Implacabile,
la serpe nera mordeva la sua carne e il sangue sgorgava dal suo
corpo nudo.
Erron
stringeva i denti, si contorceva, sbarrava gli occhi, inarcava il
corpo, fin quasi a spezzarsi.
Il
dolore dilaniava le sue carni, accendeva i suoi nervi, straziava il
suo cuore.
Ma
non avrebbe urlato.
Il
serpente, ad un tratto, si attorcigliò attorno al petto scarno
del bambino.
Erron
sbarrò gli occhi, si agitò, ma la pressione delle spire
della serpe aumentò.
E
il suo urlo si spense nello sgretolio delle ossa spezzate.
Con
un grido angosciato, Erron Black si sollevò a sedere sul
letto, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
Gocce
di sudore bagnavano il suo viso, mentre il suo petto, nudo, era
sollevato da ansiti sempre più rapidi. Dopo cinque mesi, erano
tornati i ricordi di quelle orribili esperienze riemergevano nella
sua mente.
Tanti,
troppi anni di dolore non si annullavano in una pur giusta vendetta.
Il
suo respiro, a poco a poco, si placò, ma la sua mano destra si
strinse attorno al lenzuolo. Suo padre, il reverendo Theodore Black,
era stato capace di manipolare e ingannare i fedeli della sua chiesa,
ostentando un’apparenza scintillante di santità e virtù.
Tutti
vedevano in lui un uomo onesto e puro, degno del Paradiso dei
cristiani.
La
sua mascella si irrigidì in uno spasmo di rabbia. La vera
natura di Theodore Black era distante dalla virtù predicata
nella Bibbia.
Nella
sua abitazione, consumava squallidi amplessi contronatura con lui e i
suoi fratelli e non si fermava davanti ai loro corpi di bambini e
alle loro lacrime,mentre sua madre continuava a colpire i loro corpi
col suo mestolo da cucina, pur di costringerli al silenzio.
Per
lei, le apparenze di famiglia felice erano ben più importanti
della serenità dei suoi figli.
Un
singhiozzo si spezzò nel suo petto e bassi ruggiti di rabbia
salirono sulle sue labbra. I suoi tre fratelli, disperati e
sofferenti per quegli atti sessuali contronatura, avevano scelto la
via del suicidio.
– Vi
ho odiati… Ma ora comprendo la vostra pena. Spero siate in
pace. – mormorò. Avevano cercato una via di salvezza a
quel tormento, che era stato loro inflitto dall’uomo che
avrebbe dovuto educarli e guidarli nella difficile strada della vita.
Non
poteva detestarli, perché erano stati sopraffatti da quel
tormento.
Erano
solo bambini e, come lui, erano costretti a sopportare le sue brame
lubriche.
– Per
voi… Per voi… – sussurrò, amaro. Al
compimento dei suoi diciassette anni, la sua vendetta si era
compiuta.
Era
stanco di sottomettersi a quei tocchi degradanti.
Quando
suo padre gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, lui,
esasperato, gli aveva sferrato un pugno in pieno viso.
Poi,
aveva stretto la pistola e gli aveva sparato in una gamba.
– Per
fortuna, mia madre è morta qualche mese prima… –
mormorò, un sorriso freddo sulle labbra sottili. Un colpo
apoplettico l’aveva sottratta alla sua vendetta, cinque mesi
prima.
Se
questo non fosse accaduto, anche lei avrebbe conosciuto la violenza
della sua ira.
Suo
padre aveva goduto del suo corpo e di quelli dei suoi fratelli, ma
lei aveva coperto gli eventi con un manto di bugie e percosse.
Lei
era colpevole tanto quanto lui.
– Erron,
che succede? Stai tremando come una foglia e non è da te. –
domandò una voce seria, seppur affettuosa.
Il
giovane, per alcuni istanti, rimase silenzioso, poi si girò.
I
suoi occhi cerulei si posarono sull’imponente figura seduta di
Aquila Rossa, coperta solo dal leggero lenzuolo.
L’imponente
e liscia capigliatura corvina scendeva sulle spalle, fin quasi a metà
della schiena, mentre sul suo viso, dai lineamenti duri, seppur
armoniosi, spiccavano gli occhi neri, dal taglio allungato, simili a
due lastre d’onice.
La
mano del pistolero si posò sulla guancia del nativo, in una
gentile carezza, sfiorò le sue labbra sottili e indugiò
sul collo. In quei duri anni, i pellerossa erano considerati esseri
inferiori, condannati ad una vita di sofferenze atroci.
Eppure,
lui aveva conosciuto il calore di una famiglia tra le braccia di
quell’indiano chiuso e taciturno, eppure nobile d’animo.
La
parola di quel roccioso nativo era scolpita nella pietra.
Con
lui, aveva assaporato l’amore che gli era mancato, durante gli
anni dolorosi dell’infanzia e dell’adolescenza.
Ma
nemmeno a lui era riuscito a rivelare quella parte del suo passato.
Lo
amava, ma il freno della vergogna mordeva la sua anima.
Eppure,
non era stato suo padre a scandalizzare lui e i suoi fratelli?
Perché
su di lui, che si era solo ripreso la sua dignità, ricadeva il
peso del senso di colpa?
Il
nativo, cauto, gli prese la mano destra tra le sue e la portò
alle labbra. Per lui, quelle dita, così callose, erano
morbide.
Le
aveva sentite tante volte sul suo corpo nei loro incontri ed erano
capaci di sublime delicatezza.
– Erron…
Il tuo spirito non è felice. Qualcosa ti tormenta ed è
un’ombra triste legata al tuo passato. Vero? – domandò,
gentile. Tra loro era nato un legame speciale, venato di sensualità
e passione, ma la pena del suo amico e compagno ostacolava la loro
piena felicità.
Erron
era forte e indomito, affrontava con caparbia irruenza la vita, ma
quella nube gli impediva di vedere oltre le miserie del reale.
L’altro
chinò la testa e il sorriso sulle sue labbra si addolcì
un poco. Aquila Rossa non aveva avuto alcun bisogno di parole, per
capire i suoi pensieri e le sue emozioni.
La
sua mente analitica aveva compreso, seppur non totalmente, la verità
sul suo passato.
Con
lui, poteva cessare la maschera dell’uomo sempre forte, pronto
a gettarsi nelle risse.
Con
un sospiro, si lasciò cadere disteso sul letto e Aquila Rossa
lo seguì, la mano stretta attorno alla sua. Tuttavia, non
riusciva ad aprirsi a lui…
Erano
trascorsi cinque anni dalla sua fuga, ma non riusciva a rivelargli
quel segreto torbido.
Suo
padre, con una minaccia di morte, era stato neutralizzato, ma
quell’ombra non si era completamente dissolta.
– Stai
tranquillo, Erron. Per ogni cosa, esiste un momento giusto. E, se per
te non è ancora giunto, non forzare te stesso. Un fiume ha
bisogno di scorrere libero, senza alcuna violenza da parte dell’uomo.
– lo rassicurò l’altro.
Erron,
sentendo queste parole, ridacchiò. Il suo cuore, in quel
momento, era pervaso da un forte senso di sicurezza…
Gli
occhi neri di Aquila Rossa scintillavano di fermezza e sincerità.
Si
fidava di lui e, per questo, aspettava i suoi tempi.
Poi,
si avvicinò ancora di più all’amante e le sue
labbra catturarono quelle del nativo. Nella sua vita turbolenta, la
presenza di Aquila Rossa era un miracolo.
Non
gli importava nulla di essere un degenerato, per i loro incontri
sessuali.
Del
resto, il suo indegno padre non era stato un pastore di Dio?
Poco
dopo , i loro volti si separarono e gli occhi celesti di Erron,
lucidi di commozione, si rifletterono nelle iridi dell’amante.
– Grazie,
Aquila Rossa. –
|