Promessa

di SkyDream
(/viewuser.php?uid=423935)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Attenzione: Forse la storia più romantica e stucchevole mai scritta su questo fandom. Io vi sto avvertendo, non pago parcelle per le carie ai denti!
A tutti i coraggiosi che proseguiranno, buona fortuna e buona lettura! <3

 
Dedicata a stefagora e musa07 

~ Promessa ~
[BokuAka]


«Buongiorno!».
Akaashi si accoccolò meglio sotto le coperte tiepide, nonostante la sveglia avesse suonato ben due volte, ma non aveva proprio voglia di alzarsi quella mattina.
Non che si sentisse male o fosse demotivato - il nuovo ruolo in editoria era parecchio appagante -, ma sentiva il puro desiderio di concedersi dei momenti di tenerezza con il suo ragazzo sotto quelle coperte.
Allungò un braccio per potersi ancorare a quel bicipite sicuro che tanto amava, già pregustava una colazione a base di coccole e baci spinti.
Lo yogurt alla frutta avrebbe potuto mangiarlo in ufficio o, poco importava, direttamente durante la pausa delle undici.
Un piano allettante che lo fece capitolare nel vuoto più profondo quando il bicipite non fu pervenuto.
«Taro? Ehi?» Aprì un occhio e scoprì, con immenso dolore, che il suo ragazzo non era al suo fianco.
Controllò l’orologio, erano appena le sette e quella mattina gli allenamenti sarebbero cominciati alle nove. Era troppo presto per poter essere uscito.
«Taro? Sei in casa? Ehi?» Akaashi corrugò la fronte insospettito e scivolò fuori dalle coperte - controvoglia - per poter infilare la prima felpa capitata - probabilmente nemmeno sua - e avviarsi in cucina.
Il sole la illuminava per buona parte, la tavola era già apparecchiata ma le tazze erano ancora vuote e la frutta a pezzetti non sembrava essere stata toccata.
Akaashi si scompigliò i capelli con aria confusa, poi i suoi occhi si spostarono sul divano dell’open space.
Taro era seduto lì e fissava il muro. Immobile.
«Sei svenuto?» chiese Akaashi avvicinandosi e passandogli una mano davanti al volto. Bokuto parve accorgersi di lui solo in quel momento.
«Buongiorno, amore!» esclamò con un sorrisone prima di tornare all’espressione seria con cui sembrava fissare l’intonaco chiaro.
«E’ tutto a posto? Che ci fai qua?» Akaashi afferrò il puff accanto al divano e si posizionò proprio davanti a lui. Bokuto abbassò gli occhi e notò che il suo ragazzo non aveva nemmeno indossato i calzini.
Spostò i piedi sotto i suoi per evitare che poggiassero sul pavimento freddo, non voleva proprio farlo ammalare!
«Stanotte non riuscivo a dormire. E’ sempre bello rimanere a guardarti quando sei addormentato, ma ho un problema che non riesce a farmi stare tranquillo.» confessò allora senza alzare gli occhi, si portò una mano alla nuca e la grattò leggermente.
«Potevi svegliarmi e avremmo risolto tutto, come sempre! Si può sapere cosa succede?» Akaashi non riuscì ad evitare il suo solito tono preoccupato, capitava spesso di dover consolare Bokuto ma era raro che non gli parlasse subito e in modo chiaro dei suoi problemi.
Non era da lui utilizzare mezzi termini o tergiversare.
«Non volevo farti preoccupare, e poi ne ho già parlato con Kuroo e con Tsum Tsum».
«E ti hanno aiutato?».
«Mi hanno detto che è un problema stupido e che dovrei preoccuparmi meno».
Akaashi portò la testa di lato con espressione confusa. Allungò le sue mani sulle ginocchia dell’altro per far sentire la sua vicinanza.
Cosa diamine lo stava affliggendo?
«Vedi, Keiji, io non voglio sembrarti strano.» Bokuto sollevò finalmente gli occhi e incontrò quelli verdi e lucidi del suo ragazzo. Lo guardavano con una tenerezza infinita.
Akaashi non ci impiegò molto, si sollevò in piedi fino a raggiungere il suo viso e lo baciò a fior di labbra. Gli catturò le guance con le mani e lo strinse a sé come se ne andasse della loro vita.
«Tu non potrai mai sembrarmi strano, hai capito?» Cercò di dirglielo senza perdere le staffe e tentare di strangolarlo perché:
A - Non gli aveva ancora detto cosa non andava;
B - Di certo non avrebbe accettato di passare tutta la sua vita con lui se non avesse amato ogni sua stranezza;
Bokuto spalancò quei grandi occhi da gufo che lo avevano sempre distinto e si sciolse in un sorriso caldo mentre si portava Akaashi sulle ginocchia.
«Ora mi dici cosa succede una volta per tutte?».
Bokuto prese un bel respiro.
«Ogni volta che devo allenarmi o che devo giocare mi tocca togliere la nostra fede. Lo so che questo anello non significa niente di ufficiale visto che non possiamo sposarci, ma è comunque la nostra promessa e non mi va di toglierla solo per non farmi male, ma schiacciare o murare con un anello al dito è davvero doloroso!».
Ecco, aveva vuotato il sacco. Ora aspettava solo di sentire il suo ragazzo ridere.
«E quindi?» chiese invece senza riuscire a capire il nocciolo della questione.
«Mi fa male dover togliere la fede per tutte quelle ore. Mi sento come se venissi meno alla nostra promessa».
Akaashi sorrise, non perché trovasse divertente la genuinità e la purezza di quel ragazzo che gli aveva promesso “per sempre”, ma perché lo colpiva ogni volta.
Ogni volta se ne innamorava.
«Se ti fa male, bisogna trovare una soluzione, hai ragione.» Gli disse scompigliando i capelli chiari del suo compagno e alzandosi. Il momento delle coccole era giunto al termine - più che altro perché l’orologio non si era affatto fermato e lui aveva un’editoria che lo aspettava.
Bokuto lo guardò con gli occhi colmi di meraviglia e amore. Una sensazione di calore gli investì il petto spingendolo ad alzarsi a sua volta, ma solo per circondare il corpo del suo ragazzo con il proprio.
«Grazie, Keiji!».
L’abbracciò durò poco, ma fu tale la sua intensità che entrambi, per tutta la mattinata, sentirono sul proprio corpo l’ombra delle mani dell’altro.
 
Akaashi, qualche mese prima, si era fatto guidare dal suo ragazzo fino al Meiji Shrine, il meraviglioso tempio scintoista dove amavano fare passeggiate la domenica.
Gli alberi erano ancora colmi di tenere foglie verdi e proiettavano lunghe ombre sul percorso che dal Torii all’ingresso portava al giardino centrale con il grande tempio colorato.
Non era raro che i due trovassero qualche cerimonia scintoista incominciata, così a volte si sedevano sugli scalini del complesso laterale e rimanevano ad ammirare le lunghe vesti tradizionali e i gesti dei rituali sacri.
Akaashi, per quanto non fosse un fervente religioso, apprezzava molto le tradizioni e rimaneva sempre colpito da quella spiritualità.
Così, quella domenica pomeriggio di settembre, pensava che il suo ragazzo volesse fare due passi e prendere una boccata d’aria fresca.
Non poteva certo immaginare quello che sarebbe successo.
Bokuto, infatti, nel panico più totale, aveva cominciato ad avere le mani sudate. Tanto da doverle infilare nella tasca della felpa.
Alquanto insolito da parte sua, abituato a rimanere ancorato alle dita del suo ragazzo perfino nei momenti meno opportuni.
Akaashi, per quanto insospettito, lo aveva lasciato fare e lo aveva seguito fino agli scalini laterali del tempio. Non quelli anteriori, bensì quelli sul retro.
Bokuto si era seduto, o meglio, si era catapultato sui poveri gradini e sembrava essersi rannicchiato in un angolo.
Quello più buio e lontano dal suo ragazzo.
«Taro, va tutto bene?» Aveva allora chiesto Akaashi in evidente confusione. Che stava combinando?!
Bokuto annuì con veemenza - pure troppa - finendo per dare una testata alla parete alle sue spalle.
Dall’altro lato delle assi di legno, qualche divinità lo aveva probabilmente appena preso di mira.
«De-devo parlarti. Devo parlarti, Keiji.» Aveva poi balbettato facendo smorfie strane con la faccia.
Akaashi cominciò a preoccuparsi seriamente per la salute del suo ragazzo. Era parecchio irrequieto dalla sera prima, che avesse qualche brutta notizia in serbo?
Sudò.
«Di cosa, Taro?».
«Di te».
Bokuto si bloccò, deglutì e chiuse gli occhi inspirando profondamente dal naso. Si trattenne dal piegare troppo il capo per evitare di disturbare nuovamente qualche divinità a suon di testate.
Akaashi era rimasto immobile, congelato nel suo terrore più grande.
Bokuto voleva mollarlo.
Ecco spiegato il motivo per cui da alcuni giorni era sempre da Kuroo, ecco perché usciva senza dirgli dove andava e perché era così distaccato e nervoso.
E, soprattutto, ecco perché non gli aveva tenuto la mano come faceva sempre.
Sentì gli occhi pizzicare e non riuscì ad evitare di mordersi il labbro inferiore.
Perché?
D’altronde sembrava andare tutto a gonfie vele tra loro due, certo gli orari non coincidevano sempre e qualche volta lui finiva per addormentarsi prima del suo ragazzo, ma non era mai stato un gran problema.
Akaashi non riuscì a frenare un singhiozzo che sfuggì dalla sua gola. Si voltò dal lato opposto, non riusciva a guardare Bokuto negli occhi.
Cosa ne sarebbe stata della sua vita? Avrebbe dovuto cercare una nuova casa?
No, non avrebbe di certo rinunciato al suo Koutaro con così tanta facilità.
«Ehi, ma piangi ancora prima che te lo chieda?».
Bokuto si avvicinò a lui, seriamente preoccupato, e si sedette al suo fianco.
Akaashi aveva le spalle scosse dai singhiozzi.
«Se proprio devi, almeno dillo velocemente.» disse l’ex setter cominciando a torturarsi le mani. Doveva realizzarlo per poter riflettere lucidamente.
«Velocemente?».
«Velocemente. Ti prego».
Bokuto lo guardò preoccupato ma non fece altre domande. Eseguì gli ordini.
«AkaashiKeijiVuoiSposarmi?» Urlò portando le mani fuori dalle tasche e uscendo un piccolo cofanetto in velluto.
Più che una proposta, sembrava il tentativo di imitare una Genkidama, e d’altronde Kuroo lo aveva previsto.
Seguì un minuto intero di silenzio.
Akaashi si voltò lentamente con gli occhi ancora arrossati ma sgranati per la sorpresa.
Bokuto, dal canto suo, li aveva chiusi ed era rimasto immobile col cofanetto aperto e steso davanti la faccia del suo compagno.
«Cosa?».
«Cosa?».
Entrambi si guardarono uno più confuso dell’altro. Fu Akaashi il primo a scoppiare a ridere.
«Ehi, perché stai ridendo? La trovi una cosa stupida?» chiese Bokuto riportando il cofanetto sulle proprie ginocchia. Akaashi si stava asciugando le lacrime, non seppe mai se fossero di tristezza o felicità.
«La trovo una cosa meravigliosa, Taro. E io che pensavo stessi per lasciarmi!» Gli confidò senza smettere di ridere. La faccia confusa del suo ragazzo, poi, era davvero esilarante.
«Non ti lascerei mai, Keiji! Anzi, volevo proporti di rimanere con me per sempre».
Gli occhi di Bokuto si abbassarono sulle loro mani che cominciavano ad intrecciarsi. Akaashi aveva smesso di ridere ma non aveva abbandonato il suo sorriso caldo.
«Per sempre.» esclamò per poi congiungere le loro labbra. Riuscì a sentire, sul suo viso, il sorriso del suo ragazzo che si allargava.
«Quindi era un sì, vero?» chiese lo schiacciatore per conferma. L’altro annuì.
«Ci sposeremo e rimarremo per sempre insieme, è una promessa!».
«Solo che qui non possiamo sposarci. Però io ti prometto che rimarrò per sempre con te e che appena potrò ti porterò in un altro posto e ti sposerò!».
Akaashi finalmente riconobbe il sorriso fiero e il mento in alto del suo ragazzo. Bokuto brillava dalla gioia e dalla sicurezza di quella promessa.
Gli aveva infilato la fede al dito e lo aveva portato contro di sé nell’ennesimo bacio rubato.
 
Nonostante fosse passato del tempo da quella proposta, Akaashi si scopriva a sorridere ogni volta che il suo sguardo cadeva sulla fede che aveva al dito.
In ufficio non erano mancate le domande e i pettegolezzi, ma non era stato un problema per lui. Mostrava sempre con orgoglio il suo ragazzo, soprattutto se alla radio passavano i risultati delle ultime partite.
Allora sorrideva quando sentiva delle vittorie dei Black Jackals e qualcuno, senza alcuna nota di malizia, cominciava ad esclamare “Ehi, ragazzi, il marito di Akaashi mi sa che ha vinto di nuovo”.
Sì, le prime volte era arrossito, ma ormai si era abituato. Ne era davvero contento.
Proprio perché capiva l’importanza di quel piccolo cerchietto dorato al dito, riusciva a comprendere le emozioni di Bokuto.
Lui voleva mostrarla sempre, voleva urlare al mondo anche durante le partite quanto fosse innamorato.
Solo che non aveva pensato alla soluzione più semplice.
Quello stesso pomeriggio, qualche minuto prima della partita, Akaashi si ritrovò a correre tra le strade di Tokyo.
Ok, non si trattava di una partita dei nazionali, tantomeno delle Olimpiadi, ma Bokuto ci teneva - come sempre - e meritava assolutamente quel piccolo regalo prima del fischio d’inizio.
Akaashi entrò dentro il palazzetto, ringraziò le sue gambe per aver mantenuto la stessa tonicità e velocità dei tempi del liceo, e si diresse velocemente dentro gli spogliatoi, alla ricerca del borsone del suo ragazzo.
Lo riconobbe subito - chi altro avrebbe appeso un peluche a forma di gufo ad un borsone?! - e non ci mise molto a trovare la piccola fede che aveva nascosto dentro una tasca interna.
La afferrò e raggiunse Bokuto ai bordi del campo.
 
L’allenatore della Black Jackals si allontanò dalla panchina da cui stava seguendo il riscaldamento dei suoi ragazzi e lo raggiunse a metà strada. Aveva il volto preoccupato.
«Akaashi, è successo qualcosa?».
Effettivamente era abbastanza raro vedere Akaashi intrufolarsi sul campo da gioco, solitamente arrivava sempre tra i primi - quando il lavoro lo permetteva - e si metteva sulla prima fila tra gli spalti senza interferire minimamente. Se non con qualche sorriso di incoraggiamento che non era mai sfuggito a nessuno dei pallavolisti.
«Devo dare una cosa a Bokuto, gli serve per la partita!» esclamò stringendo il suo piccolo regalo al petto e rivolgendo lo sguardo al suo fidanzato che, essendo di spalle, non si era ancora accorto della sua presenza. Notò però, con una piccola nota di piacere, che lo stava cercando tra le file del pubblico.
«Te lo chiamo subito, però fate velocemente, la partita sta per cominciare».
Per tutta risposta, Akaashi lo ringraziò con un inchino e aspettò di vedere l’espressione sorpresa e - forse - un po’ preoccupata del suo ragazzo.
Bokuto gli si avvicinò in un paio di falcate e lo salutò con un bacio appena accennato, con gli occhi chiedeva cosa fosse successo.
Akaashi aprì la mano e mostrò il contenuto accompagnando il tutto con un “Tadaan!” appena sussurrato. Bokuto non sembrò capire al volo.
Il più piccolo prese la catenella con l’anello che aveva tra le dita e la portò attorno al collo del suo ragazzo, chiudendola con un gancio dietro alla nuca.
«So che non è come averlo al dito, ma almeno resterà sempre con te. No?».
Bokuto rimase a guardare quel prezioso oggetto che pendeva e splendeva sul suo torace. Avrebbe potuto tenerlo sempre con sé, anche durante le partite.
Mai e poi mai si sarebbe allontanato da quella promessa.
«Sapevo di poter contare su di te, Keiji».
Gli occhi di Bokuto furono la risposta e la soddisfazione più grande che Akaashi avesse mai ricevuto. Scambiarsi un ultimo fugace bacio fu quasi d’obbligo, mentre l’arbitro dava il fischio per invitarli a mettersi in fila.
 
Nessuno capì mai perché Bokuto sembrasse splendere in quella partita, non riuscirono a comprendere quale forza oscura lo avesse posseduto regalandogli un’energia ancor più forte e frizzante di quella che già lo caratterizzava.
Come se poi fosse complicato capire che questa è la forza di cui è capace l’amore.


Note dell'autrice: Salve, eccovi un'altra storia che è stata a fermentare sul pc per non so quanto tempo! Scherzi a parte, sono contentissima di aver trovato un momento per pubblicarla, spero dopo mercoledì di essere un pelo più libera e potermi dedicare nuovamente alla scrittura.
Mi manca un sacco!

Per chi non lo sapesse e fosse interessato, ho aperto un profilo fake su facebook, mi chiamo SkyDream Efp (non potete sbagliare, ho la stessa immagine che ho come avatar qui su efp). Se vi va di scambiare quattro chiacchiere, siete liberissimi di cercarmi! Ovviamente vi chiedo, nel caso in cui abbiate il profilo real, di mandarmi un messaggino con il nome che avete qui su Efp, in modo da capire con chi sto parlando :'D

Un bacio a tutti! <3




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3963932