Scenes From a Memory

di mask89
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Scenes from a memory

 

Capitolo 1
 

“Questa storia partecipa alla Challenge del Superfluo indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt 13: Pendolo;
Prompt 59: Giradischi;

 

Mi chiamo Carlotta, ho 22 anni e sono sul baratro della follia.

Ormai ho smesso di contare le notti insonni. Vi dirò la verità, ho paura di dormire, di poggiare semplicemente la testa sul cuscino e tentare di chiudere gli occhi, per dare il giusto riposo alle mie membra e al mio cervello. Ho paura di rivedere certe immagini, che ormai mi perseguitano, di rivivere vite che non mi appartengono e che, purtroppo, sembrano cucite sulla mia pelle. Non so per quanto tempo riuscirò ancora ad andare avanti, a reggere questa pressione, questo vissuto che si vuole insinuare dentro di me e che vuole prendere possesso del mio corpo. Vedo la mia vita scivolare via dalle mie dita, come granelli di sabbia e non riesco a fare nulla. Vedo le persone a me più care guardarmi con espressioni sempre più preoccupate, con il trascorrere dei giorni. Ultimamente il mio aspetto non è dei migliori, lo ammetto; le profonde occhiaie ormai sono un ornamento fisso sul mio volto scavato e i capelli sempre in ordine, brillanti e setosi sono ormai un lontano ricordo, o almeno così mi sembra. La verità è che ho anche perso la cognizione del tempo; ormai faccio fatica a distinguere cosa sia reale e cosa appartenga al mondo dell’onirico, a volte mi capita di confondere le due entità. Ma non sono pazza, almeno, non ancora. So perfettamente quando tutto questo è cominciato, il 04 dicembre del 2014; una data normalissima, quasi insignificante, o perlomeno credevo fosse così inizialmente; peccato non sapessi che si sarebbe rivelata l’inizio di tutti i miei guai, il mio personale inizio della fine. Eppure, quel giorno era iniziato alla grande; come altro lo descrivereste un evento più unico che raro, ovvero che il professore universitario, a cui avete chiesto un appuntamento, arrivi puntuale? È un qualcosa che ti svolta la giornata, ti permette di rispettare quella scaletta mentale di programmazione dello studio, con cui, prima o poi, ogni studente prossimo alla tesi comincia a fare i conti. Ebbene sì, la professoressa Marcella Immacolata Teodosi, era stata di una puntualità svizzera; probabilmente quel giorno le sveglie, a casa sua, avevano deciso stranamente di funzionare, oppure era successa qualche strana congiuntura astrale, che non le aveva fatto trovare qualche incidente sulla statale. A prescindere dagli eventi lei era lì e, stranamente, era interessata ad ascoltare quello che le volevo dire, ovvero una proposta di tesi alquanto particolare, per una studentessa triennale di Beni Culturali. Insomma, proporre come caso di studio un omicidio, avvenuto quasi 400 anni prima nella città di Bari, non è proprio un argomento che rientri nella canonicità per quel corso di laurea. Tuttavia, l’idea sembrava entusiasmarla; quasi sicuramente, ricostruire le circostanze di quel terribile omicidio, con l’esclusivo ausilio delle carte e delle testimonianze dell’epoca, stuzzicava la sua anima di storica dell’età moderna e di esperta archivista. Una giornata insignificante per la popolazione mondiale, ma per me fondamentale, visto che segnava l’inizio di un lavoro importante, che si sarebbe coronato con il raggiungimento della tanta agognata laurea. Un traguardo molto ambito per me e per la mia famiglia, considerato che sarei stata la prima in assoluto a laurearmi. Ciò che ancora non sapevo era che, tutto questo, avrebbe rappresentato l’inizio della perdita della mia ragione. Probabilmente, quello che mi accingo a intraprendere è il mio ultimo viaggio, ma non nel senso fisico del termine. Ho trovato una persona, uno psicoterapeuta, che è pronto a darmi sostegno nella missione che voglio intraprendere. I rischi sono altissimi, le possibilità che non torni più indietro superano quelle di una buona riuscita, ma voglio provarci ugualmente; cosa ho da perdere? I miei familiari mi guardano con pena, i miei amici pensano che sia folle e con il mio ragazzo sono sull’orlo della rottura, perché non riesce più a gestire i miei sbalzi d’umore, sempre più frequenti. Per non parlare della mia relatrice, la quale ormai pensa che mi sia data alla latitanza, dato che sono settimane che non mi faccio viva. Nulla da perdere e tutto da guadagnare, eccetto quel barlume di sanità mentale che mi è rimasto ancora, ma sono sicura che molto presto anche quello sarà un lontano ricordo.  Mi siedo sulla poltrona dello studio del dottor Sforza; il pellame della seduta è caldo e morbido al tatto, come la sua mano sulla mia spalla, la quale mi trasmette un senso di serenità che non provo da tempo. La musica che esce dal giradischi, un madrigale, anche se non è proprio il mio genere, mi dona un senso di benessere e tranquillità. Fabrizio mi sussurra all’orecchio che andrà tutto bene, che sarà sempre accanto a me, che non devo preoccuparmi di nulla. Le sue parole sono sincere, ma è nella mia natura preoccuparmi sempre di tutto e per tutto. La sua bocca allargata in un sorriso rassicurante e i suoi denti candidi sono l’ultima cosa che vedo.

Un pendolo, dalla inusuale forma di nota musicale, inizia a oscillare dinanzi ai miei occhi, le mie iridi lo seguono incessantemente nel suo moto. Sento le palpebre farsi più pesanti, mentre avverto la testa farsi sempre più leggera.

Cinque.

Quattro.

Tre.

Due.

Uno.

Benvenuti nel mio mondo.







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