He was a (choker) boy

di DanceLikeAnHippogriff
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Si aggiustò con fare rassegnato la camicia di jeans. Il viso nello specchio gli restituì la stessa espressione di insofferenza che sentiva montare ciecamente dentro di sé; quella strana sensazione era lievitata negli ultimi giorni, quando Andrew gli aveva ricordato mentre cercavano di sopravvivere alla calca umana di fine lezione inglese che non vedeva l’ora che arrivasse venerdì per uscire e svagarsi un po’.

Cercò di rilassare le spalle e di addolcire quel sorriso tirato a trentadue denti che urlava di tutto tranne ‘sono perfettamente a mio agio questa sera’. Lanciò una rapida occhiata all’orologio. Perfettamente in orario. Si sentì stranamente fiero di sé stesso per quel dettaglio minimale a cui non avrebbe fatto caso nessuno, men che meno Andrew, che sarebbe stato in largo anticipo. Conoscendo il moro, era già di fronte al locale a misurare a passi lenti i sanpietrini scalpitando per un drink e per vomitargli addosso l’ennesima bravata sessuale di Charles.

Non che gli importasse davvero. Si rigirò le chiavi nelle mani, saggiandone il peso prima di infilarsele nella tasca del giubbotto. Almeno non avrebbe dovuto aspettare a lungo, fuori si gelava.

***

Il chiacchiericcio che animava via Torino unito ai refoli di Bora avevano fatto un ottimo lavoro e Leo ora era più sveglio che mai. La nebbia che gli aveva offuscato la mente fino a poco prima di mettere il naso fuori dal portone di casa si era diradata a suon di schiaffi gelati. Inspirò a pieni polmoni, lo spirito della serata che iniziava a risvegliare ogni parte del suo corpo. Aveva voglia di muoversi. La musica ovattata che pulsava dietro le porte dei locali e l’odore di birra e sigarette stavano sortendo uno strano effetto su di lui. Dio, quanto voleva tuffare le labbra in un boccale di scura. Spostò lentamente il peso sui talloni, dondolandosi, gli occhi che scrutavano la folla camaleontica che sfilava intorno a lui. Andrew era stranamente in ritardo. Un senso di anticipazione gli attanagliò lo stomaco; non era mai in ritardo, odiava farsi aspettare.

Si umettò le labbra, quasi a voler sentire il sapore di alcol e malto. L’odore di sigaretta gli si appiccicò addosso, come falene brulicanti attorno a una luce. Fanculo, non aveva bisogno di una sigaretta, ma era un momento perfetto per fumarsene una. Le stelle che intravedeva a malapena dietro la cappa di luce dei lampioni erano nella posizione ideale, sembrava quasi che lo stessero rassicurando con il loro fioco pulsare antico di millenni. Aprì la tasca del giubbotto. Aveva fatto bene a portarsele dietro e poi doveva finirle, dai; un pacchetto regalato non si rifiuta mai. Gli scappò uno sbuffo quando rilesse la marca: Chesterfield. Non ci avrebbe certo sputato sopra. Con un colpetto calcolato fece slittare una sigaretta fuori dalla confezione e se la portò alle labbra. Infilò le dita nella tasca, godendosi il lieve tepore che si stava già diradando. La sua mano afferrò il nulla. Eh no. Cazzo, no. Iniziò a tastare lentamente le tasche del giubbotto, poi quelle dei pantaloni. Niente accendino.

Strinse le labbra attorno alla sigaretta, rigirandosela lentamente da un angolo all’altro della bocca; le mani in tasca, le spalle leggermente curve. Si sentiva un perfetto idiota e decisamente fuori posto. Forse faceva ancora in tempo a tornarsene a casa, tanto non c’era stata nessuna zazzera di capelli ricci che era spuntata da quel mare di facce sconosciute. Forse alla fine era riuscito a combinare qualcosa con quello spocchioso francese. Forse non aveva davvero bisogno di uscire e aveva trovato di meglio da fare che stare a congelarsi il culo in Cavana. Un po’ lo capiva, ma avrebbe potuto almeno avvertire. O lui o Ivan. Almeno Ivan. Ma lui probabilmente si sarebbe trovato qualcosa di alternativo da fare, sapeva come intrattenersi. Leo no. Però si sentiva stranamente sollevato; non avrebbe retto alla pressione di sentire il suo migliore amico parlare di pene e peni d’amore non stop mentre l’alcol non faceva altro che rendere i suoi pensieri ancora più contorti e confusi. Non quando Leo stava cercando di capirsi. Non ora che quella stupida faccia canadese aveva reclamato a gran voce il suo posto dietro le palpebre di Leo, palesandosi a ogni battito di ciglia. Lo vedeva ovunque, cazzo, mai un attimo di tregua e non capiva, Leo, non capiva più un cazzo e voleva solo fumarsi una sacrosanta sigaretta per soddisfare la sua estetica e poi incamminarsi verso casa nel silenzio e nella notte.

«Ehi, bella bionda. Ti serve da accendere per caso?»

Si girò inarcando il sopracciglio, tenendo la sigaretta tra due dita.

«Ivan.» esordì con un ghigno divertito, accennando un inchino. «Sicuramente daresti una svolta alla mia serata in solitaria.»

L’altro ridacchiò, guardandosi intorno. «Pensavo che sarebbe già stato qui per farci la predica.» sottolineò avvicinandogli l’accendino per accendere la paglia. «Da quanto aspetti?»

«Non ho guardato l’ora da quando sono uscito di casa, tanto sarei stato in ritardo comunque per lui, no?» scrollò le spalle, boccheggiando per ravvivare il timido baluginio che stava iniziando a produrre un sottile filo di fumo. Tirò una boccata. Dio, che bello. Ora sì che tutti i pezzi si stavano incastrando nel posto giusto.

«Uh uh.» Ivan lo osservò con fare divertito. «Quindi? Qual è il programma della nostra serata?»

«Bere, tirare su il morale a quello scemo di un francese e divertirci?»

«No, no. William o Charles? Di chi si lamenta stasera?»

Si fissarono negli occhi per un secondo, una voluta di fumo che si arricciava nell’aria. Poi scoppiarono a ridere entrambi, iniziando a elencare tutte le situazioni imbarazzanti in cui Andrew si era ritrovato per colpa di Charles. La storia di Instagram chi se la dimenticava più? Quel ‘Like’ era stato fonte di panico per giorni interi. Per non parlare delle occhiate adoranti che gli lanciava ogni volta che il francese lo spintonava per superarlo malamente. O delle ragazze che si portava continuamente a letto affermando a ogni rapporto occasionale la sua indistruttibile reputazione da maschio etero alfa.

«Sarà Charles sicuro! È da un po’ che non lo sento nominare Shèspì, quindi…» Leo alzò le spalle facendo una faccia esageratamente rassegnata. «10 a 1 che è in ritardo per l’ennesimo litigio.»

«O per l’ennesimo durello imbarazzante.»

«Messere!» esclamò scandalizzato. «Siamo in un luogo pubblico!»

«E pure al freddo. Che ne dici se ci portiamo avanti di qualche drink prima che arrivi Drew?» strizzò l’occhio con una certa aria di complicità. «Un uccellino mi ha detto che hanno assunto un nuovo barista all’Angry Diamond e i drink sono uno spettacolo.»

Leo trattenne il fumo per un po’, espirandolo lentamente. «Decisamente più allettante che aspettare Dree qui fuori.»

Si avvicinarono all’entrata schivando abilmente un gruppo di ragazzini entusiasti con i calici in mano. Risuonavano chiaramente nell’aria le prime note di “Bang bang into the room”, le luci psichedeliche che proiettavano sul pavimento vicino all’ingresso un caleidoscopio intermittente di colori. La sigaretta sfrigolò e si spense, abbandonata inerte sul portacenere del cestino. Quale migliore entrata in scena di quella?

***

Passò lentamente l’indice tra la striscia di velluto nero e la pelle del collo, un brivido di soddisfazione che gli elettrizzava la spina dorsale. Quella sera aveva dato fondo al suo armadio, cercando la combinazione di vestiti che lo avrebbe fatto sentire più a suo agio e, al tempo stesso, che attirasse di più l’attenzione. I jeans scuri a vita alta gli fasciavano perfettamente le gambe e la maglietta smanicata nera lasciava scoperta la giusta quantità di spalle, facendo risaltare i suoi muscoli. Il choker che aveva considerato all’ultimo momento gli dava quell’aria di seduzione in più che lo inebriava. Rivolse allo specchio uno sguardo languido, sicuro, quasi arrogante.

Quella era la serata in cui avrebbe finalmente detto a Leo che di Charles non gliene fregava proprio un cazzo. E l’avrebbe fatto con stile. L’avrebbe fatto per dimostrargli che era lui quello che voleva, che in quegli ultimi mesi Charles non era stato niente più che una scusa per rinviare la resa dei conti con i suoi sentimenti troppo scomodi, troppo complicati, troppo dolorosi. Non era facile scendere a patti con il fatto che la cotta mostruosa che ti tormenta l’anima è per il tuo migliore amico; lo stesso biondo che, ignaro e stupidamente felice, continua a sostenerti nella missione suicida di conquistare il tuo coinquilino francese.

Continuò a sistemarsi i ricci con la spuma cercando di dargli un senso. Ah, smooth just like me. Allungò la mano per prendere il suo profumo preferito, conscio di essere in ritardo; aggiungici un’altra mezzora perché in Cavana ci sarebbe arrivato a piedi ed ecco il cocktail perfetto per arrivare a sorpresa al punto giusto per un’entrata in scena spettacolare. Non vedeva l’ora di vedere la reazione di Leo. Il biondo era ormai abituato alle sue occasionali stravaganze in fatto di stile androgino, ma non aveva mai sfoggiato un choker in sua presenza. Le sue labbra si arricciarono in un sorriso compiaciuto. Lanciò una rapida occhiata alla sua figura riflessa nello specchio e infilò la porta.

Gli scricchiolii del corridoio annunciarono il suo arrivo nel soggiorno. Charles lo degnò di una rapida e annoiata occhiata, prima di aggiustarsi gli occhiali sul naso e sprofondare nuovamente nel suo libro di Baudelaire, accoccolandosi meglio nella coperta e nel suo spleen serale.

«C’est ça ton imitation de te bien habiller, donc.» commentò senza particolare enfasi nella voce.

Andrew scrollò le spalle, indossando un cardigan bordeaux. «It’s not for you, Charles. And at least I’m going out instead of laying on the couch doing whatever you’re doing with your spleen

Il biondo si impettì, abbassando il libro quanto bastava per fulminarlo con lo sguardo. «Sono io che scelgo di rimanere a casa, Andrew. Se volessi compagnia mi basterebbe inviare un messaggio e in due minuti una ragazza starebbe bussando alla porta.» Stirò le labbra in un sorriso sornione, la faccia di chi sa di star per tirare un colpo basso. «Quanto a te… Buona fortuna con Leo, sono mesi che ti tormenti senza concludere niente.»

Si lasciò sfuggire un sibilo. «Beh. Ci vediamo. A più tardi.» Afferrò le chiavi di casa e aprì la porta con malagrazia, irritato. «Anzi, sai cosa? Forse non mi vedrai perché sarò nel suo letto!» Chiuse la porta dietro di sé, i passi che si allontanavano nel corridoio della palazzina.

Charles girò pagina come se quello scambio non fosse mai avvenuto, sventolando la mano davanti al naso per allontanare il profumo di Andrew.

***

Si erano conquistati due sgabelli al bancone e non li avrebbero lasciati per tutto l’oro del mondo. L’Angry Diamond non era uno dei locali più famosi di via Torino, ma quella sera sembrava che la movida universitaria si fosse riversata dentro quella stanza peggio di un fiume in piena. L’aria vibrava di musica e degli schiamazzi dei ballerini che si scatenavano in pista.

Avevano resistito alla tentazione di ordinare un drink dopo l’altro per far passare il tempo, ma dopo altri dieci minuti di vana attesa e nessuna risposta al telefono da parte di Andrew, i due decisero che era tempo di passare all’azione. Tanto il moro li avrebbe recuperati non appena messo piede nel locale. Il mood della serata chiamava alcol e confidenze, d’altronde. La prima birra media andò giù tra risate e i racconti di Ivan nel paese della seduzione. La seconda non tardò ad arrivare e Leo convinse l’amico a fargli compagnia per una sizza, anche se il freddo non attirava nessuno dei due. Però ci sta, dai e quindi si erano lanciati fuori senza giubbotto – perché altrimenti Come teniamo il posto sugli sgabelli? – e via. La Bora decise di fumarsi da sola la prima sigaretta; una seconda era d’obbligo, almeno gli sarebbe sembrato di averne fumata una intera, ma la loro resistenza fisica si fermò lì.

Il barista appoggiò l’ordine di fronte a loro, scambiando uno sguardo d’intesa con Ivan. Seriamente, Leo continuava a stupirsi di quanto quel ragazzo avesse conoscenze ovunque, manco fosse a capo di un’agenzia di intelligence. C’erano poche cose che accadevano in città senza che lui non ne fosse a conoscenza e il nuovo barista sembrava rientrare in quel tipo di informazioni classificate. Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Ivan sollevò il cicchetto con un sorriso sornione, accennando un brindisi.

Cercò di sovrastare il volume della musica. «Al nostro essere terribilmente in orario e alle scuse che cercherà di trovare Drew per il suo ritardo.»

Leo sollevò a sua volta lo shot, facendolo tintinnare contro quello dell’amico. «E all’unico orgasmo che avremo stasera.» Ridacchiò accennando ai loro drink.

«Parla per te!» Tracannò lo shot tutto d’un fiato, occhi azzurri che seguivano discreti il barista che si affaccendava tra shaker e ordini vari. Appoggiò il bicchiere allungandolo verso il ragazzo che li aveva serviti. «Io me ne farò un altro.»

Leo alzò gli occhi al cielo. «Okay, hai vinto. Ti farò compagnia, se proprio devo

«Come se ti dispiacesse davvero. Chi non vorrebbe un orgasmo ogni tanto?» gli allungò una gomitata facendogli scappare un grugnito. «Non so cosa ci mettano dentro, ma mi ubriacherei solo con questi.»

«Credo del Baileys…?» Strizzò gli occhi osservando con fare da intenditore lo shot di nuovo pieno che lo aspettava sul bancone. «Eeee una ciliegia…» la sollevò per il picciolo, leccandola velocemente «…che sa di alcol.» Soddisfatto della sua analisi se la ficcò in bocca, masticandola con enfasi per sottolineare la fine della sua carriera da sommelier.

«Oh ho, allora forse piacerebbe anche al signorino dietro di te.» sorrise portandosi il bicchiere alle labbra. «Era anche ora che ti facessi vivo, Drew.»

Forse fu la fretta nel girarsi per salutarlo. Certo, che altro poteva essere altrimenti? Non poteva dare la colpa a Andrew. O al fatto che la salivazione gli si arrestò di botto quando notò il choker che gli fasciava con eleganza la linea del collo. Né a come il suo cuore aveva perso un battito quando i loro occhi si erano incontrati e il moro gli aveva fatto l’occhiolino più irriverente che avesse mai ricevuto. Insomma, sembrava che la confusione che aveva provato in quei mesi si fosse concentrata in un’unica epifania e non riusciva a capire se avesse avuto la rivelazione del millennio o se poteva classificare la cosa come l’ennesima figura di merda. Sta di fatto che si rovesciò il drink dritto sui pantaloni. Con precisione millimetrica, che neanche se avesse voluto farlo gli sarebbe riuscito così bene. E niente, era fottuto. Era decisamente morto, che situazione del cazzo. Tralasciando il bicchiere che stava partendo per grandi avventure verso il tavolo due a braccetto con la sua dignità, le uniche sensazioni che provava erano l’incendio che gli divampava in faccia e la macchia bagnata che continuava ad allargarsi sui suoi pantaloni. Se fuori dal locale si era sentito fuori posto ora voleva solo che la terra lo inghiottisse di botto. Con la sua fortuna, sarebbe rimasto incastrato con metà busto fuori dal pavimento e addio pace degli inferi.

Dopo pochi attimi di silenzio, che a Leo sembrarono secoli in cui ogni sguardo sembrava convergere sul suo inguine, i suoi amici scoppiarono a ridere mentre il barista, che aveva assistito alla scena, gli porgeva gentilmente un fazzoletto di carta.

«A quanto pare Leo è molto felice di vederti!» sghignazzò Ivan.

«Leo…» Andrew stava cercando palesemente di trattenersi dal fare qualche battuta idiota, la sua faccia una maschera di autoimposta compassione. «Mi dispiace… Posso-?»

«Occuparti del suo orgasmo? Ceeeerto che puoi, amico, Leo non chiede di meglio!»

A quelle parole ci mancò poco che le orecchie del biondo iniziassero a emettere fumo per autocombustione. Cercò di ripulirsi alla bell’e meglio sibilando un Ha ha, molto divertente! nella direzione in cui si dovevano trovare i due – non ne era sicuro, continuava a tenere gli occhi testardamente incollati sui pantaloni – ma quella macchia sembrava voler rimanere lì come monito perenne della sua stupidità. Gettò un’occhiata a Andrew cercando di capire quanti punti avesse guadagnato nella sua classifica “Leo: l’amico simpatico e imbranato”, ma il moro sembrava troppo occupato a ridacchiare con Ivan per curarsi di altro. Ecco, se anche avesse voluto far colpo su di lui ora le sue chance scendevano a meno di zero.

«Orgasmo as in orgasm; that orgasm, duh.»

Dree gli scoccò una rapida occhiata, le guance arrossate per il calore del locale e dalla risata. Uno sguardo che Leo evitò con una rapidità fulminea. Grazie Ivan, amico premuroso e paladino degli studenti Erasmus, per aver reso ancora più ovvia e imbarazzante la sua figura di merda. Rivolse più di qualche maledizione a se stesso e alla sua stupidità, riservandone qualcuna anche allo stupido nome di quello stracazzo di cocktail. Goliardico, davvero; volevano fare i simpaticoni e adesso lui ne pagava le conseguenze. Non poteva neanche stare chino su uno sgabello a fissare il suo inguine per tutta la serata, non avrebbe fatto altro che scavarsi la fossa da solo attirando battute indesiderate. Tanto ormai non poteva fare molto per smacchiare i suoi pantaloni. Sospirò. Rassegnato, si decise ad alzare lo sguardo per incontrare quello di Andrew. Il ragazzo gli rivolse un sorriso a metà tra il rassicurante e l’imbarazzato. Probabilmente si stava vergognando per lui, eccellente.

«Quindi lo vuoi?»

Andrew sembrò riscuotersi da un torpore in cui era sprofondato chissà quando. «Chi? Chi devo volere?!» I suoi occhi saettarono da un elemento all’altro della stanza, poggiandosi ovunque tranne che sui due amici. Sembrava che le sue guance avessero assunto una sfumatura leggermente più scura. Leo diede la colpa alle luci della pista da ballo.

Ivan si allungò dallo sgabello e gli mollò un pizzicotto sul braccio. «Ehi, rilassati. Ti chiedevo per il drink. Non vuoi bere qualcosa?» inclinò leggermente la testa di lato per sottolineare la sua perplessità, rimanendo in paziente attesa.

«Uh. Sì, certo. Adesso ci penso.» Si appoggiò al bancone, le dita che tamburellavano sul legno a ritmo di musica.

«Anzi, mi sa che ti lascerò il posto per un po’, Drew.» Ivan si alzò di scatto, lo sguardo concentrato verso un punto indefinito vicino all’uscita del locale.

«Cos’è? Ti vendichi per il mio ritardo?» la buttò sul ridere, osservando l’amico che si affaccendava a rivestirsi per affrontare il vento gelato. «Neanche un brindisi insieme?»

«Non vorrai mica piantarci in asso!» si intromise Leo, una debole nota di protesta nella voce. Così debole che a Ivan non fece né caldo né freddo. Non puoi mettermi in questo casino e poi lasciarmi da solo, cazzo! Sentiva una leggera sensazione di panico accarezzargli sensualmente l’imboccatura dello stomaco.

«So di essere al centro della vostra movida e dei vostri pensieri, amigos, ma ci metterò poco.» rispose tranquillamente aggiustandosi il giubbotto e tirando su la lampo. «Promesso.» sorrise facendogli l’occhiolino. «Intanto iniziate senza di me. Scarsi come siete, vi recupererò in un attimo!» e si infilò in mezzo alla calca ignorando le linguacce e i gestacci dei due.

Leo continuava a guardare il posto in cui Ivan, sua ancora di salvezza, si era stagliato fino a poco prima. Era stato inghiottito dalla folla, puff, niente più sicurezza di poter evitare interazioni imbarazzanti faccia a faccia con il nemico pubblico numero uno della sua sanità mentale. Con la coda dell’occhio notò che anche Andrew non sembrava entusiasta dell’uscita di scena del loro amico. Scrollò le spalle rassegnato. Prima o poi avrebbero dovuto parlare e gli conveniva farlo in fretta prima che il silenzio tra loro si ispessisse così tanto da rendere l’inizio di un dialogo ancora più imbarazzante.

Fece un colpetto di tosse. Ottenne solo un sorriso di circostanza palesemente tirato. Sollevò gli angoli della bocca in risposta, nella speranza che apparisse tutto tranne che il ghigno terribile che gli aveva restituito lo specchio del bagno poche ore prima. Dalla faccia di Andrew ne dedusse che sì, era proprio quello. E vai così.

Era da qualche mese ormai che la loro amicizia si era trasformata in… quello. Leo non sapeva bene come definirlo, ma qualcosa era definitivamente cambiato nel loro rapporto e non erano più gli amiconi di un tempo; niente più uscite casuali per esplorare la città, inviti a casa per cena che si prolungavano fino a notte fonda, discorsi idioti e battute quasi telepatiche. Si lasciò sfuggire un sorriso amaro, sapore che non venne migliorato dal drink che ingollò tutto d’un fiato. Voleva dire qualcosa di divertente, qualcosa che sapesse di loro, della loro amicizia, che disseppellisse dagli strati geologici del cenozoico il loro essere bro. Ovviamente non gli veniva in mente niente e Andrew sembrava non avere alcuna voglia di fare il primo passo, non quando si stava concentrando fino allo spasmo sul menù dei cocktail. Una leggera punta di irritazione gli pervase la mente: sembrava quasi che lo facesse apposta, che lo stesse evitando per un motivo che a Leo tuttora non era chiaro. E lo faceva incazzare perché aveva passato settimane intere a cercare di capire perché di punto in bianco Andrew aveva smesso di parlargli, rompendo il silenzio solo durante le uscite con gli amici. E anche lì le loro interazioni si potevano contare sulla punta delle dita, per non parlare dei banalissimi argomenti di conversazione che tiravano fuori. Pietosi.

«Chissà perché Ivan è uscito…»

Oh ho! Leo non credeva alle sue orecchie. Credeva che si sarebbe chiuso nel silenzio fino al ritorno dell’amico. Decise di cogliere al volo l’occasione, anche se a malincuore. Il fatto che avesse nominato Ivan sembrava sottollineare ancora di più che si sentiva a disagio.

«Oh, avrà intravisto l’ennesima persona che conosce in questa città. Che poi, esiste davvero qualcuno che Ivan non conosca?» enfatizzò le sue parole con un sopracciglio alzato e un gesto della mano che sapeva da intenditore. «Avere un accendino a una festa aiuta sempre. Scommetto che ha puntato la preda e si è fiondato a offrirle i suoi servigi.» gli rivolse un’occhiata di complicità, ma lo sguardo di Andrew era ancora incollato al menù.

«Mh mh…»

Non sembrava molto in vena di parlare quella sera, come se stesse trattenendo un grosso rospo in gola che non voleva far uscire. Leo sentì l’imbarazzo farsi lentamente strada nella sua mente e cercò disperatamente un modo per ravvivare la conversazione. Inclinò leggermente la testa cercando di sbirciare il menù.

«Hai bisogno di una mano per il drink?»

«Sono apposto, ma c’è la traduzione in inglese se ne ho bisogno. Molte grazie!» esclamò con entusiasmo forzato, rivolgendogli un sorriso.

Dree, cazzo. Non mi stai certo aiutando ad alleggerire l’atmosfera!

Si girò dando le spalle al bancone, rilassando la schiena. Lo sguardo gli cadde sui pantaloni ancora bagnati. Le luci del locale avevano preso una sfumatura violacea tendente al blu e la macchia ora non gli sembrava più così evidente. In realtà non gliene importava granché. Quello che gli premeva era riuscire a recuperare almeno il ricordo di quell’amicizia che sembrava scivolare sempre più nell’oblio. Si mordicchiò distrattamente il labbro, cercando di strapparsi una pellicina. Un familiare senso di colpa gli attanagliò lo stomaco e Leo si sentì improvvisamente colpevole delle fantasie a cui si era lasciato andare fin troppe volte in quegli ultimi mesi; a sua discolpa, non erano state tutte volontarie. Non all’inizio. Almeno non fino a quel maledetto gioco alcolico in cui si erano dovuti baciare per penitenza. Quelle labbra lo avevano tormentato per tutta la notte, lasciandolo a immaginare come sarebbe stato sentirle poggiate più a lungo sulle sue. Forse era colpa sua se Andrew si era allontanato. Forse aveva lasciato intravedere in maniera stupida e palese che i suoi sentimenti si erano evoluti in qualcosa di più; ma non ne aveva colpa, davvero. Non ci poteva fare niente, Leo, aveva cercato di bloccarli in tutti i modi, ma Andrew tornava nei suoi pensieri con una prepotenza sempre nuova. Si diede dello stupido. Probabilmente l’amico si era accorto che si comportava in maniera strana – Leo sapeva di essere un libro aperto per lui – e per non spezzargli il cuore o dargli false speranze aveva deciso di prendere le distanze da lui.

La musica continuava a pulsargli nelle orecchie e Andrew non aveva ancora scelto il suo drink. Si domandò quanto tempo avesse passato a farsi seghe mentali in silenzio, ma sembrava che il moro non fosse interessato quanto lui allo scorrere del tempo quella sera. Sembrava che non gli importasse granché di molte cose. Quindi Leo decise di fregarsene a sua volta.

«Comunque Dree, dopo averti visto così mi sento decisamente inadeguato per una serata fuori.» ridacchiò alla faccia perplessa dell’amico. Poi il moro sembrò essere colto da un’improvvisa illuminazione perché sgrano gli occhi e aprì la bocca per rispondere, visibilmente imbarazzato.

«Ma no! È solo che- Volevo vestirmi così perché-» il cervello di Andrew selezionò alacremente la prima risposta plausibile che gli venne in mente «Charles potrebbe passare.» Stupido, stupido, stupido! Charles vive con me! È palese che mi abbia già visto! E ora ho mentito a Leo. Quello che non dovevo fare perché questa era la serata in cui dovevo fargli capire che Charles non mi piace. Ma ora sembra che lo voglia ancora! E Leo non avrà capito un cazzo perché non legge nel pensiero!

Leo sbatté le palpebre un paio di volte. «Quindi,» sembrò esitare nello scegliere come procedere con la formulazione della frase «come procedono le cose tra voi due?» chiese cautamente. «Cioè… So che finalmente non litigate più come al primo anno e ora siete amiconi, ma avete fatto qualche passo avanti in quel senso?»

Andrew si sentì trafiggere da ciascuna di quelle parole. Stava andando tutto storto e non sapeva dove mettere le mani per bloccare la falla nella sua barchetta. Stava colando a picco insieme alle sue speranze. Poggiò di scatto il menù sul bancone, prendendo un piccolo slancio e saltando giù dallo sgabello sotto lo sguardo perplesso del biondo. Scrollò le spalle, cercando di scacciare la tensione che gli aveva irrigidito la schiena.

«Ho voglia di ballare.»

***

Leo si appoggiò alla parete del locale, appena fuori dalla pista da ballo, cercando di ordinare i pensieri che gli si stavano accavallando nella mente. L’immagine di Andrew che si scatenava a ritmo di musica era ancora fresca nella sua memoria e di certo non lo stava aiutando a disciplinare le mille voci che gli urlavano in testa di prenderlo per le spalle, baciarlo e farla finita.

Il moro si lasciò scivolare mollemente di fianco a lui riprendendo fiato, un sorriso soddisfatto sulle labbra e gli occhi ancora incollati sulla folla che continuava a dimenarsi sulle note dell’ennesimo pezzo sconosciuto. Leo non era mai stato al passo con i tempi per quanto riguardava la musica.

Rimasero in silenzio per un po’, evitando di tanto in tanto le persone che si facevano strada a spallate per raggiungere il bagno. Tutto sommato era stata una bella serata. Sembrava quasi che la loro connessione fosse tornata per la mezzora interminabile in cui si erano lasciati andare in quello spazio ristretto, tra ginocchiate negli stinchi e spintoni da parte di sconosciuti. Andrew aveva dato sfogo alla sua parte migliore, come se avesse dovuto incanalare in qualche modo un’energia nervosa che gli si agitava dentro. Ed era stato bellissimo. Leo non ricordava quando era stata l’ultima volta che avevano fatto gli idioti insieme.

«L’ho lasciato perdere.»

Leo si riscosse dai suoi pensieri e girò la testa per osservare l’amico. Andrew continuava a tenere lo sguardo fisso verso la pista da ballo, le spalle leggermente incurvate e le mani dietro la schiena a fare da cuscinetto tra il fondoschiena e la parete. Il moro accavallò le gambe con naturalezza. Leo aprì e richiuse la bocca senza emettere alcun suono. Non aveva senso. Perché avrebbe dovuto smettere di rincorrere Charles? Perché ora?

«Cosa?» riuscì ad articolare, ancora istupidito.

Andrew scrollò le spalle, leggermente a disagio per dover ripetere il concetto una seconda volta. «Charles. L’ho lasciato perdere.»

Leo si sporse in avanti entrando nel campo visivo del moro. «So benissimo di chi stiamo parlando, Dree.» la sua faccia assunse un’espressione teatralmente confusa. «La mia domanda è “Perché?”.»

Il moro si passò lentamente la lingua sul labbro inferiore, serrando la bocca in una linea sottile, ermetica. Leo cercò di fare un passo indietro; forse l’aveva messo a disagio e non avrebbe dovuto fargli quella domanda. Ma era la prima volta in mesi che Dree finalmente si apriva con lui per delle questioni personali, doveva pur voler dire qualcosa. «Voglio dire…» cercò di non far chiudere l’amico nel suo silenzio ermetico «Ne hai parlato in continuazione fino a qualche giorno fa. Cosa ti ha fatto cambiare idea?» Sgranò gli occhi, colto da un’improvvisa ondata di panico e scrollò Andrew per la spalla costringendolo a guardarlo negli occhi. «Cosa ti ha detto? Che ti ha fatto? Dimmelo, Andrew. Giuro che è l’ultima volta che sopporto di vederti preso a calci da quel francese mordendomi la lingua.»

Andrew lo guardò istupidito, cercando di riprendersi dallo scossone. «N-no… Niente. Non è successo niente, Leo.» Scrollò la testa come a voler riordinare i pensieri, facendoli finire ognuno nel suo giusto cassetto mentale. Leo continuava a fissarlo con un punto interrogativo stampato in faccia, le spalle alzate e le braccia allargate a mo’ di richiesta di spiegazioni. Il moro si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. Le facce di Leo erano un continuo teatro. «Ho semplicemente deciso di darci un taglio con gli stronzi.»

La faccia del biondo sembrava urlare Alleluja! E l’hai scoperto solo ora?! e Andrew alzò il sopracciglio con fare sarcastico, ricevendo in risposta una gomitata sul braccio. Ridacchiò, massaggiandosi la parte offesa e riportò lo sguardo sulla pista da ballo.

«Non ne vale la pena. Too much effort, if you know what I mean.» si sgranchì il collo per nascondere l’espressione di puro imbarazzo che gli stava facendo storcere il naso alle sue stesse parole. «Quindi immagino di averci finalmente messo un sasso sopra.»

«…una pietra.»

«Fa lo stesso. Ci ho messo sopra un’intera montagna.»

Leo osservò il profilo di Andrew mescolarsi con le luci al neon del locale, il suo mezzo sorriso che gli curvava leggermente il lato destro della bocca verso l’alto, gli occhi ormai abituati alla semi oscurità che scrutavano intenti le figure dei ballerini. Era diverso dalla persona che conosceva; ancora diverso dall’Andrew che era diventato suo amico al primo anno, diverso da quel ragazzo che si era allontanato da lui e con cui aveva cercato di attaccare bottone meno di un’ora fa. Uno spruzzo blu gli danzò sul volto, sostituito rapidamente da verde, viola, rosso, poi ancora blu. Sembrava quasi brillare insieme alle luci. O forse era la sua immaginazione, quello strano calore nel petto che continuava a crescere lento e inesorabile, fino a prendergli le spalle, il collo, il volto. Sentì le labbra piegarsi in un sorriso così grande da fargli male le guance.

Si girò di scatto e afferrò Andrew per il polso, facendo qualche passo in direzione della pista. Andrew si lasciò condurre senza protestare, lo sguardo pieno di curiosità.

«Pensavo che fossi stanco di ballare.» disse per stuzzicare il suo orgoglio.

«Primo: non sono stanco!» ridacchiò strattonandolo per il braccio per non perderlo in mezzo alla calca del locale. «E secondo,» urlò vicino al suo orecchio per farsi sentire «ho voglia di ballare!»

 


 

Note dell'autrice: L'ennesimo tassello nella storia di Andrew [OC di CrispyGarden] e Leo <3
Se volete leggere il seguito di questa storia, andate sul profilo della magnifica CrispyGarden: The moment had to come è una lettura che non vi deluderà!





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