La riconciliazione di due anime

di Fiore di Giada
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Il fruscio della tenda, sfiorata dal vento, rompeva il silenzio e si mescolava al crepitio del fuoco del camino, che illuminava l’ampia stanza di bagliori vermigli e dorati.
La luce argentea della luna penetrava dalla finestra e si adagiava ora sul pavimento, ora sui muri, che sembravano ricoperti di mercurio, mentre nell’aria si spandeva il salso olezzo del mare.
Seduto su una sedia, lo sguardo fisso davanti a sé, Sandokan meditava e fissava il corpo di Yanez, disteso su un divano, le braccia incrociate sul petto..
Di tanto in tanto, il giovane rajà si alzava in piedi, percorreva a passi rapidi e nervosi il salone, poi, estenuato, si lasciava cadere sulla sedia, la testa stretta tra le mani .
Sembro una tigre in gabbia… E non lo aiuterò così. – mormorò, la voce roca. Forse, Marianna aveva ragione, avrebbe dovuto riposarsi e dormire.
Ma come poteva abbandonarsi al sonno, mentre Yanez giaceva inerte su quel divano, come un morto in una bara?
Gli sembrava di essere prigioniero in un sepolcro silenzioso, senza la vivace presenza del suo amico portoghese.
Eppure, la stanchezza annebbiava la sua capacità di ragionamento.
Strinse i pugni e irrigidì la mascella, mentre le lacrime gocciavano sulle sue guance. Il suo cuore si ribellava, ma la sua mente valutava l’eventualità per lui più dolorosa.
Il suo migliore amico stava morendo.
Suyodhana lo aveva usato come un burattino.
Poi, implacabile come una serpe, lo aveva ucciso.
O forse no?
Il suo cuore continuava a palpitare e l’aria gonfiava il suo petto.
Eppure, non si svegliava da quel sonno crudele.
Si inginocchiò accanto all’amico, poi appoggiò la mano destra sulla sua.
Che sia una vendetta di quel demonio? – mormorò, sconfortato. La morte, per quanto straziante, avrebbe rappresentato un punto fermo, per quanto dilaniante.
Avrebbe potuto piangere il suo migliore amico e poi ricostruire la sua vita, pur con il peso di una tale lacerazione.
Ma, in quel momento, non gli era possibile.
E, forse, quella situazione era ben peggiore della morte.
Era un orribile alternanza di speranza e rassegnazione.
L’incertezza era ben peggiore della morte e, ne era sicuro, un tale, aspro logorio mentale e morale compiaceva lo spirito crudele di Suyodhana.
Si avvicinò al camino, prese la spada e, per alcuni istanti, fissò lo sguardo nel lucido metallo della lama.
Su di esso, spiccò un viso stanco, pallido di stanchezza, su cui spiccavano gli occhi, circondati da cupe occhiaie.
Sarà servito a qualcosa? – si domandò. Quella spada era potente, ma il possesso di tale arma meritava la vita di Yanez?
Tutto, in quel momento, gli pareva privo di senso.

Sa… Sandokan… – sussurrò una voce flebile.
Il rajà del Kiltar sussultò, sbarrò gli occhi, poi si girò e, d’impeto, si avvicinò al sofà su cui giaceva l’amico.
Gli prese la mano destra tra le sue e un brivido di angoscia martellò la sua schiena. Sì, aveva recuperato coscienza, ma il suo volto era contratto in una maschera di dolore.
E il suo corpo era teso, come quello di un malato di tetano.
No, la situazione non era per nulla migliorata.
Yanez, sono qui. Non ti agitare. – mormorò, lo sguardo fisso sul viso dell’amico. Per quanto cercasse di non perdere la calma, il suo cuore palpitava contro le costole, quasi volesse distruggergliele.
L’angoscia non era svanita, malgrado il risveglio del suo adorato fratello.
Yanez provò a muovere la bocca, ma una fitta di dolore trapassò il suo petto e la sua mascella si irrigidì.
Sandokan, turbato da quella manifestazione di pena, strinse con più forza le dita attorno a quelle dell’amico.
Le labbra dell’europeo, sentendo quel tocco, si sollevarono in un tenue sorriso. Il calore del suo fratellino rassicurava un poco il suo cuore, ma non allontanava la sua preoccupazione.
In quelle lunghe ore di tenebra, una dolorosa verità si era stagliata davanti ai suoi occhi, netta, crudele, implacabile.
Lo spirito di Suyodhana minacciava di usare il suo corpo come un contenitore.
Ne sentiva ancora il fosco richiamo, greve di morte e sventura.
Per quarantotto, lunghe ore aveva lottato con la verità, ma doveva arrendersi all’inevitabile.
La morte dell’anima passa da quella del corpo e la morte del corpo passa da quella dell’anima.

Fratellino, che ti succede? – chiese Sandokan. Perché, ad un tratto, i suoi occhi cerulei si erano velati di lacrime?
Si era risvegliato, ma non era felice.
Perché? Quale angoscia lo turbava?
Io… Io non posso più continuare così… Non… Non riesco a resistere… Ti prego, aiutami, amico mio… – confessò il giovane avventuriero portoghese, la voce triste e flebile.
Per alcuni istanti, il giovane rajà del Kiltar tacque, angosciato, gli occhi sbarrati. Perché le parole del suo amico racchiudevano una tale amarezza?
Lui si sarebbe salvato e avrebbero ripreso le loro imprese.
Io… Io ho una memoria molto forte di quello che è stato… Per l’ennesima volta, Suyodhana si è impadronito del mio corpo e sento che una parte della sua anima vive in me… Sento che potrebbe crescere e nutrirsi dei miei sentimenti negativi… E io non voglio questo! Preferisco porre termine alla mia vita che danneggiare te o qualcun altro! – dichiarò, il tono deciso e lo sguardo fisso nel suo.
Lacrime lustreggiarono negli occhi di Sandokan. Lo spirito dell’amico non era mutato, anzi era pronto all’estremo sacrificio pur di non danneggiare nessuno.
Ma il suo cuore angosciato lo conduceva all’errore e gli faceva scorgere miraggi pericolosi.
La sua generosità era diretta verso un obiettivo fallace.
La sua morte, in quel momento, avrebbe dilaniato il suo cuore, senza alcuna conseguenza positiva.
Quanto aveva sofferto, mentre Suyodhana si serviva di lui, come una marionetta?
Yanez… No. Non ti aiuterò ad ucciderti. Io so che non c’è nessun pericolo. Suyodhana è morto e non non farà più del male a nessuno. – disse, tranquillo. Non avvertiva nessuna presenza tenebrosa attorno a sé.
Suyodhana era un abile maestro di inganni, ma non era mai riuscito a ingannare il suo cuore.
Il suo istinto affettuoso lo avvertiva sempre dei mutamenti del suo amico più caro.
Yanez ben occultava la sua serietà con la sua maschera sbruffona e le magie di Suyodhana rompevano tale copertura.
Tuttavia, un lampo flebile d’umanità si era sempre serbato, pur in quei momenti.
E, in quel momento, non avvertiva nulla d’insolito.
E allora… Allora perché sento questa angoscia? Perché tu sei così sicuro che non ti ucciderò? – domandò l’europeo, preoccupato. Non comprendeva la ferrea sicurezza di Sandokan, che rifulgeva nelle sue iridi…
Gli sembrava piuttosto azzardata e lui non poteva concedersi simili spavalderie!
Tu hai paura. Hai il terrore del ritorno di Suyodhana, dopo quello che hai passato. Per questo, non comprendi che è tutto finito. Quanto alla seconda domanda… Beh, non c’è nessuna stranezza nel tuo modo di parlare. Quando eri sotto il controllo di Suyodhana, avvertivo la mancanza di naturalezza nelle tue azioni. Ora, non la sento. Sei teso, hai paura, ma è comprensibile, dopo tutto quello che hai passato. – lo rassicurò.
Sandokan, poi, si chinò un poco su di lui e le sue braccia strinsero Yanez in un forte abbraccio.
L’altro, per alcuni istanti, tacque, poi il suo corpo si rilassò, come fosse stato massaggiato da centinaia di mani. Quella stretta, tanto forte quanto tenera, spandeva nel suo cuore una gradevole sensazione di sicurezza, simile ad un balsamo.
La fiducia del suo amico in lui era nutrimento per il suo cuore.
Sopraffatto dalla stanchezza, il giovane seppellì il viso nel petto dell’amico e scoppiò a piangere.
Grazie… Grazie… Ancora una volta mi hai salvato, amico mio. – sussurrò, le mani strette attorno alla sua casacca. Le emozioni, in quel momento, lo sommergevano e gli impedivano di ragionare con lucidità, ma non gli importava.
Desiderava sentire il calore di quell’abbraccio fraterno.
Sandokan accennò ad un sorriso e la stretta delle sue braccia aumentò.
E lo farei tante e tante volte per te, fratellino mio… – rispose, mentre il sole dell’alba irradiava il cielo e il mare del Kiltar.

P.S.: all’inizio questa storia doveva avere un finale angst, con il suicidio di Yanez per evitare (l’ennesimo) ritorno del simpaticone dei thugs. Almeno per ora, non me la sono sentita. Però, potrei farci un secondo finale. Chi può dirlo?
Però, si può considerare un what if: cosa sarebbe successo se si fosse svegliato prima, già cosciente e impaurito? Io ho pensato che la sicurezza di Sandokan potesse placarlo.
Voi che ne pensate? Freud, del resto, era ancora di là da venire.




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