Colonia AA-001

di Marco1989
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IV

Akira Nakadawa era stanchissimo. Erano sei giorni che quasi non dormiva: prima per il lavoro sulla sonda, poi per il nervosismo dell’attesa. Provava una stranissima inquietudine: era certo che questa volta ci sarebbe stata una risposta registrata sull'oggetto che stava tornando dal loro pianeta natale, ma, per qualche motivo, la temeva. Ormai non doveva mancare molto: la sonda era già arrivata nel sistema di Elysian e stava completando la fase di stabilizzazione nell'orbita alta del pianeta. Salvo complicazioni, entro pochi minuti sarebbe stata nella posizione ideale per inviare alla nave il contenuto dei suoi banchi di memoria.

Una spia lampeggiò sul monitor, scuotendo l’ufficiale dalla sua assonnata apatia: bastarono pochi gesti per capire che era giunto il momento della verità. Eseguì rapidamente il download, quasi temendo che si ripetesse quanto era avvenuto in precedenza, e questa volta, dopo pochi secondi di analisi, vide che erano giunti due file. Uno era la registrazione delle videocamere, ma il secondo era senza ombra di dubbio un audio. Questa volta la Terra aveva risposto.

Stava per attivare l’interfono per chiamare il capitano e gli altri tre ufficiali autorizzati ad ascoltare il messaggio, ma si bloccò con il dito a pochi millimetri dal pulsante: non poteva aspettare. I suoi brutti presentimenti avevano bisogno di essere sfatati il prima possibile. Si guardò in giro, accertandosi di essere solo, poi si mise le cuffie ed aprì il file audio.

La trasmissione durò alcuni minuti. Alla fine Nakadawa era stravolto, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto. Crollò con la schiena contro lo schienale, svuotato di ogni forza.

 

«Capitano! Comandante Brent!».

I due ufficiali erano nella plancia di comando, impegnati a leggere alcuni rapporti giunti dai coloni civili, quando videro uno degli aiutanti di Nakadawa arrivare di corsa, trafelato.

«Cosa succede, signor Willis?» chiese Farris, cercando di nascondere la trepidazione. Dal tono di urgenza del messaggero, poteva intuire facilmente il contenuto del messaggio.

«Il tenente Nakadawa chiede che lo raggiungiate in sala radio il prima possibile!».

Il comandante e Brent si guardarono negli occhi per un paio di secondi, poi, abbandonati i rapporti, uscirono dalla plancia di comando a passo veloce.

 

Giunsero alla sala radio contemporaneamente al capo Wulf e a Lin. Entrambi sembravano trafelati e ansiosi, con i volti entusiasti: era chiaro che l'arrivo del tanto atteso messaggio significava la fine di una preoccupazione tanto ignota quanto sgradevole. Tutta la loro vivacità, però, si spense non appena videro il volto di Nakadawa: era color cenere, disfatto, svuotato di ogni traccia di gioia. Era il volto di un uomo che ha subito il più devastante shock della sua vita. Era accasciato sulla sua sedia, e fissava il vuoto con occhi spenti.

Mentre Brent chiudeva la porta, Farris prese l’orientale per una spalla e lo scosse dicendo: «Akira, che ti prende? C'è qualche problema? Il messaggio è arrivato?».

Vedendo che l’altro non reagiva, lo afferrò anche con l’altra mano alzando la voce: «Insomma, tenente! Riprenditi! Lo hai ascoltato? Cosa dicono?».

Finalmente Nakadawa sollevò gli occhi, e ciò che Farris vide non gli piacque per nulla: orrore, puro orrore.

Il tenente prese fiato, poi balbettò: «Io… loro… comandante… non ce la faccio - portò la mano al monitor, mentre gli altri si affollavano intorno a loro - E’ meglio che ascoltiate da soli. Io non riuscirei a spiegarlo» e premette sullo schermo del computer il pulsante di riproduzione.

Prima si udì solo un fruscio, poi il messaggio iniziò. Era una voce strascicata, come di un uomo giunto allo stremo delle proprie forze: “Qui è Martin Defleché, già Direttore Esecutivo dello United Nations Human Settlements Programme, e attuale facente funzione di Segretario Generale delle Nazioni Unite. Questo messaggio è destinato all’astronave Columbus. Prego Dio perché in qualche modo vi raggiunga e siate in grado di ascoltarlo: la frequenza stabilita per voi è andata perduta, ma il trasmettitore che sto usando è alimentato ad energia eolica, e ripeterà il messaggio per anni, quindi spero che, non ricevendo risposta su quella, ne tentiate altre. So che ciò che vi dirò sarà per voi orribile da sentire, che potrebbe distruggere le vostre menti e oscurare il vostro cuore, ma è necessario che sappiate. Non potete aspettarvi una seconda spedizione. Nessuno vi raggiungerà su Elysian, perché quando ascolterete questo messaggio, non ci sarà più nessuno in grado di farlo - Si udì una sorta di singhiozzo, e per un attimo la voce s’interruppe - Scusatemi, anche per me è difficile accettare tutto questo. Sarebbe inutile spiegarvi come è iniziata, ma sappiate che meno di un anno dopo la vostra partenza il mondo era già piombato nel caos: contrasti tra nazioni, rivoluzioni, colpi di stato, conflitti locali. L’ONU ha fatto il possibile per evitare il disastro, ma entro altri sei mesi la guerra era già scoppiata in almeno una dozzina di luoghi differenti. Il passo verso la prima esplosione atomica è stato, poi, molto breve - ancora un silenzio - Ora siamo nell’ottobre 2181… credo, non sono completamente certo della data, e neanche della stagione in effetti, fuori è sempre freddo. La guerra è finita da un anno e mezzo. Non era rimasto praticamente nessuno per combatterla. Gli scienziati che avevano teorizzato l’inverno nucleare hanno avuto ragione: la Terra è avvolta da una nera nube di polvere, ed è iniziata la più oscura delle ere glaciali. Ciò che restava dell’ONU ha fatto il possibile per i sopravvissuti. Inutilmente: non restano che pochi milioni di persone; la vita vegetale e quella animale sono quasi estinte; il freddo e il buio stanno finendo di uccidere ciò che è sopravvissuto alle radiazioni. Entro pochi anni, la Terra sarà solo un cupo deserto radioattivo - l’uomo prese ancora fiato - Voi siete la sola speranza del genere umano, gli ultimi uomini ancora vivi. Quando la situazione è degenerata abbiamo provato a terminare la Magallanes prima del previsto, ma è stata colpita da un missile vagante, quindi siete tutto ciò che ci resta. Io prego perché almeno la Colonia AA-001 possa continuare a vivere, che il genere umano non sia destinato a sparire con noi. Parla Martin Defleché, ultimo Segretario delle Nazioni Unite. Fine del messaggio, e che Dio ci perdoni per ciò che abbiamo fatto”.

Il silenzio calò come un macigno sulla sala radio. I cinque presenti non erano in grado di parlare per lo shock. Farris si voltò verso Nakadawa, con occhi imploranti, quasi a chiedere una qualsiasi smentita, ma l’ufficiale radio toccò di nuovo il monitor, attivando il video delle telecamere.

Fu il colpo finale: vedere Base Luna ridotta in macerie e la Terra avvolta da una compatta nube color acciaio fu troppo anche per uomini temprati come gli ufficiali della Columbus. Liu Li Park, semplicemente, si appoggiò alla parete, si portò le mani al volto e iniziò a piangere a dirotto. Il capo Wulf colpì la porta con un pugno che la fece tremare, bestemmiando in tedesco. Brent crollò su una sedia, gli occhi fissi nel vuoto, mormorando: «Tutto finito… tutti quelli che conoscevamo… che amavamo… tutti morti!».

Wulf si passò il dorso di una mano sugli occhi: «Avevo un fratello… il suo figlio più piccolo era uguale a me da piccolo… amava i motori, voleva capire come funzionavano… ho passato ore in officina con lui… - non ce la fece più, e si abbandonò anche lui alle lacrime - Partendo avevo accettato di non vederli più… ma questo…» strinse i pugni fino a piantarsi le unghie nei palmi.

Farris aveva appoggiato le mani su uno dei tavoli di metallo, e ne fissava la superficie a testa bassa, in silenzio, come svuotato. Solo dopo un paio di minuti si sollevò, con occhi duri come il ferro: «Dobbiamo decidere cosa fare adesso».

Vedendo che gli altri lo fissavano con sguardo sconvolto, l’uomo continuò: «Non crediate che non capisca il vostro dolore. Il mio è altrettanto grande - abbassò lo sguardo, per nascondere una lacrima - Mio figlio era ufficiale della Marina degli Stati Uniti. Quando sono partito, il suo primo figlio aveva quasi due anni, e sua moglie era incinta del secondo. Non li hanno lasciati partire con noi, ma il Segretario Generale Reeves mi aveva promesso che avrebbe fatto in modo di metterli sulla seconda nave. E ora lui, mia nuora, i miei nipotini… sono solo cenere radioattiva nell’aria di un pianeta morto. E non posso neanche permettermi di piangerli, perché adesso sulle nostre spalle c’è una responsabilità immensa, perfino più grande di quella che avevamo prima. Le persone che si trovano su questo pianeta sono tutto ciò che resta della razza umana: se noi crolliamo, se questa colonia non dovesse sopravvivere, la nostra specie morirà con noi. Non possiamo lasciarci trasportare dai nostri sentimenti, per il bene di tutti!».

Per un paio di minuti nessuno riuscì a parlare, ognuno troppo oppresso dal peso della situazione. Fu la voce rotta del guardiamarina Park a sciogliere quel silenzio pesantissimo: «Che cosa diremo a questa gente? Non possiamo dire loro la verità, li distruggeremmo!».

«Ha ragione - mormorò Brent, faticando a riprendere una parvenza di controllo - Vivrebbero con la morte nel cuore sapendo di essere gli ultimi uomini nell’universo. Molti forse si ucciderebbero al pensiero di chi hanno lasciato indietro e che magari speravano di rivedere dopo uno dei prossimi viaggi. Non durerebbero dieci anni: la colonia si autodistruggerebbe».

«Qualcosa però dobbiamo dire - intervenne Nakadawa, che aveva già avuto il tempo di piangere i due fratelli che ormai da tempo dovevano essere polvere tra le rovine di Yokohama - Si aspettano una risposta dalla Terra. Sono già preoccupati per il ritardo, si fanno delle domande. Abbiamo un paio di giorni al massimo, poi, però vorranno una spiegazione. Cosa possiamo inventarci?».

Farris rimase in silenzio per quasi due minuti, mentre il suo cervello valutava le possibilità che avevano di fronte, poi si voltò verso l’ancora devastato Wulf e disse: «Capo, comprendo i tuoi sentimenti, ma sono costretto a chiederti di fare qualcosa che non ti piacerà per niente».

 

Quella notte tutti i coloni furono svegliati da un prolungato e acuto stridio, seguito da una terribile esplosione. Accorrendo fuori dalle case prefabbricate, videro lingue di fuoco alzarsi dalla fiancata devastata della Columbus. L’equipaggio e i soldati si precipitarono a tentare di domare l’incendio; alcuni civili intervennero per aiutarli, ma la maggior parte rimase semplicemente pietrificata a guardare le fiamme macchiare il cielo buio.

Gli ultimi focolai non vennero spenti fino alla tarda mattinata, e anche allora dall’enorme squarcio nelle paratie della parte poppiera della nave continuarono ad alzarsi dense colonne di fumo. All’interno, si vedevano i resti contorti dei motori.

Nel pomeriggio, radunati tutti i coloni e i militari, il comandante in seconda Brent, affiancato dal capitano Farris, spiegò quanto era accaduto: durante un normale test della funzionalità dei motori, qualcosa doveva essersi rotto, e la potenza era salita al massimo, senza che nessuno riuscisse a ridurla. Prima che fosse possibile staccare tutto, i motori erano esplosi, ma prima avevano provocato un disastro: con la maggior parte dei sistemi spenti, l’energia in eccesso non aveva potuto scaricarsi da nessuna parte, e aveva fuso la maggior parte degli impianti elettronici della nave, inclusi la radio e il sistema di navigazione. Non c’era alcuna speranza di ripararli: perfino in un bacino di carenaggio sarebbe perfettamente attrezzato sarebbe stata un'impresa quasi impossibile.

«Questo significa che non potremo ricevere risposte dalla Terra. Quando la sonda tornerà, non avremo niente con cui farla rientrare al suolo, né per connetterci a essa. Siamo certi che sulla Terra il messaggio sia arrivato - deglutì faticosamente, cercando di nascondere l'orrore che ancora lo attanagliava - ma fino a quando non arriverà la seconda nave saremo completamente soli».

Dalla folla si levarono voci di protesta e di preoccupazione, il cui volume si alzò rapidamente; la voce stentorea di Farris, però, riportò immediatamente la calma: «Questo brutto incidente non cambia nulla. Sapevamo già che saremmo stati soli per molto tempo, per oltre sei anni. Il fatto che non possiamo ricevere messaggi cambia poco. Certo, sarà dura non poter sentire per tutto questo tempo le persone care che abbiamo lasciato sulla Terra, ma supereremo ogni difficoltà che ci si presenterà davanti, con lo spirito degli antichi colonizzatori. Noi resisteremo, continueremo le nostre vite, renderemo questo pianeta adatto all’uomo, lo trasformeremo nella nostra casa. E, quando la seconda nave arriverà, noi saremo qui per accoglierla!».

La fine del discorso fu accolta da grida di gioia e applausi scroscianti, che fecero sentire il comandante il peggiore dei bugiardi.

 

Mentre la folla si disperdeva, Brent si avvicinò al suo superiore: «Belle parole, veramente. Dopo averla sentita sarebbero stati pronti a lanciarsi alla carica contro una cittadella fortificata».

Il volto di Farris si aprì in un mesto sorriso: «Non è finita. Il capo Wulf, mettendo in scena l’incidente, ci ha fatto guadagnare sei anni, ma il problema tornerà a proporsi».

Brent scosse la testa: «Non sarà la stessa cosa. Certo, quando tra sei anni non vedranno arrivare nessuno saranno delusi, tristi, si sentiranno abbandonati. Si faranno domande, e forse alcuni arriveranno anche a intuire la verità, a comprendere che qualcosa di terribile è accaduto sulla Terra. Non sarà però possibile avere una conferma o una smentita, e la sola cosa che potranno fare sarà continuare a vivere. Con il passare del tempo e delle generazioni, si abitueranno a considerare questo pianeta la loro casa. Non dimenticheranno mai la Terra, il pianeta azzurro dei loro ricordi, che per coloro che saranno nati qui sarà una leggenda. La loro realtà però sarà ciò che avranno. Elysian sarà la loro patria».

Farris sorrise di nuovo, questa volta con più allegria, e strinse la spalla del suo secondo: «Credo che tu abbia ragione. In fondo il genere umano ha sempre dimostrato una grande capacità di ripresa».

Rimase per qualche secondo in silenzio, pensando alle proprie responsabilità di comandante, poi aggiunse: «Ho preso una decisione: lascerò uno scritto che testimoni quanto è successo sulla Terra al mio successore come comandante della Colonia, con il compito di fare altrettanto con chi lo seguirà, senza leggerlo per almeno due secoli. Per allora, la popolazione si sarà legata profondamente a questo luogo, e sapere la verità non sarà più così devastante».

L’uomo infilò le mani nelle tasche, e lasciò correre il suo sguardo sulla radura, sulle persone che tornavano alla loro vita: «Con un po’ di fortuna, la razza umana continuerà ad esistere in questo nuovo mondo, e forse, un giorno, se non commetteremo nuovamente gli stessi sbagli, qualcuno riuscirà a realizzare un'astronave in grado di tornare sulla Terra. Per allora il pianeta si sarà ripulito, e l'umanità rivedrà la propria casa».

I due ufficiali, molto più sereni, tornarono verso il relitto della Columbus, dal quale l’equipaggio stava scaricando tutto ciò che c’era di utilizzabile. Non sarebbe mai più servita: la loro colonia sarebbe stata per sempre.





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