Una
Renault grigia si fermò nel parcheggio.
La
portiera si aprì e, con movimento fluido, scese una giovane
donna di alta statura e di corporatura snella.
I
lunghi capelli neri, dai riflessi blu, erano raccolti in una lunga
coda e circondavano un viso dai lineamenti delicati.
Gli
occhi, dal taglio allungato, ombreggiati da lunghe ciglia nere, erano
d’un intenso colore verde.
Indossava
una maglia bianca a maniche corte, pantaloni neri e sandali blu.
Al
suo collo era appeso un ciondolo d’oro, terminante in una
ametista grezza rettangolare, grossa quanto un’unghia.
La
ragazza si toccò l’ametista, poi scese dall’auto,
prese la borsa e, a passo rapido, si avviò verso la biblioteca
“San Marco”.
L’edificio,
a pianta quadrata, pur piccolo, era adorno di decorazioni e sulla
facciata principale apriva una porta rettangolare, sormontata da un
timpano, adorno di sculture consunte, rappresentanti l’Ultima
Cena.
La
ragazza vide un uomo tarchiato, con corti capelli castani e occhi
castani, che armeggiava con delle chiavi.
–
Buongiorno,
direttore. – lo salutò.
L’uomo
si girò e un debole sorriso sollevò le sue labbra.
–
Buongiorno,
Valentina Castellani. Si ricorda che giorno è oggi? –
domandò, il tono apparentemente serio.
La
ragazza fece per rispondere, ma i suoi occhi, ad un tratto, si
sbarrarono e grosse gocce di sudore imperlarono il suo volto.
L’uomo,
preoccupato, le si avvicinò e le posò la mano sul
braccio.
–
Tutto
bene? – domandò, aggrottando la fronte.
La
ragazza, per alcuni istanti, rimase ferma, lo sguardo stralunato, poi
si scosse e fissò lo sguardo sull’uomo.
–
Sì.
Mi perdoni, direttore. – si scusò, triste.
–
Lascia
perdere. Ma se stai ancora così, vai a casa. – borbottò
lui.
Poi
aprì il portone ed entrarono nella biblioteca.
|