno.
-Paura
che ti tenga sveglio la notte, eh, vecchio?- lo stuzzicò lei
raccogliendo l’oggetto con un movimento aggraziato ma brusco
prima
di lanciarlo distrattamente sul sedile di una poltrona -Bevine
cinquanta in una giornata, poi vedi come ti scoppia il cuore e
così
il sonno smette di essere un problema… Ma,
d’altronde, chi vuoi
che si preoccupi di dormire quando è in uno stato tale da
poter
assaggiare i colori?- scherzò, gettando la testa
all’indietro per
svuotare la propria lattina.
Avvolto
in un girocollo di caucciù nero e così esposto,
il suo collo
sottile era delizioso e fin troppo invitante; anche per un uomo
moderato come il Curatore fu una sfida trattenersi dal farle una
carezza, per cui trovò di che distrarsi sviando la questione
su una
faccenda più intrigante.
-Sii
onesta con me: quante ne hai bevute nell’ultima
mezz’ora?-
La
ragazza prese a contare con le dita e farfugliò qualcosa tra
sé e
sé, roteando gli occhi in cerca della giusta cifra.
-Tipo
trenta!- rispose con innocenza, le maniche a campana del suo cardigan
bianco svolazzarono quando aprì le braccia in un gesto non
molto
ampio ma senz’altro teatrale.
Il
Curatore ridacchiò e scosse la testa; la particolare natura
di Livvy
non le chiedeva di prendersi maniacale cura del proprio corpo per
risplendere al massimo e le rendeva impossibile farsi male, ma
abusava eccessivamente della sua resistenza, almeno secondo i gusti
dell’uomo.
La
guardò con scherzoso rimprovero per poi dirigersi al
giradischi dove
il cellulare continuava a riprodurre un trionfante squillare di
trombe e il boato del pubblico.
-E
sai che non sono solito ascoltare questo genere musicale- disse,
mettendo in pausa il gruppo rock e riempiendo di nuovo la biblioteca
con una sofisticata aria operistica di sua scelta.
Aveva
pensato di riprodurre “La donna è
mobile” del Rigoletto, per il
gusto perverso di provocare Livvy col sessismo che dipingevano i suoi
versi, ma i suoi reali pensieri dimostrarono di averlo tradito quando
le basse note di “L’amour est un oiseau
rebelle” echeggiarono
tra gli scaffali e oltre la finestra spalancata; il Curatore fece una
smorfia di disappunto e provò a sollevare la puntina quando
la
giovane donna lo fermò.
-No,
no, lasciala! Sai che mi piace l’habanera, e questa in
particolare
dipinge perfettamente il nostro rapporto.-
Non
poteva vederla in faccia, ma era mortalmente certo che si stesse
mordendo un labbro in un malizioso sorriso.
-L’amore
è un uccello ribelle che niente può
addomesticare, ed è inutile
che lo si chiami se decide di rifiutare. Niente lo convince, minacce
o preghiere, uno parla molto, l’altro tace-
canticchiò voltandosi
a guardare il Curatore, in volto aveva l’esatta espressione
che
l’uomo aveva dipinto nella sua testa -Ed è
l’altro che
preferisco. Non ha detto nulla, ma mi piace!-
La
ragazza fissò i suoi grandi occhi castani in quelli glaciali
del
Curatore e per un lunghissimo momento, ci fu uno scambio di sguardi
tra di loro in cui non dissero nulla e allo stesso tempo si dissero
tutto ciò che c’era bisogno di sapere.
-L’amore
è un bambino della Boemia che non ha mai, mai conosciuto
legge. Se
tu non mi ami, io ti amo, ma se io ti amo, stai attento a te!- le
rispose l’uomo sfidandola a completare il verso incompiuto.
-Attento
a te!- concluse lei lasciando che a continuare il pezzo fosse la
cantante lirica la cui agile voce portava ancora più calore
all’ambiente.
Livvy
non era brava a mantenere la concentrazione su una sola cosa alla
volta, probabilmente qualche esperto le avrebbe diagnosticato un
disturbo da deficit dell’attenzione o una forma di
iperattività
cronica, se gliel’avesse lasciato fare, ma quando si trattava
del
Curatore, tutto il resto del mondo scompariva; per quanto diversi,
erano allo stesso accomunati da qualcosa di trascendentale.
Non
era solo per il modo di vestire, di lavorare o la presunta differenza
d’età e i segni che portavano o non portavano sul
volto, era tutto
una questione di indole e contegno: il Curatore, distinto e
carismatico com’era, l’aveva ammaliata molto tempo
prima di
allora, lei così gioviale e briosa, continuava a farlo ogni
volta
che si incontravano.
-Mi
stavi dicendo, allora, di Anthony?- riprese lui il discorso,
interrompendo il silenzio calato tra di loro.
-Come
se non lo sapessi!- Livvy scosse la testa e si avvicinò alla
lavagna
abbandonando la lattina vuota nella mensolina portagessetti per
raccoglierne uno.
-È
tardi affinché lui possa cominciare a farsi una vita come la
preferisci tu- ci tenne a precisare il Curatore, ma l’ospite
dissentì.
-Se
è per questo non è mai troppo tardi per scegliere
di continuare a
vivere piuttosto che il suicidio- fece spallucce lei cercando uno
spazio vuoto.
Il
lato che aveva davanti era coperto da una serie di segnetti, tagliati
trasversalmente a gruppi di tre, così fitti da formare una
patina
bianca lungo quasi tutta la superficie; unico punto libero era il
bordo superiore dove in due riquadri puliti risaltavano le firme dei
due, frenetica e disordinata l’una, pulita e sofisticata
l’altra.
-Non
capisco cosa sia tutto questo astio per la morte. Essa non è
che il
prezzo da pagare per aver vissuto- commentò flemmatico lui
tenendo
le mani dietro la schiena mentre si avvicinava all’amica.
I
suoi lenti ma lunghi passi gliela fecero raggiungere in poche falcate
e, una volta che le fu accanto, si rese conto di quanto si fosse
impegnata a rendersi elegante per l’occasione; i suoi soliti
completi verde militare da esplorazione, comprensivi di canottiere
scure, stivali bassi e vestiti sui quali non si fosse notato lo
sporco, avevano lasciato spazio a dei jeans chiari con ricami
bianchi, una maglia di macramè immacolato e un corpetto che
le
avvolgeva la vita sottile. La sua statura era innalzata da un paio di
rustici stivaletti col tacco che la alzavano ma senza farle
raggiungere l’altezza del bibliotecario.
A
completare il suo look era una luccicante mezza parure di
acchiappasogni dorati, una collana argentata con l’albero
della
vita, un anellino con opale nero sulla mano sinistra e
l’immancabile
bussola sportiva appesa al fianco destro.
Nel
suo sofisticato completo d’affari verde foresta, con la
cravatta
oro scuro riccamente decorata, scarpe nere di pelle, la camicia ben
stirata e una bussola antica portata nel taschino sinistro del
gilè,
il Curatore era sempre impeccabile, ma quel giorno Livvy era
senz’altro notevole.
Notando
il cappello e il lungo golfino orlato di perle, l’uomo
capì che
l’autunno fosse ormai cominciato, tanto più che
nell’archivio
aveva preso a soffiare un’aria frizzantina. Se non avesse
chiuso le
finestre di lì a qualche minuto, la sua ospite avrebbe
cominciato a
rabbrividire.
-Non
ho nulla contro la morte, è solo che provo un immenso
dispiacere per
coloro che vedono la vita così male da voler affrettare i
tempi a
tutti i costi- lo distrasse lei quando fece per andare ad occuparsi
delle imposte.
Livvy
continuò a studiare la lavagna ma non vedeva altra opzione
se non
girarla dall’altra parte.
-In
ogni caso, Anthony è sopravvissuto, e questo porta la nostra
scommessa a...-
Poggiò
una mano sulla cornice in legno, girò la tavola e si
ritrovò
davanti lo stesso identico spettacolo; cominciò a valutare
l’idea
di arricchire l’archivio con una lavagna interattiva nuova di
zecca
quando il Curatore le sfilò il gessetto dalle dita e
tracciò un
segno su entrambe le loro porzioni, indifferente al fatto che si
perdesse in mezzo a tutti gli altri.
-Esattamente
in parità. Sai meglio di me che tutto ciò che
inizia prima o tardi
dovrà anche giungere alla sua fine. Così
sarà fino alla fine dei
tempi, anche se non riesco a capire perché te la prenda
tanto: sono
solo umani dopotutto… E molto ingenui per giunta- il
Curatore
rimise il gessetto al suo posto scuotendo via quel poco di polvere
che gli si era depositata sulle dita mentre Livvy se le
passò sulle
cuciture dei jeans attillati, ridendo sommessamente.
-Ti
sbagli, invece. Ogni vita conta e anche se non mi è concesso
di
decidere per gli altri, ho avuto modo di vedere quanto le persone
possano essere creative e affascinanti.-
Sotto
le sue folta ciglia scure, i
suoi occhi si erano come accesi e una luce stava facendo risaltare
quella punta di rosso che si nascondeva dietro al castano e che le
rendeva lo sguardo ardente del fuoco della vita.
-Anziché
proseguire per vie teoriche, perché non me lo mostri? Sembra
che tu
abbia molto da raccontare.-
Il
Curatore lasciò la lavagna, spostò la lattina sul
tavolo del
proiettore e si accomodò in una confortante poltrona di
pelle,
accavallando le gambe; per preparasi alla visita di Livvy aveva
leggermente sistemato l’archivio non solo ponendo
un’altra di
quelle eleganti sedute davanti alla sua scrivania, ma anche ruotando
il divano in modo che fronteggiasse il telo bianco da proiezione.
Conoscendo le sue abitudini, aveva, inoltre, piegato una coperta di
lana a trama scozzese su un bracciolo di modo che Livvy ci si potesse
avvolgere mentre condivideva con lui i dettagli delle sue
peregrinazioni.
La
giovane donna, in effetti, aveva preso nota dei suoi accorgimenti, ma
non era intenzionata a mettersi a proprio agio finché non
fosse
stato il Curatore ad invitarla; non era per una questione di
rispetto, limiti o autorità: intendeva stravaccarsi, vero,
ma non
sul divano.
-Prego,
accomodati- insistette lui facendo un cenno verso il mobile e
tornando a giungere le mani.
Senza
farselo ripetere due volte, Livvy gli passò davanti,
ignorò il
divano e si lasciò cadere in grembo al Curatore, cogliendolo
del
tutto impreparato.
-Grazie-
ammiccò mentre l’altro sussultava con occhi
increduli, le mani
sfilate alla svelta da sotto il corpo dell’avventuriera, ora
le
teneva sollevate non sapendo più dove poggiarle -Guarda che
se mi
tocchi, non muore mica nessuno- rise lei amando il modo in cui
riusciva a confonderlo.
Il
Curatore, compreso il suo gioco, le sorrise garbatamente e la
incitò
a cominciare.
-Vogliamo
iniziare?-
-Sei
senza speranza- sospirò Livvy scuotendo la testa, gli
orecchini
scintillanti ne seguirono i movimenti ciondolando.
Mentre
l’avventuriera si sporgeva per avviare il proiettore,
l’archivista
optò per incrociare le braccia: pratico, dignitoso ma
soprattutto
che gli impediva di cadere nella trappola della ragazza. Ricordava
fin troppo nitidamente dove li avesse condotti il suo lassismo la
prima volta che si erano trovati in quella circostanza.
Le
immagini presero a scorrere illuminando la penombra della biblioteca.
Ognuna delle foto ritraeva una delle location che Livvy aveva
visitato, delle esperienze fatte o delle persone conosciute. Diverse
erano concerti, eventi sportivi o artistici, raduni dove la gente non
mancava, molte altre pitturavano scenari naturali, panorami da
togliere il fiato, terre quasi inesplorate, ma in ognuna
c’era una
costante: quando Livvy se ne andava, il paesaggio era più
florido e
ricco di come lei stessa l’avesse trovato.
Man
mano che intratteneva il Curatore con i suoi coinvolgenti racconti,
l’aria si fece via via più fredda e presto la
giovane si trovò a
risentirne.
-...così
ho preso e gli ho detto “Al diavolo! Mangerò tutto
il burrito!”
e poi ho vomitato. Fine.-
-Ahahah,
se scrivi come racconti, temo che il materiale che mi hai portato non
sarà di qualità come mi hai promesso- scosse la
testa il Curatore,
apprezzando ogni bucolico momento che gli donava la spensieratezza di
Livvy.
-Quand’è
che imparerai che i miei racconti sono tutti
eccelsi, uomo di
poca fed…-
L’arrivo
di un forte starnuto e il suo relativo sfogo la costrinsero a
fermarsi e a stringersi nei lembi del suo soffice golfino.
-Forse
sarebbe il caso di chiudere le finestre e accendere il caminetto-
suggerì l’uomo -Che ne pensi, mia cara?- le
passò una mano
attorno alle spalle e gliela scosse con vigore sul braccio per
riscaldarla.
-Può
essere un’idea ma lo faccio io. Sono stata ferma troppo a
lungo,
devo muovermi un po’- disse Livvy rimettendosi in piedi con
un
balzo. Bloccato il gancio delle imposte, rovistò nello zaino
alla
ricerca del suo accendino a cerniera e si mise a trafficare con i
ceppi già posti nel focolare.
-Rammento,
sì, la tua necessità di muoverti in
continuazione- annuì il
Curatore alzandosi e passeggiando per seguire i frenetici movimenti
di lei, in sottofondo il giradischi era quasi arrivato al termine del
tema principale de “Il lago dei cigni” -La vita
è un’ombra
sfuggente, o mi sbaglio?- il suo tono di voce tradiva un antico
sprezzo adesso mascherato da severità.
-Me
lo ripeterai fino alla fine dei tempi questo leitmotiv?-
sospirò la
sua compagna alzando gli occhi al cielo.
-Dico
solo che ti ho corteggiata per molto più tempo di quanto
abbia
memoria e che tu abbia ricambiato le mie attenzioni dopo una, oserei
quasi dire, infinita serie di rifiuti- quella punta di sarcasmo si
fece sentire così pungente da solleticare
l’orgoglio della giovane
donna.
Una
volta che fu riuscita a trionfare nella battaglia contro i ceppi non
ostinati al pari di lei, si alzò in piedi e si pose davanti
al
Curatore puntandogli contro un dito accusatore.
-Sì,
ma non ne è valsa la pena, dopo? Tutti gli orizzonti che ti
ho
aperto e che, uniti, abbiamo aperto ai mortali? Le esperienze, i
viaggi, le notti passate l’uno a fianco dell’altra?
Ricorda
quanto abbiamo condiviso assieme, oltre ai miei no. Non ho ripagato,
forse, le attese?-
Il
Curatore non rispose, si limitò a fissarla; un sorriso
addolcito dai
ricordi si palesò sul suo volto solcato dalle rughe, ma
ancora
avvenente, mentre le prendeva la mani nelle sue, convincendola a
rilassarsi.
-Tu,
Vita mia- sussurrò baciandole le nocche della mano sinistra
-Lo fai
sempre- concluse condividendo quella tenerezza con la destra. Tenendo
gli occhi chiusi e senza allontanare le labbra, si prese un momento
per gustare la pace che si era creata.
Il
fuoco scoppiettava in sottofondo, i sospiri dell’esploratrice
portavano con loro il profumo dello zucchero e la musica era cambiata
un’altra volta verso un pezzo classico che entrambi avevano a
cuore.
Approfittando
della sua distrazione, Livvy si mordicchiò nuovamente un
labbro
tentando di placare la sua agitazione: poteva sembrare serena ma
dentro di lei imperversava una quieta frenesia.
-Sei
l’unico al quale io lasci usare il mio vero nome. Chiunque
altro mi
farebbe sentire… Scoperta…-
Lo
scrittore alzò i suoi occhi celesti fissandoli in quelli
della
ragazza: il suo sguardo concentrato, il modo in cui piegava le folte
e scure sopracciglia, persino la velocità con cui sbatteva
le
palpebre velate da un ombretto perla, lasciavano intendere che
l’inaspettata accortezza degli umani non fosse
l’unica cosa a
farla sentire nuda.
-Aspetta,
questa me la ricordo!- annunciò lei rendendosi conto di come
fosse
variata la melodia nella stanza.
Sfilò
le mani da quelle nodose del Curatore per avvicinarsi al giradischi e
aumentare il volume.
-Suite
per Orchestra Jazz n. 2, di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič-
annuì
il Curatore -28 novembre, 1938. Che anni agitati sono stati...-
-Perché,
gli ultimi trascorsi sono stati zucchero, cannella e ogni cosa
bella?- commentò Livvy con sarcasmo -Come credi che me la
sia fatta
questa?-
Abbassò
la manica della maglia per rivelare una lunga cicatrice che si
avvolgeva attorno al braccio arrivando quasi al gomito: ogni volta
che si registravano incalcolabili morti a livello mondiale, e la vita
subiva un abbattimento, sul corpo di chi la vita la dispensava, si
creavano degli sfregi che prendevano tanto tempo per guarire quanto
ce ne voleva per riequilibrare un po’ i piatti della bilancia.
Di
ferite così gravi, Livvy ne aveva dovute far guarire poche
nel corso
della storia, ma le ricordava tutte molto bene: prima in cronologia,
il meteorite che aveva fatto estinguere i dinosauri e non solo.
-Permettimi
di dirtene alcune: la Barriera Corallina è stata dichiarata
morta, i
ghiacciai si stanno sciogliendo e la fauna polare ne risente,
l’Australia ha subito degli incendi spaventosi, la Foresta
Pluviale
non è ben messa da anni, per non parlare poi
dell’ultimo anno
trascorso e di tutte le morti. Posso solo immaginare a che ritmo
serrato debba aver lavorato tu e, detto in sincerità, a me
è
sembrato quasi di averlo fatto a vuoto!-
L’avventuriera
fece una pausa per passarsi le dita tra le ciocche spettinandosi
ancora di più; la sua capigliatura era sempre stata
indomabile, al
contrario del Curatore, i cui capelli brizzolati, sfumati in un
taglio più corto sui lati della testa, erano sempre
perfettamente
pettinati all’indietro.
-Era
da decenni che non vedevo una moria tale per colpa di una malanno, e
proprio quando in un’opera di finzione gli autori
fantasticano sul
fatto che la pestilenza sia sparita, ecco che torna di nuovo! Con la
pestilenza la gente si chiude in casa e l’inquinamento ha un
abbattimento da record, ma come le persone escono di nuovo, ecco che
c’è un altro boom, sia di pestilenza che di
avvelenamento
ambientale. È un circolo vizioso, capisci?- Livvy
sospirò
profondamente e rivolse le sue attenzioni alla destra della stanza
cercando di capire dove il Curatore avesse posato l’energy
drink di
pochi minuti prima -Non è che mi stia lamentando,
chiariamoci, dico
solo che trovo tutto quanto un po’ frustrante. E che ho
bisogno di
bere…- confessò, individuando la lattina.
Recuperato l’oggetto
del suo desiderio, prese posizione al tavolo da lavoro del Curatore,
sedendosi a gambe incrociate in un’altra scricchiolante
poltrona.
Litigò
con la linguetta della bibita per qualche secondo, faticando a fare
leva con le unghie smaltate; le teneva sempre corte affinché
non la
intralciassero durante le esplorazioni, ma per una volta che aveva
fatto la manicure, non voleva rovinarsele subito.
In
sottofondo, il proiettore aveva continuato la sua sfilza di immagini
senza interrompersi e, per quando il Curatore vi mostrò di
nuovo
interesse, la foto di un reparto nascite era esposta in bella vista:
gli operatori sanitari presi dal lavoro erano illuminati dal bagliore
delle luci al neon e i bimbi paffuti, adagiati nelle loro culle,
erano intenti a dormire; Livvy amava i reparti nascite tanto quanto
il Curatore amava i funerali e l’uomo pensò di
aver trovato la
giusta ispirazione per risollevare l’atmosfera
nonché la sua
irriverente amica.
-Non
è stato soltanto morte e distruzione. Diverse vite hanno
avuto modo
di fiorire, per non parlare del sospiro di sollievo che hanno potuto
letteralmente tirare la terra e gli oceani. Di questo anche molti
animali devono esserne stati grati- man mano che parlava, si era
avvicinato alla sua scrivania e da un cassetto aveva estratto due
bicchieri a stelo alto, un cavatappi e una bottiglia del suo miglior
vino -Se, come mi dicevi poc’anzi, ogni vita conta, credo che
tu
abbia comunque qualcosa da festeggiare, ma non con questa- lo
scrittore tolse il cocktail alla donna per sostituirlo con un calice
vuoto -Per l’occasione ho preparato qualcosa di davvero
speciale.-
Stappò
la bottiglia, un vino italiano dal prezzo a tre zeri, e
versò una
buona dose del suo liquido rosato nel calice di entrambi mentre Livvy
sembrava risvegliarsi dal suo torpore; si alzò,
poggiò il bicchiere
e corse a prendere dallo zaino una delle candele profumate con la sua
fragranza preferita: quando erano lontani, la nota legnosa e asciutta
del sandalo le ricordava il suo Curatore.
-Sai
cosa? Hai fottutamente ragione!- il suo tono di voce era nuovamente
concitato e mentre spostava il laptop sopra a una pila di libri per
fare spazio ai calici e alla candela, il Curatore si sedette al lato
opposto del tavolo in legno massiccio -Hai detto proprio una cazzo di
verità, è roba profonda!-
-Apprezzo
il tuo entusiasmo, ma bada al tuo linguaggio- la riprese lui non
esattamente pentito di averla rincuorata ma trovandosi a dover fare i
conti con un altro scoppio di energia.
-No
che non ci bado! Non ora che mi sono ricordata per cosa fossi davvero
venuta qui! Dobbiamo brindare!- esclamò, accostando la
poltrona allo
scrittoio abbastanza vicino da riuscire a sedersi poggiandoci i
gomiti.
-Un
vino come questo va fatto respirare prima: porta pazienza.-
-D’accordo,
allora, aspetterò- Livvy si passò
l’accendino sulla cucitura dei
jeans per accenderlo, avvicinò la fiamma allo stoppino
finché prese
fuoco e subito dopo tornò alla carica -Possiamo bere,
adesso?-
Il
Curatore scosse la testa ridendo a voce bassa.
-Tu
e la tua impazienza, la tua volubilità. Come disse George
Bernard
Shaw: la volubilità delle donne che amo è
eguagliata soltanto
dall'infernale costanza delle donne che mi amano.-
-Che
in questo caso sarebbero solo una persona cioè io ma fai,
prego,
sfotti pure, se non hai proprio niente di più intelligente
da
fare...- lo invitò la bionda riprendendo il bicchiere in
mano e
facendo oscillare quel fluido dalla tenue sfumatura -Lo dicevo
anch’io ai miei ultimi compagni di viaggio: la morte non
è che un
vecchio polveroso che ha bisogno di farsi una vita.-
La
risata del Curatore passò da lieve a fragorosa in men che
non si
dica e Livvy si ritrovò a fissarlo con sguardo sconcertato.
-Wow,
ehm,
okay?
Sapevo
fosse divertente, ma non immaginavo così
divertente! In effetti hanno riso tutti però…-
Tra
una risata e l’altra il Curatore gettò luce sul
mistero.
-A
quanto pare gli umani non sono gli unici ad essere ingenui.-
-Uhm,
perché?- insistette lei non comprendendo quale fosse stato
il suo
fallo.
-Prova
a ripeterti quello che mi hai appena detto ma lentamente-
l’espressione che aveva dipinta in volto era una delle
più
divertite che gli avesse mai visto fare e ora che si era sporto in
avanti coi gomiti sulla scrivania e le dita intrecciate, la compagna
capì che doveva trattarsi di qualcosa di davvero evidente.
Ci
rifletté per un minuto anche più del necessario
ma non appena
realizzò, le sue guance si tinsero di una
tonalità purpurea; poggiò
il vino sul tavolo e prese a gesticolare animatamente.
-Aspetta!
Non intendevo dire in quel senso!- le sue giustificazioni servirono
solo a riaccendere il divertimento dello scrittore che si
rilassò
contro lo schienale della poltrona -Intendevo dire tipo trovati un
hobby, come i giochi di carte! Un pokerino con gli amici ogni tanto
giova! Sennò c’è sempre il
giardinaggio, il bricolage, oppure va’
a fissare un cantiere!- proruppe brusca, trattenendo
un’imprecazione
tra i denti.
Sentire
quell’elenco di luoghi comuni, il Curatore riprese a ridere
senza
freni, mentre l'indignazione di Livvy si faceva ancora più
impacciata. Era intelligente, per Dio! Che ne era stato dei suoi
neuroni funzionanti? Forse si erano fritti nei cocktail a base di
caffè e energy drink al posto dell’acqua.
-Non
è difficile capire come tu faccia ad essere tanto popolare
tra i
tuoi amici!- gli occhi del Curatore luccicavano per le troppe risate.
-Oh,
falla finita, vecchio manico di scopa che non sei altro! Una volta
avevi più ritegno!-
Con
uno schiocco delle dita alla cornice, Livvy ribaltò la
fotografia
accanto al teschio che campeggiava sulla sinistra della scrivania;
prima che potesse cadere sul ripiano e mandare il vetro in frantumi,
il Curatore l’afferrò e la rimise al suo posto.
Era un oggetto
piuttosto vecchio ma comunque uno di quelli che gli stavano
più a
cuore: ne avrebbe sofferto se si fosse rovinato.
-Lo
dici come se lo rimpiangessi- mormorò con tono indagatore
-Pensavo
avessimo concordato entrambi che fossero state delle esperienze
piacevoli- sottolineò. Nell’angolo del suo sorriso
c’era tutta
una malizia che Livvy, e lei soltanto, gli avrebbe potuto insegnare.
L’esploratrice
lo guardò in tralice oltre le lunghe ciglia prima di mettere
a
tacere la propria ritrosia.
-Altro
che piacevoli, sono state magnifiche! Non ne rimpiango nemmeno mezza,
soprattutto…- sospirò con aria trasognante mentre
i ricordi
vorticavano assieme alle emozioni per quella serata ancora vivida
nella sua mente -Il ballo in maschera del 1850.-
Il
Curatore si perse ad ammirare lo sguardo colmo di sentimenti
dell’espressiva giovane; aveva poggiato una guancia al palmo
della
mano e fissava fuori dalla finestra la notte che incombeva: con un
altro tipo di abbigliamento, sarebbe stata la perfetta musa per un
pittore romantico francese. Rapito com’era dal suo languido
rievocare, finì anche lui in un turbine di memorie.
All’inizio
del tempo, quando la Terra era ancora in un delicato processo di
crescita e la stessa vita faticava per emergere, nel precario
equilibrio che regnava sovrano Livvy aveva fatto ben presto la
conoscenza del Curatore. Cogliendolo sempre sul luogo del misfatto e
inesperta com’era, l’aveva scambiato per la
distruzione
nonostante lui non ne fosse mai stato l’artefice: la
distruzione
era un atto casuale e l’operato del Curatore, una mera
conseguenza;
spettava a lui raccogliere ciò che la caducità si
lasciava alle sue
spalle.
Tuttavia,
Livvy l’aveva sempre visto di cattivo occhio e quando la scia
degli
eventi aveva condotto all’estinzione di massa del
Cretaceo-Paleocene, si era sentita in guerra contro
quell’uomo
tanto fantomatico quanto misterioso.
Per
fortuna sua, le creature sopravvissute erano testarde almeno la
metà
di lei e dopo un discreto tempo speso ad adattarsi alla nuova
situazione, avevano fatto di più che pareggiare i conti:
avevano
intrapreso la strada dell’evoluzione,
dell’intelletto e, parecchi
secoli più in là, quella
dell’organizzazione sociale e dei doveri
morali.
La
nascita di società, leggi, etica e regole avevano messo
chiaramente
in mostra come le persone non prendessero più le decisioni
solo in
base alla loro sopravvivenza e di come fossero guidati dalle
intenzioni, benevole o malevole che fossero. Ma scelte giuste o
sbagliate erano irrilevanti davanti alla morte, specie se le loro
anime erano destinate a finire in un cosmico e insignificante vuoto.
Riflettuto
ampliamene su tali questioni, il Curatore era comparso a Livvy con
un’offerta di pace e un progetto congiunto che avrebbe unito
i loro
sforzi: assieme avrebbero creato una vita dopo la morte, un luogo in
cui gli spiriti avrebbero potuto ricevere una giusta ricompensa o
punizione per le decisioni intraprese.
La
ragazza aveva accettato di malafede ma presto si era ricreduta: il
custode, che fino ad allora non aveva mai avuto storie
particolarmente intriganti nel proprio archivio, era un uomo onesto,
cortese, dai sentimenti umani e compassionevoli, ma di più!
Con
grande sorpresa, non aveva mai nutrito diffidenza nei confronti
della sua nuova collaboratrice e, anzi, ne aveva sempre ammirato la
tenacia e la caparbietà.
Più
il tempo scorreva, più le persone morivano e più
l’idea di una
vita dopo la morte si faceva concreta grazie al lavoro congiunto dei
due; avevano calcolato ogni minimo dettaglio e criterio di
valutazione, avendo cura di non tralasciare nulla al caso.
Ciò a cui
avevano mancato completamente di pensare, era la possibilità
che il
loro rapporto un giorno potesse farsi profondo come la loro opera;
nessuno dei due, però, mancava dell’arguzia
necessaria per
indietreggiare così da vedere il quadro nel suo complesso e
capire a
fondo cosa fosse nato tra di loro: quello che mancava, forse
più al
Curatore che a Livvy, era lo spirito d’iniziativa o
l’esasperazione
sufficiente a muoversi di nuovo in avanti e magari anche più
in là.
Un
passo indietro, poi sempre avanti, proprio come in una danza.
Per
fortuna o sfortuna di entrambi, la giovane era sempre stata impetuosa
e trovato il coraggio di attraversare la linea, aveva deciso di
proporsi allo scrittore come mai avrebbe potuto immaginare.
L’uomo
non era uno sprovveduto e aveva intuito che i desideri della ragazza
sarebbero divenuti di natura passionale un giorno, ma nessuno dei due
poteva sapere a che cosa avrebbe portato quell’invito; in
parte se
ne riteneva responsabile avendo ricercato per primo la sua amicizia e
le sue attenzioni, ma non pensava si sarebbero spinti a tal punto.
Forte del vantaggio dato dalla prudenza, aveva cercato di farla
desistere, sostenendo inoltre di essere troppo vecchio per
ciò che
bramava, ma Livvy l’aveva incitato a fidarsi della sua guida.
Anche
perché quale differenza poteva fare se lui non era mai
invecchiato e
non invecchiava affatto?
Dopo
decenni di morigeratezza, spesi al fianco di una splendida dea della
vita e della nascita, il Curatore aveva ceduto alle sue lusinghe,
preferendo assumersi il rischio dell’ignoto piuttosto che
diventare
lui stesso un essere distratto dai se che altrimenti avrebbero
albergato nel suo cuore.
Poco
dopo la loro unione, le persone avevano cominciato a vedere le anime
di alcuni dei loro cari vagare per le strade, in cerca della pace che
solo risolvere le loro faccende incompiute avrebbe potuto donare;
compresa la possibilità di avere un ultimo contatto con i
trapassati, le persone vennero colte da una bramosia di conoscenza
che solo i neo stregoni, sciamani e necromanti poterono colmare.
Né
Livvy né il Curatore rimpiangevano ciò che
avevano fatto ma il
tormento che alcune di quelle anime infliggevano a chi ancora aveva
in sé la scintilla della vita, portava alla ragazza un
profondo
dispiacere; era stato questo che l’aveva spinta tramite
sogni,
visioni e qualche oracolo a far trovare agli umani il modo di
difendersi.
I
secoli erano passati, gli scrittori del destino dei mortali si erano
rincontrati e separati a periodi scostanti, ciascuno preso dai propri
viaggi e dai propri doveri, ma i sentimenti che avevano maturato
l’un
per l’altra non avevano mai cessato di ardere; avevano
viaggiato
assieme talvolta, si erano concessi altri fugaci attimi di ardente
tenerezza, avevano presenziato a tanti periodi memorabili della
storia ma un altro desiderio aveva messo radici nel cuore di Livvy.
Nel
corso della sua esistenza, aveva assistito o partecipato a
innumerevoli celebrazioni, feste, rituali ma senz’altro i
suoi
preferiti erano stati i balli in maschera tipici
dell’Ottocento.
Il
Curatore non l’aveva mai potuta seguire preso
com’era dal proprio
lavoro; se era stato presente, non era stato per farle da
accompagnatore ma dopo varie insistenze da parte della fanciulla, e
complice anche il fatto che una donna non accompagnata potesse
condurre a domande o corteggiamenti non richiesti, aveva finalmente
accettato l’invito.
Certo,
non aveva potuto negare che una buona parte l’avesse giocata
anche
il desiderio di vederla con abiti raffinati, e il risultato non
l’aveva deluso: la notte della fatidica mascherata, lui aveva
indossato uno smoking nero col colletto bordato da una sottile
striscia di piume bianche, una cravatta rosa scuro e una maschera da
avvoltoio; la scelta di lei era ricaduta su di un abito bianco: la
gonna era resa gonfia e soffice da innumerevoli strati di seta e il
corsetto con scollo a cuore era tempestato di perle e cristalli. Quel
dettaglio non si ripeteva solo sulle spalline di chiffon e sulla
maschera da coniglia.
Anche
i suoi boccoli ribelli avevano collaborato, lasciandosi acconciare in
due trecce piene di nastri che dalla parte alta delle tempie si
riunivano in uno chignon sulla nuca.
Una
visione incantevole oltre ogni dire e ben consapevoli ne erano stati
tutti gli invitati. Era stato in quell’occasione che il
Curatore le
aveva fatto dono della fedina con l’opale nero che Livvy
portava
all’anulare sinistro; forse aveva stonato coi monili di
pietra di
luna e oro bianco, ma non se n’era mai separata da allora.
Era
proprio una foto di loro due agghindati per quella festa ciò
che
ritraeva il quadretto sullo scrittoio del Curatore; la stampa si era
incartapecorita e l’inchiostro stava sbiadendo, ma
l’affetto per
le ore trascorse assieme rimaneva inalterato nel tempo.
Per
non destare sospetti si erano presentati come i consorti Tyrnanog,
Curt e Olive, e si erano divertiti ad appellarsi
“marito” e
“moglie” forse una volta o due di troppo durante la
festa.
Socializzare
e danzare, tuttavia, non erano state le uniche attività a
cui
avevano indulto; nella segretezza dei loro alloggi privati, avevano
ancora assecondato quell’impudica brama cui solo chi era
stato
legato da Dio poteva soddisfare; se non fosse stata l’ultima
volta
nessuno avrebbe saputo dirlo, ma una cosa era certa: quello fu
l’unico giorno della storia durante il quale non si
registrarono né
nascite né morti in tutto il creato.
Quanto
fosse imminente la data del lieto o tragico evento, era stato
ininfluente.
In
breve tempo le ricerche sul mondo che veniva dopo quello umano, si
erano fatti più precise, accurate e un po’ tutti
gli studiosi del
campo avevano preso a indicarsi con una parola specifica: medium.
-Se
non hai rimorsi a riguardo, perché non celebrare
condividendo ex
novo quel boudoir? È una delle tradizioni umane che, se ben
rammento, preferisci: candele, buon vino, buona musica e buona
compagnia- il Curatore sogghignò in modo licenzioso notando
lo
scintillio sbarazzino negli occhi di Livvy, poi raccolse una scatola
in legno poggiata sul lato destro e ne estrasse un mazzo di carte -O
forse preferisci soltanto cimentarti in una scommessa giocando
qualche partita a carte. Qualche gioco strategico dove bisogna usare
l’ingegno per vincere- tergiversò sistemando
davanti a sé la
candela profumata e il mazzetto di carte.
Livvy
si inumidì un dito e lo passò sul bordo del
calice facendo
riverberare il cristallo; il giradischi stava riproducendo le note di
“The heart asks pleasure first” di Michael Nyman:
per cedere alla
prima proposta del Curatore non poteva esserci pezzo migliore.
-Non
pensavo ti sarebbe piaciuto dedicarti a un gioco di carte assieme a
me, credevo ti stufasse stare in mezzo alle scartoffie tutto il
giorno- lo stuzzicò la donna, ignorando apposta di
incontrare il suo
sguardo.
-Mia
cara, è la tua presenza ciò che mi piace di
più in questo momento
e accetterò di buon grado qualunque tua decisione. Allora
che cosa
preferisci: il cuore o la testa?-
L’avventuriera
studiò il quadretto che si poneva davanti a lei fingendo
annoiato
interesse, come se fosse indecisa sulle opzioni ma non completamente
tormentata; sganciò la bussola dal suo fermaglio e la
aprì davanti
a sé. Non aveva bisogno di consultarla per capire
ciò che voleva e,
anche se l’ago puntava indiscutibilmente verso il Curatore,
Livvy
la richiuse con uno schiocco.
-Per
stavolta accetterò di scommettere il destino di qualcuno in
bilico
tra un mondo e l’altro, dopo un brindisi ovviamente-
annunciò un
po’ deludendo il suo compagno che seppe mascherarlo con
grande
maestria.
-Pensavo
ti mettesse ansia vedere le persone in un momento decisivo per la
loro vita fisica- si sorprese lui.
-Dipende:
se le persone si impegnano a fare del bene, a migliorare la vita
degli altri e a vivere appieno la propria, faccio il tifo per loro e
mi dispiace dovertele affidare ma so che sono in buone mani; se
una
persona è crudele gratuitamente e fa di tutto per rovinare
il
percorso altrui, preferisco stia con me e paghi per i suoi peccati.
Non posso intromettermi troppo nelle scelte di nessuno, né
provocare
certi eventi, so solo che alcuni ti meritano, altri no. Tutto dipende
da come vedono il sorpassare la soglia del tuo deposito.-
Nel
mentre che parlava, il Curatore aveva mescolato il mazzo di carte e
si preparava a distribuirle quando Livvy mise una mano sopra le sue.
-No!
Se permetti, queste le darei io- si inalberò fissandolo con
espressione inflessibile mentre l’uomo si stupiva della sua
fretta
nel bloccarlo; la sua meraviglia era così genuina e affabile
da far
quasi ritornare la donna sui suoi passi. Avrebbe decisamente voluto
scavalcare la scrivania, afferrarlo per la cravatta, baciarlo come
solo lei era capace e rivedere le sue affermazioni sul programma della
serata, ma si costrinse a darsi un contegno.
-Sappiamo
tutti e due benissimo di che giochetti sei capace con queste.-
-Mi
tratti come un qualsiasi truffatore da strada- sogghignò
lasciandole
il mazzo per afferrare il bicchiere ancora colmo.
-Diciamo
che prendo solo le dovute precauzioni- si strinse lei nelle spalle
cominciando a distribuire le carte.
Una
volta finito quel compito il Curatore la invitò a
raccogliere il
proprio calice.
-Propongo
un brindisi a noi e alla nostra suprema scommessa: che possa non
avere mai fine- dichiarò.
-Perché
fintanto che la vita sulla Terra continua a prosperare, io continuo
ad averla vinta e a te piace perdere?- si incuriosì Livvy.
-No,
mia adorata Liv, non parlo solo della vita sulla Terra. Sai come me
che il nostro operato è molto più grande, ma non
può esserci vita
senza morte e nel giorno in cui l’esistenza avrà
fine, quando nel
creato non resteranno più esseri che possano conservarsi o
perire,
anche noi cesseremo la nostra mansione. È al presente che
sto
brindando, a quel valzer che ci dà senso. E che va avanti.-
-Forbito
come sempre, eh?- rise la donna non stupendosi del fatto che la sua
mente affilata fosse un’altra delle innumerevoli ragioni per
cui
avesse dedicato la sua eterna vita ad amarlo.
-Mi
metto d’impegno per conquistarti- sorrise lui.
-Ma
non era meglio conquistare se stessi che vincere mille battaglie?-
-Col
senno di poi anche il tuo affetto è stata una vittoria degna
di
nota; ricordi la prima lettera d’amore che mi hai fatto
trovare
sulla porta dell’archivio?- prese a ridere sotto i baffi
facendosi
per mettere a cercarla.
Livvy
si irrigidì, il suo sguardo si fece torvo e la sua voce
minacciosa.
-Intendi
dire la lettera minatoria nella quale proclamavo di aver creato
l’essere indistruttibile per eccellenza, resistente ad
altissime e
bassissime temperature, a pressioni elevate e mancanza di ossigeno
solo per poi scoprire che suddetta bestiola, cioè il
tardigrado, ha
una longevità di appena tre mesi?- rantolò
sentendosi avvampare.
-Quella
che termina con una sequela di insulti così lunga che ancora
adesso
non ne ho visto la fine? Esattamente quella.-
-Se
la tiri di nuovo fuori, è la volta buona che te la faccio
ingoiare...-
-Non
lo faresti mai, so che mi adori- il suo sorriso era tanto spudorato
quanto ammaliante e l’esploratrice finì per
accorgersene per
l’infinitesima volta.
-Così
come tu adori me, d’altro canto- lo rimbeccò con
un sorrisetto.
-Tornando
seri, però, c’è da dire che mi
aiutò a capire che tu mi avessi
frainteso. Puoi vergognartene ancora dopo tanti millenni ma fu un
tentativo di intimidazione maldestro quanto provvidenziale.-
-Yei!-
esclamò senza troppo entusiasmo, afferrando lo stelo tra le
dita.
-Alla
nostra, allora?- la invitò il Curatore alzando il calice.
-Alla
nostra!- concluse Livvy facendo incontrare i loro bicchieri con un
tintinnio.
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