2 – C & S
Barcollavamo verso il niente
di un’altra notte. Senza cose da dire e da fare, con le dita nelle
tasche. Che poi di tasche non ce n’erano mai, quando ne avevamo davvero bisogno.
Avremmo dovuto scrivere a
quattro mani gli avvenimenti comici della nostra vita, per poi riderci su, un
giorno. Invece abbiamo dimenticato.
Accasciati sui muretti, a
bere dai bicchieri trasparenti dei cocktail, con quelle cannucce nere che sono
sempre tutte uguali. E se ne stanno lì a ricordarmi quella merda dentro di me,
che c’è sempre, che non importa scappare, perché per quanto veloce io corra, dal
mio corpo non posso fuggire.
Qualcuno, sotto il manto di
stelle, cantava di cuori sporchi e mani lavate. Ed era bello starsene fermi a
respirare, nel buio degli alberi, io abbandonata contro di te, che mi
accarezzavi il capo. Non riuscivo ad alzare troppo la testa, ma vedevo. Vedevo
anime perse vagarci intorno, nei movimenti lo smarrimento che corrodeva anche il
nostro, di sangue, anche la nostra, di mente, che ci trascinava giù,
nell’abisso. E noi immobili, a guardarci affondare, ad ascoltare in silenzio la
musica bella che ci invadeva le orecchie. Io ero sconvolta, dentro e fuori, con
la matita sciolta attorno agli occhi e una maglietta rossa troppo scollata.
Avevo il sonno nelle braccia, nelle mani, e non riuscivo a muoverle davvero,
continuavo a spostarle, ma non trovavano mai il loro posto. Ti sussurravo frasi spezzate, affondando la bocca nei tuoi capelli. Sentivo il
mio alito infrangersi contro le tue tempie e tornare indietro, caldo, umido,
leggero contro le labbra.
Ti supplico, dimmi che
ricorderai, anche quando saremo lontani, tanto lontani da non riuscire più a
guardarci negli occhi. Dimmi che ricorderai cosa ti dissi. Perché le tue parole
continueranno a perseguitarmi nei sogni, negli incubi, e il tuo sguardo d’amore
mi schiaffeggerà forte il viso anche da sveglia.
Ricorderai?
Tentai
nuovamente, provai ad alzare la testa, ma era così pesante. Era tutto così
pesante. Mi pareva di sciogliermi, come in quel quadro degli orologi.
“Non
volermi mai bene. Mai. Capito?” biascicai. E non sapevo se tu mi stavi a
sentire, ma vedevo la tua sigaretta brillare nel buio. Mi pareva bella come
poche altre cose al mondo. Tesi la mano per afferrarla, te la sfilai via dalle
dita, e tu mi guardasti dall’alto, senza obiettare.
“Non
dire stronzate”
“Stronzate”. “Stronzate” mi riecheggia ancora nel cervello, e rimbalza da una
parete all’altra, come una fottuta pallina da pingpong.
Con un
tiro lungo mi girò la testa, e provai il forte desiderio di buttare via la
sigaretta, e di lanciarmi lontano insieme ad essa.
“Ecco,
allora puoi volermi bene” risposi “Ma non troppo. Mai troppo. Troppo ti farà
male”.
Ed ero
sicura di quel che dicevo. Sapevo che quella mia lucidità strana, costante, mi
permetteva di confessarti ciò che avevo sempre taciuto.
“Non me
ne frega un cazzo. Non te ne devi preoccupare, non sarà colpa tua. Troppo mi
viene naturale. Meno non mi riesce”
Avrei
voluto piangerti addosso, ma non potevo, no. Mi sarebbero scese lacrime d’alcol,
ti avrei rovinato la tua bella maglietta metallica.
Ti trascinai giù dagli
scalini, in mezzo alla gente. Tutto era colorato e brillante, molto più del
previsto. La luce mi violentava gli occhi, ed incrociavo gli sguardi dei
passanti, allucinata.
Non ricordo come, ma ci
risvegliammo su metri di erba sintetica, confusi in un mare di corpi, distesi a
guardare il cielo notturno. Salivano fumo e voci, e cori, ed urla. Poi fu la
volta di un silenzio magico. E prese a scorrere una melodia conosciuta, morbida
e malinconica, di quelle melodie che ti straziano il petto a furia di
martellate.
Ci sono molti modi. Ci sono
molti modi anche di morire, come ad esempio morivamo noi, le mani strette e la
convinzione di essere unici.
Eppure ero certa d’aver
vissuto una delle mezz’ore più straordinarie della mia misera e breve esistenza.
E, in effetti, era proprio
così.
*
NOTE
“Cuori sporchi e mani
lavate” è il verso di una canzone degli
Afterhours (Voglio Una
Pelle Splendida). “Ci
sono molti modi” è invece il titolo di un’altra canzone della band.
Specifico che gli avvenimenti riportati nel testo, autentici o meno che essi
siano, sono ambientati durante un concerto del gruppo in questione.
“Quel quadro degli orologi”
non è altro che “La
persistenza della memoria”, il dipinto più famoso del surrealista
Salvador Dalì.
Detto ciò, ringrazio
Bellis e
Chamelion_ per
aver inserito questa raccolta nelle storie seguite, e, di nuovo,
Chamelion_,
Keyra e
MarilynStar_ per
aver recensito. Grazie di cuore, specialmente a voi tre.
Au revoir.
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