Con
mano tremante, Yanez aprì la lettera e cominciò a
leggerla.
Sbarrò
gli occhi, sgomento, e boccheggiò. Non riusciva a credere a
quanto vi stesse scritto.
Come
erano riusciti a trovarlo, nonostante la sua lontananza dal
Portogallo?
Un
sorriso ironico sollevò le labbra sottili del giovane
avventuriero, mentre la sua bocca si piegava in una linea amara,
diritta. Perché si sorprendeva?
La
famiglia de Gomera era una delle più antiche del Portogallo e
dovevano essere venuti a conoscenza della riconquista del Kiltar da
parte di Sandokan e della cacciata di James Brooke.
–
Anche
qui dovevate venirmi a cercare? – mormorò. Quella
lettera faceva riemergere ricordi che aveva cercato di seppellire
nelle profondità della sua mente.
Lui,
pur essendo figlio di Antonio de Gomera, aveva avuto la colpa di
nascere al di fuori del legame consacrato del matrimonio.
Rise
senza allegria e il suo viso si indurì. Suo padre aveva
tradito sua moglie, la splendida contessa Margarida Alves, con una
contadina delle sue terre, eppure lo stigma ricadeva su di lui e su
sua madre.
Antonio
de Gomera, malgrado la sua colpa, era puro, nonostante avesse
condannato lui e sua madre ad una esistenza aspra, lontana da lussi.
Fin
da bambino, era stato costretto a sopportare le occhiate colme di
biasimo dei benpensanti.
Lui
era costretto a vivere come un servo e a sopportare l’alterigia
di Fernando, primogenito di Antonio e Margarida, e di Adriana, sua
sorella minore.
Ricordava
bene i loro abiti lussuosi, splendenti di colori e stoffe pregiate, e
i loro volti bruni, caldi, così differenti dalla sua pelle
chiara e dai suoi occhi cerulei, ereditati da sua madre.
Quante
volte gli avevano riservato occhiate sprezzanti, quasi fosse uno
schiavo, e lo avevano picchiato e maltrattato per puro compiacimento,
quasi fosse un animale.
Soprattutto
Fernando lo considerava un giocattolo, su cui scaricare le sue
frustrazioni, ma anche Adriana non gli risparmiava frecciate crudeli
e colpi ben assestati di ventaglio.
Per
loro, lui doveva servirli e obbedire ai loro capricci insensati.
E
poi, ipocriti, osavano andare in chiesa e proclamarsi cristiani
devoti!
Solo
la vecchia Magdalena de Gomera, madre di Antonio e sua nonna paterna,
non gli aveva mai fatto mancare il suo affetto e lo aveva difeso
dalle loro violenze.
Lei
aveva saputo andare oltre il suo stato di bastardo ed era riuscita a
donargli un riflesso di affetto famigliare.
–
Ma
è morta. E mi hanno proibito di partecipare al suo funerale. –
mormorò, amaro. Al
compimento del suo ottantesimo compleanno, un
colpo apoplettico aveva avuto ragione di lei ed
era stata trovata morta da una serva nel suo letto.
Strinse
il foglio e deboli ruggiti di rabbia salirono sulle sue labbra. Gli
era stato impedito di donare l’estremo saluto a quella donna
splendida, capace di cambiare opinione.
E
quella si era rivelata una ferita orribile, che non aveva mai cessato
di sanguinare.
Anche
lui, seppur nato da un’altra madre, era suo nipote e aveva
eguali diritti.
La
sorte si era ribaltata.
Adriana
e Fernando, a causa della tubercolosi, erano morti e il superbo
Antonio de Gomera chiedeva il suo ritorno come figlio legittimo.
Si
appoggiò ad una consolle e rifletté. Se fosse tornato
in Portogallo, avrebbe avuto accesso al lusso e alla ricchezza, che
gli erano stati negati.
Ma
avrebbe dovuto tollerare le occhiate e le malelingue
dell’aristocrazia.
Non
gli avrebbero mai perdonato le sue origini, malgrado la
legittimazione.
Un
tempo, avrebbe desiderato sedere al fianco di suo padre e dei suoi
fratellastri, ma gli anni avevano mutato il suo cuore.
Non
aveva bisogno del loro riconoscimento tardivo, dettato solo da un
calcolo egoistico.
In
Asia, si era costruito una famiglia autentica, a cui non importava
nulla delle sue origini.
Sandokan,
nonostante la diversità delle loro origini, si era rivelato un
fratello autentico, al contrario dei suoi fratellastri, con i quali
condivideva in parte il sangue.
Lui
non gli avrebbe mai fatto pesare la sua condizione di figlio
illegittimo.
Inoltre,
aveva conosciuto l’amore di Surama, la splendida regina
dell’Assam.
Lei,
col suo coraggio adamantino, era una donna ben più degna delle
vacue nobildonne europee, impegnate solo a cercare il loro piacere.
Certo,
era sempre circondato dai pericoli, ma quello che aveva costruito era
degno dei rischi.
No,
non aveva senso abbandonare tali legami, per inseguire una ricchezza
e un titolo avvelenati dalle malelingue.
La
porta della stanza si aprì e, d’impeto, entrò
Sandokan.
–
Mi
spieghi che cosa ti è successo? Quando hai ricevuto quella
lettera, sei sbiancato come un lenzuolo e
ti sei allontanato di gran carriera.
– osservò il rajà, perplesso. Quando Sambliong
gli aveva dato quella missiva, il suo amico era impallidito e si era
allontanato, sotto i loro sguardi perplessi.
Yanez
non rispose e il suo sguardo si posò sulla missiva, poi sul
camino, nel quale ardeva il fuoco.
Le
fiamme si alzarono e illuminarono il suo volto d’un debole
riflesso dorato. Voleva bene a Sandokan, ma un distorto pudore
serrava le sue labbra.
Pur
essendo cosciente dell’assurdità dei suoi sentimenti,
non riusciva a liberarsi dalle catene di quel senso di colpa, a lungo
occultato.
Quella
missiva aveva fatto riemergere emozioni e pensieri a lungo
dimenticati.
–
Niente.
Non è accaduto niente. – mormorò Yanez, il tono
apparentemente convinto.
Sandokan
scosse la testa e gli appoggiò le mani sugli avambracci. No,
le parole dell’amico non lo convincevano.
Qualcosa
lo tormentava ed era legato a quella missiva.
–
Non
dire stupidaggini, fratellino. Questa lettera ti ha sconvolto.
Perché? Che succede? – chiese il malese, deciso. Avevano
riconquistato il regno del Kiltar e la pace regnava da tre anni, ma
quel repentino mutamento d’umore del suo amico turbava il suo
cuore.
Gli
dispiaceva vederlo così angosciato e triste.
Yanez,
ostinato, fissò il fuoco. Non voleva fissare Sandokan negli
occhi, perché, sotto il suo sguardo verde, si sentiva nudo e
privo di difese.
Non
poteva mentire davanti a lui.
Forse,
se avesse parlato, si sarebbe sentito meglio, ma una assurda vergogna
serrava la sua bocca.
–
Yanez…
Per favore, dimmi che succede. Non voglio vederti così
preoccupato, senza poterti aiutare. Sei pur sempre il mio fratellino.
– dichiarò Sandokan, il tono premuroso. Il suo amico
continuava a fissare lo sguardo sul fuoco, quasi provasse vergogna.
Ma
quale era la ragione di quel sentimento?
Il
carattere del suo migliore amico, per quanto irto di sarcasmo e
ironia, era gentile ed eroico e non comprendeva le cause di quel
silenzio.
Yanez
sospirò, colpito dalle parole di Sandokan, si girò e
consegnò la missiva.
–
Leggi.
– gli disse, atono.
Sandokan
iniziò a scorrere il foglio. Tante cose, prima oscure, erano
illuminate dalla luce della verità.
Yanez
era stato condannato a sopportare i pregiudizi della sua gente, a
causa delle sue origini illegittime.
E
la sua famiglia d’origine chiedeva il suo ritorno in Portogallo
e la piena assunzione del suo titolo.
–
Che
cosa pensi di fare, Yanez? – domandò Sandokan, serio. La
possibilità d’una separazione riempiva il suo cuore di
angoscia.
Amava
il suo migliore amico d’un affetto smisurato e non voleva
perderlo.
Ne
era sicuro, la sua vita sarebbe stata grigia senza la presenza di
Yanez e del suo ferreo sarcasmo.
Con
la sua partenza, avrebbe perduto una parte del suo cuore, ma non
poteva impedirgli di essere felice.
Lui
meritava più di tanti altri quell’inaspettato
cambiamento della fortuna.
Yanez
girò la testa e i suoi occhi cerulei si specchiarono nelle
iridi di giada dell’amico.
–
Niente.
– rispose poi, il tono deciso, fermo, risoluto.
Sandokan
sbarrò gli occhi e lo fissò, confuso, seppur
speranzoso.
–
Perché?
Se tu tornassi in Portogallo, potresti avere quello che ti è
stato negato… Te lo meriti, dato che la sorte è stata
ingiusta con te. Hai tutto il diritto di reclamare quello che ti
spetta. – obiettò Sandokan, il tono apparentemente
calmo.
Yanez,
gentile, gli posò un dito sulle labbra e lo costrinse a
tacere.
Gli
occhi d’acquamarina dell’europeo si riempirono di lacrime
e un debole singhiozzo strinse il suo petto. Sandokan aveva
conosciuto la verità sulle sue origini e non lo aveva
dileggiato o disprezzato.
Anzi,
pur da una prospettiva errata, si era preoccupato del suo benessere
e, pur soffrendo per una sua eventuale partenza, lo aveva
incoraggiato a tornare nella sua terra.
Il
suo affetto per lui andava oltre i tanto celebrati legami di sangue.
Di
fronte ad una tale prova, la scelta era limpida e priva di qualsiasi
ambiguità.
–
Non
è vero. Tutto quello di cui ho bisogno è qui. Quelle
persone, per me, sono estranee. Antonio de Gomera non è mio
padre e per me la sua purissima stirpe può andarsene
all’Inferno. – cominciò. I ricordi di
quell’infanzia negata si dispiegavano davanti ai suoi occhi…
Con
che diritto quell’uomo, tronfio della sua stirpe, osava
chiedergli di sacrificare la sua vera famiglia?
–
Io
sto bene qui. La mia famiglia siete voi. Tu, Marianna, Tremal Naik,
Kammamuri e il resto dei tigrotti. E anche Paco. Voi mi volete bene,
nonostante il mio carattere impossibile. La famiglia de Gomera, da
tanto, troppo tempo non ha nulla a che fare con me. – spiegò.
–
Certo,
avrei le loro ricchezze e il loro titolo, ma sarei sempre il bastardo
nato fuori dal matrimonio. Ricordo molto bene i loro sguardi, quando
lavoravo come servo dei miei fratellastri. E Antonio de Gomera non
esiterebbe a farmi sposare con una vuota nobildonna, solo per portare
avanti il nome. E io non voglio. Non voglio lasciarmi scappare una
donna come Surama. Sarei proprio un idiota e non lo sono. Almeno, non
fino a questo punto. – concluse.
Poi,
con un gesto deciso, gettò il foglio nel camino e le fiamme,
con un debole crepitio, cominciarono ad aggredire la carta..
Sandokan,
rassicurato, colmò la distanza tra di loro e lo strinse tra le
sue braccia.
–
E’
bello sentirti dire queste parole, amico mio. – mormorò,
felice, mentre le fiamme consumavano la lettera e la trasformavano in
cenere nera.
P.S.:
allora, nella serie italiana di Sandokan, per vie traverse, sappiamo
che Yanez è di origini aristocratiche. (da come si comporta,
sembra uno con un passato tragico e incline all’insicurezza)
Ho
immaginato per lui un passato di figlio illegittimo (penso sia
plausibile), pieno di maltrattamenti e discriminazione. Ho provato
anche a dare un nome a sua nonna.
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