Padre, secondo te, esistiamo? di tilia (/viewuser.php?uid=175340)
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Esistiamo-Cap.9 (ancora in prova)
9
- Naufragar
Una famiglia
“disfunzionale” è una famiglia con
più di una persona.
(Mary Karr)
Peach si
guardò attorno e sorrise. I Bowserotti la fissarono curiosi,
tutti tranne Ludwig e suo padre. Più osservava le loro
interazioni, più le sembravano simili: due teste calde,
seppur in modi diversi, fieri, arroganti nella loro sicurezza di essere
nel giusto, ma anche gentili e premurosi con chi decidevano essere i
loro protetti. Se solo avessero fatto uno sforzo per superare la loro
natura rissosa, avessero fatto un respiro profondo e iniziato
a comunicare, si sarebbero risolti molteplici problemi.
Erano finiti tutti nel
letto di Bowser Jr, o meglio, dopo aver sentito tutta la spiegazione da
parte dei Bowserotti, aveva realizzato fosse la stanza del maggiore,
che non aveva avuto alcuna voce in capitolo. Il più giovane
della famiglia russava rumorosamente avvinghiato al fianco della
principessa, che era seduta e appoggiata ai cuscini, in contemplazione
di quello che era accaduto nelle ultime ore. Il rapimento, il
salvataggio finito male, il Natale, certo insolito, ma non il peggiore
che avesse mai passato e, ora, era circondata dalla progenie di Bowser.
Erano più giovani di quanto non volessero ammettere a se
stessi.
Larry era dall'altro
lato del materasso, accucciato protettivo dietro il guscio del minore,
Roy sonnecchiava sulla sedia e i piedi appoggiati alla scrivania,
probabilmente con i talloni sopra alcuni spartiti importanti. Wendy era
ancora sveglia, ma quieta si fissava le unghie appena fatte. Era seduta
in fondo al letto, appoggiata alla spalliera e attorno alle sue gambe
molteplici boccettine di smalto, la sua coda si muoveva di tanto in
tanto, ma per il resto rimaneva immobile e concentrata. Nessuno
sembrava intenzionato a fare conversazione, alcuni di loro avevano
alzato lo sguardo, quando era entrata guidata da Lemmy. Aveva trovato
il giocoliere per le scale e gli aveva chiesto di aiutarla a
controllare il più giovane, con una risata non le aveva
permesso di chiedere due volte, perché era rotolato sul suo
pallone gigante facendo cenno di seguirlo.
"Mama Peach?"
Borbottò, improvvisamente, Larry aprendo un occhi e
rivelandosi sveglio. "Perché sei ancora qui?"
La principessa lo
fissò sorpresa, ma non seppe cosa rispondere. "Voi
perché siete qui?"
"Aspettiamo Iggy e
Morton." Scrollò le spalle Lemmy dondolandosi avanti e
indietro in un ritmo costante. "Dovrebbero essere qui a momenti."
"Come ha detto il
pazzo." Annuì Wendy soffiando sulle unghie. "Non avremmo
certo lasciato nostro fratello da solo e indifeso con quell'idraulico
baffuto a piede libero nel palazzo."
"Tu perché
sei qui?" Domandò di nuovo il Bowserotto dai capelli
azzurri. "Non hai bisogno di essere qui."
"Volevo essere sicura
che stesse bene."
"Sta benone, lascialo
dormire fino a domani e ricomincerà a rompere le scatole con
tutta la storia del predestinato, come se nulla sia accaduto." Rise
Roy, la voce rauca dal sonno. Gli occhiali rendevano difficile capire,
se i suoi occhi fossero ancora chiusi o meno. "Non finiremo mai di
sentire le sue lamentele sul fatto che non abbia mangiato al cenone di
Natale, quel piccolo nano."
"E, poi, ci
accuserà di aver passato più tempo con Mama Peach
senza averlo svegliato." Annuì Larry, ma non si
spostò dalla sua posizione accanto al minore. Un suo braccio
era avvolto attorno al suo guscio e lo stringeva a se, quanto
più possibile con gli aculei aguzzi in mezzo a loro. "Lui e
Lud inizieranno a litigare e addio
pace."
"A proposito di pace-"
"Roy! Non provare a
nominar-"
"Ragazzi!"
Urlò Iggy spalancando la porta della stanza senza mostrare
alcun remore. Lo scienziato aveva ancora dei guanti in lattice alle
mani e dei copri occhiali da laboratorio appesi al collo. Sul naso
aveva quella che sembrava fuliggine scura. "Nobel della scienza per me!"
"Non potevi proprio
stare zitto, vero?" Sibilò Wendy lanciando un'occhiataccia
al fratello, che alzò le spalle in una strana scusa.
"Ammirate!"
Gridò ancora euforico lo scienziato, saltellando e ignorando
i tentativi vani di Peach e Larry di fargli abbassare la voce.
"Silenzio!" Eruppe indicando alle sue spalle.
Dalla porta in
silenzio entrò un Morton mogio e scontento. Aprì
la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Wendy
spalancò gli occhi, mentre Roy si raddrizzava sulla sedia.
"Che diavolo-"
"Prima che possiate
attaccare l'eticità del mio lavoro: è
-sfortunatamente- temporaneo." Sbuffò annoiato e
irritato Iggy, scuotendo una mano. "Dura solo un'ora."
Morton fece una
smorfia e incrociò le braccia al petto, ancora triste per il
suo mutismo forzato. Si guardò intorno e si
arrampicò sul letto accucciandosi contro Wendy in un lamento
silenzioso.
"Smalto?"
Domandò la ragazza alzando una boccetta nera.
Il fratello
sbuffò e allungò comunque una mano.
Peach
sospirò scuotendo la testa, per un secondo, aveva temuto
fosse accaduto qualcosa di irrimediabile e orribile, ma dalle reazioni
sembrava che quella situazione non fosse così eccezionale in
quel castello.
Rimasero in silenzio, insieme, nessuno aveva più voglia di
comunicare, solo della presenza reciproca. C'era una strana calma
nell'aria, forse, era davvero la magia del Natale.
***
Lemmy
sgattaiolò fuori dalla stanza silenziosamente dopo
un'oretta. Erano tutti, ormai, assopiti, alcuni di loro russavano
rumorosi, altri silenziosi.
Aveva bisogno di stare
un po' da solo. Gli piaceva quel clima
così sereno, nulla da dire, fare o pensare, era
quello in cui avrebbe sempre
voluto vivere. Chi non vorrebbe quel tipo di ambiente?
Una famiglia felice,
dei fratelli normali, non in un'assurda competizione a chi appariva di
più sotto i riflettori. Gli piaceva pensare di essere uscito
da quel circolo tossico di pensieri ossessivi, aveva chiuso, non era un
fenomeno da circo, che si esibiva in una serie sempre più
pericolosa di acrobazie per riuscire ad ottenere l'attenzione del
pubblico o di un genitore sempre distante. Aveva smesso di
correre, di cercare disperatamente di essere parte di quella vita.
Lo credevano davvero
pazzo e probabilmente per i motivi sbagliati. Era facile dimenticarsi
che fosse quasi adulto come Ludwig. Mentre il maggiore era cresciuto e
aveva deciso di assumere il ruolo di genitore, lui era maturato e aveva
scelto di gettare suddetta maturità nell'antro
più oscuro della sua coscienza, dimenticarsi della sua
esistenza. Non avrebbe certo permesso alla situazione di rubargli la
giovinezza, c'erano tante persone che potevano prendere il suo ruolo
d'autorità, lui non serviva. Aveva deciso molto tempo prima
che non sarebbe stato un clown, non quel genere almeno.
Le parole nella sua
testa fiorivano più velocemente di quanto Morton potesse
parlare, rapidi arrivavano e con altrettanta prontezza venivano
sepolti, li lasciava diventare mausolei di sabbia. Non importava
quando, prima o poi, il vento li avrebbe spazzati via, lasciando nella
sua mente un piacevole vuoto.
Camminò nel
castello, nel cuore della notte, in silenzio. Non aveva il suo pallone,
solo le sue gambe corte e inutili che lo portavano di corridoio in
corridoio, alla ricerca di sollievo dai pensieri. Gli sarebbe piaciuto
andare da Ludwig, il maggiore lo ascoltava spesso, non importava
davvero l'argomento e non proferiva parola di quello che si dicevano.
Era un po' il loro segreto, lui si dimenticava dei suoi doveri e
lasciava cadere le maschera dell'essere perfetto, restando solo Ludwig,
mentre Lemmy raccontava, le parole scorrevano e recuperava velocemente
i suoi anni, la sua vera età. Troppo giovane e troppo
vecchio al tempo stesso.
Si chiese se fosse
giusto continuare a desiderare un futuro migliore a disilludersi che
qualcosa potesse cambiare. Non era abbastanza pazzo da credere davvero
nel lieto fine.
Era così
ingiusto che gli altri potessero dormire sogni tranquilli, mentre lui
era costretto a camminare, e camminare, e camminare...
Il freddo della notte
era pungente e decise che sarebbe tornato nella stanza, fingendo che
sarebbe andato tutto bene, sopprimendo un'altra volta la sensazione che
sarebbero finiti devastati e soli, ognuno rinchiuso nei propri
problemi, forse qualcuno morto. Avrebbe sorriso ancora, lasciato che la
maschera gli scivolasse di nuovo addosso, meglio ancora, sarebbe
diventato un tutt'uno con essa stessa, cancellando quei pensieri
vorticosi e oscuri. Realisti.
Rise nel corridoio
vuoto e fece una capriola, camminando per qualche passo sulle sue mani.
Non sarebbe affogato in quel
naufragio, sarebbe rimasto a galla.
***
Bowser
tornò nella sua stanza, con tutta la delicatezza di
cui disponeva appoggiò il figlio sul letto e gli
rimboccò le coperte, in un goffo istinto genitoriale. Non
sapeva perché lo avesse portato proprio lì, erano
anni che nessuno aveva più occupato quel letto, se non il
suo legittimo proprietario. La voglia di portare il suo primogenito al
sicuro, in un luogo che potesse controllare e monitorare era stata
dirompente, aveva cancellato ogni altra obiezione che la sua mente
poteva fornirgli.
Voleva farlo
disperatamente stare meglio.
Per quanto lui e
Ludwig potessero avere le loro differenze, era stato il suo primo
figlio. Lo aveva visto camminare, sorridere, parlare, rimanere sempre
attaccato alla sua coda. Poi, era cresciuto. Si erano aggiunti gli
altri, ognuno diverso dall'altro, trovavano sempre il modo per
stupirlo. Presto si era trovato sommerso, sovraccarico di piccoletti
che cercavano la sua attenzione, la sua guida di genitore. Volevano
essere lodati, essere riconosciuti, amati. Ludwig, però, era
sempre più distante, irraggiungibile. Parole, azioni, si
schiantavano su un muro che il giovane si era costruito intorno.
Guardava ognuno dall'alto della sua arroganza, pensando davvero di
essere abbastanza adulto per capire tutto ciò che accadeva
intorno a lui.
Jr era il suo
favorito, avevano molto in comune. L'aspetto fisico, la forza bruta, la
cattiveria e l'astuzia. Lo aveva, forse, viziato troppo, ma non preso
la sua rabbia. Bowser avrebbe preferito morire che fargli ereditare la
sua temperamento, il fuoco che bruciava nelle sue vene che riduceva
tutto in cenere, lasciando la distruzione al suo passaggio.
Ludwig aveva tutta la
sua rabbia. La vedeva nei suoi occhi, quando parlava pacato e freddo,
in ogni suo riflesso. Nel suo modo di combattere, quando scagliava
incantesimi, più rari, ma mirati ad infliggere il massimo
del dolore, persino quando suonava. Lo guardava e si preoccupava per il
suo futuro, il loro e della loro famiglia. Un giorno sarebbe stato
messo davanti a tutti i suoi errori e avrebbe dovuto trovare una
soluzione a tutta quella furia.
Mentre dormiva era
facile far finta che fosse ancora quel bambino. Non vedeva altro che il suo
piccolo bowserotto, quando innocente era attaccato alla coda e
piangeva, se lo provava a staccare. Si accoccolò
protettivo attorno al suo primogenito, ascoltando il suo respiro rauco
e congestionato, un brutto raffreddore. La febbre alta non era davvero
pericolosa, voleva dire che il suo corpo stava reagendo, ma che lo
rendeva comunque ansioso.
Ludwig
borbottò qualcosa nel sonno, ma non rifiutò il
contatto, anzi, con estrema disinvoltura gli
afferrò un braccio e costrinse ad avvolgerlo in un goffo
abbraccio, riconoscendo il carapace del genitore caldo e confortante.
Bowser
ridacchiò piano, facendo uscire delle leggere spirali di
fumo dalle narici, come non lo faceva da un po'. Erano anni che nessuno
cercava di intrufolarsi nella sua stanza per dormire insieme o venire
consolati nel cuore della notte. Quando era piccolo aveva fatto
l'errore di concedere al suo primogenito di dormire con lui, non lo
aveva più fatto con nessun altro della sua prole, neanche
Bowser Jr, i pianti isterici allo svezzamento di quell'abitudine non
valevano le poche notti di pace che portava. Erano arrivati gli altri
bowserotti e avevano iniziato ad agire, tuttavia, di squadra, nel
tentativo di guadagnare qualche ora accoccolati insieme. Gli tendevano
trappole, delle vere e proprie imboscate, una volta si erano
arrampicati dalla finestra, facendo perdere sia a lui che Kamek
parecchi anni di vita.
Quegli anni -purtroppo
e per fortuna- erano finiti, ma ultimamente si ritrovava sempre
più spesso a pensarci con una strana malinconia. Avevano
tutti smesso di provare di colpo. Nessuno lo aveva più
svegliato, non aveva più nessuno attorno a lui ad ogni ora
del giorno e spesso non vedeva nessuno dei suoi figli per giorni. Era
come se si stesse lentamente inalzando una barriera invisibile fra
tutti loro e per sopperire la frustrazione cercava di dimostrare con le
sue azioni quanto ancora ci tenesse a loro. Voleva far Peach sua moglie
anche per renderla la loro figura genitoriale, sarebbero stati
così felici come famiglia.
Ludwig si
girò e borbottò di nuovo, spostando la fronte
contro il cuscino più fresco, ma senza lasciare il braccio
del padre. Bowser
sapeva sarebbe stata una lunga notte, ma con sua sorpresa accolse di
nuovo questa nozione con una certa malinconia. Era quasi tornato ai
vecchi tempi, c'era uno strano calore al centro del suo petto e, per
una volta, non era rabbia.
Stava bene nel ruolo
di genitore, molto meglio di quanto sarebbe mai
stato disposto di ammettere. Tuttavia il suo orgoglio non gli avrebbe
mai permesso di esternare quel sentimento, tanto meno in presenza di
altri, ma finché rimanevano così in privato,
così
tranquilli, così riparati, allora andava bene. Poteva anche
permettersi di accarezzare i lunghi capelli del figlio e
tranquillizzarlo, nel momento in cui i suoi movimenti diventavano
troppo agitati, consolarlo e coccolarlo.
Nessuno lo avrebbe saputo.
___________
Piccolo
angolo dell'Autrice:
Io scrivere di
famiglie disfunzionali? Mai.
Riassunto: Bowser
è un idiota, Ludwig anche. Qualcuno salvi Lemmy da se
stesso.
Ho dovuto riscrivere
l'intero capitolo, spero sia migliorato, ma non ho molte speranze. La
trama che avevo scritto 4 anni fa - QUATTRO ANNI FA- non aveva molto
più senso, ma in pratica era Lemmy con il potere
dell'onniscienza e, quindi, sapere altre cose, che sarebbero dovute
servire per un seguito, ma, ehi, non so neanche se riuscirò
a finire questo! Ho aggiunto, inoltre, alcuni piccoli ragionamenti che
avvengono nella mente dei protagonisti, per dare una parvenza che io
sappia davvero che cosa stia facendo (spoiler: non è
così.)
Mi piace pensare che
la mia scrittura sia migliorata nel corso degli anni, ma la probabile
verità è che mi sono io anestetizzata ai miei
stessi orrori, quindi mi sembrano meglio di quelli che scrivevo in
precedenza. Scusate l'inutile complessità del mio ultimo
ragionamento, in sintesi, spero che i personaggi siano risultati un filo più profondi in
questo capitolo che negli altri.
Sinceramente non so
perché continuo ad aggiornare questo scempio annualmente.
Chiedo scusa
profondamente ad ogni lettore.
Tilia =|=
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