Lezioni di volo

di Mariam Kasinaga
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Lezioni di volo

Qualcuno stava entrando nella caverna: “Cōhuātl?” lo chiamò suo padre, con voce bassa e profonda.
L’altro non rispose, raggomitolandosi su se stesso. Sentì suo padre avvicinarsi: “Hai intenzione di rimanere qui per sempre?”domandò, lievemente ironico.
Cōhuātl sbuffò rumorosamente: “A quanto pare sono bloccato qui, Cosa dovrei fare, buttarmi in acqua?” replicò.
Sentì suo padre sdraiarsi vicino a lui: “Ti prego, noi non facciamo quelle cose” rispose piccato.
Cōhuātl si voltò verso di lui: “Cosa succede se non ci riesco? Cosa succede se anche la prossima volta mi blocco? Non lo faccio apposta, papà, io mi impegno, studio! Ma quando è il mio turno, mi sento come se non riuscissi a muovere un muscolo. Tu come fai ad essere così bravo?” domandò a bassa voce.
L’altro ci impiegò qualche minuto a rispondere, come se stesse soppesando le parole da dire: “Non ho mai avuto paura del vento”rispose semplicemente.
Il figlio inclinò leggermente la testa di lato, cercando di cogliere il significato di quelle parole: “Paura del vento?”ripetè, perplesso.
Suo padre annuì: “Siamo anfitteri, volare è nella nostra natura. Tu guardi al vento come un nemico, non come un alleato. Hai paura che ti tradisca, hai paura di non riuscire a controllarlo. Fidati di lui, diventa una cosa sola con lui, e vedrai che volerai più in alto di tutti gli altri”.

Il giovane anfittero dispiegò le ali piumate, sollevando un gran polverone: “Credi sia davvero così semplice?”domandò perplesso.
L’altro gli lisciò le piume del collo con il becco: “Come sputare fuoco”rispose.
Piccoli sbuffi di fumo uscirono dalle narici di Cōhuātl: “Mi stai prendendo in giro”mugugnò, strisciando verso l’imboccatura della caverna.
“Non avere paura!” la voce di suo padre echeggiò nella caverna.
Cōhuātl sentì una brezza leggera arruffargli le piume, portando l’odore salmastro del mare che si estendeva sotto di loro, mentre il sole pomeridiano gli scaldava la pelle.
Chiuse gli occhi, concentrandosi solo sul vento che gli soffiava sul volto. Se davvero volare era come sputare fuoco, voleva dire che non doveva porsi troppe domande.
All’improvviso, ogni singolo muscolo del suo corpo si irrigidì: suo padre aveva torto, non era affatto semplice. Forse lui era nato sbagliato, uno scherzo della natura.
Cōhuātl aprì gli occhi, in preda al panico, voltandosi di scatto per cercare suo padre e dirgli che non ci sarebbe mai potuto riuscire.
L’ultima cosa che vide prima di precipitare fu suo padre spingerlo con le ali.

Il giovane anfittero stava continuando a cadere, il blu del mare pericolosamente sempre più vicino. Continuava a contorcersi in aria, nel disperato tentativo di salvarsi la vita. Il vento gli sibilava nelle orecchie, sferzandogli il muso.Cōhuātl chiuse gli occhi e si preparò all’impatto. Sentì l’acqua fredda solleticargli il ventre, l’aria gonfiargli le ali e si sentì trasportare in alto, verso il sole.
Aprì gli occhi, frastornato dalla nuova sensazione di sentirsi leggero, libero di librarsi finalmente nell’aria.

Sopra di lui, suo padre volteggiava in cerchio, con una mal celata espressione di soddisfazione dipinta sul volto.





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