All’ombra del carrubo

di gio194
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PRIMA PARTE 

Mi stavo dirigendo, come di solito, alla volta del viale Ronkern, quando vidi un'ombra proiettata sul lato del marciapiede dal lampione adiacente al colonnato. Provai un brivido lungo la schiena per una visione ai limite del razionale. Com'era possibile che un lampione proiettasse un'ombra?

 

Provai a formulare diverse ipotesi, da buon docente di fisica applicata ed empirista galileiano. Qualsiasi tentativo fu reso vano dalla foga razionalista che mi assalì e non mi permise di trovare una soluzione sensata, che fosse avallata da una dimostrazione fisica degna di questo nome. 

 

Stetti con lo sguardo fisso su quel lampione e dopo diverse ore di vano lavorio mentale, chinai il capo, come sempre del resto. Non ci fu un solo passo, un solo scalpiccio che non andasse all'unisono con il battito delle mie ciglia, tanta era la tensione. Venni sopraffatto, ansimante, dall'aria umida e afosa di quella calda sera d'estate, a tal punto che decisi di fermarmi per qualche minuto nella Taverna del Routerheiler. Era un luogo piuttosto squallido, maltenuto e frequentato da gente malfamata. 

 

Li vi incontrai (devo ammettere con grande stupore) un amico di vecchia data, Set, il quale aveva una caratteristica piuttosto singolare che lo aveva sempre contraddistinto: delle occhiaie molto pronunciate, color "buio notte". Si avvicinò a me, mi squadrò attentamente acuendo la vista(decisamente inquietante) e ci scambiammo i soliti convenevoli.

 

 Quando ero sul punto di accomiatarmi, data la sua ben poca loquacità e la scarsa attitudine al dialogo, notai un particolare sul suo volto compassato: un nevo dalle dimensioni spropositate, dai contorni ben definiti (dalle mie ben poche reminiscenze scolastiche mi sovvenne che non si trattava di una massa tumorale), nonché pellucido. Riuscivo quasi ad intravedervi la mia immagine riflessa in maniera piuttosto nitida, il che mi ricondusse inevitabilmente al fenomeno occorso non molte ore addietro. 

 

Cercai in ogni modo di distogliere lo sguardo da quel volto torvo, eppure ero sempre lì, incuriosito e sospettoso, memore del fatto che con tutta probabilità non mi sarebbe più capitato un caso così allettante per un docente di fisica applicata, empirista galileiano ed investigatore del fenomeno naturale (non fui mai attratto da quel coacervo di teorie paranormali e sul trans-naturale). In tal modo dovetti reinventarmi, ossia trovare un puntello che conciliasse dei ragionamenti molto distanti dal sentire comune di un esperto della natura. 

 

Comunque sia, ad un certo punto decisi di intrattenermi con lui, non perché ne avessi realmente voglia, ma vi era un sentore di stranezza che paralizzava le mie gambe, impedendomi di avviarmi verso l'uscio. 

-"Serata strana, eh Sean?"

-"Il vento di scirocco soffia da due due giorni, sento l'afa dritta in gola."

-"Non pensi sia ora di andare? "disse con un tono ed un fare quasi minacciosi che non mi sfiorarono minimamente. Già perché ero completamente assorto nei miei pensieri, ed avrebbe anche potuto rivelarmi l'arcano, ma non me ne sarei curato. 

 

Si accorse della mia assenza mentale e cercò di rendermi partecipe senza riuscirci. Perché il suo tentativo era vano? Cosa mi impediva di prestargli attenzione? Non ebbe modo di capirlo, pur facendone ripetutamente richiesta. Uscii di colpo e mi recai al colonnato ad ampie falcate. Era l'aurora: il cielo color purpureo meritava degli attimi di contemplazione che, date le circostanze, non potei concedergli. 

 

Tuttavia prima di arrivare a destinazione mi concedetti una piccola pausa uditiva. Era il meraviglioso canto (a mio avviso sarebbe poco meritevole definirlo cinguettio) di una dozzina di tordi sasselli. Mi sovvennero numerosi quesiti irrisolti sull'esistenza. Ovviamente da buon estimatore della natura, sapevo quale fosse la ragione del loro cinguettio, ma volevo altresì "carpire" l'essenza del canto. Lasciai la questione irrisolta per dedicarmi alla faccenda del colonnato. 

 

Adagiato sul capitello dorico c'era un merlo grazioso che mi diede l'impressione di proferir parola: -"It's time to wake up pa". Cominciai a delirare, pur senza mostrare il minimo cambiamento nella mimica facciale. Celai il mio turbamento  con grande abilità (lo facevo già da anni) e mi tenni tutto dentro, nel locus più recondito ed inaccessibile del mio io. 

 

Egli mostrò una certa riverenza nei miei confronti e fece un inchino solenne. Ne fui sorpreso nonché basito: non vi trovai alcun tratto che non fosse riconducibile ad un damerino di corte. - "It's time to wake up pa". Ero in preda al panico, con quel tono di voce acuto e stridente che risuonava nelle mie orecchie come una cassa di risonanza muta. 





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