La
luce del sole penetrava da una finestra semi aperta, illuminando la
stanza d’ospedale di un vivo riflesso dorato e il ronzio basso,
ma diffuso, dell’elettrocardiografo rompeva il silenzio.
Kazuya,
seduto su una sedia, stringeva tra le dita un libro e i suoi occhi,
inquieti, vagavano sulle pagine.
Con
un sospiro sconfitto, chiuse il volume e posò lo sguardo sul
letto a poca distanza da lui, su cui giaceva il corpo privo di sensi
di Kyoshiro. No, non sarebbe riuscito a perdersi nelle parole e nelle
riflessioni di Platone.
Non
aveva la cultura enciclopedica di Kyoshiro e il suo cuore era
dilaniato dalla preoccupazione.
A
poca distanza da lui, il suo compagno di tante avventure combatteva
un’ardua battaglia contro la morte.
Il
suo cuore batteva, il respiro sollevava il suo petto, ma i suoi occhi
restavano chiusi in un sonno profondo, simile alla morte.
Il
suo pensiero, ossessivo, si focalizzava sul suo amico e compagno di
battaglia e, ne era sicuro, condivideva questo stato d’animo
con gli altri membri della base.
Desiderava
scoprire un segno, pur effimero, di miglioramento sul suo viso.
Le
sue speranze, però, erano state sempre frustrate.
E
lui, Kazuya Ryuzaki, nonostante la sua indole tutt’altro che
remissiva, avvertiva il logorio di quell’angoscia.
–
Miwa…
Bastardo! – sibilò, gli occhi lucidi di lacrime. Per
fortuna, quell’essere, privo di qualsiasi umanità, era
morto.
Ma
questo evento non liberava quell’individuo dalle sue colpe.
Con
la sua crudeltà, lui aveva rovinato il loro giorno libero.
Con
la sua vigliaccheria, aveva tentato di colpirlo nella furia della
mischia.
Kyoshiro,
pur di difendere lui, era stato colpito da un proiettile e si era
accasciato tra le sue braccia.
Kazuya
tremò e, a stento, frenò i singulti. Gli pareva di
risentire il freddo della morte, mentre stringeva a sé il suo
corpo sofferente.
Sulle
sue mani, avvertiva il calore del sangue, che portava con sé
la vita del suo amico spadaccino.
– La
vendetta… Quanto sono stato stupido a biasimarti, amico mio. –
mormorò. Kyoshiro, a differenza sua, comprendeva un simile
sentimento.
Il
suo passato gli consentiva una grande empatia, nonostante la sua
apparenza sardonica.
Per
lui, invece, l’odio era incomprensibile e inaccettabile, perché
impediva la conoscenza dell’amore.
Per
queste loro divergenze, lui e Kyoshiro avevano litigato e, malgrado
il loro legame, si erano scambiati epiteti ingiuriosi e offensivi.
Solo
in quel momento, comprendeva la disperazione di un individuo spinto
alla vendetta.
Per
quanto moralmente discutibile, era un sentimento causato
dall’angoscia della perdita e non da una divorante brama di
violenza.
–
Credevo
di sapere tutto e invece non so nulla. E non posso nemmeno scusarmi
per questo. – mormorò. Il
peso dei suoi errori opprimeva il suo cuore.
Voleva
scusarsi con Kyoshiro per la sua ottusità.
Ma
gli sarebbe stata data questa possibilità?
La
porta della stanza, ad un tratto, si aprì ed entrò
Nanà, con le braccia ingombre di anemoni viola e blu.
– Non
ci sono segni di miglioramento? – chiese, il tono speranzoso.
Kazuya,
sentendo le sue parole, si girò di scatto, il volto distorto
in una maschera di collera.
– Non
lo vedi da te? Si è per caso risvegliato? – la aggredì
lui, rabbioso.
Colta
di sorpresa dall’atteggiamento di lui, la pilota arretrò
d’un passo, mortificata.
– Mi…
Mi dispiace… Me ne vado. – balbettò.
Accortosi
della sua reazione esagerata, Kauya imprecò contro se stesso e
si strinse la testa tra le mani.
–
Scusami
Nanà… So che tu non c’entri, ma questa situazione
mi distrugge. Non dovrei pensarlo, ma ho paura che non si risvegli
mai più. – spiegò, affranto.
La
ragazza sussultò e, a stento, riprese la sua compostezza.
Forse, avrebbero dovuto cominciare a pensare ad una simile
eventualità, ma anche lei, a quel pensiero, si sentiva
sommersa dalla disperazione.
La
sua mente non riusciva a dare consistenza a quell’ipotesi
infausta.
– Non
può morire. Non può, Nanà. Non
lo sopporterei. –
balbettò Kazuya, triste.
La
pilota lo
guardò, stupita.
Il
pilota di Daimos era scosso da violenti tremiti e nei suoi occhi
tremavano lacrime di frustrazione e d’ira.
Posò
i fiori in un vaso, situato a destra del letto del giovane, poi si
avvicinò a Kazuya e gli prese le mani. Temeva di suscitare
equivoci col suo gesto, ma non le importava.
I
sentimenti d’amore, in quel momento, perdevano di importanza,
perché una persona da loro ardentemente amata combatteva
contro una morte immeritata.
Kazuya
aveva bisogno dell’aiuto di una persona amica, capace di
trasmettergli speranza.
Il
pilota di Daimovich non si mosse e tacque. Conosceva i sentimenti di
Nanà per lui, eppure non aveva avvertito nulla in quel tocco.
–
Guardami,
Kazuya. – gli ordinò lei, il tono dolce, seppur fermo.
Kazuya, ostinato, non la fissava, quasi si vergognasse di qualcosa.
Ma
non aveva senso tale sentimento, perché lui non aveva commesso
alcun atto crudele.
La
vergogna doveva ricadere su Miwa e sui suoi uomini, che li avevano
attaccati in un momento di pausa.
Il
giovane girò la testa e i suoi occhi castani si rifletterono
negli occhi blu di lei.
– Io
conosco Kyoshiro molto bene. Ed è molto difficile che lui doni
amicizia a qualcuno. Ma, quando una persona conquista il suo affetto,
può considerarsi fortunato, perché è disposto a
proteggere chi ama con la sua stessa vita. Forse, è una
conseguenza del suo passato…– commentò Nanà.
Girò
la testa e i suoi occhi fissarono la figura addormentata dello
spadaccino. Chissà, quel sonno artificiale gli consentiva di
creare un legame coi suoi genitori, deceduti troppo presto, a causa
della povertà e della fame.
Non
lo aveva mai ammesso, ma aveva sempre sofferto per la sua condizione
di orfano.
Forse,
invidiava Kazuya, perché aveva conosciuto l’affetto e le
premure di una famiglia.
– Tu
non ti devi sentire in colpa per questo. Kyoshiro ti vuole bene e,
per questo, ha scelto di difenderti. Con simili rimorsi, faresti un
torto alla sua intelligenza. – mormorò lei, pacata.
Kazuya
sbarrò gli occhi, stupito. Aveva ritenuto Nanà ingenua,
malgrado le sue abilità di combattente, eppure, con lucidità,
aveva esposto le ragioni del suo tormento.
Temeva
per la sorte di Kyoshiro e si sentiva in colpa per le sue condizioni.
Le
parole della sua compagna erano giuste e la sua mente le condivideva,
ma il suo cuore era straziato dal rimorso.
E
non riusciva a liberarsi di questa sensazione così amara.
– Hai
ragione… Ma io non riesco a liberarmi di questo sentimento.
Forse, è l’angoscia di queste giornate, che mi toglie la
lucidità. Ma non riesco a non sentire questo rimorso. Mi
faccio schifo. – confessò. Finalmente, era riuscito a
confessare la verità.
Aveva
paura di perdere il suo migliore amico senza potere fare nulla.
Ed
era stufo di assistere a tante morti, senza potere fare nulla.
A
cosa serviva essere l’eroe di Daimos?
La
giovane pilota gli strinse le mani con ancora più forza.
–
Allora
lascia che sia io ad occuparmi di lui. Tu riposati, vai in palestra.
Fai qualsiasi cosa per non pensare. Se dovesse cambiare qualcosa, non
esiterò ad avvertirti. – promise.
Kazuya
accennò ad un sorriso e la sua mano, gentile, sfiorò la
guancia destra dell’amica. Sì, aveva ragione la sua
amica.
Doveva
riposare la sua mente e trasmettere positività al suo amico
dormiente.
–
Cercherò
di fare quello che tu dici, Nanà. –
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