CAPITOLO DUE
«John! John,
svegliati!».
Il capitano aprì
faticosamente gli occhi, la testa che gli
pulsava dolorosamente, e si trovò di fronte i suoi due
compagni di sventura, un
po' malandati, ma vivi.
«Come ti senti?»
gli chiese Roberts, chino su di lui. John
notò che la sua costosa tenuta da marinaio era strappata e
strazzonata, e che
perdeva sangue da un taglio sulla fronte e da una sgraffiatura al
gomito
sinistro. Il ragazzo sembrava spaventato e zuppo, ma per il resto
appariva
incolume. Sullo sfondo, appena oltre la linea della costa dove le onde
continuavano ad infrangersi con violenza, vide i resti della timoneria
e parte
dello scafo della barca schiantati sulla sabbia.
«Come se mi avessero
colpito sul cranio con una mazza»
rispose John mentre cercava cautamente di alzarsi: la testa gli faceva
un male
terribile, ma fortunatamente non sembrava avere nulla di rotto. Ebbe
solo una
leggera vertigine, ma riuscì a tenersi in piedi.
«Che cosa facciamo ora? -
chiese Roberts, una punta di
panico nella voce - La "Green Star" è a pezzi, e il gommone
di
salvataggio è sparito in mare! Non abbiamo modo di lasciare
l'isola!».
«La
ricetrasmittente?» chiese il capitano a voce alta,
cercando di sovrastare il rumore delle onde e dei tuoni.
«Ridotta in
briciole».
John soffocò
un'imprecazione, poi guardò il suo orologio,
che fortunatamente ancora funzionava: le due meno un quarto. Non
avrebbe fatto
giorno ancora per diverse ore. Avrebbe evitato volentieri di inoltrarsi
nella
giungla al buio, ma non potevano restare sulla spiaggia per tutta la
notte: non
sapeva se la tempesta avesse raggiunto il suo massimo, ma se
così non fosse
stato, un'onda più grossa delle altre avrebbe potuto
trascinarli in mare.:
«Dobbiamo cercare di inoltrarci nella foresta. Credo che
l'isola sia
disabitata, ma potrei sbagliarmi, magari c'è un
villaggio».
«Non possiamo attendere
l'alba?» mormorò Roberts osservando
gli alberi fitti con sguardo spaventato.
«Se arriva un'onda
più alta, finiremo per essere travolti e
per annegare prima ancora di rendercene conto» rispose
perentorio John mentre
si avvicinava ai resti della barca. L'urto aveva strappato la
rastrelliera e
trascinato in mare tutto il contenuto, ma all'interno di ciò
che restava della
cabina il capitano trovò il fucile che aveva preso in
precedenza, insieme a due
degli arpioni. Li raccolse e, tornato dagli altri, li
consegnò al ragazzo:
«Usalo per difenderti se serve» gli disse, e gli
piazzò il tutto in mano. Fatto
ciò, ricordandosi della pistola di Roberts, portò
la mano alla cintura:
miracolosamente, l'arma era ancora lì, ma quando
infilò una mano nella tasca di
ciò che rimaneva della cerata si rese conto che c'era uno
strappo. I proiettili
erano scomparsi. Il capitano non provò neanche a trovarli:
al buio e su una
spiaggia, sotto la pioggia che cadeva a cascata, sarebbe stato
impossibile. Si
limitò a consegnare la Smith & Wesson al
proprietario della barca.
«Un fucile ad arpioni ed
una pistola con appena cinque colpi
- sbuffò Roberts - Dobbiamo solo sperare di non aver bisogno
di difenderci».
«Due pistole»
disse John mentre si raddrizzava il cinturone,
poi estrasse dalla fondina un vecchio revolver Ruger calibro 44.
«Non mi avevi detto di
avere una pistola» sottolineò Roberts
con una punta di rimprovero.
«Lei non me lo ha
chiesto» fu la secca replica del capitano
mentre riponeva l'arma, per poi avviarsi verso gli alberi, seguito,
dopo una
breve esitazione, dagli altri due.
La marcia nella foresta
proseguì faticosamente per oltre
un'ora, sotto i grandi tronchi e attraverso un fitto sottobosco di
felci. La
pioggia arrivava attutita sotto le fronde, ma l'umidità
gocciolava copiosamente
dall'alto, impedendo ai tre uomini zuppi anche soltanto di provare ad
asciugarsi. Non sapevano dove stavano andando: John sperava soltanto di
starsi
effettivamente dirigendo verso il vulcano. In realtà non
credeva minimamente
che l'isola potesse essere abitata, ma non appena avesse smesso di
piovere
dall'alto avrebbero potuto fare segnali a navi o aerei. Roberts era un
pezzo
grosso, appena il tempo lo avesse consentito sarebbe stata fatta
partire
un'operazione su vasta scala per trovarlo.
Nonostante la situazione poco rosea,
John non poteva fare a
meno di guardarsi intorno durante la salita, è
ciò che vide suscitò la sua
curiosità. Aveva visto diverse giungle in vita sua, ma
nessuna che somigliasse
a quella. La vegetazione, oltre alle classiche piante tropicali,
comprendeva un
sorprendente numero di quelle che sembravano grosse conifere,
benché
appartenessero a specie che non aveva mai visto neanche sul continente,
le
quali apparivano totalmente fuori posto su un'isola dei Caraibi. La
seconda
cosa che lo colpiva era l'assenza di animali: se all'inizio aveva
temuto di
finire nella trappola di un giaguaro, aveva poi dovuto arrendersi
all'evidenza
che sull'isola non sembrava esserci alcun tipo di mammifero, neanche un
topo.
Aveva sentito soltanto le grida di un grosso numero di uccelli, molti
dei quali
gli erano completamente sconosciuti. Continuava a lanciare occhiate ai
suoi
compagni, temendo che non ce la facessero a tenere il passo. Roberts,
in
effetti, sembrava sul punto di cedere: era il più vecchio,
in fondo, ed era un
industriale, decisamente più abituato a stare alla scrivania
che a muoversi per
i boschi. Anche il ragazzo sembrava essere decisamente stanco: in
qualche punto
il terreno era troppo scosceso per le sue gambe non abbastanza
allenate, al
punto che doveva aiutarsi con le mani per continuare a salire.
Si era fermato per riprendere fiato,
quando vide qualcosa
che attrasse la sua attenzione: una specie di grossa lucertola verde
sbucò da
un cespuglio di felci e, correndo sulle zampe di dietro,
tornò ad infilarsi nel
sottobosco on la velocità di un missile.
Il ragazzo impiegò qualche
secondo per rendersi conto di
quello che aveva visto: quando mai si era sentito di una lucertola
capace di
correre sulle zampe posteriori? Da quanto si ricordava di avere
imparato a
scuola, non ne erano capaci, di certo non ad una simile
velocità.
Un attimo dopo udì una
sorta di pigolio, simile a quello di
un uccellino da nido, ed il lucertolone saltò su un tronco
vicino al viso del
ragazzo ed iniziò ad osservarlo, la testa inclinata di lato:
più che spaventato,
sembrava sinceramente incuriosito.
«Papà! John!
Veite qui!».
I due accorsero subito: prima John,
che era più agile, poi
Roberts, che aveva afferrato la pistola. Capirono però
subito che non c'era
alcun pericolo imminente: l'animale sembrava essere troppo piccolo per
rappresentare una minaccia. I due adulti si abbassarono per osservarlo:
era
alto una trentina di centimetri, ed il suo corpo, coperto di scaglie,
era
verde, venato da strisce brune lungo il dorso. Le zampe anteriori
terminavano
in tre lunghe dita artigliate, così come quelle posteriori,
che erano lunghe ed
estremamente simili a quelle di un uccello corridore. La testolina,
munita di
due occhi neri e penetranti, non era però certamente quella
di un uccello: le
sue fauci erano infatti armate di piccoli denti, all'apparenza molto
aguzzi.
L'animale non era più grande di un pollo, e pigolava
eccitato: sembrava
estremamente interessato agli
strani
esseri che lo circondavano, che sembrava non aver mai visto prima.
All'improvviso parve irrigidirsi: sollevò la testa,
girandola da una parte
all'altra, infine, dopo aver emesso un ultimo pigolio, apparentemente
molto
simile ad un grido di terrore, il lucertolone scappò via,
sparendo nella
vegetazione.
Prima ancora che i tre potessero
chiedersi che cosa avesse
spaventato la creatura, udirono alle proprie spalle un rumore di rami
spezzati
e foglie calpestate, poi un basso e sordo ringhio che fece gelare loro
il
sangue nelle vene. Per un attimo l'immagine di un giaguaro
attraversò la mente
di John, ma comprese quasi subito che non poteva trattarsi del verso di
un
felino.
Accadde tutto in un lampo: Roberts
proruppe in un urlo che
nulla aveva di umano, al quale seguì il tonfo ovattato della
pistola dell'uomo
che cadeva sul suolo coperto da vegetazione marcescente, infine il
rumore di un
corpo trascinato di forza.
John e il ragazzo si voltarono appena
in tempo per vedere i
piedi dell'uomo scomparire in un cespuglio, mentre un'ombra scura, alta
poco
meno di due metri, lo sovrastava. John ebbe modo di vedere l'essere
saltare
sullo stomaco di Roberts mentre lui si dimenava disperatamente. Il
proprietario
della barca lanciò un altro urlo. L'animale
sollevò una delle zampe posteriori.
Nonostante il buio, John ed il ragazzo videro chiaramente che il piede
della
creatura, oltre a due dita artigliate, ne presentava un terzo dalle
proporzioni
mostruose: era dotato di un artiglio a forma di falcetto ricurvo lungo
almeno
dieci centimetri. Con uno scatto improvviso, l'animale lo
piantò nel ventre di
Roberts e lo sbudellò come un pesce. Le viscere dell'uomo
fuoriuscirono dalla
terribile ferita e si sparsero al suolo insieme ad un'ondata di sangue
scuro.
«Nooooo!»
urlò il ragazzo sfilandosi il fucile ad arpioni
dalla spalla, e fece per precipitarsi verso l'animale, che aveva
già iniziato a
divorare il corpo ancora scosso da rantoli del padre. Gli occhi di
Roberts,
ormai ciechi, fissavano il vuoto.
John lo afferrò per un
braccio, trattenendolo a forza: «E'
troppo tardi! - urlò - Via, presto! Corri, ragazzo!
Corri!!!».
Il giovane esitò per un
istante, poi prese a correre, gli
occhi oscurati dalle lacrime e senza una meta precisa. John raccolse da
terra
la pistola caduta a Roberts, poi lo seguì più
velocemente possibile.
Il ringhio riprese, minaccioso quanto
prima. John non lo
vide, ma una seconda creatura era uscita dalle felci, si era fermata un
secondo
di fronte al corpo dilaniato di Roberts, poi, vedendo altre due
possibili prede
in fuga, si era gettata all'inseguimento.
John, nonostante la stanchezza,
correva con tutta la forza
che gli restava nelle gambe, risalendo la montagna alla massima
velocità
possibile. Aveva perso di vista il ragazzo, ma era il minore dei suoi
problemi:
sapeva benissimo di essere inseguito, anche se non sapeva da che cosa.
Sentiva
la belva calpestare pesantemente le foglie, avvertiva il suo respiro e,
ogni
tanto, il ringhio rabbioso di chi vede fuggire la preda che credeva di
catturare più facilmente.
Aveva già percorso quasi
settecento metri quando il verso si
trasformò in un vero e proprio ruggito, che in apparenza
proveniva da appena
dietro di lui, poi un corpo pesante gli piombò sulla
schiena, scaraventandolo a
terra di faccia con estrema violenza. John tentò di
rimettersi in piedi, ma il
peso della bestia, che si era piazzata sopra di lui, lo
schiacciò al suolo. Ne
avvertiva la grande forza, nonostante le dimensioni relativamente
ridotte, e
credeva di sentire il battito del suo cuore, ma forse era solo il
brontolio
dello stomaco di un essere affamato.
Lo avvertì spostare una
zampa, poi sentì un ringhio più
forte degli altri, seguito da un lancinante dolore alla schiena e da un
inquietante rumore di ossa spezzate. Nonostante fosse in preda ad una
sofferenza quasi inimmaginabile, John comprese che doveva avergli
piantato
l'artiglio a falce nella schiena, sfondando una delle scapole come se
fosse
stata di carta anziché di solido osso. John sentì
di stare perdendo i sensi, ed
arrivò a pensare che sarebbe stata una fortuna: aveva la
testa voltata di lato,
e nonostante il suo sguardo si stesse rapidamente velando, vide il
terreno
coprirsi di rosso. Comprese che era il suo sangue.
Prima di svenire sentì il
sibilo dell'animale che si
preparava ad iniziare il suo pasto, poi qualcosa di simile ad un
fischio,
infine il suo mondo diventò buio.
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