Capitolo
1:
***
[Revisionato]
John
Watson aveva messo più distanza possibile da Baker Street.
La
decisione che lo aveva spinto a fare i bagagli era molto semplice:
Sherlock Holmes.
Dopo
tutto ciò che era successo, non riusciva più a
sopportare di
restare ancora lì, in quella casa, con quella presenza
costante e
perenne.
Si
era sentito come se avesse ricevuto una pugnalata nella schiena. Come
un tradimento.
Non
riusciva più nemmeno a guardarlo in faccia dopo la morte di
Mary.
E
sì, per un po’ lo aveva anche odiato.
La
parte irrazionale di se stesso ancora si trovava in quello stato, ma
ogni tanto faceva capolino quella razionale, e provava a dargli dei
suggerimenti.
Come
quando gli aveva suggerito, durante le sue elucubrazioni a tarda
notte, che magari, non era stata tutta colpa di Sherlock. Che nessuno
aveva costretto Mary a mettersi in mezzo, e poi lui aveva
già
rischiato la pelle per lei. Lei lo aveva fatto perché voleva
troppo
bene a Sherlock per lasciarlo morire.
Già,
gli voleva troppo bene… Era questo il problema delle persone
che
volevano troppo bene a Sherlock. Che
poi finivano puntualmente coinvolte nelle sue cazzate e ne pagavano
il prezzo.
Certo
lui no, ormai ci aveva fatto l’abitudine, anzi, provava quasi
una
sorta di insano piacere nel mettersi in situazioni di pericolo
mortale. Ma sapeva quello che faceva. Sceglieva per se stesso.
Prima.
Dopo
era diventato un marito, e dopo ancora un padre. Ora doveva scegliere
la cosa migliore per la sua famiglia, e Sherlock Holmes non era tra
queste opzioni.
Tuffò
il cucchiaino di plastica color rosa maialino nella pappa mezza
liquida e poco invitante di Rosie, e lo fece volare come un aeroplano
di carta.
«Ecco
che arriva il volo serale diretto a Londra Gatwick. Chiediamo alla
torre di controllo il permesso di atterrare.»
avvicinò il cucchiaino pieno di pappa alla piccola bocca
della
bambina, che la aprì emettendo dei gridolini di
felicità e battendo
le manine. Almeno lei aveva fame.
Era
stato un periodo difficile per tutti, e ne aveva risentito anche
Rosie. Avere solo pochi mesi non le impediva di sentire la mancanza
della madre.
John
ci provava con tutte le forze a distrarla, ma per almeno un paio di
mesi la piccola era stata stressata e nervosa, piangeva praticamente
sempre. Riusciva a calmarla solo dopo ore passate a cullarla in
braccio, e dopo si addormentava sul suo petto, sfinita. Ovviamente
non ci pensava proprio a spostarla, quindi rimaneva sul divano o sul
letto finché lei non si svegliava, cosa che capitava
puntualmente
dopo quattro ore, e via a ricominciare tutto da capo.
Nemmeno
la notte andava meglio. Alla fine arrivava la mattina e finalmente
crollavano entrambi, sfiniti.
Ultimamente
però era tornata ad avere appetito, la notte dormiva e i
pianti
erano calati drasticamente, segno
che le cose andavano meglio. Sarebbero andate meglio. Dovevano andare
meglio, per entrambi.
Ovviamente
non significava dimenticare Mary, lui le avrebbe sempre parlato della
madre, ne era sicuro. Ma ora dovevano farsi un altra vita, lontani da
chi creava loro solo pericoli e
problemi.
Quindi
no, non se ne pentiva affatto di essersene andato il più
lontano
possibile da lui,
e no, non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura che in
realtà gli
mancava. Terribilmente. E poi comunque ormai non poteva più
tornare
sui propri passi, non dopo quello che gli aveva detto. E Sherlock
doveva aver recepito bene il messaggio perché non si era
più visto
né sentito. Meglio
così, non aveva tempo di badare anche a ui.
Mentre
John si stava impegnando nell’auto commiserazione, il
cellulare
appoggiato sul tavolo cominciò a vibrare
all’impazzata, tanto che
si mise a girare su se stesso.
Allungò
il collo e vide il nome di chi chiamava “Lestrade”.
D'accordo
forse non aveva smesso del tutto con la vecchia vita. Ogni tanto se
capitava lavora ancora per il detective di Scotland Yard.
Lasciò
il cucchiaino nel piattino abbinato di Rosie, e prese il
telefono.
«Si
Lestrade?»
rispose quasi con tono eccitato. L’idea di uscire di casa per
aiutare in un caso di omicidio in fondo lo rendeva felice. Ok era una
cosa orribile da pensare, però avrebbe dato qualunque cosa
per usare
un attimo il cervello in altro che non fosse cercare di far terminare
i pianti di un bambino.
«Devi
venire al parcheggio coperto che c’è a Marble
Arch. Quello dopo la
fermata della metropolitana.»
«Ah
si ho capito quale.»
«Ti
aspetto. Sbrigati.»
non ebbe nemmeno il tempo di chiedere a Greg chi fosse il morto
perché aveva già chiuso la comunicazione. Sospirò
e si alzò, lasciando che la sedia strisciasse con le gambe
sul
pavimento di vecchio limoneum.
Poi
si chinò e diede un bacio sulla testolina di Rosie. Adorava
il suo
odore. Poteva stare ad annusarla per tutto il tempo quando si
addormentava sul suo petto.
«Va
bene piccolina chiamiamo la baby sitter.»
Rosie
squittì eccitata a quelle parole. A volte John era convinto
che lei
lo capisse benché avesse solo pochi mesi. Assurdo.
Gli
ci volle un po’ prima di partire di casa, e un'altra mezz'ora
per
attraversare la parte di città che lo separava dalla scena
del
crimine.
Il
parcheggio coperto era situato prima rispetto l’uscita della
metro,
il che aveva per fortuna evitato che venisse chiusa dalla
polizia.
Dei
poliziotti con i gilet giallo fluo fermarono il suo taxi e lui scese,
dopo aver lasciato una banconota da venti sterline
all’autista, che
fu ben lieto di tenersi il resto.
Mostrò
il tesserino, e i bravi agenti lo lasciarono passare senza proferire
parola. Era una uggiosa mattina di autunno e piovigginava a tratti.
Il cielo era bianco, ricoperto di nuvole grigie.
Come sempre.
Passò
sotto il nastro giallo che era stato messo per chiudere il viale a
fianco al parcheggio. C’erano altri agenti che controllavano
segni
di tracce; e poco più in là, al coperto,
c’era Greg
Lestrade.
Richiamò
la sua attenzione con un “ehi Greg” e
sollevò una mano
sventolandola. Il detective sollevò lo sguardo dal taccuino
e gli
fece segno di avvicinarsi.
John
non perse tempo.
«Allora
che abbiamo?»
chiese curioso.
Il
corpo della vittima si trovava tra una colonna di cemento, un
parcheggio vuoto e un SUV nel posto dopo. Ora che si era avvicinato a
Greg poteva vederlo bene.
Quello che doveva essere decisamente un uomo adulto, si trovava
riverso a terra, in posizione supina. Ed era un vero casino.
«Beh
ancora non si sa molto, serve l’autopsia lo sai. Ma credo lo
abbiano pestato a morte.»
Il tono di Greg era quasi rassegnato, come se la violenza con cui
aveva a che fare ogni giorno non bastasse per capire che il mondo era
un posto malvagio.
John
si chinò sul povero malcapitato.
Sotto
c’era una grossa chiazza di sangue quasi rappreso, doveva
essere li
da un po’.
Era
girato pancia sotto quindi non poteva vederlo in faccia.
Aveva
i capelli imbrattati di sangue e appiccicati tra loro, si vedeva
almeno una ferita alla testa. Quella che doveva essere una camicia di
un qualche tonalità di azzurro era strappata in
più punti, sotto si
vedevano altri segni, era tutto un casino di lividi, tumefazioni, e
ferite sanguinanti.
Lestrade
gli allungò un paio di guanti in lattice. Gli
infilò e mise una
mano sotto il corpo, per girarlo.
Se
il resto era un casino, la faccia era praticamente
irriconoscibile.
«Qualche
documento?»
Greg
scosse la testa.
«Niente
di niente.»»
«Una
rapina finita male?»
azzardò John.
«Nah
sembra una cosa troppo personale. Come se l’animale che ha
ridotto
così questo poveretto se la sia
presa per qualcosa e abbia
voluto dargli una lezione.»
«Non
saprei, allora perché portargli via i documenti?
Te
lo ricordi il caso di Stubbylee Park?»
«Ma
chi i due ragazzi massacrati al parco dal branco? Nah non mi sembra
questo il motivo. Guarda com’è vestito, ha delle
scarpe che
costano minimo duecento sterline.»
«E
che vuol dire, magari a qualcuno ha dato fastidio proprio per
questo.»
«Io
ti ripeto che è personale.»
John
fece
una smorfia ma continuò ad esaminare la vittima.
Aveva
il lato destro del viso gonfio, l’occhio era nero e aveva
assunto
le dimensioni di una pallina da golf, sul lato del labbro
c’era una
grossa spaccatura che lasciava in vista i denti rossi per il sangue.
Il lato destro era messo un pelo meglio. Il sopracciglio aveva un
taglio profondo e c’erano abrasioni sulla fronte,
probabilmente
dovuti all’urto con l’asfalto. Lo zigomo era di un
insano color
giallo e viola.
Abbassò
con due dita il colletto della camicia, inorridendo. Più
strisce di
diverse tonalità di viola scuro spiccavano sul collo.
«Credo
abbiano tentato di strangolarlo.»
«Scherzi?”
anche il tono di Lestrade era pieno di disgusto per tanta cattiveria.
Si chinò sopra
le spalle di John, per
poter vedere meglio.
«Vedi?»
John toccò quei segni con la punta delle dita.
«Secondo
te quanti anni ha?»
chiese Lestrade.
«Difficile
a dirsi con la faccia ridotta in queste condizioni, ma
direi… Sulla
trentina. Anno più anno meno.»
«Con
che razza di animale schifoso abbiamo a che fare?»
«Non
ne ho idea ma dobbiamo sbrigarci a prenderlo.»
«Lo
hai più sento?»
l’improvviso cambio di discorso del detective lo aveva
lasciato
sorpreso, gli ci volle qualche secondo per capre di cosa stesse
parlando.
«No.»
tagliò corto sperando che la cosa finisse li.
Si
mise in ginocchio, accanto alla vittima. Prese a spostargli le
ciocche completamente appiccicate dal sangue, che si erano attaccate
alla fronte.
Con
una lentezza infinita sollevò l’unica palpebra che
era rimasta
abbastanza libera. Aveva gli occhi iniettati di sangue, e una pupilla
nera che lo stava fissando.
«Cazzo!»
balzò
in piedi talmente velocemente che Lestrade aveva lasciato cadere
tutto quello che aveva in mano e stava per tirare fuori la pistola
dalla
fondina.
«Cosa,
che succede?»
doamndò
Lestrade con tono allarmato.
«Chi
cazzo lo ha controllato?»
Greg
sbatte le palpebre, evidentemente
confuso.
«In
che senso?»
«Chi
ha controllato che fosse effettivamente morto!»
«Cosa?
Che vuol dire effettivamente morto? Non c’era più
polso!»
«E’
ancora vivo!»
John
quasi lo urlò, mentre cercava di capire il da farsi.
La
mascella di Lestrade
sembrò staccarsi e cadere a terra da quanto era sbigottito.
«Che
cazzo vuol dire che è ancora vivo! Merda!»
Il
detective tirò
fuori il cellulare da una delle tasche e compose il numero delle
emergenze, richiedendo
immediatamente un'ambulanza.
John
nel frattempo era tornato ad occuparsi della vittima.
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