Appena
udì il rumore del bastone
di Delgado, Balthazar sollevò gli occhi dallo schermo e
sorrise al buon amico,
mani sui fianchi, indossando la sua solita maschera di
solarità e
spensieratezza.
“Capitano
Delgado, cosa posso fare per voi in questa bella giornata?”
Lo accolse
indicandogli la sedia con un rapido movimento del capo, gesto semplice
che Jérôme accolse con piacere. Stringendo i denti, occhi
socchiusi, con un sospiro di sollievo si lasciò cadere sulla
poltrona,
massaggiandosi senza vergogna la gambe destra: dopo il tentativo di
omicidio da
parte di Maya, alcuni tessuti nervosi erano stati lesionati, e ora,
oltra al
lavoro d’ufficio, giunto nella forma di un avanzamento di
grado e di stipendio,
si trovava costretto sempre più spesso a ricorrere al
bastone per camminare,
anche solo per brevi tratti, triste prova che presto o tardi anche il
lavoro
dietro ad una scrivania sarebbe diventato troppo per lui.
Mentre
Jérôme
sospirava, gli occhi bassi su quell’arto pressoché
inutile, senza tuttavia
piangersi addosso, conscio che altri avevano incontrato me ire della
bella Maya
e fatto fini ben peggiori di lui, il medico legale si mise a cercare
tra una
fila di pratiche e cartelle gialle alte mezzo
metro, tutte accatastate sulla scrivania e su un paio di
sedie in maniera
disordinata – anche in quello, lo scienziato di mostrava di
essere vecchio
stile, preferendo un sistema che amava definire analogico al digitale.
“Balthazar…” il
poliziotto iniziò, un po’
incerto, fermato prima che potesse proseguire con quella che il medico
legale
temeva sarebbe stata una filippica sulle pressioni ricevute
dall’alto per
chiudere in fretta il caso ed assicurare un colpevole, poco importava a
certi
soggetti se fosse colpevole o meno, ala giustizia, per acquietare gli
animi
della popolazione di Parigi.
“Temo di non avere ancora tutti i
risultati dell’autopsia
del signor Watterlot, posso tuttavia darle alcuni risultati preliminari
e…”
“Balthazar…”
Delgado batté una mano sulla
scrivania con forza, attirando finalmente l’attenzione del
medico legale che, schiarendosi
la gola, si ricompose, dritto e con le braccia incrociate, e
guardò con un
sorrisetto di circostanza il poliziotto attendendo spiegazioni sul
perché lo
avesse interrotto. “Non sono qui per il caso. Si tratta di
qualcosa di più…
personale.”
Fu il turno del capitano di schiarirsi la gola,
e l’uomo estrasse dalla tasca interna della giacca di
sartoria – il nuovo grado
aveva anche comportato un nuovo guardaroba – una sottile
busta quadrata in elegante
cartoncino color crema, su cui, a mano, era scritto
l’indirizzo privato del poliziotto,
che la porse al
medico legale che,
alzando un sopracciglio, la aprì; conteneva un cartoncino
della stessa
grammatura della busta, stesso colore, vergato con gli stessi caratteri
tondeggianti
ed eleganti dell’indirizzo.
Un’espressione di tristezza, malinconia
a rimpianto
apparve, per una sola frazione di secondo, sul viso del medico legale,
che
subito però sorrise solare e si accomodò sulla
sua poltrona, come se nulla
fosse e se tutto
stesse andando per il
meglio, e porse all’amico la busta, che lui lasciò
però ricadere sul paino di
vetro nero.
Delgado lo squadrò in silenzio, con
un’espressione
carica di giudizio: si conoscevano ormai da quasi dieci anni, insieme
ne
avevano passate tante, e nonostante tutto quello che la gente aveva
spesso
affermato, nonostante le apparenze e un paio di momenti in cui non
aveva forse brillato,
Jérôme Delgado sapeva di essere un bravo
poliziotto e di
saper fare, e pure bene, il suo lavoro.
“Allora? Tutto qui?” Jérôme gli domandò.
“Io le dico che lei si
sposa e quel sorrisetto è tutto quello che ottengo in
cambio?”
Balthazar alzò gli occhi al cielo,
sbuffando. “E
cosa si aspetta che faccia? Che faccia irruzione alla cerimonia e la
fermi?
Hélène ha fatto la sua scelta: mentre noi
eravamo in coma ha preso e se n’è
andata, e non ha mai più fatto sapere
nulla!”
“A lei forse,” Delgado ammise,
semplice, quasi
stesse parlando del giorno e della notte o del tempo atmosferico.
“Con me il
Comandante si sente quasi tutte le settimane. Perché crede
che mi abbia mandato
la partecipazione?”
Bathazar strinse i denti. Non era a conoscenza
che, con il suo ex sottoposto, l’ex Capitano Bach fosse
ancora in così stretti
contatti. Emise un lungo, flebile suono gutturale che sembrò
un mix tra un
grugnito e un ruggito, e con gli occhi ridotti a fessure
fissò l’amico, tentato
di alzare gli occhi al cielo, ma che preferì fissare il
pavimento, prigioniero
di antichi sensi di colpa.
“Balthazar, quando ha sposato Maya il
Capitano
sapeva che c’era qualcosa che non quadrava, e lo sa cosa le
ho detto io? Che
era una pazza isterica e gelosa con le caldane e che doveva andare in
terapia,
e dato che non le ho permesso di indagare o di parlarle, è
successo quello che
è successo, lei si è sposato con
un’assassina seriale e ci siamo quasi rimasti
in due. Quindi, lei adesso lascia a me e mia moglie la sua adorabile
bambina,
oppure a quei due scapestrasti dei suoi assistenti, e va e si riprende
il
capitano, il comandante, insomma, ha capito no?”
Balthazar sorrise, sollevando un angolo delle
labbra, apparentemente divertito. “Dubito che il Comandante
stia per sposare un
assassino seriale…”
Ormai disperando di ottenere una risposta
dall’uomo,
Delgado, traballando sulla gamba incerta, si alzò, e senza
aggiungere null’altro,
disperando di ottenere una qualche reazione dal medico legale,
raggiunse la
porta dell’ufficio, dove si voltò tentando un
ultimo, disperato tentativo.
“Già, non sposa un assassino,
fa di peggio,”
fece una piccola pausa, confortato dall’espressione carica di
curiosità dell’uomo
di medicina. “Risposa solo uno che ha passato quasi tutto il
loro primo
matrimonio a cornificarla con un’altra e dare la colpa a lei
con i figli quando
la moglie ha tentato il tutto per tutto per salvare il
matrimonio.”
A quella frase, Bathazar spalancò gli
occhi, e
quasi cadde dalla sua sedia: Antoine. Hélène
risposava Antoine, l’uomo che,
dopo di lui, più l’aveva fatta soffrire.
Afferrò la partecipazione, sibilando la
parola merda a denti stretti, e
afferrò la
cartella e la giacca, e si mise a correre per i corridoi
dell’Istituto di
Medicina Legale; trovò la porta dello studiolo della bella
ed irriverente Fatim
chiusa, ma senza bussare né chiamare fece praticamente
irruzione nella stanza,
trovando la giovane donna ed Eddie, l’altro suo assistente,
affaccendati in
faccende tutto fuorché professionali; sbuffando,
alzò gli occhi al cielo.
“Ragazzini, se volete pomiciare almeno
chiudete
la porta a chiave la prossima volta, va bene?” disse loro,
nonostante la
camicia sbottonata di Eddie e la lampo della gonna della donna
abbassata
facessero sospettare che fossero stati sopresi a far ben altro che
baciarsi, e
lanciò alla ragazza le chiavi di casa che, sveglia e svelta,
lei afferrò al
volo. “Fatim, ho bisogno che tu vada a prendere
Esmèe al nido al posto mio, e
poi portala al mio appartamento. Nel frigo c’è
già il pranzo re la cena, e se
hai dei problemi, chiama Delgado, lui e la sua sposina se ne intendono
di
neonati.”
“Abbiamo un caso?”
Esclamò tutto eccitato, con
un sorriso smagliante a trentadue denti mentre si metteva a posto la
camicia
sotto gli occhi allibiti della compagna/amica di letto che gli dette
una
gomitata nello stomaco.
“No, tranquillo, niente caso,
ma…” Balthazar,
frenando l’entusiasmo del giovane, mise una mano avanti.
“Io devo essere a
Grenoble tra nove ore a quarantasette… no quarantasei minuti
per fermare un
matrimonio. Ci vediamo!”
E senza aggiungere altro, sparì in un
turbinio
di energia, come era suo solito, lasciando i suoi
“allievi” allibiti.
Il navigatore del telefono lo aveva mandato
fuori strada almeno due volte, allungando un già di per
sé lungo percorso, e
quando arrivò nei pressi del municipio della
città, Balthazar cercò inutilmente
parcheggio: nulla. Sbuffando, guardò l’ora per
l’ennesima volta, dando un
sonoro pugno sul volante.
Mezz’ora. Mancava solo più
mezz’ora al
matrimonio. Non ce l’avrebbe mai fatta. Ma, proprio come lei
non si era mai
data per vinta quando lui era fuggito per mare, salpando su una barca a
vela
per ritrovare sé stesso, lui non poteva rinunciare, non
adesso: non era solo il
fatto che lui l’amasse e che finalmente avesse una risposta a
quell’interrogativo
che a lungo lo aveva perseguitato, era la consapevolezza che risposando
l’ex marito
Hélène non sarebbe mai stata felice: Antoine non
si era limitato a tradirla, l’aveva
ingannata, aveva avuto une relazione parallela per anni, e per salvare
la
faccia aveva fatto apparire con i due figli come tutto quanto fosse
accaduto
nelle loro vite fosse da additarsi alla poliziotta.
Lei lo aveva perdonato per il bene dei figli, ma
stava commettendo un errore colossale: non poteva permetterlo.
Inchiodando lungo il viale alberato, Balthazar
uscì dalla macchina, abbandonando la gialla auto sportiva
storica sull’asfalto,
le portiere aperte, fregandosene di cosa sarebbe accaduto al veicolo, e
si mise
a correre a perdifiato, dando spintoni a destra e manca nella frenesia
di
raggiungere l’agognato obbiettivo. Arrivato davanti al
municipio frugò nelle
tasche, tirando fuori il suo tesserino di riconoscimenti con cui,
utilizzando
la scusa di dover parlare con un ufficiale presente in quel momento
nella
struttura, evitò file e controlli.
Scale, scalette, scaloni, corse Balthazar, col
cuore in gola che gli scoppiava, il sudore che gli colava lungo il
muscoloso
collo gelato dal terrore; arrivò all’ultimo piano,
dove il salone dello stato
civile era aperto con le sue sedie in legno chiaro, e vasi di fiori
primaverili,
decorati con delicato tulle bianco, facevano bella mostra di
sé. Una rapida
occhiata gli rivelò diversi membri della famiglia di
Hélène seduti in attesa,
il marito che chiacchierava, un po’ troppo amabilmente, con
una bella e giovane
donna dall’aria vagamente da oca, indicazione che non aveva
perso il vizio: ma
di lei nessuna traccia. Che non fosse ancora arrivata?
Fece un passo indietro, mano sul mento riflettendo
su cosa fare, quando…
“Balthazar?” si
sentì chiamare, ed all’udire
quella voce alle sue spalle il suo cuore si sciolse, come e
più il giorno in
cui aveva stretto la sua bambina tra le braccia la prima volta. Si
voltò, col
sorriso sulle labbra, ed il respiro gli morì in gola quando
la vide: indossava
un abito da sposa lungo, senza maniche, bianco, riccamente decorato, ,
in delicato
tulle con starti di organza, i capelli erano legati in una treccia
intarsiata
di fiori di campo che le ricadeva sul petto, e con gli occhi azzurri, i
capelli
biondi e i fiori nei capelli e tra le mani, nonostante non sembrasse
davvero
lei con quell’insolito abbigliamento, così diverso
da qualsiasi cosa Balthazar
avrebbe immaginato vederle indossare alle sue nozze, appariva come una
dea
della primavera e della rinascita e non una dura poliziotta che aveva
saputo
vedere oltre i muri e le apparenze. “Balthazar, cosa ci fa
qui?”
Ah, pensò l’uomo tra
sé e sé
mentre si avvicinava alla bellissima donna: erano tornati a darsi del
lei. Non
lo avevano mai fatto, in realtà, salvo quel flebile momento
in cui lo aveva
stretto tra le braccia, quasi privo di sensi, pregandolo di non
lasciarla.
Mani in tasca, la mascella rigida, le si
avvicinò
con movenze quasi feline, cosi vicino che Hélène
poteva sentire il respiro
caldo dell’uomo sul volto, l’alito fresco che, come
sempre, sapeva delle tante
spezie ed erbe aromatiche che il medico legale amava usare in cucina,
preparando i suoi manicaretti, e alla donna si strinse il cuore.
Inalò leggera
quell’odore che era lui e lui solo, ad occhi chiusi, e si
sentì, per la prima
volta da tanto tempo a quella parte, libera, ma soprattutto, in pace.
“L’ultima volta che ci siamo
visti, mi hai
chiamato per nome, mi hai chiamato Raphaël, amore mio.” Ammise lui a bassa voce,
con tono roco. “E quando mi sono svegliato dopo un mese in
quel letto d’ospedale,
ho
scoperto che la donna che mi aveva
supplicato di non lasciarla se n’era andata!”
Hélène scosse il capo,
mentre le braccia le
ricadevano lungo i fianchi. “Io le ho detto che
l’amavo e lei col suo ultimo
respiro mi ha chiesto di lasciarla andare! Cosa avrei dovuto fare, me
lo dice?
Mi sono limitata ad esaudire l’ultimo desiderio di un uomo
morente!”
Ostinata, era tornata imperterrita a dargli del
lei per mantenere le distanze, quasi fosse stato un collega o un
sottoposto l’uomo
dinanzi a lei.
“Punto primo,”
iniziò lui ad alta voce, attirandosi
le ire dei presenti che lo guardarono torvo; Balthazar prese un
profondo
respiro, come per darsi una regalata, ed inspirò dal naso,
prima di riprendere
a parlare ma con un tono pacato. “punto primo, quello non
è stato il mio ultimo
desiderio perché, sorpresa, io sono ancora vivo, punto
secondo, ero stato
pugnalato dalla donna che aspettava mia figlia e che avevo appena
sposato –
donna che avevo scoperto quella mattina essere responsabile
dell’omicidio della
mia prima moglie e del mio migliore amico, quindi penso che essere
leggermente
sotto shock mi fosse permesso. Punto terzo, la vuoi piantare di darmi
del lei?”
Hélène strinse i denti, e
mise il broncio; forse
poteva dargli ragione, ma le rodeva doverlo fare. Inoltre, Balthazar,
contrariamente a come stava cercando di apparire, non era un santo: lui
l’aveva
lasciata indietro tante, troppe volte, quella supplica sussurrata
mentre lei lo
baciava sulle labbra che divenivano livide, quasi sperasse di dargli la
sua
aria, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non era
stata lei
a cercare sollazzo tra le braccia dell’ex marito: a spingerla
nell’abbraccio di
Antoine era stato lo stesso medico legale.
“Santo cielo, Raphaël, sono quasi quattro anni
che me ne sono andata, non puoi ripiombare nella mia vita
così e aspettarti che…
che io mandi tutto a farsi benedire perché tu adesso hai
deciso di toglierti
questo capriccio!” Gli disse esasperata, tuttavia facendolo
sorridere: almeno,
gli dava del tu, e quello sguardo, quel broncio infantile e delicato,
gli
riempì il cuore di gioia.
“Non sono qui per un capriccio,
Hélène.” Le si avvicinò
ancora di più, fece l’ultimo passo che li
separava, sfiorò il ansino delicato
di Hélène con il suo, mentre le parlava col
sorriso sulle labbra. “Soni qui perché
ho una risposta.”
“Una…. Risposta?”
sussurrò lei, ingoiando a
vuoto, chiudendo gli occhi per nascondersi
all’intensità dello sguardo di lui,
e a quel sorriso disarmante. Lui fece cenno di sì col capo,
e portò le mani ai
fianchi sottili, stringendoli e obbligando Hélène
a cadere vittima del suo
abbraccio.
“Quando stavamo cercando quel ragazzo
che era
stato contagiato con l’antrace, io ti ho chiesto se ti fossi
mai chiesta cosa
sarebbe accaduto se fossi venuta a cena da me, e tu mi rispondesti che
avremmo
fatto sesso. Mi dicesti, Cos’altro
sarebbe potuto essere? Non abbiamo niente in comune, siamo troppo
diversi, non
ci capiamo, non andiamo d’accordo su nulla, non centriamo
niente insieme, e
poi, davvero si vede con me nel quotidiano? Della serie, tesoro, hai
svuotato
la lavastoviglie? Hai preso il pane? Amore, torni per cena? E
aggiungesti
che mi stimavi troppo per rovinare il nostro rapporto col sesso, ma,
Hélène,
non lo avrebbe rovinato, perché adesso ho una
risposta.” Strofinò il naso
contro quello della donna, sempre più arrendevole nelle sue
braccia. “E la
risposata è sì. Solo che nella mia mente tu
continui a fare la poliziotta in
carriera, mente io lavoricchio nell’istituto di medicina
legale e mi occupo
della casa, e alla sera, mentre Esmèe corre ad abbracciarti
chiamandoti mamma, ti
chiedo se sei passata in panetteria e
s
emi dai una mano ad apparecchiare…. Come ti
sembra?”
“Non possiamo, Raphaël…
“Hélène appoggiò il
capo sulla spalla dell’uomo, sospirando, ed intanto giocava
con una ciocca
scura di capelli, rigirandosi tra le dita un riccio ribelle del medico
legale. “io
mi sono fatta una carriera qui e Grenoble, ed i ragazzi, insomma, cosa
diranno
i miei figli? No, non posso, davvero… se fossi arrivato
qualche giorno fa, ma,
insomma, non puoi sempre apparire nella mia vita così
neanche fossi un uragano!”
“Beh, a parte che pure a Grenoble avete
bisogno
di medici legali, e che Eddie e Fatim ormai sanno camminare sulle loro
gambe, e
poi, scusa,” sorrise, affondando il naso in quei capelli che
sapevano di
primavera. “sono quasi del tutto certo che Hugo preferisce me
a suo padre, e comunque
non credi che i tuoi figli vorrebbero vederti felice?”
Posandogli le mani sul petto,
Hélène si scostò
da lui, ed iniziò a fissarsi i piedi: indossava scarpe
bianche dal tacco a
spillo esagerato. Osservò l’orlo del lungo abito
bianco con strascico, il
vistoso anello di fidanzamento, così strano sulle sue mani
– tutte scelte del
marito, che non aveva voluto ascoltarla, dicendole di lasciar fare a
lui - poi
guardò Balthazar e tornò a guardare sé
stessa. Chiuse gli occhi e si immaginò il suo matrimonio,
come lo avrebbe
voluto lei: niente dello sfarzo che il marito aveva insistito per
avere, a cui
lei era contraria, cose che le erano sconosciute e che francamente non
desiderava
nemmeno esplorare. E poi, perché quella pagliacciata
così eccessiva alla loro
età? Era assurdo…
“Mamma?” La voce di Manon, la
figlia ormai quasi
ventenne dell’adesso comandante, li destò dallo
stato di torpore in cui erano
caduti, e guardarono in direzione della giovane donna, al cui fianco
c’era il
fratello, sedicenne: Balthazar gli sorrise, ricordando come il ragazzo
lo
avesse ascoltato quando gli aveva chiesto di prestare attenzione alla
versione
della madre, di chiedere anche a lei come la loro famiglia si fosse
incrinata
in quel modo.
“Raphaël!” lo abbracciò,
quasi fosse stato un amico che non
vedeva da tanto, molto, troppo tempo, e l’adulto in
quell’abbraccio si sciolse;
Hugo profumava ancora di bambino, di quello shampoo delicato che anche
lui aveva
imparato ad usare per la figlia.
“Mamma, cosa succede?” Manon
ripeté, con una
nota di panico nella voce; pesanti passi alle loro spalle si udirono, e
minaccioso Antoine fece la sua comparsa, vestito con smoking ed un
fiore all’occhiello,
damerino perfetto che teneva solo alle apparenze.
“Questo lo vorrei sapere pure
io,” grugnì a
denti stretti, mentre afferrava il medico legale per la giacca e con
l’altra
mano gli dava un pugno sul naso, facendolo cadere
all’indietro mentre il sangue
gli usciva dal naso; Balthazar era uno sportivo, erano anni che si
sfogava col
sacco, ma il rivale lo aveva preso di sorpresa. “Anzi, non ho
bisogno di
chiederlo, lo so. Ti sei di nuovo messo in
mezzo tra me e mia moglie, cos’è, te
la fai con lei? Volevi farti un’ultima
sveltina?”
Inferocita, vedendo rosso,
Hélène pestò il piede
del marito con il tacco, prima di usare il bouquet- scelto da lui, come
tutto
il resto – per colpirlo, tirandogli l’anello in
faccia; lo aveva detestato dal
primo momento in cui lui gliel’aveva mostrato.
“Come osi accusarmi di averti
tradito!” Sibilò
la donna, puntandogli un dito minacciosa contro il viso. “io
sono quella che ha
provato a far funzionare le cose, va bene? Io,
non tu! Tu hai sempre fatto quello che volevi, e poi riversavi su di me
i tuoi
errori! Ma adesso basta. Anzi, sai che ti dico? A spiegare cosa
è successo
pensaci tu, e magari accenna anche al fatto che avevamo divorziato
perché tu ti
eri fatto l’amichetta al lavoro e volevi tenere il piede in
due scarpe, io sfrutto
le due settimane di luna di miele per farmi una vacanza e trovarmi un
altro
posto. Ah, e non ti azzardare a buttare la mia roba, perché
saresti passabile
di denuncia!”
Sotto lo sguardo esterrefatto dell’uomo,
e
quello divertito dei giovani, Hélène si tolse i
tacchi, e tenendoli in mano, lo
strascico sollevato nell’altra, si incamminò verso
l’uscita del municipio, il
bouquet abbandonato a terra, sfatto, una curiosa metafora di quella
giornata in
particolare e del suo matrimonio con Antoine in generale.
In strada, ridendo Balthazar notò che
la sua macchina
era andata, ma non ebbe di che rammaricarsi: ne era valsa la pena,
aveva
ottenuto quello che voleva, anche se fino al momento in cui si era
trovato
davanti Hélène non era stato certo di cosa
avrebbe fatto o detto né di cosa
volesse nel profondo.
Fischiò, alzando la mano nemmeno fosse
stato a
New York, e fermò un taxi, aprendo lo sportello alla donna
per farla salive
prima, e poi la seguì all’interno
dell’abitacolo. Col sorriso di un’adolescente,
un po’ timida e impacciata, lei lo guardava mordendosi le
labbra, e non
resistette alla tentazione di saggiare con un veloce bacio quelle
deliziose
labbra che da oltre sette anni occupavano i suoi sogni.
“Ehi, sposini, dove vi porto?”
il taxista li
fermò, prima che le loro carezze si facessero troppo ardite.
“Ovunque portino le macchine portate via
dai
carri attrezzi? Devo riprendermi la mia, altrimenti dovremo andare a
Parigi in
treno, e io odio i treni, voglio averti tutta per me, non doverti
dividere con
chissà quanti altri.” Bofonchiò, tra il
serio ed il faceto.
“E che cosa andiamo a fare a
Parigi?” gli
domandò, onestamente curiosa, e lui scrollò le
spalle, mentre la teneva per
mano tracciando delicati cerchi col pollice sulla pelle ruvida.
“Beh, l’idea generale
è che adesso chiamo Fatim
così che ti possa preparare dei vestiti di ricambio, ed una
volta che arriviamo
a casa mia tu ti fai una doccia mentre io do… a questo punto
credo colazione a
mia figlia, poi mi cambio io, ed insieme prepariamo pranzo e mentre la
signorinella è al nido… vediamo cosa
succede.”
“Tutto qui?” gli
domandò, stringendogli la mano.
“Sì,” le rispose,
sorridendo e baciandola, più
focoso ma sempre dolce e tenero ed innamorato, mentre le accarezzava il
viso e
si perdevano l’uno negli occhi dell’altra, vedendo
i loro volti riflessi nelle
iridi. “Sì, tutto qui.”
E mentre il taxi si allontanava, Balthazar
portò
le loro mani intrecciate sul suo cuore, e lasciò che
Hélène poggiasse il capo
sulla sua spalla, sospirando sollevata e leggiera e felice. Dal
finestrino, gli
parve di vedere l’immagine sorridente della moglie, defunta
ormai da oltre
quindici anni, che con quegli occhi luminosi e quel sorriso sulle
labbra gli
dava la sua benedizione: ora, finalmente, poteva andare avanti. Erano
tutti in
pace, e lo sarebbero stati per molto altro tempo ancora.
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