Alec
Alec
guardava la piccola Jane spostarsi nei lunghi, bui,
freddi corridoi del palazzo, con uno svolazzante mantello nero al
seguito.
Guardava in alto, dritto davanti a sé, lo sguardo fiero,
gelido, apatico,
superiore, forse un po’ immaturo, ma questo lo vedeva solo il
gemello. In tutti
quei secoli la parte matura di Jane non era riuscita a prendere il
sopravvento
sulla sua indole di bambina, seppur crudele ma sempre infantile,
rendendola una
piccola sadica immatura immortale. Non la si poteva guardare a lungo
negli
occhi cremisi, se non si voleva finire per terra agonizzanti. Solo Alec
godeva
di questo privilegio. Suo fratello era tutto per lei, non
c’era bisogno di Aro
per capirlo: era un fratello gemello, un migliore amico, un confidente,
forse
sostituiva persino i genitori grazie alla sua indole benevola nei suoi
confronti e alla sua maturità, superiore alla sorellina.
Chissà, forse se tutti
non la odiassero, avrebbe potuto anche lei saper amare.
L’unico che la
amasse sinceramente, d’amore fraterno e
disinteressato era Alec. Il resto della guardia la rispettava solo per
il suo
potere micidiale.
Ora
il suo cuore sembrava scolpito nel ghiaccio, la crudeltà
segnava profondamente
il suo carattere, la tortura era la sua nuova compagna. Magari se fosse
stata
più amata non sarebbe stata così insensibile, e
avrebbe potuto ammorbidire un po’ il suo carattere,
levigandone i tratti più irti e spigolosi.
Invece dagli altri percepiva solo timore, paura non amore.
Avrebbe
dato davvero qualsiasi cosa per vederla felice.
Anche se, forse, quando sei solo
usata per scopi di tortura per tanti anni, felice
non è proprio una parola abituale nel tuo vocabolario.
Alec
continuava a osservare la sorella, che gli venne
incontro e lo abbracciò, per poi sparire dietro i massici
portoni dorati come
un fantasma.
Un angelo nero.
Ecco in cosa l’avevano trasformata.
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