Per
alcuni istanti, Tisbe rimase immobile nella grotta, gli occhi
sbarrati e il cuore palpitante contro le costole. Per fortuna, era
riuscita a fuggire alla leonessa.
Non
ne udiva più i ruggiti cupi e minacciosi.
Cauta,
si alzò e, a passo lento, tremante, uscì dalla caverna.
La leonessa non era interessata a lei, eppure non riusciva a calmare
l’angoscia.
Se
fosse ritornata?
Posò
una mano sul petto e cercò di placare il martellio furioso del
suo cuore. No, quell’animale feroce si era già nutrito.
Il
sangue sul suo muso era un segno del pasto appena consumato.
La
sua paura aveva individuato un pericolo fallace.
– Devo
tornare indietro. – mormorò. Il suo amato Piramo la
stava aspettando, sotto il gelso cresciuto sulla tomba del re Nino.
E,
se non l’avesse veduta, avrebbe potuto preoccuparsi e cadere
nel medesimo errore.
Alzò
la testa e fissò il cielo. Per fortuna, la luna era piena e la
sua luce argentea rischiarava l’intero paesaggio, immerso nella
pace della notte.
Si
passò le mani tra i lunghi e scarmigliati capelli castani, poi
iniziò il suo cammino.
Ad
ogni passo, il suo cuore si riempiva di speranza. Il pericolo era
lontano.
Ella
e Piramo, soli, potevano godersi quel poco tempo strappato
all’oppressiva vigilanza dei loro genitori.
Non
dovevano simulare un’indifferenza ben lontana dai loro cuori.
In
quei pochi, rari momenti sognavano un matrimonio incomprensibilmente
inviso alle loro famiglie.
La
notte, gentile, custodiva come un tesoro i loro sogni e le loro
promesse d’amore.
Il
suo cammino si concluse davanti ad un ampio gelso, i rami fronzuti
carichi di foglie e gelsi rossi.
Tisbe
lo fissò, interdetta. Poche ore prima, i frutti dell’albero
erano bianchi.
Eppure,
in quel momento, si erano arrossati.
Che
cosa era successo? Perché gli dei avevano compiuto un simile
atto?
E
Piramo dove era? Perché non era lì?
Gli
era accaduto qualcosa? La stava cercando? Si era ammalato?
Rimase
ferma, gli occhi sbarrati. No, se gli dei lo avessero colpito con
qualche morbo, glielo avrebbe comunicato.
A
lei Piramo aveva schiuso i misteri del suo animo limpido.
E
a lui Tisbe aveva rivelato la sua anima.
Nonostante
la loro situazione, si erano ripromessi d’essere sinceri e di
non cadere nella rete delle menzogne.
Un
gemito di dolore, ad un tratto, attirò la sua attenzione e la
ragazza abbassò la testa.
–
Piramo!
–
Il
volto della giovane sbiancò e i suoi occhi ambrati si velarono
d’angoscia. Il suo amato giaceva sul terreno, agonizzante, e il
suo petto era dilaniato da una grave ferita, da cui sgorgava sangue,
che si allargava in una macchia vermiglia circolare sempre più
ampia.
Nella
mano sinistra, il giovane stringeva un corto pugnale e, a poca
distanza da lui, giaceva un velo sbrindellato, rosso di sangue.
Tremante,
ella si inginocchiò, gli cinse le spalle con un braccio e gli
sollevò il busto. Tutto, in quel momento, era chiaro ai suoi
occhi.
Piramo
era giunto poco dopo la sua fuga e aveva creduto che ella fosse
morta, uccisa da un animale predatore.
Straziato
dal dolore, aveva deciso di porre termine alla sua vita.
Gli
accarezzò i ricci biondi e le sue labbra si posarono sulla
fronte di lui. Poteva sentire il gelo di quel corpo straziato…
Presto,
si sarebbe spento tra le sue braccia.
Ad
un tratto, Piramo aprì gli occhi grigi, velati dalla morte, e
li fissò su di lei.
– La
morte ha un bel volto… E io sono pronto. – mormorò,
un sorriso sulle labbra sottili, livide di morte.
Poi,
il suo corpo si rilassò nella quiete eterna.
Tisbe,
a stento, frenò un singulto. In quell’estremo, doloroso
sussulto di vita, il suo amato aveva veduto in lei una divinità
infera.
Il
dolore gli aveva impedito di riconoscerla, ma non aveva annientato i
suoi sentimenti per lei.
Con
premura, riappoggiò il cadavere di lui sul terreno e prese il
pugnale. Quell’arma le avrebbe dato la libertà.
Nell’Ade
non sarebbero stati costretti ad una finzione estenuante e a rubare
al tempo pochi, preziosi momenti di felicità.
– O
albero, che tante nostre promesse hai ascoltato, mantieni nei tuoi
frutti il ricordo di quanto è accaduto questa notte. –
sussurrò Tisbe.
Poi,
alzò la testa e fissò l’astro notturno.
– O
dea… Allontana la durezza dalle nostre famiglie e consenti ai
nostri corpi di riposare in un unico sepolcro. – pregò
ancora. La dea Selene avrebbe accolto la sua umile preghiera, ne era
sicura.
La
vita aveva separato lei e Piramo, la morte li avrebbe uniti.
Lanciò
un fuggevole sguardo al volto del suo amato, privo di vita, poi volse
il pugnale verso se stessa e lo immerse nel suo petto.
Il
sangue sgorgò, invermigliando la bianca veste di lei, e la
giovane cadde accanto al corpo di Piramo.
– Ti
amo… Ora nessuno ci separerà… – sussurrò.
Finalmente, si sentiva leggera.
Il
suo animo era libero dall’angoscia di una esistenza simulata.
Poco
dopo, le forze l’abbandonarono e la sua anima precipitò
nell’Ade.
P.S:
mai avrei pensato di scrivere una storia sui miti greci e romani. Non
so cosa mi sia preso, ho pensato a come si fosse sentita Tisbe in
quel racconto e mi è venuta in mente questa breve storia.
Come
cambiano le cose, dato che per me questi racconti non potevano essere
oggetto di storia amatoriale. E io l’ho fatto.
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