Il
ronzio delle macchine interrompeva il silenzio della stanza
d’ospedale.
Lo
sguardo di Erron Black si posò sul corpo di Jin, disteso sul
letto. Erano passati diversi giorni dalla sua missione omicida.
Lui,
però, non si risvegliava.
Le
mani del pistolero tremarono e un debole ringhio si spense contro la
sua maschera. Perché si preoccupava per quel giovane?
Era
un suo nemico. Non era lui.
Aquila
Rossa era morto tanto tempo fa.
Si
era spento tra le sue braccia, colpito da suo padre.
– E
tu gli somigli, ragazzino. – mormorò. Il volto di Jin,
così simile a quello di Aquila Rossa, aveva strappato all’oblio
del tempo ricordi dolorosi.
La
sua mente, di solito precisa come un proiettile, faticava a separare
i due uomini.
Sto
impazzendo., pensò. Aveva
creduto di avere vinto quelle memorie, con la fine di suo padre.
Ma
non era così.
E,
in quel momento, la sua mente si perdeva nei ricordi.
Gli
pareva quasi di sentire la braccia di Aquila Rossa, così forti,
stringergli la vita e il suo olezzo penetrante inebriare i suoi
sensi.
Un
debole sorriso sollevò le sue labbra. Malgrado le sue origini
miste, era dotato d’una forza ineguagliabile, superiore a
quella di molti mandriani bianchi.
Eppure,
oltre quella maschera, era celato un lato dolce, quasi sentimentale.
Amava
gli splendenti colori delle zinnie e li curava con devozione.
Fissò
ancora il corpo del monaco guerriero cinese. Chissà quali
erano le sue preferenze…
Conosceva
anche lui quei fiori dai colori così vivaci?
Un
lampo d’amara ironia riverberò nei suoi occhi cerulei.
Di nuovo, la sua mente era precipitata nella confusione e nello
sbandamento.
Confondeva
Kung Jin con Aquila Rossa.
Una
simile condizione era seccante e interferiva col suo lavoro di
sicario.
Ne
era ben cosciente, ma la situazione non cambiava e non comprendeva la
ragione.
Perché
il suo cuore gelido vibrava di nostalgia?
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