In quel
torrido mattino di fine agosto,
la luce del sole faceva risplendere la superficie limpida del Lago
Nero e le fronde rigogliose degli alberi del parco di Hogwarts.
Tuttavia Godric Grifondoro quasi non avvertiva l'afa soffocante
né
il sudore che gli imperlava la fronte; dal momento in cui aveva
serrato la mano intorno all'impugnatura argentea della sua spada, il
sangue gli si era incendiato nelle vene e la sua mente era stata
completamente rapita dai movimenti armoniosi dei suoi muscoli
guizzanti, della lama che roteava e fendeva l'aria.
Quel senso di
sospensione ed estraneità
dal resto del mondo fu interrotto dal suono di una voce familiare che
chiamava il suo nome. Godric abbassò la spada e si
voltò; un uomo
dai capelli scuri camminava nella sua direzione, la sottile veste
nera avvolta intorno al corpo smilzo, gli stivali che facevano
scricchiolare i rametti sparsi al suolo.
“Salazar. Qual buon
vento vi porta a
interrompere il mio allenamento?” disse Godric in tono
ironico.
“Tosca e Priscilla richiedono la nostra presenza per
discutere della possibile assunzione di nuovi insegnanti,”
rispose
Salazar, fermandosi davanti a lui e incrociando le braccia al petto.
“Ma non abbiate fretta, manca ancora mezz'ora all'inizio
dell'incontro. Non mi dispiacerebbe guardarvi mentre vi
allenate.”
Godric
annuì, trattenendo l'istinto di
alzare gli occhi al cielo; aveva sempre considerato uno spreco di
tempo star dietro alle questioni burocratiche che riguardavano la
gestione della scuola.
“Vi ringrazio per
avermi avvertito. Nel
frattempo, perché non vi esercitate insieme a me? Se non
sbaglio
anche voi in gioventù siete stato addestrato alle
armi.”
Una lieve
espressione sorpresa attraversò
lo sguardo di Salazar, sostituita subito da un sorriso sardonico.
“Non sbagliate.
È passato un po' di
tempo dall'ultima volta che ho impugnato una spada ma gradirei
mettermi alla prova insieme a voi.”
Sentendosi
fremere di aspettativa per lo
scontro imminente, Godric sfilò la bacchetta dalla tasca dei
calzoni, eseguì un incantesimo Geminio e una spada identica
alla sua
comparve a mezz'aria. Salazar l'afferrò al volo e si
portò in una
posizione di guardia; i due uomini rimasero immobili a squadrarsi per
qualche istante, prima che Salazar scattasse in avanti tentando un
affondo che Godric parò senza alcuno sforzo.
Il duello
andò avanti per una manciata
di minuti; Godric non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire
un
sorriso trionfo mentre menava un fendente dopo l'altro, costringendo
Salazar ad arretrare. Serrò la presa intorno all'impugnatura
della
spada, pronto a caricare un colpo che l'avrebbe disarmato, quando
vide la figura di Salazar scomparire nel nulla. Subito dopo, la punta
di una lama premette leggermente contro la sua schiena; Godric
sospirò, fece un passo in avanti e si voltò verso
l'avversario.
“Bella pensata, lo
ammetto. Anche se
personalmente preferisco evitare di ricorrere a tali trucchi nelle
competizioni amichevoli.”
“Ammiro la vostra
rettitudine,”
ribatté Salazar, abbassando la spada. “Ma dovreste
sapere che per
me una competizione amichevole rimane pur sempre una
competizione.”
I suoi occhi
scorsero lentamente sulla
figura di Godric – il quale si sentì attraversare
da un lieve
brivido – per poi sollevarsi sul suo viso.
“Sapete, mi
è sempre piaciuto
osservarvi mentre duellate,” continuò Salazar, la
voce ridotta a
un mormorio carezzevole. “È uno spettacolo
affascinante. L'ardore
che vi infiamma gli occhi, l'impeto col quale vi muovete...
è come
se in quei momenti la vostra intera essenza fosse assorbita dai
vostri movimenti e la spada diventasse un'estensione del vostro
braccio. Come se voi foste nato per la
battaglia.”
“Non posso darvi
torto. Che si tratti
di impugnare le armi o una bacchetta, mi sono sempre considerato nato
per combattere,” rispose Godric, tenendo la testa ben alta e
sostenendo lo sguardo intenso di Salazar. Non era la prima volta che
avvertiva la tensione crepitare tra loro, nei momenti in cui si
trovavano soli; scariche di adrenalina che calamitavano i loro corpi
l'uno verso l'altro, che facevano sorgere in lui l'impulso di far
scorrere le mani sul viso di Salazar per saggiare sui polpastrelli la
consistenza di quella sua pelle pallida e così
apparentemente
delicata.
“Dovremmo
avviarci,” disse
d'improvviso Salazar, distogliendo lo sguardo dal suo per volgerlo
verso il castello in lontananza. “Tosca e Priscilla ci
staranno
aspettando per l'incontro.”
Godric
annuì e rinfoderò la spada nella
cintura.
“Che ne dite di
esercitarci di nuovo
insieme, in questi giorni? Vi ho visto molto arrugginito, mi
piacerebbe darvi una mano a rispolverare le vostre conoscenze in
materia d'armi.”
L'altro
inarcò le sopracciglia in
un'espressione seccata – Godric sapeva che Salazar Serpeverde
non
gradiva sentirsi secondo a nessuno, persino nei campi che non erano
di sua competenza – poi il suo sguardo si rilassò
e un sorriso
mesto gli sollevò gli angoli delle labbra.
“Accetto di buon grado
la vostra
proposta.”
Erano passate
tre settimane da quel
mattino, tre settimane nel corso delle quali Godric e Salazar si
erano incontrati più volte nel parco per tirar di spada e la
tensione che intercorreva tra loro non aveva fatto altro che
crescere, facendosi sempre più viscerale ogni volta che i
loro corpi
si toccavano accidentalmente durante un duello. Godric aveva iniziato
a considerare sensuali i movimenti sempre
più agili e
aggraziati di Salazar, il modo in cui i capelli corvini gli
ricadevano sul viso infiammato dall'impeto e dalla concentrazione.
Per un po' di
tempo aveva tentato di
mettere a tacere quell'attrazione folle, finché un mattino
non si
era svegliato di soprassalto con la fronte sudata e i sensi
assuefatti dall'eccitazione, tentando di aggrapparsi ai rimasugli di
un sogno nel quale Salazar lo afferrava bruscamente per le spalle e
iniziava a baciargli e mordergli il collo.
Quella sera
stessa, i due uomini si erano
incontrati nel parco per duellare ma Godric aveva fatto fatica a
mantenersi concentrato; gli echi del sogno continuavano a turbinare
nella sua mente, rapita più dalla figura dell'uomo che gli
stava
davanti che dai movimenti delle loro spade.
Salazar non
perse tempo ad approfittare
della sua distrazione; si lanciò in una serie di finte e gli
occhi
gli brillarono di trionfo quando un suo affondo finì per
disarmare
Godric, il quale si limitò a stringersi nelle spalle con
aria
noncurante.
“Complimenti.”
Salazar
rinfonderò la spada e gli si
avvicinò di qualche passo, un sorriso altezzoso stampato
sulle
labbra.
“Vi ho visto ben poco
concentrato
stasera, Godric.”
“Avete ragione. Altrimenti non vi avrei di
certo lasciato vincere,” ribatté lui in un tono di
scherno
bonario. Si ritrovò a deglutire quando Salazar fece un altro
passo e
premette il petto contro il suo, lo sguardo più sfrontato e
rilucente di malizia che mai.
“Una tale noncuranza
in combattimento è
decisamente inusuale da parte vostra. Dietro dev'esserci sicuramente
una ragione importante.”
Bastò
il timbro seducente di quella voce
– accompagnato dalle dita di Salazar che gli sfioravano il
braccio
– a fargli esplodere un calore bruciante nel basso ventre.
Godric
lasciò andare ogni residuo di remore mentre gli afferrava le
spalle
e si avventava sulle sue labbra; le loro lingue si incontrarono in un
bacio che non aveva nulla di delicato e gentile, un bacio che
trasudava urgenza, brama, ferocia.
I loro
respiri si fecero sempre più
affannati; Godric morse un labbro di Salazar, strappandogli un
gemito, e fece scorrere le mani sul suo petto fino ad afferrare la
cintura di cuoio stretta intorno alla sua veste.
“Quanta
fretta.”
Salazar gli
afferrò i polsi,
sospingendoli via delicatamente, e poggiò la fronte contro
la sua –
aveva gli occhi lucidi, il respiro spezzato, le labbra gonfie e
arrossate.
“Non volete anche
voi?” mormorò
Godric.
“Certo che lo voglio.
Ma credo sia il
caso di spostarci nelle mie stanze. Non trovate che dovremmo
mantenere un po' di decoro?”
Godric si
lasciò sfuggire una risata e
catturò di nuovo la bocca di Salazar in un bacio.
“Salazar, dovreste
sapere che a me non
è mai importato nulla del decoro.”
A quella
prima notte ne erano seguite
molte altre; notti animate da un bisogno spasmodico e animalesco,
notti in cui le unghie di Salazar avevano scavato solchi sanguinanti
sulla sua schiena e le loro gole erano state raschiate da urla di
dolore e piacere – si addormentavano abbracciati, esausti e
ricoperti di lividi, e si risvegliavano solo per sentire il desiderio
riaccendersi, trascinandoli nuovamente l'uno tra le braccia
dell'altro.
È
solo carnalità, solo passione, si
era ripetuto più volte Godric. Non ci
sono sentimenti che
ci legano.
Eppure,
ciò che era iniziato come
un'avventura aveva finito per tramutarsi in qualcosa a cui entrambi
non avevano trovato il coraggio di dare un nome, qualcosa di
spaventosamente simile all'amore – Godric
sentiva il peso di
quella parola comprimergli il cuore ogni volta, nel quieto languore
che seguiva l'esplosione dell'orgasmo, le labbra di Salazar
lasciavano sul suo petto scie di baci che gli ricoprivano la pelle di
brividi. Ogni volta che rimanevano distesi insieme a letto e i loro
corpi continuavano a cercarsi, le loro braccia a stringersi, le loro
dita ad accarezzarsi a vicenda.
Avevano preso
ad amarsi senza bisogno di
dirselo a voce alta. Non necessitavano di parole per rendere reale
quel sentimento che fioriva in tutto il suo splendore solo tra le
ombre, nelle stanze chiuse a chiave in cui i due uomini passavano ore
e ore a conversare – parole, segreti, confessioni
che mai
avrebbero preso forma e suono alla luce del giorno
– fino a
ricadere avvinghiati sul letto e fare l'amore per tutta la notte.
Godric aveva
voluto credere con tutto se
stesso alla forza indissolubile di quel sentimento, finendo per
sorvolare sui difetti e gli ideali ambigui di Salazar, illudendosi
ch'egli possedesse un animo retto e nobile quanto il suo –
cosa
poteva importargli delle loro divergenze di pensiero quando, alla
fine dei loro litigi, le braccia di Salazar lo tiravano a sé
e le
sue labbra gli baciavano il collo, mandandogli a fuoco i lombi e in
pezzi la ragione?
L'amore aveva
iniziato a vacillare quando
i discorsi di Salazar avevano preso a incentrarsi sempre di
più
sulla purezza del sangue magico, quando la sua attrazione per le Arti
Oscure – a detta sua un puro interesse accademico –
si era fatta
fin troppo esplicita e i silenzi che seguivano i loro litigi sempre
più prolungati.
Godric sapeva
che v'era del marcio
annidato tra le pupille di Salazar, un male che aveva messo radici
tempo addietro e che continuava a crescere di giorno in giorno
– ma
l'amore, che persino se ridotto a brandelli rivestiva per lui molta
più importanza della razionalità, l'aveva portato
per fin troppo
tempo a giustificare Salazar, a continuare a concedergli il suo
perdono e un posto nel suo letto. Almeno fino al giorno in cui la
realtà si era abbattuta su di lui in tutta la sua crudezza;
davanti
agli sguardi sconvolti di Priscilla e Tosca, Salazar aveva
apertamente denigrato i Nati Babbani che frequentavano Hogwarts ed
espresso il desiderio di abbandonare la scuola se non fossero state
imposte regole ferree sull'ammissione degli studenti.
Godric aveva
perso il senno, aveva urlato
invettive contro di lui ed era corso fuori dalla stanza sbattendosi
la porta alle spalle – quando quella sera si era rigirato nel
letto, incapace di addormentarsi, per la prima volta pensare a
Salazar aveva scatenato in lui nient'altro che ondate di ripugnanza e
odio cieco.
Le settimane
successive erano trascorse
tra gelo, silenzio, sguardi taglienti e accusatori. Quando finalmente
Salazar si era ripresentato nelle stanze di Godric, i due uomini si
erano spogliati senza pronunciare una sola parola, si erano presi con
ferocia e poi s'erano addormentati l'uno accanto all'altro senza
neanche toccarsi.
Al mattino,
Salazar s'era rivestito e gli
aveva rivolto appena un cenno del capo prima di andarsene. Godric,
ancora disteso a letto, aveva chiuso gli occhi e lasciato che il suo
cuore sanguinasse per il dolore, il senso di colpa e il disprezzo
verso se stesso; sapeva che avrebbe dovuto odiare Salazar eppure una
parte di lui non poteva fare a meno di continuare ad amarlo –
tornare ad assaporare il sapore angelico della sua pelle gli
aveva
fatto dimenticare il marcio che vi era celato al di sotto.
“Quindi partirete
domani mattina.”
Godric vide
Salazar sussultare, voltarsi
di scatto e poi inarcare le sottili sopracciglia scure in
un'espressione gelida.
“Cosa ci fate
qui?” mormorò
freddamente.
Prima di
rispondere, Godric fece scorrere
lo sguardo sulla stanza e si lasciò sfuggire un sospiro
amaro; lo
scrittoio davanti alla finestra era sgombro, il mantello da viaggio
spiegato sul letto, le pareti spogliate dagli arazzi che riportavano
lo stemma della Casa di Serpeverde.
“Sono venuto a dirvi
addio.”
“Addio,”
La voce di Salazar
ruppe in una risata beffarda. “Come se a voi importaste
qualcosa
della mia presenza in questo castello.”
Godric guardò Salazar
in silenzio. Erano passati mesi dalla loro ultima notte insieme, una
notte che non era stata in grado di ricucire i loro fili spezzati. Da
allora c'erano stati altri scontri, altre invettive, altro veleno
sputato addosso – ormai avevano smesso di parlare, persino di
rivolgersi la parola se non in occasioni di circostanza.
“Avete intenzione di
rimanere lì senza
dire e fare niente? In tal caso, vi pregherei di lasciare le mie
stanze.”
Godric si
riscosse. Salazar gli si era
avvicinato ed era fermo in piedi davanti a lui, a distanza di qualche
passo – non poteva avvertire il calore del suo corpo
né la carezza
del suo respiro sul viso, forse non li avrebbe avvertiti mai
più.
Mai
più mai più mai più.
“Salazar, avevo
bisogno di vedervi
prima che partiste.”
Lo sguardo
dell'uomo rimase indifferente
ma Godric continuò a parlare, mosso dall'impulso che faceva
affiorare parole spontanee alle sue labbra.
“Nonostante il destino
abbia scelto di
dividerci, nonostante io non possa più ignorare le nostre
divergenze, nonostante voi non possiate provare altro che disprezzo
nei miei confronti... voglio che sappiate che c'è stato un
tempo in
cui siete stato tutto per me. Non ve l'ho mai
confessato a
parole ma vi ho amato come non ho mai amato in tutta la mia vita.
Forse una parte di me vi ama ancora. Non potevo sopportare l'idea di
lasciarvi andare senza ascoltare un'ultima volta il suono della
vostra voce.”
Tacque,
lasciando che un silenzio più
pesante di qualsiasi parola vibrasse tra di loro, e fissò
gli occhi
di Salazar cercando di imprimersi nella mente la loro forma e il loro
colore – ancora una volta, si odiò
perché non poteva fare a meno
di continuare a compiangere il fantasma dell'uomo che aveva amato e
creduto di conoscere sino in fondo, quel suo corpo di cui non avrebbe
mai più conosciuto e scandagliato i sapori.
“Anche voi per me
siete stato tutto, un
tempo.”
La voce di
Salazar suonò bassa, triste,
e la sincerità disarmante nel suo sguardo gli
trapassò il petto
come una lama rovente.
“Ora non abbiamo
davvero più niente da
dirci,” continuò Salazar in tono sommesso.
“Potete lasciare le
mie stanze.”
Mai
più mai più non lo rivedrai mai più
non lo toccherai mai più.
Istinto e
ragione battagliarono in lui
per qualche istante. Poi Godric fece un passo in avanti,
afferrò le
spalle di Salazar, portò le labbra sulle sue – un'ultima
notte
solo un'ultima notte non posso continuare a vivere e respirare senza
quest'ultima notte – e sentì l'universo
perdere di consistenza
quando la bocca di lui si schiuse per accogliere quel bacio.
Non ci furono
parole mentre i vestiti
cadevano a terra, mentre Godric gettava il capo all'indietro e
stringeva le gambe intorno alla vita di Salazar; solo gemiti e urla
roche che andavano a infrangersi contro le mura di pietra, le fiamme
tremolanti delle candele come uniche testimoni di quella che sarebbe
stata la loro ultima vera notte insieme.
Il piacere
arrivò per entrambi nello
stesso istante, un piacere atroce e doloroso che li lasciò
sudati e
ansimanti sul letto – Godric sentì le braccia di
Salazar tirarlo a
sé e si concesse di addormentarsi con la testa premuta
contro il suo
petto, di respirare per l'ultima volta quell'odore che gli scatenava
dentro terremoti inarrestabili ed evocava memorie di un tempo
destinato a essere perduto per sempre.
Al mattino,
Godric riaprì gli occhi e si
ritrovò solo nel letto.
La luce
picchiante del sole filtrava
attraverso i vetri delle finestre, irradiandosi in tutta la stanza,
la calura estiva gli occludeva il respiro e il suo corpo era
rivestito di sudore – eppure lui non aveva mai
avuto tanto
freddo in vita sua.
|