California Dreaming

di DanzaNelFuoco
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COW-#10 (w5, m1)
Prompt: Colpo di scena 
04/03/2020

(California Dreaming - Hollywood Undead)

 

 

 

- California dreaming - 

 

 

In the land of make-believe, the situation’s critical 

 

Il divano su cui si sveglia non è il suo. La testa gli pulsa ancora dalla sbronza della sera prima e nel cercare di tirarsi in piedi rovescia lattine di birra vuote sparse ovunque sul pavimento. 

“Merda” impreca tra i denti, quando sente il liquido impregnargli il calzino. Evidentemente non tutte le lattine erano vuote. 

La stanza è un letamaio, confezioni di cinese take away abbandonate negli angoli che ormai hanno richiamato nugoli di mosche nella calura estiva, piatti abbandonati nel lavello, pacchetti di patatine accartocciati e rotolati ovunque. Ma Jake ha dormito in posti peggiori. 

Recupera da sotto il cuscino la semi-automatica con cui ha dormito e la infila nella fondina, senza fissarla con il gancio. Non si può mai sapere quanto in fretta dovrà estrarla e anche quei pochi secondi necessari a far saltare il bottoncino metallico potrebbero essergli fatali. 

Fruga nella dispensa alla ricerca di qualcosa di commestibile, nella speranza che non tutto il cibo sia troppo scaduto. Dio, quanto gli manca il caffè. Una bella tazza di caffè nero fumante, magari accompagnato da una ciambella al cioccolato. Ma principalmente il caffè. Cosa non darebbe per averne una bella tazza bollente. Gli viene l’acquolina solo al pensiero. 

Sbatte lo sportello della credenza con frustrazione. Da quando hanno tagliato la corrente il caffè se lo può solo sognare. 

Il mal di testa si fa sentire con una fitta che gli trapana il cervello, come a ricordargli che sta vincendo il dopo sbornia su qualsiasi rimedio della nonna lui possa provare a inventarsi. Il suo spirito di sopravvivenza gli ricorda che forse può recuperare un’aspirina, se la fortuna l’assiste, quindi cerca di raggiungere il bagno, scavalcando i mucchi di spazzatura di cui non vuole indagare l’origine. 

“Dio grazie” sussurra aprendo l’armadietto del bagno e trovandolo più fornito di una farmacia. “Una botta di culo, ogni tanto!”

Oltre all’aspirina in bella vista, che si affretta a stringere tra le labbra e ingoiare a secco, senza preoccuparsi di provare la leva del rubinetto da cui sa non uscirà un bel niente, sulle mensoline di vetro sono allineate boccette arancioni di ogni genere, tutte fornite di apposite etichette. 

Esamina frettolosamente una boccetta alla volta, accatastandole nel lavandino. Tre quarti della roba non sa nemmeno a cosa serva e, per quanto secondo la legge di Murphy quello che sta scartando gli sarà assolutamente necessario in futuro, a meno che non incontri un farmacista (cosa di cui dubita molto, sarà tanto se troverà qualcun altro di vivo), probabilmente morirà anche portandosi dietro tutte quelle pillole. 

“Beh, Hank Wilder, ti ringrazio molto” Jake fa sparire nella tasca dei jeans due flaconi di morfina - quella la conosce bene - e decide che la sua violazione di domicilio è durata anche fin troppo. 

Non che qualche poliziotto possa venire a dirgli qualcosa. Anzi, darebbe un braccio per incontrare un uomo delle forze dell’ordine in questo momento, se poi fosse anche armato di pistola non sarebbe male. 

Passano i tre secondi che Jake si concede per veder realizzato il suo desiderio, ma no, nessun essere umano si materializza dal nulla davanti a lui, divisa blu o meno. 

Beh, non che Jake ci sperasse dopotutto.

I poliziotti sono tutti morti. 

E quelli che non lo sono, sono tutti non-morti.

Il che non è molto meglio agli occhi di Jake. 

Si rimette in marcia, la bretella dello zaino che gli sega una spalla nonostante il cotone della maglietta. Il sole di mezzogiorno - almeno secondo il suo orologio da polso, ma non è che possa mantenerlo settato sul segnale orario della stazione ufficiale di Vattelapesca - gli appiccica la camicia addosso e la stoffa che sfrega contro la pelle bagnata di sudore e gli tira i peli, gli fa rimpiangere di non potersi mettere a petto nudo. 

Jake si domanda per l’ennesima volta quale sia il senso di tirare a campare. 

Metà della popolazione umana si è ammalata di un virus che li ha trasformati in zombie e l’altra metà è stata fatta fuori da tali zombie prima di potersi rendere conto che c’era qualcosa che non andava. 

Jake si dice che certo, ci devono essere delle altre persone vive, altre eccezioni alla regola, altri soggetti agli estremi della gaussiana - all’estremo dei vivi, possibilmente, e non dei morti di altro, nonostante gli zombie - ma per il momento lui non ha ancora incontrato nessuno. 

E se anche li incontrasse? 

Qual è il senso?

Jake non si è lasciato alle spalle una famiglia, una moglie o dei figli, niente di così drammatico, lui non sarebbe mai stato il perfetto protagonista di un film apocalittico - a volte si sorprende di essere il protagonista della sua stessa vita - proprio perché non ha nulla da cercare. 

Sì, d’accordo aveva una ragazza, ma lei era andata mesi prima, stroncata da un tizio a cui mancava metà della testa. Se ne è fatto una ragione. Stavano insieme da un mese e avevano scopato sì e no tre volte. Non ci ha pianto più di tanto, manco la conosceva così bene - cinico, sì, ma l’istinto di sopravvivenza tende a tagliare fuori tutte le perdite di energie inutili e il lutto è una di quelle. 

Comunque sia, lui non ha figli da ritrovare dall’altra parte del paese o una cura magica da tirare fuori come un asso nella manica una volta che abbia raggiunto l’irraggiungibile laboratorio all’orizzonte. No, lui non è il protagonista adatto, e se lo fosse questo sarebbe ‘Io sono leggenda’ - il libro, non quel film orribile con Will Smith - e a lui mancherebbe solo avere un cane, ma in ogni caso niente che possa portare un barlume di speranza nel suo prossimo futuro.

Anche se, considerando la fine orribile del cane, forse è meglio che questo non sia un film.

Comunque, Jake va avanti, cammina tutto il giorno senza meta spostandosi ai margini della città, evitando i cadaveri marcescenti - che camminino o meno - e, non appena il sole comincia la sua discesa verso il mare, comincia a cercare un’appartamento vuoto la cui serratura sia frettolosamente forzabile e con possibilmente qualcosa da mangiare. Quando è fortunato, come la sera prima, trova anche medicine, vestiti puliti, qualche lusso - l’ultima volta è stata una tavoletta di cioccolato, duro e secco, con la patina biancastra della data di scadenza passata da un po’, ma ormai cosa non è marcito? 

Se continua di questo passo ancora a lungo, Jake è convinto che gli verrà lo scorbuto. 

Sempre che qualcosa altro non lo ammazzi prima. 

Jake ridacchia. 

E in fondo potrebbe anche sperare che qualcosa lo ammazzi prima. 

Potrebbe anche lasciare che qualcosa lo ammazzi prima. 

Perché andare avanti sotto il sole cocente della California, spiagge dorate che sembrano cartoline del Sahara, il silenzio rotto solamente dall’occasionale sparo e lo splat dei cervelli che si spiaccicano sull’asfalto rovente in poltacei frammenti rossi, comincia a sembrare sempre più senza senso.

In lontananza Jake vede un’ombra. 

Se questo fosse un film sarebbe la morte. 

Se questo fosse un film sarebbe un amico, un essere vivente con cui fare squadra, con cui condividere qualcosa, con cui parlare.
Se questo fosse un film questo sarebbe l’inizio del secondo atto. 

Se solo questo fosse un film… 

 

 

Dead man walking, audition for the big show 

 

 

“Quanto credi che durerà?” 

“Non lo so, gli zombie li abbatte abbastanza bene, niente di grave. Ci siamo giocati la telecamera del Wallmart, ma in fondo possiamo riprenderlo da almeno altri tre angoli. E poi non prevediamo che rimarrà in zona ancora a lungo.” 

“Non ha un pattern di spostamenti.” 

“No. Non ha nemmeno una ragione per andare avanti in realtà. I suoi indici di gradimento stanno scemando. Il pubblico si deprime a vederlo depresso.”
“Ora ci vorrebbe un bel colpo di scena.” 

“Infatti abbiamo aperto il settore di Karen.” 

“Ma lei era alla ricerca del figlio, agli spettatori piaceva.”  

“Sì, ma tutti gli altri soggetti erano troppo lontani. Karen è l’unica che sia riuscita ad attraversare Los Angeles abbastanza in fretta da essere vicina a Jake.” 

“Ah, bene. Mio caro, prevedo un’impennata di ascolti.”

“Beh, la gente nei bunker dovrà pure guardare qualcosa no? È catartico.”

“Chi l’avrebbe mai detto che un’apocalisse zombie ci avrebbe fatto fare i soldi.” 

“E quando mai qualcosa non ci fa fare soldi?” 

 

You wanna go to heaven but you sold your soul 

 

In lontananza Jake vede un’ombra. 

Se questo fosse un film sarebbe la morte. 

Se questo fosse un film sarebbe un amico, un essere vivente con cui fare squadra, con cui condividere qualcosa, con cui parlare.
Se questo fosse un film questo sarebbe l’inizio del secondo atto. 

Jake si dice che se è uno zombie non gli sparerà. No, se è uno zombie, Jake lascerà che gli strappi via il cuore o il cervello o qualsiasi altra parte di sé gli interessi mangiare e si dichiarerà vinto. 

L’ombra si avvicina, assume i contorni definiti di una figura e, porca puttana, quella è una persona ed è viva. 

La ragazza gli sta puntando una pistola contro, la mano le trema visibilmente quando si rende conto che la persona davanti a lei non ha evidenti mutilazioni.

“Sei umano?” 

E Jake rabbrividisce, perché gli zombie non parlano.

“Sì, sono Jake. Jake Callahan.” 

La ragazza abbassa la pistola, visibilmente sollevata. Jake è il primo essere umano che incontra da quando tutta questa merda è iniziata, qualche mese prima. 

Con le lacrime agli occhi, la ragazza si presenta. “Karen. Chiamami Karen.” 

 

 

We never sleep, in California we’re dreaming





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