4
4 ore prima
“Entra” invitò rivolgendosi
a Sakura che lo guardò un istante, quasi alla ricerca di
qualcosa
sul suo volto di cui sarebbe stata lettrice esclusiva.
“Mi spiace per tutto questo –
rispose mordendosi poi un labbro, senza accennare a muoversi, con la
porta chiusa alle sue spalle che sembrava braccarla – non
sarei
dovuta venire qui.”
Si tolse gli occhiali da sole
stringendoli in una mano, tutto il suo corpo pareva provare
l’impulso
di uccidere qualcosa. Sasuke notò che non era vestita degli
abiti
eleganti con cui l’aveva conosciuta, indossava anzi dei
semplici
jeans e una felpa con la zip parzialmente tirata giù, i
capelli
erano raccolti in una coda bassa.
“Ma ormai siamo qui tutti e
due” sospirò, prendendole il cappello per poi
tendere una mano
verso il letto e invitarla “siediti un attimo.”
Le appoggiò vicino il copricapo,
poi si sedette. La donna ondeggiò qualche istante sui piedi
tentennando, infine imitò Uchiha, mettendosi accanto a lui.
“Madara
dice di non aver mai conosciuto il proprio soulmate”
esordì la
donna all’improvviso dopo
qualche secondo di silenzio. Nel parlare aveva
intrecciato
le dita sottili, le cui unghie corte erano decorate da uno
smalto rosato e
leggero, quasi incarnasse lei stessa quel colore, la morbidezza
pastello di un mondo altrimenti orribile e troppo carico di
chiaroscuri.
“Non è la verità?”
domandò
Sasuke, voltandosi per guardarla. Si sentì curioso,
disgustato e al
tempo stesso in pace, un sentimento paradossale che gli annodava le
viscere.
Gli
occhi di Sakura per un solo attimo si abbassarono, guardando la
moquette della stanza, poi
tornarono a fissare Sasuke con determinazione: “In
parte.
Aveva
trovato il suo soulmate quindici anni fa, ma
l’ha perso dopo otto
anni di vita assieme. Otto.
Hashirama non è sopravvissuto alla malattia che
l’ha afflitto.
Madara ci ha provato a
combatterla con lui, al
punto che dopo la sua morte, sul petto, gli si è generato un
nuovo
marchio, con una parola assurda: perdonami;
sai, come un ricordo indelebile che lo tormenta ancora oggi. Tuttora
non ha mai capito perché gli è stata data di
nuovo la possibilità
di incontrare un soulmate, ma non gli interessa farlo.
Nel
combattere
questo male, infatti,
ha visto una volta di più tutti i privilegi di cui loro
hanno
goduto rispetto ad altre persone non soulmate, le priorità, ma
non è solo quello:
la disorganizzazione sanitaria, i tagli fatti per privilegiare nel
lavoro gli elementi cosiddetti stabili o parenti di qualcuno nella
famiglia reale. Tutto
questo purtroppo
non
è servito a nulla, ma riflettendoci
le
persone
senza
soulmate che
avrebbero potuto essere salvate sono state lasciate indietro, ultime
nelle liste, nelle terapie, nei posti letto. Ultime in tutto, se
prive di un buon reddito o degli agganci giusti.
Io ho conosciuto Madara
allora,
ero un’infermiera che non è mai riuscita a
diventare medico, c’era
sempre qualcuno in lista davanti a me,
anche se ho studiato e lavorato così tanto. Sono stata ingenua
a ben pensarci. Dove volevo andare?”
Accennò un sorriso ma gli occhi
divennero lucidi.
Sasuke trattenne il respiro, con
la paura di vederla piangere e non riuscire a sopportarlo. Cosa
poteva fare per le lacrime? E per le bugie, tutte quelle che si
raccontavano lui, Madara, Sakura, il mondo in chiaroscuri che non
avrebbero mai colorato, non così, non piangendo in una
camera
d’albergo.
“Non riuscirei mai a mentire
sul mio soulmate, specie se riguarda la sua morte. E anche la
scritta, forse significa che non sempre chi perde il proprio soulmate
è condannato a rimanere solo” ammise guardando
avanti, come per
non imbarazzarla in un momento di grande vulnerabilità.
“La
scritta. Ah, specie adesso mi allontana ancora di più da
lui, per
quanto userei io stessa quella parola, forse con intensità
ancora
maggiore di quanto avrebbe fatto Hashirama –
sospirò, riprendendo
poi con enfasi maggiore – non essere duro nel giudicare
Madara.
Sai, il
male che senti
quando
perdi la tua anima gemella
è...
privato. Perché lasciare che estranei lo conoscano per
il soulmate che ha perso?
Madara ricorderà
sempre
il
legame con Hashirama, è lui a doverlo tenere
in vita, lui e la sua famiglia, nessun altro.”
Il suo sguardo era appena
aggrottato, Sasuke pensò fosse involontario. La
immaginò corrugare
le sopracciglia tutte le volte che portava avanti le proprie idee.
Forse era stato così che Madara si era innamorato di lei: li
immaginò conversare attorno a un tavolo, con qualche
bicchiere di
vino e una cena raffreddata perché si erano persi a parlare,
poi
forse a far l’amore, con le guance arrossate dal bere e
dall’animosità di ciò in cui credevano.
“Non sei gelosa? Un soulmate è
qualcuno con cui non puoi competere. E capisco per esperienza
personale anche la questione della scritta: sembra ricordarti ogni
giorno che lui non sarà mai tuo per davvero.”
A quella dichiarazione lo sguardo
di Sakura si ammorbidì e gli occhi tornarono più
lucidi. Sasuke
sentì il cuore stringersi e battere allo stesso tempo troppo
forte,
come se fosse legato e lottasse per scappare.
La vide umettarsi le labbra, poi
guardare il soffitto e schioccare la lingua, forse cercava di
temporeggiare per trovare il modo di possedere una voce ferma. Fece
una specie di sorriso quando rispose:
“Certo che lo sono. Ma… io
non voglio competere, capisci? Hashirama è morto, mentre io
sono
viva, Madara anche, aspettiamo un figlio, una nuova vita ancora, e
tante volte, così tante volte il mio compagno mi ha
estirpato dal
petto le mie paure peggiori. Che a un certo punto fosse troppo
distante da questo mondo per amarmi, o io per amare lui –
sollevò
le spalle, inspirando per poi ammettere – eppure siamo ancora
qui e
lottiamo per quello in cui crediamo. Certo, di tanto in tanto vorrei
poter parlare con Hashirama, sentirlo, vederlo e chiedergli come
facesse, come accidenti facesse a far sorridere tanto Madara, a farlo
sentire così… vivo, quando
era con lui. Hashirama qual è
il tuo segreto?”
Imitò una voce un po’
baritonale, che tremò appena, infatti si morse il labbro e
in un
gesto quasi di conforto smise di stringere gli occhiali per
metterseli sulla testa, raccogliendo qualche ciocca scivolata sulla
fronte.
Sasuke appoggiò i gomiti sulle
cosce, intrecciando le dita delle mani mentre si chinava avanti con
la schiena; a quel cambio di posizione i capelli umidi ondeggiarono
appena. Accennò un mezzo sorriso ma non riuscì a
parlare, ironico
per lui, così abituato a far domande e lanciare ipotesi. La
verità
era che temeva di far risultare banale qualsiasi parola avesse
pronunciato.
Per questo infatti fu solo dopo
qualche istante che aprì bocca e si ritrovò a
confessare qualcosa
di molto personale, guardandosi i piedi nudi. In
quell’occasione li
trovò tanto magri da fargli impressione, si chiese cosa ne
pensasse
Naruto, se potesse amare anche un lato tanto malfatto di sé.
“Mio padre ha lasciato mia
madre dopo aver conosciuto la sua soulmate. L’abbiamo escluso
dalla
nostra vita, non lo vedo da allora. Ciononostante l’idiota
ogni
anno mi scrive ancora per Natale e per il compleanno.”
Schioccò la lingua, scuotendo
una volta la testa. Disse parole amare, ma la gola gli si strinse
all’idea di quanto fosse ipocrita e di quanto Fugaku avesse
perso
di loro, di tutti loro.
“Un idiota che non se ne frega
del tutto di voi, allora” notò Sakura,
abbassandosi per
intercettare lo sguardo di Sasuke. Questi spostò gli occhi
verso di
lei, sovrastato dalla sua ombra china, e non riuscì a
nascondere un
mezzo sorriso, anche se un po’ triste.
“All’inizio ha lottato per
vederci e stare con noi. Però con il tempo si è
arreso. Forse
perché noi l’abbiamo lasciato andare; eravamo così
arrabbiati, ci siamo sentiti traditi, capisci? Abbandonati. Eravamo
dei bambini. Ma a ben pensarci col senno di poi ha avuto un coraggio
immenso a portare avanti la sua scelta. O forse era solo un folle.
Lasciare tutto ciò che aveva, le sue certezze, la sua
stabilità per
stare con una sconosciuta ma in qualche modo predestinata. Non tutti
lo farebbero anche se si tratta di un legame trascendente, ne
avrebbero comunque paura.”
Si portò una mano sulle labbra e
Sakura uscì dal suo raggio visivo, perché la
donna si sollevò in
piedi. Se la trovò chinata di fronte a lui. Gli prese le
mani e lo
costrinse a sollevare il volto per guardarla:
“Chi ti attende a casa,
Sasuke?”
Ci fu una dolcezza struggente in
quelle parole. Uchiha si sentì così amato e
protetto, nel suo
immaginario avvolto da un abbraccio morbido che gli mancava
immensamente. Avrebbe voluto accartocciarsi, rimpicciolirsi e
mettersi in grembo a Sakura, come faceva da bambino con sua mamma,
quando ancora poteva addormentarsi in braccio a Mikoto mentre erano
fuori a cena con tutta la famiglia e il mondo al di fuori, ai suoi
occhi immenso rispetto al proprio minuscolo nucleo protetto,
continuava a vivere, con le sue chiacchiere e i suoi rumori caotici
che però per Sasuke erano ovattati, così
insignificanti rispetto
alla potenza del battito del cuore di sua madre: con gli occhi chiusi
e l’orecchio appoggiato contro il petto della donna, il
bambino
infatti lo sentiva rimbombare nella cassa toracica, un tamburo
ancestrale che scandiva lo scorrere del sangue. E lui incantato lo
sentiva fluire, battere, scalpitare, mentre si addormentava protetto
dal tocco materno che gli accarezzava i capelli.
“Naruto” disse il suo nome in
un sussurro.
La donna gli girò i palmi e
sgranò gli occhi. Ma non disse nulla, tornando a guardare
l’uomo
che sembrava non aver ancora realizzato.
Gli spostò i capelli scuri dalla
fronte e commentò:
“Tuo padre si era innamorato
della sua soulmate, tutto qui. Deve esserci amore. E tu sei
innamorato, Sasuke, lo vedo dal tuo sguardo. Ma… non di
me.”
“Sakura…” mormorò.
Scoprì
che non c’era altro da dire. Il suo nome racchiudeva
così tanto.
“Così come io amo Madara. Mi
spiace immensamente non averti conosciuto otto anni fa, Sasuke. Credo
che a quell’epoca, senza nessuno, ci saremmo potuti amare,
forse
invecchiare insieme tra parecchi anni, con una certa dose di fortuna,
la stessa che è stata negata a Madara e Hashirama.”
Sasuke chiuse gli occhi quando
sentì la mano di Sakura toccargli i capelli, poi
accarezzargli la
guancia e indugiare lì, sulla sua pelle.
“Anche io lo credo. Che ci
saremmo potuti amare – la guardò ed entrambi
rimasero per qualche
istante in silenzio, contemplandosi – sono contento di averti
conosciuta, anche se…”
“Anche se come faremo ora? Con
loro” precisò la donna,
riportando la propria mano in
grembo. Si era seduta a gambe incrociate. Sasuke allora scese dal
letto, mettendosi a sua volta a gambe incrociate davanti a lei. Gli
sembrò di avere uno specchio e di leggervisi dentro, di
trovare di
fronte a sé la sua parte migliore, la persona che non
sarebbe mai
stato. Si chiese se Sakura ammirasse qualcosa allo stesso modo,
trovando ridicolo che in lui potesse esservi altrettanto.
“Capiranno? Che li amiamo
nonostante tutto.”
Sakura sospirò: “All’inizio
ho avuto paura. Paura di perdere Madara, ma anche di perdere te, di
non rivederti mai più senza aver parlato faccia a faccia.
Certo, ero
agitatissima, perché una parte sperava di trovare non so
cosa
arrivando qui, qualche risposta a tutto, la soluzione perfetta a ogni
mio dubbio, un’altra era nel panico più totale
all’idea che
entrambi magari saremmo stati troppo pronti a dire addio al nostro
passato oppure, al contrario, a dirci addio anche troppo preso
–
rise, un po’ nervosa e un po’ realmente divertita
– non so se
capisci quello che intendo. Sì, dai, è chiaro,
sono ancora
agitata.”
“Lo sono anch’io – Sasuke
annuì e Sakura annuì a sua volta e una lacrima
iniziò a scivolarle
rapida sul volto, come qualcosa di fugace, allora Sasuke
annuì
ancora, guardandola, ripetendo – lo sono anch’io.
Ma ora sono
sicuro, anzi sicurissimo: non voglio perderlo. Non voglio andarmene,
non voglio fare come mio padre, io voglio lottare, fargli capire
che…
è lui. La mia scelta. Sempre la mia prima e unica
scelta.”
Sakura pianse di più. E anche
Sasuke, che sembrò qualcosa gli entrasse negli occhi e
glieli
sfregasse, iniziò a sua volta a piangere. Si guardarono, con
le
lacrime che scorrevano incontrollate sul volto, quasi come se non
piangessero da una vita, un lusso che forse non avevano più
potuto
permettersi, perché la società rammentava loro
che non erano più
bambini, erano stati privati del privilegio di addormentarsi tra le
braccia chi li faceva sentire al sicuro mentre al di fuori il mondo
giudicava ogni loro debolezza.
Piansero e risero, Sakura
portandosi una mano sulla bocca, Sasuke mordendosi appena il labbro,
tirando ogni tanto su col naso. Lentamente, la risata si
smorzò,
entrambi dettero qualche colpo di tosse e anche il pianto divenne
più
sommesso.
“Hai visto il tuo palmo? Ormai
l’inchiostro è andato via del tutto”
fece presente Sakura,
alzandosi in piedi dopo essersi asciugata gli occhi con il dorso
della mano.
Sasuke scrollò le spalle,
strizzando le palpebre come per togliersi le ultime lacrime
incastrate tra le ciglia. Prese un fazzoletto di carta sporto da
Sakura che poi si soffiò il naso, appallottolando il
fazzoletto per
metterselo in tasca e attendere, ancora in piedi.
“No, non ho visto.”
Sakura allora lo tirò su e
Sasuke si mise in piedi di fronte a lei. La donna con un cenno del
mento lo esortò. A quel punto con un sospiro senza fiducia,
nonostante il leggero bruciore, girò i palmi e quando li
vide rimase
a fissarli con la bocca semiaperta.
“Non capisco. Tutto questo non
ha senso.”
Sakura gli prese le mani dal
dorso e lo guardò: “Cosa ha senso in questa
vita?”
“E tu? Magari possiamo parlarne
con Shisui, è il compagno di mio fratello, fa studi di
genetica,
quindi sicuramente...”
“Magari sì, magari no. Per me
adesso non è la priorità. A prescindere da quello
che vedrò sui
miei palmi, voglio andare da Madara e parlargli.”
Sorrise, infine gli lasciò le
mani e gesticolò, domandando con maggiore urgenza:
“Ma,
soprattutto, cosa ci fai ancora qui?”
“Dovrei andarmene? – ah-ah
fece la donna in risposta, rivitalizzata da una nuova speranza e
forza, così, contagiato dalla sua carica, sulla stessa onda
Sasuke
proseguì – Dovrei prendere la macchina con il buio
incombente, non
fare le interviste previste domani, percorrere oltre tre ore di
strada e raggiungere Naruto all’improvviso ovunque si
trovi?”
“Ovvio” rispose ancora
Sakura, annuendo.
Sasuke tacque un istante. Poi
sospirò: “È la cosa più
sensata e spettacolare che abbia mai
fatto in vita mia.”
La donna sorrise, intrecciando le
mani dietro la schiena. Lo contemplò fare velocemente il suo
modesto
bagaglio, bendarsi la mano dove un tempo c’era il marchio con
il
kit di pronto soccorso della camera, controllare le ultime cose dopo
essersi passato le dita tra i capelli e pensò che Naruto
– ah,
quel nome pronunciato così, come un sussurro sofferto, prima
le
aveva lacerato il cuore – era un uomo fortunato. Anche se
forse
quella sera avrebbe pensato di essere tutt’altro.
Uscirono dalla stanza del motel,
Sasuke pagò il conto e al parcheggio di guardarono un
istante. Senza
goffaggini, come se si fossero letti dentro o avessero fatto scattare
un minuscolo meccanismo che connetteva le rispettive anime, i due si
abbracciarono, rimanendo così qualche istante, per poi
separarsi e
dirsi contemporaneamente:
“Digli la verità.”
“Lo farò” ripeterono ancora
assieme.
Sakura rise e Sasuke annuì: “Ok,
ok, in futuro dobbiamo esercitarci per questa cosa. Comunque non gli
nasconderò nulla. È giusto che Naruto sappia e
decida, consapevole
di quello che ho scelto io.”
“E quella benda?”
“Sarà per dopo. Se vorrà
avere ancora a che fare con me, magari assieme potremo capire cosa
significa tutto questo” spiegò l’uomo,
stringendo le mani a
pugno, con determinazione.
“Non gli renderai le cose
facili ma… come non potrebbe, non voler più avere
a che fare con
te?”
commentò Sakura per poi dargli
un leggero buffetto sulla guancia e indietreggiare di qualche passo
verso la propria macchina.
“Lo stesso vale per te. Madara
sarebbe uno stronzo idiota a cambiare idea. Insomma, sarebbe
più
stronzo di quello che è già. Idiota non
così tanto, devo
concederglielo” ammise, fingendosi piuttosto serio.
Sakura rise, annuì, poi lo
salutò e salì in macchina. Guardò
partire Sasuke e andarsene, solo
allora uscì a sua volta da parcheggio.
Si portò una mano sul ventre e
pensò una volta di più che…
sì, la vita era strana,
imprevedibile e nulla, davvero, nulla, doveva essere dato per
scontato.
*
Sasuke guardò il cellulare di
Naruto spaccato per terra e si chinò di scatto per
raccoglierlo, ma
l’altro lo fermò: “Faccio io.”
La voce era strozzata. Quasi un
singulto.
Incapace di smettere di
guardarlo, ancora a metà tra il chinarsi e tornare
completamente
dritto, Sasuke non riuscì a vedere il pugno che gli
arrivò dritto
in faccia e che lo stese a terra.
“Maledetto figlio di puttana!”
“Kiba!” esclamò Temari, ma
Shikamaru si mise davanti e afferrò Kiba per il braccio,
bloccandolo
prima che l’amico potesse concludere l’opera
saltando
direttamente addosso a Sasuke per scaricargli infiniti altri pugni
sul volto. Gli vide la mano tremare e le braccia che si tendevano
come corde di violino per liberarsi, mentre Kiba urlava:
“Che cazzo ti dice il cervello?
Hai trovato un soulmate? E glielo vieni a dire così, dopo
oltre un
anno che vivete assieme ogni singolo fottutissimo giorno, su una
strada del cazzo dopo non esserti fatto sentire tutto il giorno!
Tutto-il-giorno. Non una parola. Cristo, quanto mi fai
schifo.”
Allontanò Shikamaru con un gesto
del gomito e indietreggiò, portandosi una mano tra i
capelli, il
gesto di chi non ci crede e fa qualcosa di inutile per tenersi le
mani occupate.
Naruto non riuscì a guardare
Sasuke messo in quel modo, con il dorso della mano premuto contro le
labbra spaccate per arrestare il sangue. Sentì che una parte
di sé
avrebbe voluto tirare di persona quel pugno, ma era la sua parte
peggiore, quella vendicativa e profondamente arrabbiata, il resto era
solo rammarico e amore. Quello c’era ancora, come poteva
sparire
dall’oggi al domani? Fosse stato così facile non
avrebbe fatto
tanto male.
Si chinò per togliere la mano
con cui Sasuke si copriva il volto e, con un fazzoletto di carta,
tamponargli il sangue. Uchiha lo guardava, chiedendogli scusa senza
parlare, ma anche a quel modo, sconfitto a terra, possedeva un animo
forte, al punto che Naruto si ritrovò stupidamente a pensare
che era
andata più che bene fino ad allora, avevano avuto del tempo
per
godere l’uno dell’altro.
“Andiamo un attimo a – si
umettò il labbro, per poi dire – casa.”
Gli porse la mano che Sasuke
prese, alzandosi.
“Un attimo?” domandò il
giornalista.
Naruto gli lanciò un’occhiata
ma non rispose. Kiba sbottò: “Dovresti lasciarlo
in mezzo a una
strada.”
“Smettila” lo avvisò Naruto,
all’improvviso tagliente, prima ancora che Choji potesse
invitare
Kiba a tacere. Inuzuka strinse i denti, sembrò in procinto
di
ribattere, ma vide lo sguardo del suo migliore amico e, sgonfiato
forse dell’istinto primario di difesa, nel vederlo
così deciso
ancora, nonostante tutto, a prendere le difese del suo compagno, non
poté far altro che lasciar perdere. Alzò le
braccia in segno di
resa e annunciò agli altri che sarebbe rientrato a casa.
“Avete bisogno di un
passaggio?” domandò Shikamaru, con le mani in
tasca e lo sguardo
apparentemente imperturbabile, come se avesse deciso di ignorare
arbitrariamente quello che era successo. Naruto sentì la
domanda
implicita del se posso
fare qualcosa, dimmelo ma
si limitò ad annuire e poggiargli una mano sulla spalla,
rassicurandolo:
“No, grazie. Credo Sasuke abbia
una macchina, forse quella aziendale. Poi vediamo, se
c’è qualcosa
vi tengo aggiornati.”
“Mamma perché zio Sasuke è
finito a terra?” domandò all’improvviso
la bambina, tirando
l’orlo della giacca di Temari. Quest’ultima si
abbassò,
spostandole un ciuffo di capelli sbarazzini dietro le orecchie, e
dopo aver lanciato un’occhiata ai due amici si
limitò a
rispondere:
“A volte succede di cadere,
quando si fanno le cose un po’ troppo di fretta.”
“E zio Kiba l’ha aiutato?”
“Anche zio Kiba ha fatto le
cose di fretta e non ha aiutato affatto. Ma sai a volte agiamo
così,
di fretta, perché ci sono tanti sentimenti dietro che ci
fanno
ragionare con questo – le indicò il cuore,
appoggiandole il dito
sul petto e proseguì – piuttosto che con
questo.”
Spostò il dito sulla fronte e la
bimba aprì la bocca, emettendo un
“Ooooooh” di scoperta e
meraviglia, anche se forse avrebbe davvero capito quello che la sua
mamma le aveva detto solo molti anni più avanti.
Finirono per salutarsi, anche con
Sasuke, sebbene fosse più uno scambio di gesti un
po’ impacciati,
mossi da una sorta d’imbarazzo involontario.
Quando furono rimasti soli,
Naruto scrollò le spalle e sospirò:
“Allora, dove hai la macchina?”
Sasuke avrebbe voluto dire
qualcosa, iniziare a spiegare, ma comprese che non era quello il
momento: cercare di piantare nuovi semi in un terreno dove aveva
appena fatto esplodere una bomba sarebbe stato da stupidi, oltre a
non portare altro che uno sterile vuoto.
“Poco distante da qui. L’ho
parcheggiata com’è capitato”
usò un tono freddo, quasi
robotico, come se i suoi meccanismi di difesa fossero scattati senza
dargli nemmeno tempo di provare a tirare fuori la propria dolcezza,
intima e privata, per come Naruto davvero lo conosceva.
Questi sembrò non esserci
rimasto troppo male, quasi se lo aspettasse – aveva visto
ormai
tanti aspetti e sfumature del carattere introverso del compagno
– e
infatti si limitò a camminargli al fianco, senza parlare,
anche se
aveva le viscere annodate come se qualcuno gli avesse infilato in
grembo una corda aggrovigliata anziché l’intestino.
Fecero il viaggio in silenzio e
fu terribile, sembrò quasi di trovarsi in macchina con un
perfetto
estraneo, qualcuno di diverso rispetto a chi avevano conosciuto,
anche se entrambi avevano così tanto da dire
all’altro.
Quando giunsero all’appartamento,
Cerbero nel sentire scattare le chiavi della serratura corse loro
incontro facendo ticchettare le unghie scure delle zampe sul
pavimento, quasi una melodia di benvenuto, accompagnata da abbai
trattenuti, perché era chiaro che non fosse stato per il
rischio di
venir sgridato il cagnolino avrebbe volentieri svegliato
l’intero
palazzo per annunciare la sua gioia festaiola.
Con un groppo in gola, Sasuke
accarezzò con affetto il proprio cane, tirando un sospiro
nel
constatare una volta di più quanto anche il suo amico
quattrozampe
gli fosse mancato e quanto questi, con l’ingenuità
amorevole
canina, non avesse realizzato il dramma che c’era tra lui e
Naruto,
anche se forse, nell’irrequietezza della coda o nel modo in
cui li
annusava, qualcosa intuiva.
“Deve ancora fare la
passeggiata al parco, se hai voglia lo porterei adesso. Non so, se
magari devi parlarmi.”
Sasuke si rialzò, mentre Cerbero
fece un giro su se stesso e si sedette di fronte a Naruto, pronto a
prendere il guinzaglio e partire all’avventura.
Fissò un istante
il cane poi ribadì a Uzumaki, ignorando il gonfiore al
labbro che
stava cominciando a crescere:
“Certo che devo parlarti, di un
sacco di cose. E ti avevo chiesto io stesso di portare Cerbero
assieme, quando sarei tornato, no?”
Adottò un tono quasi arrabbiato
e sicuramente disperato. Anche se il volto era rimasto altero, meno
esposto al mutamento dei sentimenti. Naruto per contro
scrollò le
spalle, ribattendo con blanda ironia:
“Sai com’è pensavo che dopo
tutta la storia del… coso, lì, del soulmate
– faticò a
pronunciare quella parola – quanto avevi detto prima ormai
contasse
poco o nulla.”
“Beh, ti sei sbagliato,
evidentemente.”
“Già, mah, tendo a farlo solo
io qui dentro a quanto pare.”
Sasuke lo guardò infilare con
gesto stizzito il guinzaglio nel collare di Cerbero:
“Perché devi
fare così adesso?”
“Così come? Che ti importa di
come faccio io? Tanto hai trovato chi farà tutto in maniera
perfetta, proprio come desideri, finalmente puoi dire basta a quel
deficiente sbadato e casinista del tuo ragazzo, devi
festeggiare!”
Esclamò Naruto, sorridendogli.
Un sorriso tirato, esattamente com’era tirato e sempre
più
arrabbiato, deluso, triste, forte il tono di voce.
Il cuore perse un battito, tutta
la spavalderia data dalla rabbia e dal senso di trovarsi dalla parte
del giusto fu annientata nel vedere il volto di Sasuke, il modo in
cui contrasse le labbra già sottili fino a farle sparire e
la sua
risposta per contro fievole, di chi cercava di arginare qualcosa,
un’esplosione forse, che invece Naruto per contro aveva
cercato.
“Dammi il guinzaglio, lo tengo
io per un po’ mentre scendiamo.”
Senza parlare, sgonfiato
dell’acrimonia di prima, Naruto glielo tese ma non si
sfiorarono le
mani, anche se una parte di sé avrebbe voluto farlo, sentire
Sasuke,
chiedergli del labbro, togliergli il sangue rappreso e abbracciarlo
perché, cazzo, gli era mancato così tanto e ora
che ce l’aveva
finalmente davanti sapeva di averlo perso per sempre.
Nuovamente in silenzio, eccetto
per Cerbero che agitava la coda e guaiva di entusiasmo
nell’ascensore, impaziente di scendere, i due uscirono in
strada e
si incamminarono verso il parco a pochi isolati di distanza.
L’aria
era fresca, di quel freddo quasi frizzantino che accarezza le guance
senza morderle come il gelo dell’inverno, mentre sopra di
loro il
cielo era piuttosto pulito: date le poche luci attorno a loro, i due
ragazzi riuscivano a vedere le stelle principali. Sembrava che
immensi palazzi si fossero elevati fino al confine
dell’atmosfera,
avvolgendo la terra con le luminarie delle proprie finestre, divenuti
punti gialli incastonati nella volta immensa del cielo.
Irrequieto, Sasuke si accese una
sigaretta ma solo dopo vari tentativi in cui il pollice non sembrava
abbastanza fermo per far funzionare l’accendino. Quando
espirò, fu
l’unico suono che si percepì attorno a loro, oltre
al fruscio
leggero dei passi che ricordavano una timida carezza
sull’asfalto.
Quando furono nel parco,
illuminato da qualche lampione basso, in ferro battuto come le
panchine che lo popolavano, Cerbero iniziò ad annusare ogni
superficie, a marchiare il territorio e a raspare il terreno con
entusiasmo. I due lo guardarono qualche istante, fino a che
all’improvviso Sasuke annunciò:
“Non era mia intenzione
conoscerla. È capitato. Per tutti questi anni sono stato
così
attento – lo so Sasuke, lo so, tu non hai mai
voluto conoscere
il soulmate eppure… – forse è
davvero una questione di
destino. Ma io una volta di più so, so perfettamente
di…”
“Chi è? Come si chiama?” lo
interruppe all’improvviso Naruto. Non con voce
d’accusa, sembrava
bensì interessato, anche se triste. Pareva averlo accettato.
Interdetto, con la sigaretta che
bruciava lenta tenuta tra le dita, Sasuke rispose:
“Sakura.”
“Sakura – Naruto guardò
Cerbero, mentre parlava, fingendo che quella conversazione fosse con
Sasuke il suo amico, non il suo compagno – bel
nome.”
“Bel nome? Cos… cosa importa?
Chi se ne fotte, voglio dire!” esclamò
all’improvviso Sasuke.
Cerbero si fermò, osservandolo con le orecchie alzate.
Uchiha si
morse un labbro e, con l’espressione corrugata,
guardò davanti a
sé verso un punto indefinito. Schiacciò il
mozzicone nel primo
cestino a disposizione, spegnendolo prima di fare ancora qualche
tiro, sembrò un gesto fatto per il bisogno di concludere
qualcosa.
Fu allora che Naruto fissò Sasuke, non capendo proprio
perché
l’altro dovesse prendersela a quel modo.
“Cosa dovrei dire quindi? Farti
le congratulazioni? Sto cercando di… –
deglutì, ritrovandosi
ancora una volta ad alzare la voce e a dire cose che non voleva
–
di essere comprensivo qui! Di capirti, di incoraggiarti, cazzo!
Vorrei solo mandarti a ‘fanculo e raggiungere questa stronza
ovunque sia e… non so, merda, farle un incantesimo, farle
dimenticare chi sei, dove sei, ridisegnarle quella stupida macchia
sul palmo o dov’è e dirle che tu sei…
sei già mio.”
La voce gli si affievolì. Sentì
il labbro tremare, come tutte le volte che per rabbia o per dolore
stava piangendo. E lui non voleva. No. Oh no, non davanti a Sasuke,
già era patetico quello che aveva detto senza aggiungerci le
lacrime. Lui era quello sorridente, quello ottimista, quello che
combatteva anche per Sasuke se necessario. Che cosa gli aveva fatto
il suo ragazzo in quegli anni, per farlo sentire
così… perso
all’idea di perderlo a sua volta?
All’improvviso Sasuke gli
afferrò il braccio. Il cane sedette, paziente e comprensivo.
Naruto
gli guardò la mano che lo aveva afferrato, solo dopo
spostò lo
sguardo sul volto dell’altro e lo vide allarmato, ferito,
agitato.
Lo lasciò parlare, perché non seppe come reagire.
“Naruto, non mi hai dato il
tempo di spiegare! Non…”
Ansimò, con gli occhi sgranati.
E lucidi.
Naruto non riuscì a chiudere i
suoi. Fece per aprire bocca, fu un gesto istintivo, quasi le parole
potessero essere un cerotto per le loro ferite.
Ma Sasuke lo strinse, lo
abbracciò, lasciando cadere a terra il guinzaglio per poi
quasi
gridare, il volto così serio e malinconico trasformato in
qualcosa
di più animale, di disperato e quasi ironico:
“Non mi interessa lei! Io sono
qui per te, voglio stare con te. Amo te – gli
appoggiò la testa
sul petto, chinandosi, mentre stringeva la giacca dell’altro
–
te, te, te. Ma non potevo non dirti che l’ho
conosciuta.”
Per un attimo Naruto lo guardò
dall’alto, senza parlare. Poi si portò una mano
sul volto,
sentendo le proprie lacrime vincere la resistenza e finire per
bagnarlo. Se le asciugò in maniera brusca e
incrociò il proprio
sguardo con Sasuke:
“Come puoi dirlo? Ignorare che
esiste? Quando Sakura, chiunque e ovunque lei sia, sa a sua volta che
ci sei – gli fece male la gola, come se ci fosse un chiodo
conficcato sotto al palato, e si sentì morire quando
domandò con
voce fievole – quanto può durare a questo punto
tra di noi?”
Per distrarsi, afferrò il
guinzaglio di Cerbero che nel frattempo si era allontanato di qualche
metro e fece ancora due passi. In tutto questo Sasuke non si era
mosso.
Chiuse un istante gli occhi,
inspirando, cercando di mantenere il controllo, di riflettere e di
capire Naruto anche se era difficile, così difficile,
perché fino
ad allora pensava che potevano avere una possibilità.
Ciò che aveva
visto sul proprio palmo gli aveva dato una forza e un senso
d’illusione forse eccessivo.
Gli
si avvicinò: “Egoisticamente
vorrei
che mi dicessi che va bene provare, per tutto il tempo che
durerà,
perché io so che sarà lungo questo tempo anche se
mai abbastanza.
Ma – sollevò le spalle, abbassando qualche istante
la testa – mi
rendo conto che tu non ci
credi
affatto. Immagino,
e
lo dico a mio discapito, che agirei esattamente nella stessa maniera.
Anzi, sarei stato terribile: non sarei mai riuscito a fare quello che
hai fatto tu, fingere un interesse che ovviamente non provavi
riguardo il mio destino con questa persona.”
“Beh, d’altronde sono sempre
stato io quello più simpatico dei due, no?”
ironizzò Naruto, con
un mezzo sorriso un po’ smorto.
Non aggiunse altro, così
restarono in silenzio percorrendo ancora i viali del parco,
finché
Sasuke gli propose, senza più riprendere le redini del cane:
“Ti va se ci prendiamo un caffè
d’asporto prima di tornare a casa? Non ho mangiato nulla ma
non ho
nemmeno troppa fame, solo… vorrei mettere qualcosa di caldo
nello
stomaco – parve ripensarci – se vuoi tornare. A
casa. Casa
nostra.”
Affondò le mani nelle tasche del
giaccone.
Naruto sorrise. Con tenerezza.
Sbatté una volta le ciglia, lentamente, quasi con
stanchezza, infine
annuì: “Va bene – controllò
il cellulare, guardando l’ora –
non è ancora mezzanotte, troviamo aperto giusto in tempo.
Anche se…”
Si umettò la lingua, ma non
proseguì. Stupido. Poteva tacere e tenersi per sé
il suo rammarico,
smettere di farsi pungolare dal senso istintivo della vendetta
emotiva.
“Anche se?” lo incalzò
Sasuke, senza però arrestare la camminata al suo fianco.
“Forse dopo essere rientrati
faccio un giro. Sai – non ce la faccio a stare a
casa, ho
addosso un magone tremendo e un senso d’angoscia
– non riesco
a dormire molto bene dopo essere stato di servizio un po’ di
notti.”
Per un attimo Sasuke non respirò.
Ma si limitò ad annuire e replicare, con tono molto
più morbido:
“Capisco.”
Tutto quello che Naruto elaborò
a sua volta in risposta fu una sorta di sorriso stupido, con le
labbra inferiori in parte morse tra i denti.
Sostarono di fronte a una
caffetteria dove non c’erano altri clienti, ormai le sedie e
i
tavoli avevano cominciato a essere radunati in un angolo e le prime
luci spente. Uno dei camerieri stava pulendo il pavimento e
l’altro
era alla cassa, con un block notes in mano e una penna incastrata
sopra l’orecchio.
Sasuke si sporse dall’ingresso
e annunciò:
“Scusate, potete farci due
caffè da portar via, so che state chiudendo
ma…”
Il ragazzo alla cassa sollevò lo
sguardo. Per un attimo ebbe l’espressione di chi voleva
controllare
l’ora, ma invece sorrise e annuì, aveva qualcosa
di gentile, come
una mamma.
“No problem ragazzi, le
macchine sono ancora accese.”
“Grazie” rispose Sasuke, con
un cenno della testa, ed entrò. Naruto rimase sulla soglia,
con
Cerbero che prima fissava lui, poi il padrone.
“Come lo volete?”
“Uno zuccherato” rispose
Sasuke, tirando fuori il portafoglio. Uzumaki sospirò
appena, fece
per parlare ma si concesse della pigrizia malinconica, chinandosi per
accarezzare Cerbero.
“L’altro?”
Sasuke lanciò un’occhiata al
suo compagno, poi tornò a fissare il cameriere:
“Niente zucchero,
grazie.”
Naruto smise di accarezzare
Cerbero. Si bloccò così, stupidamente, con le
mani ancora tra il
pelo del cagnolino che reclinò appena la testa, sollevando
attento
le orecchie.
Uzumaki aprì la bocca, cercando
di ricordarsi come respirare. Poi sbatté una volta le
ciglia, una
soltanto, deglutì, respirò e senza muovere altro
muscolo eccetto
quelli strettamente necessari abbassò lo sguardo sul proprio
avambraccio.
“Tutto a posto?” domandò
Sasuke sulla soglia, osservandolo dall’alto. In mano aveva la
busta
di cartone coi caffè.
Naruto sollevò lo sguardo verso
di lui, ma per un attimo non si mosse. Poi si alzò di
scatto,
stringendo più forte il guinzaglio di Cerbero che
trotterellò di
qualche passo, scodinzolando.
“Sì – gli uscì una voce
flebile, dunque dette un colpo di tosse e ribadì con
maggiore
convinzione – tutto a posto. Andiamo.”
Sentì Sasuke scrutarlo, ma
questi non disse nulla. Senza nemmeno rendersene conto, nel silenzio
della via notturna finirono per bere i propri caffè mentre
camminavano, diretti verso casa. A dire il vero Naruto non se lo
gustò affatto, desiderò solo andarsene, prendere
tempo e distanze,
sconvolto, agitato e con la voglia di urlare, ridere forse, ma
sicuramente urlare. Non riuscì a non guardare Sasuke, a
scrutarlo a
sua volta, come in cerca di qualcosa, al punto che questi si
voltò e
gli domandò, non infastidito ma certamente dubbioso,
l’espressione
di qualcuno che aveva un tesoro da scavare:
“Sicuro che vada tutto bene?”
“Sì” si ritrovò a
rispondere Naruto prima ancora di pensarci.
Quando furono di fronte
all’ingresso della palazzina, dopo aver tratto un leggero
sospiro
il taxista annunciò:
“Inizia ad andare su. Io… non
ce la faccio – nel guardarlo, nel dirgli quelle parole, la
voce si
incrinò e lui si portò una mano tra i capelli
– Sasuke, tutto
questo è assurdo. Questa serata, questo caffè,
noi… noi siamo
assurdi, lo capisci? E adesso…”
Si morse una mano, respirando tra
i denti.
Vide Uchiha aprire la bocca e
cercare aria ma ciononostante il compagno non poté fermarsi:
“Ho
bisogno di tempo. Di un attimo, solo un attimo. Devo capire come
intendo andare avanti io e, Sasuke, non credo di riuscirci con te.
Non così, non a queste condizioni.”
Sasuke strinse il proprio caffè
vuoto, lo accartocciò, come se volesse ucciderlo.
“Aspetta. No. Un attimo.
Perché? Io voglio stare con te, tu e io, la nostra casa,
Cerbero, le
nostre serate assieme a guardare un film, noi due, al di fuori il
resto del mondo che….”
“Ma io no!” esclamò Naruto,
sgranando gli occhi.
Vide quelli lucidi di Sasuke,
bloccatosi, e anche i suoi lo furono di conseguenza.
“Mi stai lasciando…”
mormorò l’altro dopo qualche istante.
Sembrò capire, colto da una
rivelazione più grande. Ebbe l’aria di chi si
sentiva stupido e
già tremendamente solo.
Naruto reclinò la testa – Dio,
Dio, davvero doveva rinunciare a tutto quello che erano? La sua casa,
le sue abitudini, Cerbero, Sasuke, le sue sciarpe in giro, il suo
profumo, i suoi capelli contro al volto quando si appoggiavano
l’uno
all’altro sul divano – e poi, lentamente,
annuì:
“Ti lascio.”
Gli venne un conato di vomito
alla sola idea. Sasuke si guardò i palmi, li
fissò un istante,
respirando attraverso la bocca, secca e invisibile, poi li
lasciò
cadere. Cerbero guaì, accoccolandosi ai suoi piedi.
“Dammi una possibilità.
Combattiamo – la tazzina di cartone gli cadde a terra, mosse
un
passo avanti – non dovevamo fare così? Non
dovevamo combattere,
per noi? Non è questo che hai fatto fin
dall’inizio, che facciamo
da sempre in questa maledetta città dove per anni abbiamo
rischiato
di saltare in aria, di venire rapiti, di... perderci. Perché
ora ti
sei arreso?”
Naruto lo guardò, ansimante a
sua volta di rabbia, di voglia di piangere, mentre aveva ascoltato la
voce di Sasuke diventare sempre più roca.
Diglielo. Diglielo cazzo.
Falla finita per davvero, in grande stile. Magari lui capisce meglio
di te quello che è successo.
Si toccò l’avambraccio, ma
indietreggiò di un passo. Poi scosse la testa e
contrattò:
“Non è questione di
arrendersi.”
“Ah, no?”
“Adesso sei tu arrabbiato con
me? Davvero – sbatté una mano contro la coscia
– pazzesco! Sono
comprensivo e…”
“Ma
io non ho bisogno di comprensione! Ho bisogno di te! Sono qui, non
–
quel non gli uscì
come uno sfiato di un vecchio mantice – non con
lei!”
Puntò il dito oltre Naruto,
oltre la città e i suoi immensi edifici, diretto dal filo
invisibile
delle distanze.
“Ma per quanto?” sbottò
questi esasperato.
“Cosa
importa? Cosa? Da sempre abbiamo vissuto così, con un conto
alla
rovescia, e lo abbiamo accettato. Non… non
ti fidi di
me?”
Gli uscì un suono flebile.
Naruto sospirò, colmo di
tristezza. Scosse la testa, eppure non disse nulla. Raccolse la tazza
di Sasuke caduta a terra e nel rialzarsi spiegò:
“Sasuke… dammi tempo. Tutto
qui. Al momento non posso pensare di farcela. Già, non ce la
faccio,
provo a dirmelo, a ripetermelo ma – alzò le
spalle, allargando le
braccia – che ti devo dire, non ci riesco. Sali su con
Cerbero. Io
ho bisogno di farmi due passi, fuori, di schiarirmi le idee.”
Lo vide stringere il pugno
bendato. Sembrò in procinto di dire qualcosa, ma si
trattenne, come
per un ripensamento. Sasuke lo scrutò infatti in cerca di
qualcosa,
quasi volesse farlo parlare ancora, invece per contro Naruto non ebbe
altro da aggiungere. Sembrò mortificato e deluso.
Ciononostante Uchiha, corretto
fino all’ultimo, si limitò ad annuire e
assicurarsi: “Stai
attento per strada. Almeno questo. Io – guardò
Cerbero che guaì –
noi ti aspettiamo a casa, se vorrai tornare stanotte. Lo spero.
Possiamo… possiamo ordinare qualcosa d’asporto per
colazione la
mattina, come facciamo la domenica.”
Fece un mezzo sorriso, ma nulla
di più. Gli occhi erano tristi ma soprattutto stanchi.
Naruto si guardò un istante i
piedi però non prometté niente che non potesse
mantenere.
Guardò con il cuore in gola
Sasuke e Cerbero rientrare nella palazzina, diretti verso casa, e
provò un magone terribile. Gli mancavano già
così tanto. O forse
era la consapevolezza della perdita, della rottura profonda e
irrimediabile della sua vita, ad accentuare quel senso di precoce
nostalgia per ogni singolo istante e persona amata.
Dopo
aver gettato le tazzine che gli sembrarono macigni, fece
qualche passo, passandosi il dito sotto il naso per evitare che
colasse, senza in realtà la minima idea di dove andare.
Girato
l’isolato, si scoprì poi l’avambraccio,
lo guardò e chiuse gli
occhi. Sigillò
la bocca, con la voglia di urlare e l’impulso selvaggio di
tornare
indietro, però si costrinse a trarre un profondo respiro.
All’improvviso tirò fuori il
cellulare e scrisse:
Scusami. Scusami
infinitamente. Stiamo… bene, ma davvero stanotte
è successo di
tutto e di più. Io ho bisogno di parlarne con te. Sei
l’unica
persona che conosco che… lo so che è folle ma ci
saresti se faccio
un salto trapoco?
Spedì il messaggio su whatsapp,
senza nemmeno ricontrollare cosa aveva scritto o ci avrebbe
ripensato. Tamburellò qualche istante un piede, dicendosi
che era
un’immane stronzata. Fece per cancellarlo quando
all’improvviso
gli rispose:
Naruto! Mi spiace di sentirti
così. Siamo ancora svegli, film terribilmente lungo che ci
siamo
messi a vedere. Vieni pure, ti aspettiamo.
Per
la prima volta in tutta quella conclusione tremenda di serata, Naruto
sorrise genuinamente e, sciocco, si commosse. Di fronte alla
scrittura così pulita, gentile e pronta di Itachi che
sembrava
averlo capito e non aveva esitato un istante, non uno solo, a
rispondergli… che andava bene.
*
Sulla soglia dell’ingresso alla
palazzina dove vivevano Itachi e Shisui, Naruto esitò. Si
trattava
un’immensa follia, era da stronzi entrare a casa della gente,
peraltro in quella del fratello di Sasuke, nel cuore della notte; il
fatto che si sentisse uno schifo, oltre che in procinto di piangere
anche l’anima non era comunque una scusa sufficiente.
Doveva tornare da Sasuke e in
qualsiasi mondo andava dirgli che…
“Naruto!” sentì dire a voce
non alta ma sufficiente da farsi udire nel silenzio della strada. Il
ragazzo sollevò lo sguardo e vide Itachi affacciarsi alla
finestra.
Sospirò, elaborando suo malgrado un mezzo sorriso nel
sentirgli dire
poco dopo ti apro, come se avesse in qualche modo
intuito che
se ne stava per andare.
Udì il ronzio secco del
portoncino e lo scatto della serratura, dunque entrò e
salì le
scale perché non ricordava esattamente a che piano i due
ragazzi
abitassero, ma si sentiva già sufficientemente invadente
senza dover
chiedere a Itachi di ridirglielo.
Scorse finalmente lo scorcio di
una porta aperta dal quale si filtrava la luce dell’ingresso,
di un
giallo morbido, come progettata per gli ingressi notturni. Si
passò
i piedi sul tappetino e con delicatezza insolita per il suo carattere
spontaneo, Naruto sospinse la porta che prontamente Itachi gli
aprì
del tutto.
“Naruto. Hai una faccia
tremenda” ammise l’uomo, asciutto ma non scortese,
in quel modo
che aveva di essere diretto eppure mai all’apparenza cattivo.
“Lascia stare.”
“Non credo proprio di
riuscirci, perché altrimenti non saresti qua, ti
pare?” gli fece
presente lui, facendolo entrare per poi richiudere la porta.
“Cazzarola, so di essere
inopportuno e… mi spiace, forse posso passare
un’altra volta…”
iniziò a dire Naruto come ripensandoci.
“Metto su un the caldo, dai.
Shisui è crollato di là a letto, se si sveglia lo
metto su anche
per lui” non lo ascoltò Itachi, avanzando nel
piccolo salotto con
la cucina a vista. Naruto annuì, posò la giacca
sul divano e si
sedette al tavolo attento a non far troppo rumore con la sedia.
Con le mani nascoste tra le cosce
osservò in silenzio Itachi armeggiare con un pentolino in
cui
bollire l’acqua, per poi mettere sul tavolo delle tazze e una
scatola con tante bustine diverse di the. Nella penombra, aveva
scorto una parete di sughero dove erano appese con delle puntine
tante foto diverse, alcune polaroid, altre fatte stampare, che
ritraevano Itachi e Shisui, ma anche lui e Sasuke, Cerbero, una
vacanza. Ce n’era persino una con la loro madre. Oltre a
ritagli di
qualche articolo di Sasuke, degli estratti delle pubblicazioni per il
dottorando di Shisui come genetista, o biglietti di un eventuale
spettacolo o concerto. La loro vita, i loro ricordi, sogni e
ambizioni a portata di mano.
“Grazie” mormorò quando
Itachi gli versò l’acqua calda e gli si sedette al
lato accanto,
senza offrirgli lo zucchero perché conosceva i suoi gusti.
“Di nulla. Scegli il the che
vuoi, io sono piuttosto monotono. Shisui dice che rischio di
diventare un vecchio abitudinario” accennò un
sorriso e si mise
nella tazza una bustina di Earl Grey, una tra le tante di quella
miscela.
“Essere vecchio abitudinario
non è poi così male.”
“Nah, è più il vecchio che mi
spaventa. L’abitudinario fa paura di conseguenza,
perché temi che
ripetere sempre le stesse cose, senza mai uscire dalla comfort zone,
ti porterà un giorno a renderti conto troppo tardi di non
aver
approfittato del tempo che ti è stato concesso.”
Lo guardò negli occhi quando
glielo disse. Naruto prese la tazza e la tenne tra le mani, sentendo
il calore solleticare la pelle infreddolita dalla gita notturna.
Dopo un istante domandò:
“Com’è
stato per voi trovarvi tra soulmate? È quell’amore
perfetto,
quell’incontro celestiale tra anime gemelle che dicono
tutti?”
Itachi sembrò essersi aspettato
una domanda simile anche se dal tono quasi caricaturale, dunque
reagì
con pacatezza, appoggiando un piede scalzo sul bordo della sedia, per
poi scrollare una volta le spalle e spiegare: “Sì,
forse in
maniera meno epica, ma è comunque questo essere soulmate.
All’inizio
è come una sensazione che ti parte dalla pelle, sai? Un
formicolio
intenso alla base di dove hai il marchio o il tatuaggio, che poi si
amplifica e diventa totalitario. È il tuo corpo che realizza
di aver
trovato e richiamato a sé la propria anima gemella. E ci si
sente
perfettamente completi, sereni, qualcosa che non puoi aver provato
prima.”
Naruto lo osservò mentre Itachi
parlava e quella volta più che altre nel vederlo
così, semplice,
coi capelli sommariamente legati, una tuta un po’ allargata e
il
volto reso morbido dalla luce calda dell’angolo cucina,
l’unica
che li illuminasse, il primogenito Uchiha sembrò
tremendamente
umano, lontano da quella bellezza studiata che aveva sempre lasciato
perplesso Naruto. Forse perché Itachi era a casa sua, con le
sue
cose e circondato solo da chi amava, non doveva dimostrare nulla a
nessuno, né giustificarsi per avere un lavoro come tanti,
nonostante
probabilmente meritasse di più, e conducesse una vita
modesta.
“Capisco. Allora…” si morse
un labbro, stringendo le mani.
Itachi non disse nulla, continuò
a guardarlo nel silenzio del suo appartamento. Attese. E Naruto lo
guardò di rimando, disperato, rivelando di getto:
“Sasuke ha
trovato un soulmate. Ma… è tornato capisci?
Io…”
“Sasuke un soulmate?” domandò
Itachi, cauto. Ovviamente quella notizia era sconvolgente anche per
lui.
“Sakura.
Non so chi sia – accennò una risata triste
– né che faccia
abbia. Ma è tornato lo
stesso.
In casa nostra.
Come
ha fatto? A che cazzo sta pensando tuo fratello? Come può
aver
resistito a tutto questo, a tutta
questa pace, questo amore… per me?”
Si
portò una mano al petto, enfatizzando quasi con disperazione
quel
per
me.
Itachi
accennò un sospiro, poi prese il polso di Naruto e cercando
di
calmarlo riconobbe: “Non ho mai sentito di qualcuno che ha
resistito all’attrazione del soulmate, per
quanto come mi dice Shisui ci sono tanti studi genetici in merito,
però…
Sasuke non è qualcuno. Sa essere molto più
testardo e determinato
persino di un legame creato dal destino – si
appoggiò alla sedia,
domandandogli dopo aver dato un giro alla tazza – lui cosa
dice?
Voglio dire, cosa sente, cos’ha provato?”
“Non gliel’ho chiesto. Né
lui me lo ha detto. A un certo punto sono dovuto andar
via…” fece
per dire altro poi si bloccò, toccandosi
l’avambraccio.
Perplesso, Itachi inarcò un
sopracciglio. Poi accavallò la gamba cambiando posizione e
si umettò
leggero un labbro per suggerire con accortezza: “Ora
più che mai
però dovreste parlarvi, non trovi?”
Naruto lo guardò come se fosse
folle. Strinse i denti, infine esclamò, abbandonando ogni
timore di
disturbare che aveva provato prima:
“Non trovo? Come cazzo posso
parlargli quando io non capisco più che sta succedendo, o il
perché
proprio adesso, proprio in questa schifosa serata e parte della mia
vita, ho questa!”
Esclamò scoprendosi
l’avambraccio dove aveva il marchio.
Itachi abbassò lo sguardo di
riflesso, vedendolo, e sgranò gli occhi. Fu una delle prime
volte in
cui Naruto lo vide davvero sconvolto.
“Il
tuo marchio – mormorò, per poi alzare gli occhi e
incrociare
quelli azzurri, lucidi, di Naruto – è
sparito.”
Nella cucina cadde il silenzio.
“Esattamente” rispose
Uzumaki, cadenzando quasi le parole. Parlare gli costava fatica,
farlo significava ammettere come stavano le cose.
Che
lui non aveva più il marchio. Che appena
Sasuke aveva preso quei maledettissimi caffè
e pronunciato parole già dette e ridette infinite volte da
quando
stavano assieme – e che in
ogni occasione
facevano accapponare la pelle a Naruto con la stupida speranza che un
giorno agissero
come un incantesimo
– infine
avevano
funzionato: Naruto aveva provato tutto quello che Itachi gli aveva
detto, aveva sentito qualcosa di già solido saldarsi, al
punto che
andarsene, tacere, gli aveva dato la sensazione di essersi strappato
la pelle e averla lasciata lì, sulla strada, di fronte alla
loro
casa: un suo involucro vuoto da calpestare in attesa che Sasuke lo
raccogliesse.
“Cazzo…” mormorò
portandosi i polpastrelli sulla pelle senza più marchio.
Itachi si mise con ambedue i
piedi per terra. Era ancora seduto ma sembrava sul punto di scattare.
“Non gliel’hai detto”
realizzò, rimanendo con la bocca impercettibilmente aperta.
“No! Come potevo? Come potevo
dirgli quello che per qualche distorto evento, per qualche errore di
genetica o… di non so cos’altro, le sue parole
hanno fatto
scattare in me dopo tutto questo tempo? Non voglio farlo sentire
vincolato da questo! Se prova verso la sua soulmate anche solo la
metà di quello che ho sentito io si starà
lacerando e… mi sembra
di giocare sporco, capisci?”
“Ma tu non stai giocando
sporco. E Sasuke ha il diritto di sapere e di decidere da uomo
adulto. È tornato fin qui perché al di
là di tutto non dimentica
di amarti, glielo devi” ribadì Itachi, appoggiando
una mano sul
tavolo, come per dar enfasi alle sue parole.
Ci fu qualche istante di
silenzio. Poi Naruto ammise, appoggiando a sua volta una mano sul
tavolo:
“Sai, per un attimo ho pensato
che fosse tornato per non essere come vostro padre.”
Scrutò Itachi che non sembrò
ritenersi offeso da quell’insinuazione.
“Nostro padre non ha mai amato
nostra madre come Sasuke ama te” lo corresse infatti
l’altro con
pacata sicurezza. Mantenne un atteggiamento incredibilmente
ponderato, anche se si trattava di suo fratello e della sua
felicità.
Se Naruto avesse avuto a sua volta un fratello, immaginò che
non
sarebbe stato altrettanto imparziale: avrebbe preso a schiaffi
chiunque avesse ferito in quel modo il suo fratellino, specie se quel
chiunque stava cercando stupidamente di tenersi per sé
qualcosa di
fondamentale come il legame soulmate.
Al di là di quella riflessione,
si commosse nel sentirlo parlare così, quasi gli stesse
leggendo
dentro e potesse dissipare le sue paure: “Ma
perché adesso? Perché
il mio marchio è andato via e… e se fosse tutto
un gigantesco
sbaglio? Se il mio destino fosse rimanere solo, magari non sono fatto
per avere un soulmate” si coprì la bocca con il
palmo della mano.
Dar voce a quel pensiero fu come condannarsi.
Itachi sembrò più afflitto:
“Non lo so, Naruto, non lo so proprio.”
Una terza voce si inserì
all’improvviso nel discorso:
“So che a volte la genetica non
è perfetta e, lo ammetto, amo studiarla anche per questo.
Alla fin
fine anche essere soulmate è genetica, con un insieme di
meccanismi
biologici programmati per attivarsi dietro determinati
stimoli.”
I due al tavolo si girarono verso
il salotto. Sulla soglia videro Shisui che mise una mano avanti e si
scusò: “Non volevo origliare, solo che non sono
più riuscito a
riaddormentarmi e… insomma, ero preoccupato. E
dispiaciuto”
guardò un istante Naruto.
Questi scosse la testa,
tranquillizzandolo, per poi domandargli, non resistendo: “In
che
senso la genetica non è perfetta?”
“Che non tutti i soulmate sono
perfetti o si realizzano con le modalità che conosciamo.
Alcuni sono
destinati a non realizzarsi affatto, vedi per esempio quelli con
parole che si pronunciano magari in punto di morte, o che si trovano
a migliaia di chilometri di distanza e sono destinati a incontrarsi
solo da vecchi, se accade. Tutta la genetica e i processi chimici che
ci sono dietro il riconoscimento sono codificati, certo, ma non
esenti da errori o da varianti. Di queste ultime con il tempo,
credimi, se ne vedranno ancora di più. Si evolve, ci si
adatta, si
cercano soluzioni per facilitare il lavoro… di ricerca del
soulmate, se vogliamo chiamarlo così. Sono ancora al
dottorato come
genetista, ma qualcosa ne capisco” fece una mezza risata e si
sedette al lato del tavolo opposto a quello di Itachi, più
vicino a
Naruto.
Questi commentò: “Se io fossi
imperfetto o parte di quel cambiamento, non capisco cosa ha fatto
scattare tutto questo proprio adesso. Sasuke ha trovato il suo
soulmate, quindi non ha senso che io lo trovi in lui così,
ora.”
Shisui assottigliò gli occhi,
poi domandò riflessivo: “Il suo soulmate... aveva
anche lui un
tatuaggio?”
Faticando un istante a
comprendere il senso di quella domanda Naruto scrollò le
spalle e
commentò: “Sì, credo sulla mano come
lui.”
Per
un istante nella cucina calò il silenzio. Poi Itachi
e Shisui si scambiarono un’occhiata e il primo
sgranò gli occhi,
comprendendo con un’empatia irraggiungibile tra
comuni esseri umani,
e fu allora che chiese con urgenza:
“Naruto, hai visto per caso il
palmo di Sasuke?”
“No,
perché mai, tanto era senza tatuaggio, anche se se
l’era fasciato,
mi ha detto di essersi fatto… – tacque un istante,
sgranando a
sua volta gli occhi per poi fissare Itachi – male.”
Fissò Shisui, il cervello che
stava mettendo in moto una serie di deduzioni assurde, e questi con
cautela ipotizzò: “Non è la prima volta
che sento parlare di
quello che negli studi di ricerca è stato definito come
‘soulmate
pretender’ anche se si tratta di percentuali infinitesimali
rispetto ad altre varianti che vi dicevo. Come posso mettertela in
termini semplici – si scombinò i capelli mossi,
mentre Naruto lo
guardava senza fiatare, con gli occhi sconvolti ma attenti –
beh,
un legame molto forte tra due persone sembra il classico
riconoscimento tra soulmate ma scatena invece la mutazione genetica
necessaria per trovare o confermare un’affinità
pregressa
stimolata dal processo chimico dell’attrazione. Nei casi di
specie,
alcuni Macchiati hanno la formazione di un marchio al posto del
tatuaggio che è stato cancellato grazie al proprio soulmate
pretender, da lì di solito è immediato il
riconoscimento con il
vero soulmate.”
Trattenne il fiato, quasi avesse
sganciato una bomba. Tutto sommato fu Itachi quello che più
di
tutti, per carattere, mantenne un atteggiamento quasi rigoroso e fece
presente:
“Non sappiamo se le cose stanno
davvero così, ovviamente, ma è una
possibilità che dovresti
considerare. Dovete confrontarvi.”
Naruto guardò i due ragazzi,
assordato dal silenzio terribile caduto dopo, e indietreggiò
con la
sedia, per poi alzarsi in piedi di scatto, facendola cadere.
“No – scosse la testa – no,
non potete farmi credere una cosa simile. È una cazzata,
è una
cazzata e io mi sto illudendo!”
A quel punto Shisui gli si
avvicinò, mettendosi in piedi a sua volta:
“Sì tratta di una
delle numerose varianti che stanno emergendo, questo è vero,
ma
magari è andata così e in quel caso sarebbe
perfetto, la soluzione
a un dramma altrimenti irrisolvibile. Non aver paura di illuderti:
Naruto, se Sasuke ha a sua volta un marchio sotto al tatuaggio allora
lo devi sapere, così come lui deve sapere quello che
è successo a
te!”
Naruto si bloccò, strinse i
denti, cercò di ritrovare il controllo e alla fine,
lentamente,
annuì. Non doveva più fuggire per cercare di
guadagnare tempo: se
le cose fossero andate bene e realmente Sasuke rappresentava uno di
quei miracoli della genetica, allora avevano il mondo e il loro
futuro assieme per le mani; se invece non era quello il caso, se
Sasuke si era davvero fatto solo male e non aveva alcun marchio, a
prescindere potevano comunque provare a lottare, come il suo ragazzo
una volta di più gli aveva chiesto e come avevano sempre
fatto fin
dal principio. Il dolore in quel caso sarebbe stato una conseguenza
secondaria.
“Va bene. Hai ragione, avete
ragione, cazzo! Devo andare da lui. Stare qui, vivere
nell’incertezza
non è attuabile. Non è così che voglio
esistere. Sasuke merita di
sapere, così come lo merito io.”
A grandi falcate si diresse verso
il divano per afferrare la giacca, quando Itachi lo raggiunse:
“Ti accompagniamo noi, tu non
te ne vai da solo” decise e, senza attendere una replica di
Uzumaki, già andare verso l’ingresso.
“Itachi...” fece per dire
Shisui, abituato a essere quello irruento dei due.
“Grazie – annunciò
all’improvviso Naruto con risolutezza, facendoli fermare
– per
accompagnarmi. Sapete, non so cosa ne uscirà da tutto questo
ma
almeno saremo stati sinceri fino in fondo. E rispettosi,
l’uno
verso l’altro.”
Guardò Itachi che annuì con un
mezzo sorriso. Mostrò poi le chiavi, facendole tintinnare:
“Direi
che abbiamo perso anche troppo tempo.”
*
Sasuke era sdraiato sul divano,
con Cerbero ai suoi piedi che a ogni minimo rumore proveniente
dall’esterno scattava, in attesa di vedere Naruto comparire
alla
porta. Nemmeno il cane, come il suo padrone, a quanto pareva riusciva
a dormire. Sasuke strinse il pugno con la fasciatura e si mise
l’avambraccio sugli occhi.
A un certo punto però Cerbero
abbaiò e scattò giù dal divano,
correndo verso la porta per
cominciare a fare le feste. Con il cuore in gola Sasuke si
alzò a
sedere ma rimase immobile a fissare attraverso lo spiraglio sul
corridoio la porta aprirsi.
Aveva infatti sentito nella
penombra la serratura scattare e Naruto entrare con passi accorti,
mormorando qualche parola affettuosa a Cerbero mentre lo coccolava,
nonostante la coda agitata di quest’ultimo che batteva sul
pavimento contribuisse a rompere egregiamente il silenzio
dell’appartamento.
Sasuke si alzò in piedi quando
vide Naruto raggiungerlo. Aveva la faccia sconvolta e arrossata. Si
sentì travolto da infinite sensazioni e un brivido gli
percorse la
pelle, donandogli poi un senso di pace che ammorbidì per
qualche
istante il magone di ciò che erano in quel momento.
“Sei tornato?”
Naruto nemmeno si tolse la giacca
e avanzò, dicendogli: “Non potevo… non
potevo stare senza di te
e senza dirti niente.”
Gli guardò la fasciatura, fu
tentato di chiedergli ma lo prese per l’altra mano e gli
propose:
“Sediamoci un attimo. Ho bisogno che chiariamo un sacco di
cose
perché stasera la mia vita, la nostra vita, è
stata presa per i
piedi, messa a testa in giù, scossa di tutto ciò
che credevamo e
rigettata a terra. Possiamo riprendere a camminare, voglio che lo
facciamo ma non così. Meritiamo di essere del tutto onesti
l’uno
con l’altro.”
Sasuke si sedette, imitato da
Naruto; dopo aver lanciato un’occhiata al suo avambraccio,
cercando
di non scomporsi rispose guardingo: “Sì.
Sì, sono d’accordo.
Io…”
“Io…” disse a sua volta
Naruto.
Si bloccarono poi, nonostante il
dolore e la difficoltà di tutto ciò che stavano
vivendo, si
ritrovarono ad accennare un sorriso entrambi.
“Ho
un sacco di cose da dirti ma prima vorrei sapere qualcosa da te”
decise Uzumaki. Sasuke non riuscì a trovare subito la
parola. Quella
sincronia splendida l’aveva conosciuta e ora gli pareva
dolorosamente più perfetta. Si ritrovò con il
cuore in gola ad
ascoltarlo, per questo annuì e Naruto riprese:
“Sasuke,
cos’è successo davvero a quella mano?
Perché hai la fasciatura?”
Non ci fu un tono di accusa,
bensì di preoccupazione e allo stesso tempo di maggiore
consapevolezza. Di riflesso, come sulla difensiva, Sasuke strinse il
pugno e ritrasse la mano. Fu tentato per un attimo di ripetere che si
era fatto male mentre era in albergo, ma non riuscì a
mentire oltre,
anche se temeva che Naruto non gli avrebbe mai creduto.
“Non mi sono ferito” replicò,
all’improvviso. Si vergognò di aver mentito,
eppure non sapeva
cos’altro fare, consapevole che non sarebbe mai stato
preparato a
una cosa simile.
Cercò
di togliersi il bendaggio, anche
se
la mano tremava appena: scoprì di non avere una buona presa.
Allora,
con delicatezza e affetto, Naruto
gliela
afferrò
e
la tenne
tra le proprie,
quasi volesse proteggerla.
“Raccontami tutto” lo
incoraggiò con voce morbida, iniziando a svolgergli le bende
per
lui.
“Naruto, credimi. Cercherai, in
qualche modo, di credere a ciò che sto per dirti?”
gli prese la
mano e l’altro si fermò, guardando Sasuke:
“Crederò a tutto quello che mi
dirai. Sempre” replicò, senza esitazione, per poi
riprendere a
togliergli il bendaggio.
Allora il giornalista trasse un
sospiro e gli raccontò di com’era andata,
cominciando dal
principio, da come aveva scoperto di Sakura. Fu un racconto breve ma
difficile. La benda cadde a terra eppure Naruto non lasciò
la mano
ormai scoperta di Sasuke, bensì continuò a
tenerla, accarezzandogli
di tanto in tanto le dita asciutte.
Uchiha concluse: “Ho visto
quando il tatuaggio è andato via che il palmo non era vuoto
come
avrei pensato.”
Naruto strinse impercettibilmente
un po’ di più, ma continuò a guardare
la mano di Sasuke,
trattenendo il fiato, quasi temendo che un suo respiro potesse
impedirgli di sentire quello che l’altro stava per dirgli.
“C’era un marchio al di
sotto, Naruto.”
Girò il proprio palmo,
rivolgendolo verso l’alto. E se, per un attimo, Naruto fu
tentato
di fermarlo, alla fine lo accompagnò in quel movimento,
scoprendo il
palmo però ora privo persino di alcun marchio, eccetto
qualche
traccia di rossore. Espirò, incapace di parlare, cercando di
contenere il moto di profonda delusione, spinto da quel senso di
fiducia che il compagno gli aveva chiesto di avere nei propri
confronti.
Sollevò dopo un istante gli
occhi verso Sasuke e, con la voce mozzata, trovò il coraggio
di
domandargli:
“E cosa c’era scritto?”
Sasuke si morse un labbro, poi
gli rispose in un soffio:
“Ti
lascio.”
Naruto sgranò gli occhi, sembrò
urlare ma non lo fece.
“No…” mormorò infine. Ebbe
gli occhi lucidi quando realizzò: “Io…
Sasuke, io ti ho detto
che ti lascio. Io” si portò una mano al petto,
mentre con l’altra
continuava a tenere quella del compagno.
“Sì, l’hai proprio detto”
confermò Sasuke, con una specie di sorriso.
“Cazzo… no. È assurdo”
mormorò sconvolto, passandosi una mano tra i capelli, con il
cuore
che andava a mille e la salivazione ridotta a zero.
“Mi credi?” domandò Sasuke,
osservandolo. Sembrava calmo, come se avesse raggiunto il punto
fondamentale della sua esistenza.
Ma anziché rispondergli,
all’improvviso Naruto dette un bacio sul palmo della mano di
Sasuke, sospirò, infine scattò in piedi. Uchiha
ancora seduto,
interdetto, non si mosse e lo guardò dal basso.
“Sai
no, la mia scritta sul braccio?” domandò
a sua volta Uzumaki, con un sorriso più grande ma il volto
paradossalmente serio.
L’altro annuì, poi un po’
impaziente ribadì visto che il suo ragazzo aveva tratto un
profondo
sospiro: “Lo so, la conosco molto bene.”
“Ecco…
abbiamo preso il caffè, poche ore fa, dopo tutto quello che
ci siamo
detti e… beh,
è giusto che anche io ti dica la mia parte: l’hai
fatto – Sasuke aprì di più gli occhi,
gli si bloccò il respiro –
hai pronunciato quelle parole stupide, dette da te infinite altre
volte in questi anni, solo che, beh, questa volta hanno funzionato.
Mi hanno cancellato il marchio.”
Si
scoprì a
sua volta l’avambraccio, mostrando a Sasuke
l’assenza di scritte.
Anche Naruto, come, lui aveva giusto un leggero rossore dove
un tempo c’era stato
il marchio.
Il giornalista aprì la bocca,
sconvolto. Poi si alzò in piedi, prese il braccio di Naruto,
lo
guardò, guardò lui e commentò:
“Te lo avevo chiesto. Se
sentivi qualcosa di diverso. Non mi hai detto nulla”
sembrò
parlare di riflesso, per una volta senza ragionare, bensì
sull’onda
degli infiniti sentimenti che lo stavano travolgendo in quel momento.
“Beh, neanche tu mi hai detto
nulla di tutta la faccenda del marchio mi sembra”
ribatté Naruto,
con una specie di sorrisetto un po’ beffardo.
“Perché non credevo che avrei
mai potuto essere il tuo soulmate! Non sono mai riuscito prima a
cancellarti le scritte e non volevo peggiorare qualcosa di
già così
fragile” spiegò Sasuke, con più
agitazione del solito.
“Lo stesso mio pensiero –
confermò Naruto, prendendolo per le spalle – a
maggior ragione
dopo quello che è successo mai avrei potuto pensare che ci
fosse
altro sotto il tuo tatuaggio. E, credimi, sentire quello che ho
sentito quando hai pronunciato le parole del mio marchio e non
potertelo dire… credevo sarei morto.”
“Anche io. Anche io, cazzo,
prima che tornassi, dicendomi che mi avresti lasciato e sentire che
ogni cosa stava andando al proprio posto proprio quando in
realtà si
stava annientando tutto. Non volevo vincolarti a me, se in te non
fosse scattato nulla.”
Naruto disse quelle stesse
identiche parole. Terminarono la frase assieme.
Si
guardarono, di nuovo
in silenzio, dandosi il tempo di realizzare tutto quello che era
successo, quanto avevano fatto e detto, gli errori, così
come le
erronee convinzioni, agendo l’uno solo per il bene
dell’altro.
“Siamo… soulmate, Naruto.”
“Sì. Sì, lo siamo. Non so,
non capisco quello che è successo, il perché, o
forse davvero siamo
una di quelle tante varianti genetiche, di quegli errori e mutazioni
che diceva Shisui. Avremmo dovuto interessarci dei suoi studi un
po’
prima.”
Sasuke lo ascoltò, pensoso ed
estasiato, sentendo tutto ciò che erano e che sarebbero
stati
scorrergli nelle vene, un perfetto allineamento astrale, una
congiunzione di anime in un incastro altrettanto perfetto di epoca,
di momenti, di geografia benevola.
Pensò a Sakura. A ciò che aveva
sentito e, per quanto avesse provato un senso di pace, una voglia di
sedersi e godersi quel traguardo, nulla era paragonabile a quello che
recepiva adesso, che provava per Naruto. Sakura era stata un ponte,
un passaggio necessario per provare un’ultima stilla di
ciò che
già temeva, infine accettarlo e lottare, persino contro
ciò che lui
stesso era, se necessario. Seppe, lo sentì, che forse anche
per lei
era stato lo stesso: per lei e per Madara, per imparare a fare pace
col passato, con la morte e i suoi pesanti lasciti.
Un giorno lo avrebbe spiegato a
Naruto. Ma non quella notte, non dopo tutto quello che si erano
detti: dovevano esserci solo loro due, non avevano spazio per altro.
Nella loro casa piena di ricordi,
delle loro personali polaroid fatte di oggetti presi assieme, di
libri, di momenti e cene condivise.
Si baciarono e fecero l’amore,
sul divano, ancora affannati, con il gusto salato delle lacrime
seccate sulle guance, stanchi, spossati ed esausti, perché
la paura
di perdere per sempre chi si ama prosciuga davvero ogni energia, come
una fiamma che richiede troppo ossigeno per poter bruciare ancora.
Fu come la loro prima volta,
sebbene più completa ancora e più totalitaria,
perché erano
cresciuti e diventati consapevoli di ciò che si nascondeva
nelle
loro pelli, in attesa della coincidenza perfetta.
Molti, guardandoli nella vita di
tutti i giorni, avrebbero potuto dire che quello tra Sasuke e Naruto
era un amore semplice, fatto di giornate di lavoro, di rientri a
casa, di racconti a tavola mentre mangiavano o di attimi di gioco
prima di andare a letto. Qualche ambizione coltivata, degli hobby,
delle uscite con amici, piccoli intervalli in un’esistenza
ordinaria, a tratti finalmente pacata dopo le rivolte di un sistema
altrimenti destinato a marcire.
Ebbene, questi molti… mentono.
Perché non solo il loro, ma in
realtà nessun amore è mai veramente semplice.
Prima
ancora dell’essere soulmate, un amore è fatto infatti
di compromessi, di sacrifici, di scelte. Ma soprattutto è
fatto di
spazi, infiniti spazi da riempire, l’uno per
l’altro, colmandoli
di se stessi e anche di noi, in un insieme
di equilibri
mai davvero perfetto per
il quale, però, si fa il possibile, per tenerlo in piedi e
andare
avanti.
Uno sforzo troppo grande?
Probabile ma, credetemi, ne vale la pena. E se non lo pensate, che ne
valga la pena, beh... forse non è il momento, la persona,
l’occasione giusta. Allora non ve ne renderete nemmeno conto,
di
tutti i sacrifici fatti, e sarete anche voi dei bugiardi come Sasuke,
come Naruto, come tutti gli altri: ad affermare che il vostro
è un
amore semplice. E proprio per questo, perfetto.
Dodici anni dopo
Naruto attese che il semaforo
diventasse verde. Accanto a sé c’era una ragazzina
con lo zainetto
in spalle e il cellulare con la mappa attiva. La scorse perplessa,
intenta a controllare la posizione; per qualche istante non le disse
nulla, finché non la vide sollevare il volto verso di lui e
domandargli:
“Signore, scusi.”
Lo
fissava
con occhi verdi molto determinati, anche se un po’ sperduti.
Naruto
superò senza troppa fatica il trauma dell’essere
chiamato signore
a soli
quarantaquattro
anni d’età, praticamente
era ancora un adolescente.
“Mi dica” la invitò.
Notò i capelli folti e neri che
sparavano da tutte le parti, indomabili.
Ebbe come una sensazione.
“Avrei bisogno di andare qui,
maps mi dice che dovrei usare la metro ma è un casino
raggiungerla.
Rischio di arrivare tardi all’appuntamento con le mie amiche,
che
figuraccia.”
“Non sei un po’ giovane per
andartene in giro da sola?” fece presente, un po’
dubbioso.
Consapevole che in realtà lui da adolescente era esattamente
come da
adulto: propenso a lanciarsi in un sacco di casini.
“Mamma e papà dicono che è
giusto che mi responsabilizzi. Quando veniamo in visita da queste
parti mi piace poter esplorare, ho appunto degli amici sai, anche
qui” ribadì la ragazzina, orgogliosa.
Naruto sorrise.
“Ah beh, allora se la metti
così non ho più raccomandazioni da
farti” mise le mani avanti,
per poi spiegarle la via più breve e la tratta della metro
da
seguire, indicandole la strada.
“Wow, grazie signore, sei super
esperto!”
“Ti prego, smettila con quel
signore, puzza di responsabilità e di vecchiaia.”
La giovane ridacchiò e concesse:
“Ok, ok, mi scusi, non sembra per niente un vecchio, se
può
consolarla.”
“Una consolazione immensa”
replicò roteando gli occhi.
Scattò il verde. Prima di
avviarsi Naruto le chiese, quasi senza riflettere:
“Sakura. Tua mamma si chiama
Sakura per caso?”
La ragazzina reclinò la testa,
stupita: “Sì. La conosce?”
Naruto accennò un sorriso: “In
un certo senso… direi di sì.”
“Lei è parte di una delle
prime variazioni genetiche sui soulmate, ci fanno un sacco di studi.
Come mio padre. Se ti dico che mio padre è Madara Uchiha
svieni.”
“No! Proprio quel Madara Uchiha
del FLA?” si finse sorpreso.
“Proprio lui. E il FLA non
esiste più. Siamo tutti più uguali, soulmate, non
soulmate, niente
più monarchia, siamo al passo coi tempi qui.”
Sembrò di star leggendo uno
slogan pubblicitario. Naruto immaginò che doveva essere
stata
svezzata da politica e propaganda, al punto da far entrare quel credo
come parte fondamentale della sua vita. Ma sembrava spensierata in
fin dei conti, una ragazzina della sua generazione, frutto del
retaggio di un mondo stanco, dove la lotta alle disuguaglianze era
sorta col pretesto dei soulmate per poi abbattere una monarchia
incapace di stare al passo coi tempi.
Ma, forse perché più maturo,
forse perché aveva visto tante ribellioni e ingiustizie,
Naruto non
credeva nella perfezione di alcun sistema. Credeva solo ci fossero
momenti storici migliori e quello era uno di questi.
“Capisco”
si limitò a dire.
Si salutarono, una volta
attraversata la strada, andando dalle parti opposte. Per un attimo
Naruto si chiese come sarebbe stata la sua vita, se anche lui e
Sasuke, come Sakura, non fossero stati parte di quelle variazioni
genetiche scoperte nell’ultimo decennio. Magari quella
bambina,
così vicina all’essenza soulmate che aveva anche
Sasuke, avrebbe
potuto essere la loro e Naruto per contro, da quella rivelazione di
dodici anni fa, non avrebbe più rivisto Sasuke,
né Cerbero, che nel
frattempo era diventato un cagnetto vecchietto ma arzillo, perdendo
anche la sua casa e tutta la sua vita per come la conosceva.
Sorrise, fischiettando,
avvertendo il petto colmarsi d’amore e della sensazione
impagabile
di essere stato fortunato – nato al momento giusto, nel posto
giusto, con i geni come era necessario che fossero – la loro
vita
era quella, assieme, e avevano davvero lottato per averla.
In
fondo senza
una rivoluzione, che fosse la loro, del FLA, di altri uomini, donne,
esseri umani che si amavano, si
odiavano, si cercavano e allontanavano,
non poteva esservi pace.
E lui adesso
era
pace,
così come un tempo era stato guerra, vincitore
di un conflitto che l’aveva portato a realizzare il
valore di ciò che stava perdendo.
Sproloqui di una zucca
E anche questa storia si
è conclusa! Ci sarebbe tanto da dire, perché per
quanto semplice anch'essa come trama in realtà è
stata piuttosto complessa a livello di sentimenti dei protagonisti - e
non solo. Ho cercato di renderli credibili, umani, nelle loro reazioni
così come negli esiti di queste ultime. Entrambi si trovano
ad affrontare una crisi profonda nonostante l'amore che li lega e
immagino che nessuno, nemmeno il più perfetto degli esseri
umani, saprebbe comportarsi in maniera perfettamente corretta.
Se fosse stata una long vera e propria avrei potuto dare più
spazio e approfondimento alla tematica di scelta di governo, i problemi
istituzionali e organizzativi di un sistema fallimentare, ma non mi
sembrava questo il caso. Inoltre allo stato attuale ho immaginato una
sorta di amnistia ricondotta agli arresti domiciliari per Madara, una
volta stabilizzato il nuovo governo, ma ipotizzo una serie di
processi non indifferenti, perché per quanto le lotte
fossero legittime, non lo è l'uso della violenza o di azioni
terroristiche.
Altro punto importante, il 'soulmate pretender' me lo sono inventata
io, però suppongo che non sia così implausibile
che negli anni si vengano a creare varianti genetiche e difetti; viene
da chiedersi a questo punto se Naruto e Sasuke stessero assieme spinti
già da quell'essenza soulmate ancora non svelata o per
'semplice' amore che - essendo anch'esso frutto della chimica - ha poi
portato alla variante che ha subito Sasuke.
In conclusione, spero che questo scritto vi sia piaciuto,
così come spero soprattutto che Angelica abbia gradito
questa versione di una soulmate!Au un po' diversa dal solito, pur
sempre però con due protagonisti a cui è molto
affezionata.
Grazie per aver letto e seguito fino a qui, ogni commento che ho
ricevuto mi ha dato una grande carica e un'immensa felicità!
Alla prossima :3
|