aurum
L'alba invernale stava sorgendo su
Barcellona. Quel brumoso mattino di fine novembre il sole che nei
mesi estivi baciava con ardore la caliente terra di Spagna, si
faceva pavidamente largo tra le nubi per scacciare i residui di
tenebre bluastre della notte, restie a farsi indietro.
Si levava basso sopra il Mediterraneo,
accarezzando le acque calme del mare sottostante e facendone
risplendere la superficie di migliaia di screziature dorate.
Victor si era svegliato prima ancora
che le tenui luci dell'aurora si affacciassero all'orizzonte della
costa. Si era stiracchiato gettando uno sguardo verso il letto di
Yūri e aveva trovato il
suo pattinatore ancora profondamente immerso nel mondo dei sogni. Un
fugace brillio all'anulare della sua mano destra abbandonata sul
cuscino era balenato per un istante nella sua direzione, come a
dargli il buongiorno. Victor aveva avvertito un tuffo al cuore e si
era ritrovato a spostare istintivamente l'attenzione al cerchiolino
di metallo gemello avvolto intorno al suo dito.
Aveva sorriso e si era
alzato,vestendosi in silenzio e calibrando con cura i suoi gesti per
non disturbare il sonno pacifico di Yūri,
alquanto inaspettato considerando quanto egli pativa lo stress che
precedeva le gare importanti. Ad ogni modo, era un'ottima cosa che
riuscisse a riposare il più possibile in vista dell'imminente finale
del Grand Prix. Dormire rinfrancava il corpo e lo spirito: due
elementi sui quali il giovane Katsuki avrebbe dovuto fare pieno
affidamento di lì a poche ore per conquistarsi il titolo a cui
ambiva da quando avevano iniziato ad allenarsi insieme.
Le strade della città catalana erano
pressoché deserte e il velo di umida foschia che si era depositato
nella notte aleggiava ancora come una presenza eterea in procinto di
evanescere lentamente con l'avanzare del nuovo giorno che si
preannunciava freddo ma limpido: un buon auspicio. Per Victor, la
temperatura non costituiva un problema. Era nato e cresciuto in
Russia; quel mite inverno mediterraneo non competeva neanche alla
lontana con la spietatezza del clima abituale di San Pietroburgo.
Passeggiava tranquillo, senza
preoccuparsi dell'andatura. Non si era posto neppure una meta
precisa. Gli bastava che il movimento cadenzato delle sue gambe e la
brezza frizzante del mare satura di iodio, unita allo sciabordio
delle onde e al richiamo dei gabbiani, cullassero la sua mente
affollata di pensieri che si rincorrevano come su una giostra.
Erano trascorsi otto mesi da quando si
era presentato ad Hasetsu, in Giappone, e si era offerto di diventare
il coach di Yūri. Otto
mesi di duro lavoro, sfide, prove superate e altre fallite, risate,
esperienze, amicizie e conoscenze, scoperte e riscoperte; di se
stesso e anche di alcune cose che pensava di aver dimenticato o si
era reso conto di aver ignorato per troppo tempo. In particolare, la
più significativa tra le tante, avvenuta in gran parte per merito di
Yūri, era stata quella
delle sue due L: Life and Love. Vita e Amore. Il giovane
giapponese le aveva risvegliate entrambe e rinvigorite, nutrendole di
nuova linfa.
Otto mesi. Otto. Che ironia!
Proprio il numero che si compone di due cerchi intrecciati. Otto
mesi, ora tutti racchiusi nell'anello dalla foggia semplice e lineare
che dalla sera prima adornava la sua mano destra e sigillava una
promessa segreta, un sentimento custodito nell'animo come un tesoro
in uno scrigno. Gli era sufficiente un minimo sforzo di
concentrazione per richiamare alla coscienza la nitida sensazione
delle morbide mani di Yūri
che prendevano con delicatezza la sua, scossa appena da un accenno di
tremore dovuto all'emozione, e gli sfilavano il guanto per far
scorrere la fede lungo il suo dito affusolato. I ruoli si erano poi
invertiti e Victor aveva compiuto lo stesso gesto, senza mai lasciare
che l'abbraccio dei loro sguardi commossi e vibranti si
interrompesse. Non aveva mai provato una tale, indescrivibile gioia
colmargli il cuore. Neanche sul gradino più alto del podio più
sognato. Neanche quando si era trovato sulla vetta del mondo,
all'apice della sua carriera stellare.
Niente di ciò che aveva vissuto nei
suoi quasi ventotto anni era comparabile alla bellezza delle proprie
dita a contatto con quelle di Yūri
e al tepore della loro pelle che, pian piano, iniziava a riscaldare
il perimetro interno delle fedi che si erano scambiati, quasi che il
metallo si stesse animando dell'amore che provavano l'uno per
l'altro, divenendone veicolo e talismano. Alle loro spalle,
l'imponenza mozzafiato della Sagrada Familia, il capolavoro
incompiuto di Gaudí,
aveva degnamente incorniciato il momento, ammantandolo di un'aura di
sacralità più che appropriata.
Victor permise a un nuovo sorriso di
affiorargli alle labbra, sospinto in superficie dal dolce calore di
quel ricordo recente ancora così vivido nella sua memoria, sia
psichica che corporea. Alzò il braccio davanti a sé in modo che un
singolo raggio di quel sole bambino intercettasse il gioiello e
rimase ad osservare, come avvinto da un incantesimo, il riverbero
multicolore generato da quell'incontro.
Victor era abituato all'oro. Il
prezioso metallo dei vincitori; degli déi, degli eroi e dei re;
simbolo di merito, prestigio, onore, valore e nobiltà fin dai tempi
più antichi, nonché sogno e brama di ogni atleta.
Lo conosceva bene, l'oro. Era quello
delle medaglie che aveva collezionato in tanti anni di successi sul
ghiaccio. L'oro che sconosciuti di alto profilo in ogni parte del
mondo gli deponevano sulle spalle al termine delle competizioni,
quando si ergeva fiero e bellissimo come un principe delle fiabe sul
gradino più alto del podio, a salutare una folla esultante che lo
acclamava alla stregua di un semidio. L'oro altero e superbo per
mezzo del quale veniva incoronato di diritto il migliore tra i
migliori, rafforzando di volta in volta quello che era apparso fin
dai tempi del suo esordio come un filo inscindibile tra un nome e un
destino. Victor.
Ecco le associazioni che meglio
esprimevano il suo indubbio legame con quell'elemento.
Ma la qualità e il significato insiti
nella modesta fede che in quell'istante catturava i bagliori aurei
del sole nascente non avevano niente a che fare con quelle
reminiscenze profane di gloria e trionfo.
Per quante medaglie scintillassero nel
firmamento della sua carriera, Victor sentiva che, poste sul piatto
di una bilancia spirituale, esse sarebbero pesate meno di una piuma.
Perché l'oro più caro al suo cuore,
più inestimabile ai suoi occhi, era rappresentato dall'anello che
brillava al suo dito in quella mattina d'inverno, e dai luccichii che
occasionalmente venavano gli occhi castani di Yūri
quando pattinava o era particolarmente assorto. Dei piccoli baluginii
dorati che gli attraversavano le calde iridi color nocciola, dei
quali forse solo lui coglieva la meraviglia impagabile.
Desiderava che, in occasione della
finale del Grand Prix, il suo pattinatore sfavillasse proprio come
l'anello che gli aveva donato. Voleva vederlo rifulgere allo stesso
modo, stagliato contro il candore del ghiaccio. Voleva che il mondo
intero rimanesse abbagliato dallo splendore che il timido Yūri
Katsuki aveva tenuto celato in sé per troppo tempo, sepolto sul
fondo della sua anima; ossidato e soffocato da mille dubbi e
insicurezze. Come suo coach, amico e amante, Victor si era impegnato
al massimo per sciogliere quelle catene e fare in modo che la sua
vera natura potesse finalmente manifestarsi senza più alcun vincolo
sulla pista di pattinaggio e non solo.
Una natura luminosa e sfolgorante, un
milione di volte più lucente dell'oro zecchino.
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