Uzi

di Mezzo_E_Mezzo
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Ostrica


E poi usignoli meccanici arrugginiti che gracchiano la nostra canzone
e poi fragole di pezza da annusare nel sonno
e poi schedari fragili di tutte le nostre lacrime
e poi pirati queer che ci fanno il baciamano
e poi clessidre di farfalle che lo scorrere del tempo è deciso dal profumo dei fiori
e poi abbracciare un amico fino a mandare a memoria il suo scheletro.

E poi intenerirsi per un affondo di sassofono
e sentire il potere innalzarsi a un crescendo di archi
e poi il calore selvaggio di una danza
e poi guardare due persone che si ritrovano
e poi una paperella di molliche
che nuota accanto ad una di punte di coltello.

E poi il sogno su altissime zampe di ragno variopinte
che mi morde lasciandomi nelle convulsioni
per un prurito in un posto dove non arrivo,
una ferita da qualche parte in me che non so nemmeno nominare
e poi l’infinito rosario delle maschere
da sgranare davanti al mondo pur di nasconderci
pur di salvare l’ultima ostrica della nostra luce
anche se minuscola e ridicola e sigillata per sempre dal dolore.

[La paura di soffrire è identica all’attesa del piacere:
imperatore eccentrico che ama vestirsi da maggiordomo per accogliere gli ospiti]


E poi disinstallarti dalla mia scheda madre
sovrascrivendo un momento alla volta
alterandone lo zoom per renderne sopportabile l’assenza.
E poi folletti, dispettosi giullari
che mi rapinano sulla strada di casa
lasciandomi addosso soltanto questa rabbiosa voglia di vivere
che pizzica come un maglione di lana sulla pelle nuda
e scortica le mani come i graffi di un gattino,
come leccare il sangue dopo essere caduti sull’asfalto
e poi concentrarmi per non gridare il tuo nome quando vengo
e poi evitare di scriverlo sui vetri appannati.

E poi trovare il tempo di essere fragile
cantare forte con il cuore nella scatola di Schrödinger
arruffare affettuosamente tutti i miei errori
e

ricominciare.








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