Salve a tutti. In questi giorni ho
ritrovato in una scatola
il "romanzo", come lo definivo con un certo orgoglio al tempo, che
scrissi quando frequentavo le medie, e che era ispirato (o per meglio
dire, in
molti punti scopiazzato) da Jurassic Park, abbondantemente il mio film
preferito sia allora che adesso. Non conoscevo neanche il concetto di
fanfiction a quell'età, quindi lo considerai semplicemente
poco più di un
esercizio e lo lasciai in un cassetto, sia figuratamente che
fisicamente.
Ora, quasi vent'anni dopo, quando
sono sul punto di
pubblicare il mio secondo romanzo, ho ritrovato la mia prima
"fatica", ed ho deciso di pubblicarlo in questo settore, anche se
come vedrete il legame con Jurassic Park è un po'
particolare. Ho deciso anche
di modificarlo il meno possibile, in modo che mantenga le
caratteristiche e le
emozioni di un tredicenne che sognava i dinosauri.
Un'ultima cosa: sempre per evitare di
fare troppe modifiche,
ho deciso di non aggiornarlo alle tecnologie di oggi, quindi fate finta
di
leggere questa fiction all'inizio degli anni 2000.
Detto questo, buona lettura!
PROLOGO
Nonostante fosse pieno giorno, la
giungla era praticamente
avvolta dall'oscurità: gli alberi grandi ed intricati
facevano passare a stento
un filo di luce.
A prima vista sembrava simile ad una
qualsiasi foresta
tropicale dell'America centrale o meridionale, on il suo clima caldo e
umido e
le piante gigantesche circondate da liane enormi. Ad un osservatore
più
attento, però, non sarebbero sfuggiti dei particolari che la
rendevano
insolita: oltre a gigantesche felci alte come piccoli alberi, il
sottobosco era
ricco di una vegetazione molto insolita. Si andava da arbusti simili ad
asparagi alti quanto e più di un uomo e, in alcuni casi,
anche cinque o sei
metri, a insolite palme dall'aspetto tozzo, fino, sorprendentemente, a
grandi
conifere lontanamente simili a pini. Un esperto botanico avrebbe
riconosciuto
equiseti, cicadacee ed araucarie, alcune tra le piante più
antiche esistenti al
mondo, risalenti addirittura all'era mesozoica.
Pochissimi sembravano essere i rumori
di origine animale, se
si escludevano cinguettii e pigolii di uccelli, provenienti sia dalle
cime
degli alberi che dai cespugli. In sostanza, non si muoveva una foglia.
Una mano rugosa e abbronzata
spostò un cespuglio di felci,
ed un uomo lo attraversò, inoltrandosi ulteriormente nella
giungla. Alle sue
spalle ne comparvero altri due.
Il primo era il classico tipo
dell'avventuriero: barba
pressoché incolta, braccia muscolose, vestiti di colore
mimetico piuttosto
stinti ed una pesante carabina da caccia grossa stretta in mano. Gli
altri due,
vestiti con camicie azzurre e con in testa dei berretti da operai,
imbracciavano dei semiautomatici americani M1 Garand ed apparivano
assai meno
robusti di quello che sembrava il loro capo.
Il primo uomo che era uscito dai
cespugli aveva uno sguardo
duro e attento, e guardava nervosamente in tutte le direzioni, come se
si
aspettasse di essere assalito da un momento all'altro: aveva
già il dito sul
grilletto, e sembrava pronto a sparare al primo segno di pericolo.
Dopo una cinquantina di passi, una
volta che l'uomo con
l'aria da duro ebbe scostato un groviglio di equiseti, i tre si
trovarono di
fronte una recinzione d'acciaio alta quasi dodici metri, che somigliava
a
quelle impiegate negli zoo per i grandi animali. La rete era sfondata:
i cavi
d'acciaio parevano tranciati, troncati di netto, quasi fossero stati
spezzati a
morsi.
Il capo del gruppetto si
chinò per attraversare lo squarcio,
entrò nel recinto e si inginocchiò per
controllare il terreno, che era
costellato da impronte fresche a tre dita, molto simili a quelle di un
enorme
uccello. L'uomo si rialzò, si dette un'occhiata intorno
cercando di avvertire
qualsiasi rumore, poi infilò una mano in tasca, estrasse una
ricetrasmittente
portatile, l'accese e la portò all'orecchio:
«Centro di Controllo, rispondete.
Qui è Chester. Passo» disse.
«Qui
Centro di
Controllo. Ti sentiamo forte e chiaro, passo».
«Anche il recinto Dieci
è sfondato, e gli animali sembrano
essere tutti usciti. Passo».
«Lo
sappiamo. Abbiamo
riattivato la centrale elettrica, quindi radar e computer funzionano di
nuovo,
e possiamo monitorare l'intera rete. Praticamente tutti i recinti
risultano
sfondati in più punti, e non riusciamo ad elettrificare i
tratti ancora
integri; devono essere stati tranciati i collegamenti. Passo».
«Il recinto Tredici
è ancora intero? Passo» chiese con una
punta di preoccupazione-
«Anche
il Tredici è
danneggiato. Passo».
L'uomo imprecò a bassa
voce: «Dannazione! Che faccio a
questo punto?».
«Torna
indietro e
riporta i tuoi al Centro di Controllo, ce ne andiamo. Se non ci siete
entro
mezz'ora, vi lasciamo qui. Passo».
«Ricevuto.
Chiudo» e spense la radio. Si avvicinò ai
compagni e sussurrò, attento a non fare rumore:
«Dobbiamo rientrare
immediatamente. La situazione è fuori controllo: il recinto
Tredici è sfondato,
così come molti altri - cercò di ignorare il
terrore dei due - Dobbiamo
sbrigarci prima che si accorgano della nostra presenza: è
attiguo al Dieci, non
devono essere molto lontani».
Il gruppetto si mise in marcia nella
direzione opposta con
ancora maggiore cautela. Chester era teso come una corda di violino:
gli pareva
di sentire le foglie frusciare continuamente intorno a loro, e
malediceva il
momento in cui aveva accettato quel lavoro.
"Dovrà fare semplicemente
il guardiano di uno zoo"
gli avevano detto, senza però specificare di che tipo di zoo
si sarebbe
trattato; quando lo scoprì, desiderò di averlo
chiesto prima.
All'improvviso gli si drizzarono le
orecchie: stavolta era
sicuro che qualcosa si fosse mosso a brevissima distanza da loro. Stava
per
dire agli altri di affrettare il passo, quando udì una
specie di sordo e cupo
brontolio levarsi dalle felci a meno di un metro dalla sua gamba
destra. In un
istante comprese: «Correte!» urlò.
I tre uomini scattarono senza
voltarsi indietro, ma avevano
fatto solo pochi metri quando Chester udì un grido
disperato. Si voltò e vide il
compagno in coda al gruppetto venire trascinato in mezzo alle felci da
qualcosa
che si manteneva nascosto in un cespuglio: le grida si trasformarono
presto in un
rantolo strozzato.
«Muoviti!»
urlò all'altro, riprendendo subito la fuga.
Il suo compagno riprese a correre, ma
dopo pochi metri sentì
dei passi pesanti alle sue spalle, seguiti da uno stridio da uccello
rapace: si
fermò, si voltò di scatto e, gettato un grido
disperato, si tolse il fucile
dalla spalla ed iniziò a sparare.
Chester sentì per tre
volte lo schiocco secco del Garand, ma
non si fermò a controllare: continuò la fuga,
sperando che almeno il sacrificio
degli altri due potesse salvare la sua vita. Credeva ormai di essere
riuscito a
seminare i suoi inseguitori quando, scostata una grossa felce, si
trovò di
fronte, ad una trentina di metri di distanza, uno degli abitanti del
recinto
Tredici, che lo guardava con occhi crudeli e iniettati di sangue.
Chester,
deciso a vendere cara la pelle, portò il calcio del fucile
alla spalla e
inquadrò la testa del suo avversario nel mirino ad
infrarossi montato sulla
canna dell'arma. Stava per premere il grilletto quando udì
un ringhio rabbioso
provenire dalla sua sinistra. Voltò la testa di scatto, e si
trovò di fronte un
muso allungato pieno di denti aguzzi, e due occhi da rettile che
lanciavano
lampi.
«Bastardi!»
urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo, girando
il fucile e premendo il grilletto senza neanche prendere la mira.
Risuonò uno sparo. Fu
l'ultimo gesto della sua vita:
l'animale balzò in avanti, lo gettò a terra e gli
sfondò lo stomaco con un
colpo d una delle zampe posteriore. Un attimo dopo fu raggiunto
dall'altro, ed
entrambi iniziarono a mangiare.
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