In The Still Of The Night - 35
In the still of the night
35.
Yes
it’s a hard life
In
a world that’s filled with sorrow
There
are people searching for love in every way
It’s
a long hard fight
But
I’ll always live for tomorrow
I’ll
look back at myself and say I did it for love…
- It’s a Hard Life, Queen
I
preparativi per il matrimonio impazzano, nel Distretto 13. O almeno è quel che
mi racconta Peeta quando viene a trovarmi in ospedale. I ruoli si sono
invertiti: adesso sono io quella ricoverata. Lui ha già preso possesso della
sua unità abitativa, anche se deve comunque recarsi qui per i controlli… e per
la terapia. Dovrei seguirla anche io, in teoria; ma in pratica non ho seguito
molte cose, infischiandomene delle conseguenze, da quando sono qui. Non sono
stata molto ligia alle regole.
C’è
un'altra persona, qui in ospedale, a cui è stato prescritto il supporto
psicologico dopo la prigionia a Capitol City: quella persona, ovviamente, è
Johanna Mason.
Viene
a trovarmi il pomeriggio successivo al mio risveglio; Peeta è andato via da
poco, così la mia visitatrice mi trova da sola nella stanzetta in cui mi hanno
sistemata. Peeta ha iniziato a dare una mano nelle cucine, aiutando come può:
fa il pane, tra le altre cose, e come potrebbe essere altrimenti? Le vecchie
abitudini non muoiono mai. Sta anche facendo mente locale su ciò che può
servirgli per realizzare la torta nuziale di Annie e Finnick. Ha preso molto
sul serio questo compito… come prende sul serio tutto ciò che fa, del resto.
Compreso
cercare di farsi quasi ammazzare per poter salvare la mia vita.
Ma
questo è un altro discorso.
Johanna
entra di soppiatto, sulle punte dei piedi scalzi, silenziosa e letale come ho
imparato a conoscerla durante l’addestramento e durante gli Hunger Games a cui
abbiamo partecipato insieme. Sonnecchio, dato che non ho molto altro da fare, a
parte stare semisdraiata nel mio letto ad ammazzare il tempo, quindi non mi
accorgo subito del suo arrivo; lo faccio solo quando si siede di slancio sul
materasso, ed a maggior ragione perché mi fa sobbalzare per lo spavento,
provocandomi fitte dolorose alle costole ed un principio di tachicardia.
-
Ciao, idiota – mi saluta, sorridendo beffarda. – Carino da parte tua
venire a farmi compagnia.
-
Johanna – ansimo. La osservo mentre cerco di regolarizzare il respiro, o
meglio, la studio. Studio la giovane donna che mi sta seduta davanti e,
rispetto all’immagine che ho della notte del suo salvataggio, noto che sta piuttosto
bene. Non ha più il volto segnato e scavato, è meno pallida, e una peluria
scura le ricopre il cranio. Gli occhi sono sempre gli stessi: attenti, e
carichi di disprezzo e di ironia. Proprio come li ricordavo.
-
Che c’è, ti piaccio per caso? – domanda, allargando il suo ghigno.
-
Non mi piacerai mai – le dico, puntando le mani sul materasso. Mi sollevo di
poco, quello che le mie ferite mi consentono prima dell’arrivo del dolore. – Ti
trovo bene – aggiungo.
Johanna
sbuffa. – Se lo sento ripetere un’altra volta… devo incontrare uno
strizzacervelli almeno una volta al giorno, e solo per sentirmi dire che qui
sono al sicuro. Come se ripeterlo bastasse a sistemare le cose - mi afferra un
braccio con la sua solita delicatezza e mi sfila il tubicino della morfamina
per inserirlo nell’ago che ha ancora nel suo, di braccio. – Non ti dispiace,
vero? Mi stanno diminuendo le dosi da qualche giorno. Hanno paura che possa
diventarne dipendente, come gli strambi del 6. Te li ricordi?
Come
dimenticarli? Una di loro, la donna, ha salvato la vita a Peeta, sacrificandosi
durante lo scontro con le scimmie ibride nell’arena. Ed ancora non conosco il
suo nome. Ma a Johanna dico solo: - Serviti pure.
-
Peccato che il tuo fidanzatino sia stato dimesso prima del tuo arrivo; avrei
potuto farmi dare un prestito anche da lui – ammette. Non appena la morfamina
le entra in circolo sospira di sollievo… o di piacere. Forse un po' dipendente
lo è diventata. Ma sarebbe davvero un problema? Dopo tutto ciò che ha passato è
un miracolo se ragiona ancora con lucidità. Come Peeta: è un miracolo se le
ombre del terrore non lo hanno inglobato nelle loro spire.
-
È stato qui fino a poco fa – le dico.
-
Oh, lo so. È per questo che ho aspettato che se ne andasse prima di venire a
scroccarti la morfamina: ieri mi ha beccata a farlo e mi ha cacciata via.
Ridacchio.
– Hai paura di Peeta?
-
Lo rispetto, il che è diverso dall’averne paura – Johanna osserva il sacchetto
della flebo. – Non può che essere così. Ci siamo dati forza a vicenda mentre eravamo
laggiù. Io conosco a memoria le sue urla, e lui conosce a memoria le mie – mi
guarda. – Cosa ti ha raccontato?
Deglutisco.
– Lui? Nulla. Ho dovuto origliare per sapere – ammetto. - Lui personalmente non
vuole che sappia niente.
-
Tipico. Non ho mai conosciuto una persona più cocciuta di Peeta Mellark.
-
Già. È una sua brutta abitudine.
-
E tutto questo perché è innamorato di un idiota! Cosa ci troverà mai in te…
Dovrei
sentirmi in qualche modo offesa da questa sua sorta di insulto, ma non lo sono.
Per niente. Gli insulti di Johanna non mi danno più così fastidio.
Segue
un momento di silenzio, in cui restiamo ad osservarci a vicenda, soppesando lo
sguardo l’una dell’altra. Non è quel tipo di silenzio pesante, o imbarazzante:
è come se si fosse instaurata della complicità tra di noi. Strano a dirsi, per
due persone come noi che non sopportano la compagnia reciproca. I ricordi
dell’ultima spedizione nell’arena sono ancora molto vividi nella mia mente,
compresi gli schiaffi e gli insulti che mi ha rivolto contro. Ma sopra a tutto
il resto, ci sono due momenti che non potrò mai cancellare: quando mi ha tirata
fuori dall’acqua dopo il volo dalla cornucopia, e quando mi ha messa ko per togliermi
il localizzatore dal braccio. Lo ha fatto per salvarmi la vita in entrambe le
occasioni. Le sono in debito. E non ho ancora fatto nulla per ricambiare questo
debito.
-
Mi dispiace per ciò che ti hanno fatto, Johanna – mormoro. Sono sicura che odierà
ogni parola che è uscita dalla mia bocca; saranno simili a quelle dello
strizzacervelli che le fa visita.
-
Non è a te che deve dispiacere, idiota. È agli imbecilli che guidano
questo posto che dovrebbe importare qualcosa – esclama, irosa, ma poi si calma.
– Al Mellark non l’ho detto, ma a me dispiace per ciò che ti ho fatto quella
notte.
Inarco
le sopracciglia: Johanna mi sta chiedendo scusa? Deve essere davvero arrivata
la fine del mondo. – Che dici? Sono in debito con te, Johanna. Mi stavi
salvando la vita.
Lei
mi fissa come se fossi un’ottusa. – Sì, ma non è questo il punto. Non volevo
mica ammazzarti la mocciosa – brutale, ma onesta. Ancora una volta, è uno
schiaffo in pieno viso. - È vero che li odio, i mocciosi, ma non li ucciderei
mai. Penso solo che, forse…
-
Non sei stata tu – mi affretto a dire per farla tacere. L’ultima cosa che
vorrei fare, ora, è crollare davanti a lei. Un conto è crollare davanti a Gale,
che ne sa già abbastanza dei miei momenti storti, ma Johanna è un tutt’altro
paio di maniche. – Hai fatto quello che dovevi. Non era tuo compito… pensare a lei.
-
Già, quello era il tuo compito – dice. Non c’è nessun tono di accusa, stavolta,
nella sua voce. Sembra quasi dolce. Una Johanna dolce, in qualche modo, è più
preoccupante di una Johanna arrabbiata. – Ma non è nemmeno colpa tua se l’hai
persa.
-
E di chi altri? – chiedo con voce rotta.
-
Del sistema. Tu non c’entri nulla in tutto questo – mi stringe una mano.
Farsi
confortare da Johanna Mason è l’avvenimento meno probabile che mi sarebbe
potuto capitare nella vita… eppure sta accadendo proprio adesso. Molto ironico,
da un lato. Non saremo mai davvero amiche, ma forse riusciremo a tollerarci a
vicenda.
Mi
schiarisco la voce. - Ci hanno ridotto proprio male, eh? – scherzo.
-
Parla per te. Io sto benissimo! – ribatte, staccando la flebo della morfamina
per rimetterla nel mio braccio. – Tornerò domani per un altro giro di sballo.
Oh,
sì, sta decisamente bene.
Nel
giro di tre giorni sono di nuovo in piedi, con il petto ed il costato fasciato
ed imbottita di antidolorifici, ma in piedi. Il trauma che ho riportato non è
grave come quello che Peeta si è trascinato dietro da Capitol City, il che
rende i medici parecchio ottimisti sulle mie velocità di guarigione e di
ripresa. Mi fanno fare delle passeggiate all’aria aperta a cui prende parte
anche Peeta; i dottori concordano che camminare fuori, nello spiazzo in cui giornalmente
si tengono gli addestramenti delle giovani reclute, non possa fare altro che
bene anche a lui. Sembriamo una coppietta felice, mentre camminiamo mano nella
mano… una coppietta felice ed anziana. No, solo io sembro una signora anziana.
Peeta cammina abbastanza diritto nonostante anche lui abbia ancora delle bende
sulle costole, ma adatta il suo passo al mio, mentre cammino un po' curva e con
il braccio libero stretto contro il petto.
Non
sono stata dimessa del tutto, perciò l’ospedale continua ad essere il luogo in
cui trascorrere le ore di riposo notturne, sebbene possa uscire durante il
giorno. Mi danno ancora la morfamina e, di conseguenza, Johanna torna di tanto
in tanto a farsi viva per rubare dalle mie scorte. La lascio fare senza
fiatare, in parte perché ho capito da tempo che odia essere contrariata, ed in
parte perché capisco che sta avendo dei momenti poco buoni: temo che sotto la sua
scorza da dura, quella che è abituata a mostrare a chiunque conosca il suo
nome, si nasconda un animo fragile. E se lo strato di annebbiamento che provoca
la morfamina la aiuta ad affrontare i momenti bui, ben venga. Chi sono io per
opporle resistenza?
L’atmosfera
che si respira al 13 è più festosa che mai. Qui devono aver avuto davvero
pochissime occasioni per festeggiare, dato il modo in cui gli abitanti di
grigio vestiti reagiscono alle varie proposte o alle indicazioni che vengono
loro assegnate. Anche nel Distretto 12 non festeggiavamo molto, ma nelle ricorrenze
speciali come i matrimoni o la festa del raccolto, gli abitanti riuscivano a
dare il meglio di sé, riuscendo a dare persino una lezione contro quell’ombra funerea
e negativa che ci avvolgeva di continuo.
Mi
lascio coinvolgere più del necessario nei preparativi delle nozze, più di
quanto farei se si trattassero delle mie, di nozze: è bizzarro, se pensiamo che
quando si stavano tenendo, tentavo di scaricare il peso delle incombenze su
chiunque altro, eccetto che su di me. Non essere il centro dell’attenzione di
chiunque è sicuramente di aiuto: è per questo che, nei giorni immediatamente
precedenti il matrimonio, osservo con piacere le decorazioni con cui intendono
abbellire il refettorio prendere forma, ed ascolto i battibecchi sempre più
accesi di Plutarch e della Coin, che si scornano sulle modalità in cui deve
svolgersi la cerimonia ed il successivo ricevimento.
Plutarch
ha, per forza di cose, una mentalità da Stratega e secondo il suo ragionamento
queste nozze non devono passare inosservate: devono essere memorabili, uno
spettacolo indimenticabile. Verranno registrate per essere poi trasmesse sotto
forma di Pass-Pro in tutta Panem, come dimostrazione dell’amore e della gioia
che sopravvivono al di sopra della guerra e della sofferenza. La Coin, la cui
mente lavora con la praticità e l’esperienza acquisita in anni di privazioni e
minimalismo, ritiene invece che la firma dei documenti e l’acquisizione di
un’unità abitativa per gli sposi novelli sia più che sufficiente.
-
Allora a cosa serve il Pass-Pro se nessuno si diverte? – inveisce
Plutarch.
L’esagerazione
e la sete di mondanità tipica di Capitol City hanno la meglio sulla semplicità
e la praticità del 13; per questo, due giorni prima delle nozze, propongo a
Plutarch di accompagnare Annie a casa mia, al Distretto 12, dove al piano terra
sono conservati in un enorme armadio gli abiti che Cinna fece per me, quelli
che ho indossato durante il Tour della Vittoria; io e Annie sembriamo avere la
stessa corporatura, quindi penso che quegli abiti le possano stare bene quanto a
me. Lui accetta senza neanche pensarci su due volte: sa meglio di me che gli
abiti di Cinna possono garantirgli l’effetto che desidera così tanto ottenere
da questo matrimonio, e dai Pass-Pro.
Effie
accompagna me, Annie e Finnick in questo viaggio alla ricerca dell’abito
perfetto. Non capisco il motivo per cui Finnick si è unito a noi fino a che non
ci arrivo da sola: a casa di Peeta c’è un armadio identico al mio, in cui ha
riposto tutti i completi che Portia ha realizzato per lui e su cui ha lavorato
insieme a Cinna. Quei completi sono stati pensati e realizzati allo scopo di
accompagnarsi ai miei abiti da sera, in modo che sembrassimo sempre abbinati
con lo stile dei colori o dei tessuti l’uno dell’altra. Avevo completamente rimosso
questo dettaglio, ma Effie doveva averlo ben chiaro nel suo cervello ed ha
pensato di chiamare anche Finnick per fare le cose come si deve. Lo sposo e la
sposa avranno dei vestiti complementari: Plutarch ne sarà felicissimo,
penso mentre atterriamo sullo spiazzo davanti al Villaggio dei Vincitori.
Anche
Peeta avrebbe dovuto essere dei nostri, ma era letteralmente con le mani in
pasta nelle cucine del Distretto 13, preso dal suo lavoro e dalle sue
incombenze per le nozze. Ha detto che ce la saremo cavata anche senza di lui,
anche perché io conosco casa sua a menadito, ed Effie non ha di certo bisogno
di una guida nel campo della moda: semmai, è il contrario. Dietro alle sue
parole, però, sembrava ci fosse nascosto qualcos’altro: la paura di vedere con
i propri occhi come hanno realmente ridotto il Distretto 12. Nei Pass-Pro si è
visto qualcosa, ma non è nulla in confronto a ciò che ho ora davanti.
Rifugiarsi nel lavoro doveva essere un modo per non pensare a questo luogo…
forse, Peeta non è ancora pronto per affrontare davvero il lutto delle
sue perdite. Per vedere ciò che è diventata la tomba della sua famiglia.
Quando
apro l’armadio, insieme ad Annie, la prima cosa che sento è la nostalgia: non
perché questi vestiti mi riportino dei bei ricordi – tutt’altro! -, ma perché
ogni centimetro di stoffa su cui Cinna ha impresso la sua magia me lo
ricordano. Ho nostalgia di Cinna, del suo carattere pacato e della sua
gentilezza. Mi manca Cinna, la mia persona capitolina preferita. L’unica
persona, la prima volta che arrivai come tributo a Capitol City, che mi trattò
come un essere umano e non come una merce da esibire per il divertimento del
pubblico. Un groppo in gola grosso quanto questo armadio mi impedisce di
parlare, mentre faccio scorrere le mani sulle centinaia di colori che ho
davanti agli occhi, e scopro di essere contenta della mia scelta. Sono felice
di dare ad Annie l’abito perfetto per le sue nozze, e sono ancora più felice che
a creare l’abito sia stato proprio Cinna. Indossarlo sarà la maniera perfetta per
ricordarlo.
Effie,
che sta aiutando Finnick a casa di Peeta, continua a fare avanti e indietro per
vedere se siamo già giunte ad una conclusione e ogni tanto ci dà dei consigli,
mostrando la sua competenza in materia. Sospira mentre osserva l’abito blu notte
che Annie ha tra le mani.
-
È passato così tanto da quando ho visto qualcosa di carino! – dice,
scuotendo piano la testa.
La
scelta di Annie ricade su un abito argentato lungo fino alle caviglie, col
corpetto ricamato e adornato da foglie verdi, motivi che sono presenti anche
lungo il bordo della gonna. È l’abito che ho indossato durante la tappa al
Distretto 7. Il distretto di Johanna.
Che
ironia.
Il
gran giorno arriva, carico di attesa e aspettativa. Quando io e Peeta entriamo
nel vasto refettorio scopriamo che è stato stravolto completamente, e solo nel
giro di una notte: fino a ieri sera era ancora spoglio e grigio, e adesso dalle
alte pareti pendono ghirlande e luci soffuse, e tutto intorno sono state
adornate dal fogliame autunnale, unito in modo così magistrale da assomigliare
ad un sottobosco nel bel mezzo dell’autunno. Facciamo parte del piccolo gruppo
di amici che si riunisce nei primi posti, ma nella sala entrano anche i
rifugiati del 12, quei pochi che sono riusciti a scappare dagli altri distretti,
e trecento fortunati abitanti del 13 che la Coin ha acconsentito a far partecipare
alla cerimonia. Effie spicca sopra a tutti noi, grazie all’abito rosa shocking e
alla parrucca dorata che indossa e che teneva sicuramente nascosti da qualche
parte, qui al 13. Ma stiamo parlando di Effie, in fondo: a che serve
sorprendersi se c’è di mezzo lei?
Gli
sposi sono bellissimi, fasciati nei loro abiti verde e argento. La cerimonia è
per la maggior parte simile alla nostra, almeno per quel che riguarda la parte
legale; dopo, assistiamo ad una serie di riti tipici del Distretto 4, quello di
appartenenza degli sposi, che nessuno di noi altri ha mai avuto l’opportunità
di vedere prima d’ora. Annie e Finnick si stringono le mani a vicenda mentre
recitano le promesse nuziali, e si osservano negli occhi senza battere ciglio
quando, attorno a loro, i bambini cantano la tipica canzone nuziale del loro distretto
e una rete d’erba intrecciata cala sulle loro teste. Le loro labbra vengono
bagnate con acqua di mare, e gli sposi si scambiano il primo bacio da marito e
moglie.
Plutarch,
poco prima dell’inizio della cerimonia, ha preteso che tutti i presenti nella
sala sorridessero per via delle riprese: tutti dobbiamo avere l’aria di persone
felici. Ma come si fa a non essere felici per due ragazzi che si amano, e che
hanno rischiato di non poter vivere per vedere realizzato il loro sogno d’amore?
Alcune volte le pretese di Plutarch sono davvero stupide.
Accanto
a me, Peeta mi stringe la mano e se la porta alle labbra per depositarci un
bacio leggero. Gli sorrido, accoccolandomi contro il suo fianco mentre intorno
a noi risuonano gli applausi degli invitati. Si congratulano con gli sposi e
per gli sposi, i cui occhi osservano solo il viso della persona che sta loro di
fronte: il viso di Finnick, il viso di Annie, e nient’altro. All’infuori di
loro stessi non c’è nient’altro di importante.
Il
ricevimento che segue è tutto all’insegna della musica prodotta dall’unico
violinista del 12 che è scampato alle bombe. È una musica allegra e trascinante
e sin dalle prime note lo spazio al centro del refettorio, che è stato lasciato
libero, si riempie di persone danzanti. Sae la Zozza, la persona più seria che
conosco, quando sente la musica si trasforma completamente, quindi non è una sorpresa
quando afferra Gale per un braccio e lo trascina in mezzo alla pista per
ballare.
Io
e Peeta ce ne stiamo in disparte, osservando i gruppetti che danzano e ruotano
attorno agli sposi felici, e battiamo le mani a tempo di musica. Ce ne stiamo
per i fatti nostri, per una volta, ma Johanna ci raggiunge di soppiatto e ci
abbraccia da dietro, rovinando l’atmosfera e suggerendoci di raggiungere gli
altri sulla pista da ballo.
-
Vuoi perderti l’occasione di far vedere a Snow che balli? – mi
sbeffeggia.
-
Cavolo, ha ragione! – ribatte Peeta. Mi prende una mano e mi tira verso di sé.
– Dai, andiamo a divertirci!
-
Ma- tento di protestare, ma Johanna molla uno spintone sulla mia schiena e mi
manda dritta tra le braccia di Peeta, che mi prende al volo ridendo.
Non
ho granché voglia di ballare, e le costole mi danno ancora fastidio se mi muovo
troppo in fretta; ma non riesco a dire di no a Peeta, ai suoi occhi imploranti
e al sorriso dolce che mi rivolge, quindi rinuncio quasi subito a tornare nel
nostro angolino sicuro. Acquisto sicurezza dopo i primi passi, e mi scopro
desiderosa di continuare ancora. Questi non sono i balli che vanno tanto di
moda a Capitol City e che Effie tentò disastrosamente di insegnarci, un giorno
di tanti mesi fa: questi sono i balli del Giacimento, i balli del Distretto 12,
sono i balli con i quali sono cresciuta e che puoi dimenticare solo quando
muori. Se i balli di Capitol City ci riuscivano male, questi ci vengono
naturali come respirare. Ho il petto in fiamme ma resisto fino alla fine della
danza, fino a che un applauso più fragoroso degli altri va a sostituire la
musica.
Rido,
mettendo una mano sul fianco per riprendere fiato, ma Peeta scaccia via le mie
intenzioni e mi solleva da terra, sostenendomi con forza. Posa le labbra sulle
mie e mi trascina in un bacio infuocato come la danza che si è appena conclusa,
causando un’ovazione di grida e applausi attorno a noi. Mi stacco da lui,
imbarazzata, e nascondo il viso nel suo collo. Le telecamere di Plutarch ci
avranno sicuramente ripresi… beh, che diavolo!
-
Stiamo distogliendo l’attenzione dagli sposi – soffio contro la sua
pelle.
-
Andiamocene, allora – propone, rimettendomi giù.
-
Andarcene? Ma… la torta…
-
Vuoi aspettare? – chiede.
Voglio
aspettare? No, a dire la verità. Conosco a memoria il sapore delle sue torte,
ed anche se sono curiosa di vedere il capolavoro di arte pasticcera che ha
tirato fuori dopo interi giorni di lavoro, non voglio aspettare che arrivi.
Voglio
solo Peeta.
-
Andiamo – dico, prendendogli la mano.
Dove
andiamo? Non molto lontano, ad essere sinceri. Percorriamo forse cento metri
lungo il corridoio fuori dal refettorio, prima di scivolare all’interno di una
stanza quasi buia e ingombra dei tavoli e delle sedie che sono stati spostati
per far posto agli invitati. Non credo di essere mai stata qui dentro prima
d’ora, ma poco importa. Poco importa, se l’unica cosa che conta è la persona
che hai al tuo fianco.
Peeta
mi fa sedere su uno di questi tavoli e si intrufola tra le mie gambe,
riprendendo il bacio da dove io lo avevo interrotto pochi minuti prima.
Circondo le sue cosce con le mie gambe e lo porto più vicino, desiderosa del
contatto tra i nostri corpi. Quanto tempo è passato dall’ultima volta? Troppo.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, acqua sporca ed infida che ha minacciato
entrambe le nostre vite. E sentirlo di nuovo, sentirci di nuovo, è un altro
piccolo ritorno alla normalità. È una boccata d’aria fresca.
Aria
che devo prendere, se non voglio andare in apnea. Mi costringo a mettere fine al
nostro bacio, anche perché ho le costole in fiamme. Mi ricordano che non posso
ancora fare del tutto ciò che voglio. Mi ricordano che deve ancora passare un
sacco di acqua sotto i ponti, prima di guarire.
-
Pensi che verranno a cercarci? – mormora Peeta, lasciando una quantità
esagerata di baci sul mio viso.
Sbuffo,
a metà tra il riso e il respiro. – Spero proprio di no! Annie e Finnick bastano
e avanzano per attirare la loro attenzione…
-
Mh – mugugna, scendendo sul mio collo. Così non mi aiuta, però. – Bel
matrimonio, il loro. Ma…
-
Ma? – ansimo, chiudendo gli occhi.
-
Il nostro è stato di gran lunga più bello.
Stavolta
scoppio a ridere, allontanando il suo viso per poterlo vedere. – Ma dai, Peeta!
Non so neanche se lo considerano un matrimonio…
-
E perché non dovrebbero? – ride anche lui. – Ti sei vantata con Finnick delle
nostre nozze senza veli?
-
No? – rispondo.
-
Quindi lui non sa che ci siamo sposati nudi? Allora siamo ancora in tempo per
sorprenderlo! Siamo stati così audaci…
-
Ma che dici! – strillo, nascondendomi nella sua camicia. – Non siamo stati
audaci…
-
Come no? Altroché se lo siamo stati!
-
Peeta! – smetto di nascondermi e gli mollo un pizzicotto sul fianco, ma non
sono davvero arrabbiata. La mia è tutta scena, e lui lo sa bene.
Premo
le mani sulle sue guance, lisce e rosee, e seguo con il pollice la sottile e
lunga linea rossa che gli percorre il lato sinistro del viso. Avrebbero potuto
fare danni maggiori, fargli perdere un occhio o deturparlo in maniera
irrecuperabile, eppure si sono limitati a questo enorme taglio regolare, che
tutto sommato è guarito in fretta. Limitati… me lo hanno quasi
ammazzato. Questo non è limitarsi…
Peeta
chiude gli occhi quando inizio a percorrere con le labbra la cicatrice. Scendo
piano, fino alle sue labbra. Le sfioro appena in una carezza.
-
Lo rifarei altre dieci volte – dice, socchiudendo le palpebre.
Cosa?
Sposarmi? O farsi torturare? Quale di queste due ipotesi rifarebbe per dieci
volte?
-
Io altre cento – replico. Così non saprò mai cos’è che voleva dire veramente. –
Ho una cosa per te – aggiungo.
-
Per me?
Armeggio
con il cordino che ho attorno al collo e lo sfilo, nascondendo nella mano la
sorpresa che ho in serbo per Peeta. Dopo averla liberata, e dopo essermi
assicurata che la perla non scivoli via dal cordino, me lo rimetto intorno al
collo. Afferro la sua mano, la sinistra. È quella di cui ho bisogno.
-
L’altra volta mi sono resa conto che non ti ho mai regalato qualcosa che
potesse farti pensare a me – dico, sentendomi improvvisamente nervosa.
-
Non devi regalarmi nulla, tesoro…
-
Ma voglio farlo! Non è molto, e di certo non è prezioso come l’anello che tu
hai regalato a me – apro la mano e rivelo il sottile cerchietto d’argento che è
posato sul mio palmo. – Ma per iniziare può andare bene, no?
Qualche
giorno fa, mentre Peeta era completamente immerso nella pasticceria, sono
andata un po' in giro per il Distretto 13 in cerca di qualcuno che fosse in
grado di realizzare un piccolo anello. Una fede. L’unico metallo prezioso che
avevo a disposizione era la catenina d’argento che avevo al collo, ma non mi è
importato se avessi dovuto sostituirla con un semplice pezzo di spago. Mi
importava solo raggiungere il mio scopo. E ci sono riuscita.
-
Katniss – sussurra Peeta, sorpreso. Mi guarda. – Non-
-
Prova a ripeterlo e ti faccio vedere io! – esclamo, scatenando in lui una
risatina nervosa. Faccio scivolare l’anellino al suo anulare e sospiro,
sollevata, non appena vedo che gli sta a pennello.
-
È perfetto – Peeta guarda il suo dito e poi di nuovo me. – Tu sei
perfetta, Katniss – fa combaciare ancora una volta le nostre labbra, e lo fa
ancora e ancora, fino a che non siamo entrambi a corto di fiato. – Hai la
minima idea di quanto ti amo?
-
Io ti amo da impazzire – gli dico sulle sue labbra, rubandogli un altro bacio.
– Ho paura di non dimostrartelo mai abbastanza…
-
Me lo dimostri ogni giorno, amore, ogni giorno – solleva la mano sinistra
affinché io possa vederla. – E questo ne è la prova.
Le
nostre fronti premono l’una contro l’altra mentre, con lo sguardo rivolto verso
il basso, ci stringiamo le mani. Le sinistre, i cui anulari sono fasciati da
due diversi tipi di anello: un anello d’oro e brillanti, e un anello d’argento.
Oro e argento. Uno più prezioso dell’altro. Se dovessimo valutare il prestigio
di un amore attraverso i materiali, l’amore che Peeta prova per me vincerebbe a
mani basse sul mio.
Ma
ho imparato che comparare l’amore a dei beni materiali è inutile. È
un’assurdità. È come paragonare la notte con il giorno, o il freddo con il
caldo. L’estate e l’inverno. È impossibile.
Ed
è altrettanto impossibile capire l’entità e l’intensità dell’amore che ci lega.
Perché siamo umani, siamo fatti di carne ed ossa e sentimenti, ed i sentimenti
non sono mai tutti uguali. Forse, domani mattina mi sveglierò e capirò che non
ho mai amato il ragazzo biondo che mi sta di fronte. Per Peeta potrebbe
succedere la stessa cosa, domani mattina. E se non accadrà domani, accadrà in
un giorno imprecisato del mio futuro. O forse non accadrà mai, ed il mio amore
rimarrà tale e quale a com’è ora.
Un
amore sincero, ma forte. Talmente forte da trafiggermi come una coltellata, al
solo pensiero di poterlo perdere.
_____________________
Eccoci qui.
Comincio le note col farvi gli
auguri di Pasqua, anche se in ritardo ^^’ spero che siano state serene,
nonostante tutto :)
Possiamo aggiungere il matrimonio
di Annie e Finnick alla lista degli avvenimenti! E’ molto simile all’originale,
e ammetto che avrei potuto dilungarmi per approfondirlo… ma come avete letto,
le brutte intenzioni e la maleducazione idee mi hanno spinta oltre, e
così vediamo Katniss e Peeta che celebrano questa sorta di secondo matrimonio
scambiandosi gli anelli.
Continuo a vederla una cosa un po’
sdolcinata, soprattutto perché questo gesto viene da Katniss: lei non è quel
genere di persona che si mette a regalare anelli al primo che passa, questo è
un gesto più da Peeta ^^’ però a maggior ragione la trovo una scena giusta che
va a chiudere, in qualche modo, il cerchio che si è aperto la sera della tostatura.
Ed è il modo più classico che esiste per dichiararsi amore eterno, no?
Lo so, il cioccolato mi ha resa
più dolce.
Ma vi avverto che non durerà a
lungo come effetto :P
D.
|