Lena ed Aine

di E_AsiuL
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5 – Angels Fall First
Needed elsewhere
To remind us of the shortness of our time
Tears laid for them
Tears of love
Tears of fear
Bury my dreams
Dig up my sorrows
Oh, Lord, why the angels fall first?
(Nightwish – Angels Fall First)
 

Il ritorno di Lord Blake dal suo viaggio d’affari fu salutato da una tiepida giornata di sole, dopo vari giorni in cui la pioggia non aveva smesso di cadere. Stephen aiutò il suo padrone a smontare dalla carrozza e, insieme a qualche altro domestico, si incaricò del trasporto dei bagagli, mentre Lord Blake si dirigeva verso l’ingresso del palazzo, dove, ad aspettarlo, trovò moglie e figli.

Lyv era un passo dietro i bambini, tirati a lucido e con i loro vestiti migliori. Mentre si fermava di fronte a lei e ai bambini, gli occhi gelidi di Lord Blake si fermarono per un attimo in quelli della moglie. Lyv non poté trattenere un brivido. Qualcosa sarebbe andato storto, molto storto, di lì a poco.
 

Ancora si chiedeva cosa le fosse venuto in mente. Come poteva essere stata tanto sciocca, sconsiderata. Sette anni prima, quando aveva dovuto sposare Lord Blake, si era ripromessa di crescere. Evidentemente, era rimasta una ragazzina che né il matrimonio né la maternità avevano fatto maturare.

Perché le persone adulte non fanno sciocchezze. Non mettono a rischio sé stesse e i loro figli, concludendo visite a tarda sera, rifiutando di essere riaccompagnate.

Ed era per questo, ora, che camminava velocemente, trascinandosi dietro la figlia. In ogni ombra, si poteva nascondere un aggressore. In ogni scricchiolio, un inseguitore. Lyv e sua figlia erano sole per strada, quasi a casa, ma non ancora al sicuro.

E fu allora che Lyv li sentì ridere. I passi che aveva immaginato si rivelarono reali. Col cuore che le martellava nel petto, accelerò il passò, quasi trascinando la bambina.
«Dove correte, bella signora?», chiese una prima voce. Lyv non si disturbò a rispondere, ma, anzi, continuò dritto per la sua strada, ripetendosi che presto sarebbero arrivate e sarebbero state al sicuro.

«Restate a farci compagnia!» proseguì una seconda voce. I passi erano sempre più vicini. Non osava voltarsi, ma era quasi certa fossero in tre.

«Mamma, non ce la faccio!», protestò la bambina, incapacitata a correre ancora. I passi della donna erano troppo lunghi perché le gambe della bambina potessero eguagliarli. Se solo sua madre l’avesse presa in braccio…

«Zitta e cammina. Siamo quasi a casa». Mai era stata tanto brusca con lei, ma era necessario. Dovevano sbrigarsi, arrivare a casa, al sicuro.

Peccato che, a casa, Lyv non sarebbe mai tornata.

Una mano pesante le afferrò una spalla, strattonandola all’indietro, facendole perdere l’equilibrio. Perse la presa sulla mano di sua figlia e si ritrovò a combattere per non cadere.

«Vi avevo detto di restare a farci compagnia, Lady Blake», riprese la voce che aveva parlato poco prima. Lyv sentì il sangue farsi ghiaccio nelle vene. Sapevano chi era.

«Cosa volete da me?» cominciò Lyv, zittita da uno schiaffo di un terzo uomo.

«Zitta, bella signora. Non abbiamo tempo da perdere», continuò questi. Nella scarsa luce della luna, Lyv riusciva a stento a distinguere le tre figure, che avevano avuto cura di camuffarsi con dei mantelli. «Dobbiamo sbrigarci, ma questo non vuol dire che non possiamo divertirci un po’». Lyv sentì lo stomaco contrarsi alla prospettiva di cosa sarebbe potuto accadere di lì a poco, e iniziò a pregare per la salvezza di sua figlia. L’uomo la sollevò di peso, facendole sbattere violentemente la schiena contro il muro dell’abitazione che costeggiavano. Lyv si sforzò di non emettere un fiato, sperando che, se li avesse assecondati, avrebbero lasciato andare sia lei che la bambina. O almeno la bambina.

«Lasciate andare la bambina, farò ciò che vorrete… non fatele del male!» implorò, mentre l’uomo iniziava la sua esplorazione sotto il vestito.

«Non abbiamo nessuna intenzione di torcere un capello a questa bella bambina, vero ragazzi?» la derise, voltandosi verso i suoi compari: uno era a guardia del vicolo in cui si erano spostati, l’altro teneva saldamente la bambina, una mano sulla bocca per impedirle di urlare.

«Certo, abbiamo ricevuto precise istruzioni al riguardo», disse quest’ultimo. «La piccolina non si tocca», rise di nuovo, in maniera più sguaiata.

Lyv sospirò mentalmente di sollievo, almeno Lena sarebbe tornata a casa. Perché lei già sapeva che, dal vicolo in cui le avevano trascinate, non sarebbe uscita con le sue gambe. Si rassegnò, sapendo che non avrebbe avuto alcuna speranza nemmeno di tentare di difendersi, e lasciò che l’uomo iniziasse ad approfittarsi di lei, davanti agli occhi di sua figlia, spettatrice privilegiata del massacro di sua madre.

Nel tempo che aveva trascorso in strada a vendere il proprio corpo, Lyv aveva sopportato ogni genere di uomo, persino quelli estremamente violenti, che non potevano trovare soddisfazione fra le mura domestiche con le proprie mogli, e che, quindi, speravano di trovare un giusto rimedio alle loro frustrazioni con ciò che la strada aveva loro da offrire. Ma quello che le stava toccando quella notte, per Lyv, era molto peggio. E non era il dolore per la stretta dell’uomo intorno alle sue gambe, o la sua irruenza. E non erano le vesti lacerate dal secondo uomo, quello che era stato messo a guardia e che, ora, si era scambiato di posto col suo compare. E nemmeno la punta del coltello del terzo, quello che all’inizio teneva a bada la bambina. Erano gli occhi sgranati di sua figlia, costretta a stare a guardare. Erano le sue guance rigate di lacrime di terrore. Era il suo silenzio. Il silenzio assordate di una bambina, in un vicolo buio, costretta a guardare sua madre posseduta violentemente da degli sconosciuti. Era il silenzio di una bambina la cui voce le era morta in gola, e che non riusciva a trovare una via di fuga dalla sua piccola prigione, nemmeno nel momento in cui, soddisfatti del proprio operato, due dei tre uomini tenevano ferma sua madre per pugnalarla. L’unica via di fuga della piccola voce furono dei singhiozzi, appena percepibili, piccole spalle che tremavano nel momento in cui il corsetto si tingeva di borgogna e gli occhi di sua madre diventavano opachi.

La bambina fu bruscamente lasciata andare dall’uomo che la tratteneva, ma non si mosse, restò immobile, ad osservare la vita di sua madre scivolare via lentamente, mentre la macchia sul suo petto si allargava. Un passo, poi un altro, e un altro ancora, sempre più vicino ai resti della donna che l’aveva messa al mondo. Sempre più vicina agli uomini che le avevano portato via sua madre.

«Corri, scappa, ragazzina. Va’ a dire a tutti che la donna è morta», la esortò quello più vicino. Ma lei non scappò, non corse via. Si limitò ad aspettare che i tre si allontanassero, poi si accasciò accanto al cadavere di sua madre, in attesa di nemmeno sapeva cosa.

 
Il silenzio era diventato l’unico compagno della bambina. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando i tre uomini si erano allontanati e sua madre aveva definitivamente smesso di respirare. Lei era rimasta lì, immobile, accanto a ciò che restava della donna, sperando forse che, riaprendo gli occhi ogni volta, tutto si rivelasse per ciò che era: soltanto un incubo.

Restò immobile, ad occhi sgranati, anche quando i domestici di Lord Blake, allertati dal loro padrone e inviati in cerca della loro padrona, le trovarono.

Restò immobile anche mentre Agatha si occupava di lei.

Restò immobile anche mentre Lord Blake informava aspramente quanti di casa non avessero ancora saputo della morte di Lady Blake.

Restò immobile anche quando suo fratello cominciò a piangere, in cerca di una madre che non sarebbe mai tornata.

Restò immobile, finché qualcuno bussò alla porta della sua stanza. Scivolò fuori dal letto e andò ad aprire la porta, trovandosi davanti suo fratello, le guance rotonde che portavano ancora i segni del pianto.

Non aveva mai dimostrato particolare amore nei confronti di Chris, facendogli ogni genere di dispetto possibile che non le facesse guadagnare una punizione esemplare da parte di suo padre, ma, da quella notte, le cose iniziarono a cambiare.

Quella notte, Lena si rese conto che Chris era tutto quello che realmente aveva. E, per la prima volta da quando il cuore di sua madre si era fermato, si concesse di piangere, tenendo stretto suo fratello sotto le coperte.

«Lena…» bisbigliò appena Chris. Buffo pensare che era stato proprio lui a coniare quel diminutivo, avendo difficoltà a pronunciare Magdalena. «Ho paura».

«Non devi», rispose lei, sottovoce. «Ci sono io», continuò, accarezzandogli i capelli.

«Pometti che resti sempre con me?» le chiese, tirando su col naso.

«Te lo giuro, Chris. Resterò sempre con te», lo rassicurò. Solo allora lui si addormentò.
 

A/N: e rieccomi! Scusate l'assenza, spero di tornare presto con il prossimo. Me la lasciate una recensione? (Anche solo per dirmi di ritirarmi, eh)
Alla prossima!

 




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