Lavinia non aveva latte, la sua malattia non aveva permesso che si
sviluppasse e così Hayato le era stato tolto prima ancora
che potesse svezzarlo.
Era la legge della mafia, lo sapeva fin troppo bene, ciò
nonostante nelle promesse di Alfonso ci aveva creduto e sperato
finché questi non si era rivelato nella sua debolezza.
"Mi dispiace, ho sbagliato tante cose con te" erano state le parole che
le aveva detto per telefono dopo che un gruppo di uomini vestiti in
giacca e cravatta avevano fatto irruzione nel suo modesto appartamento
e le avevano letteralmente strappato il bambino dalle mani.
Lavinia non aveva neanche provato a riprenderselo, aveva solo insistito
affinché potessero avere tutto ciò che serviva
per prendersi cura di Hayato correttamente.
Il piccolo aveva percepito il pericolo imminente ancora prima che la
calma apparente venisse turbata. Lavinia stava passeggiando avanti e
indietro sul balcone del salotto accennando appena una melodia dolce,
ma Hayato all'improvviso aveva iniziato a strillare come se lo stessero
torturando. Lavinia si era spaventata e si era domandata cosa non
andasse, ma la risposta era esattamente alla sua porta d'ingresso.
Tra gli uomini riconobbe uno dei guardiani di quello che tecnicamente
era il suo grande amore, era stato testimone del loro primo incontro e
del loro primo bacio, aveva persino suonato il violino per loro una
sera che Alfonso l'aveva portata fuori a cena.
"Ciccio..." lo aveva chiamato la donna, con le lacrime agli occhi
l'aveva supplicato di dargli ancora un attimo, solo un istante in
più per salutare per sempre suo figlio.
"Ti chiedo scusa, Lavinia. Io eseguo solo gli ordini e la nostra
Madonna Clara ha detto chiaramente che avevamo tre minuti precisi per
recuperare il bambino o sarebbe venuta a ucciderlo con le sue stesse
mani."
Lavinia tremò, molto più intensamente di quanto
aveva fatto il giorno in cui l'oncologo le aveva detto che le restavano
al massimo sei mesi di vita.
"Non gli farà del male, vero?" chiese disperata.
Francesco le rivolse uno sguardo che per quanto apparentemente freddo
rivelava profonda premura.
"Questo bambino diventerà il decimo boss della famiglia
Bianchi, la signora ha solo bisogno di togliersi il dente e accettare
quello che è successo. Obbedendo ai suoi ordini non hai
niente di cui preoccuparti."
Lavinia si era a lungo preparata per quel momento, ma niente e nessuno
le avrebbe potuto mai dire quanto avrebbe fatto male. Sentì
come se le avessero strappato il cuore dal petto, lo avessero gettato a
terra e calpestato riducendolo a brandelli finché non ne era
rimasto solo sangue.
Dopo aver pianto per ore interminabili, appoggiata con la schiena alla
porta, il viso tra le mani e le ginocchia al petto, si era sentita
semplicemente un guscio vuoto.
Non aveva più lacrime da versare e dell'immenso dolore non
rimaneva che una cupa anestesia. Sarebbe morta ancora prima del
previsto, morta di crepacuore.
Nelle sue orecchie rieccheggiavano le urla di suo figlio che forse
aveva o forse no consapevolezza che gli avevano spezzato qualunque
legame con la persona che lo aveva messo al mondo. Erano
così forti e acute che persino gli uomini del suo amante
avevano esitato, chi tappandosi le orecchie, chi storcendo il naso.
Lavinia aveva accompagnato l'uscita dalla sua vita con una dolce
melodia utilizzando le corde vocali finte perché Hayato si
calmasse e potesse sentirsi al sicuro.
Solo quando si erano allontanati e non sentiva più le urla
strazianti di suo figlio si era permessa di crollare.
"Madonna Clara, abbiamo il bambino" annunciò Daniele, lo
espose alla donna come se fosse un trofeo.
"Toglilo di mezzo, non lo voglio neanche vedere" ribatté
Clara guardandolo come se fosse la cosa più disgustosa al
mondo.
"Subito, signora" ribatté Daniele scattando sull'attenti,
cercò di capire come tenere il bimbo in braccio senza
farselo scivolare e raggiunse l'ufficio del suo boss.
"Eminenza" disse bussando alla porta.
Alfonso riconobbe la voce e lo invitò a entrare impaziente,
febbricitante di guardare in faccia il suo erede.
Daniele si fece avanti e gli si avvicinò cercando di gestire
quella che era una specie di bestia impazzita che si dimenava e urlava
come se volesse farsi a pezzi.
"È irrequieto" commentò Alfonso, il cuore gli si
strinse vedendo che con le piccole unghie ancora in via di formazione
era ugualmente riuscito a graffiarsi le braccine.
"Ordina alle sarte di fare dei guanti, episodi del genere non devono
mai più succedere" ordinò.
Daniele si dileguò con un inchino percependo il messaggio
subito dopo avergli consegnato il bambino come se fosse un pacco.
Alfonso lo accolse tra le sue braccia, gli rivolse un sorriso dolce.
"È tutto finito, figlio mio, sei a casa tua"
mormorò dondolandolo nel vano tentativo di calmarlo.
Dovette scuoterlo eccessivamente perché Hayato gli
rigurgitò in faccia, cosa che Alfonso interpretò
come una punizione del karma oltre che un segno inequivocabile di non
piacere al bambino.
Lavinia non aveva latte, ma Diana sì, infatti dopo qualche
giorno di miscele artificiali in clinica e a casa della sua mamma
Hayato fu allattato al seno e allora si scoprirono ancora
più cose circa le sue condizioni fisiche.
Tanto per iniziare sembrava odiare il contatto non la pelle, guardava
sempre con circospezione la balia a cui era stato affidato quando
questa si alzava la maglietta e abbassava la coppa del reggiseno per
dargli da mangiare. Ciò che era ancora più strano
era il modo in cui non succhiava, rimaneva lì fermo come se
non sapesse esattamente cosa fare e come farlo. Inoltre non chiedeva
mai di mangiare, Diana era stata istruita a nutrirlo ogni quattro ore,
ma era un'impresa. Cosa ancora più inusuale Hayato si
addormentava come se il latte fungesse da sonnifero il che impediva la
sua corretta alimentazione.
Diana non era l'unica a occuparsi di Hayato, assieme a lei c'era un
intero stuolo di servitrici. Due o più balie per ogni
occasione e una serie di esperti di questo e quello da tutto il mondo
perché Hayato ricevesse tutto ciò di cui aveva
bisogno e anche di più.
Elisa e Lorena erano le addette al bagnetto e a rivestirlo, Teresa si
occupava di leggergli le storie prima di andare a dormire
sennò Hayato avrebbe tenuta sveglia l'intera villa
sgolandosi per tutta la notte. Per coinciliare il sonno di un neonato
ingestibile Alfonso aveva reclutato chiunque potesse dargli una
risposta anzi una soluzione al problema, aveva chiamato chiunque
persino un qualificato insegnanti di musica che stava portando avanti
una ricerca sulle frequenze ottimali per la composizione di ninnananne,
ma alla fine la carta vincente si era rivelata un oggetto comunissimo,
il phon. Il suo calore doveva farlo sentire al sicuro, così
come il rumore, gli bastava udirlo per crollare addormentato.
Nonostante la grande quantità di persone che si prodigava
per il futuro boss dei Bianchi, Diana era l'unica che sentiva di essere
sua madre e trattava Hayato proprio come Andrea, il proprio figlio.
Andrea era il sopravvissuto di un parto gemellare per questa ragione
Diana aveva così tanto latte. La porzione di Luca era
spettata ad Hayato e forse proprio per questo Diana percepiva una
profonda connessione col piccolo.
Mettendoli a paragone aveva notato le differenza tra i due bambini,
nell'atteggiamento, nelle dimensioni. Erano come il sole e la luna in
tutto e per tutto.
Hayato era arrivato da scarsa una settimana, ma nel bene e nel male a
villa Bianchi non si parlava di altro.
Diana in cuor suo celava la speranza che crescendo insieme il suo
Andrea e il suo Hayato sarebbero divenuti amici, ma questo andava
contro le regole della famiglia fortemente classista e il piccolo
Bianchi sembrava avere altri programmi visto il suo atteggiamento.
Hayato era un bambino veramente impegnativo che sembrava non voler fare
assolutamente niente di ciò che gli veniva chiesto come se
volesse opporsi per il semplice fatto che fosse una richiesta.
"È un leader nato" aveva commentato Alfonso fieramente, ma
Diana aveva i suoi dubbi, gli sembrava che il piccolo avesse subito
traumi veramente pesanti e difficilmente si sarebbe ripreso.
Tra le difficoltà implicate nel prendersi cura di Hayato
Bianchi Diana riscontrò l'applicazione della crema
rigorosamente tre volte al giorno e su tutta la superficie corporea.
C'era poi una lozione che doveva mettergli negli occhi e ogni volta era
una tragedia, se ne andava almeno mezz'ora per riuscirci,
fortunatamente era solo una volta al giorno.
Nonostante la fatica e la stanchezza del caso Diana amava Hayato e
avrebbe dato la sua vita per lui come per Andrea.
Dopo la prima settimana era finalmente riuscita ad allattarlo a dovere
e in breve tempo finalmente il peso era aumentato significativamente.
Accolse quell'evento come una grande conquista e lo
festeggiò, ebbe però la consapevolezza assoluta
di aver scalfito il muro che il piccolo senza sapere aveva
già saputo erigere quando Hayato le strinse un dito nel
proprio pugnetto mentre si addormentava, le manine tenute al caldo da
guantini azzurri con un merletto bianco candido in pizzo a disegni
floreali.
Diana non faceva altro che obbedire agli ordini, questo aveva fatto
tutta la sua vita e questo avrebbe continuato a fare, ma prendersi cura
di Hayato era stato di gran lunga la cosa migliore che fosse mai stata
obbligata a fare.
Le settimane passavano e il suo piccolo cresceva, giorno dopo giorno
iniziava a riempire la propria pelle così che non si
intravedessero più le ossa. Restava minuto, mingherlino, ma
non dava più l'impressione di essere stato una vittima della
fame nel mondo.
"Sai che quando la signora finalmente accetterà di
prendersene cura dovrai separartene, vero?" le aveva fatto notare la
sua collega Teresa.
Diana ne era pienamente consapevole e per quanto egoistico potesse
risuonare sperava davvero che quel giorno non sarebbe mai giunto e di
poter divenire educatrice a pieno titolo del futuro decimo boss dei
Bianchi.
I suoi sogni irrealizzabili furono concretizzati qualche mese dopo
quando Clara chiese esplicitamente che le venisse presentato quello che
avrebbe dovuto ufficialmente spacciare per suo figlio. Lo
esaminò da capo a piedi in presenza di Diana e Alfonso che
la supervisionarono per intervenire qualora si facesse prevaricare dai
suoi istinti omicidi.
"Assomiglia in tutto e per tutto a quella sgualdrina"
commentò senza rivolgere lo sguardo a suo marito.
Hayato che fino a quell'istante aveva scalciato era scoppiato a
piangere come se avesse compreso perfettamente ciò che la
giovane donna aveva detto.
"È ancora piccolo, sono sicuro che crescendo
mostrerà tratti più simili ai miei" l'aveva
rassicurata Alfonso.
"Molto bene, accetto di fingere di avere avuto una gravidanza
inaspettata che abbiamo tenuto segreta, ma non voglio crescerlo, non
è mio figlio e non mi comporterò come se ti
avessi perdonato per avermi tradita solo perché ora hai il
maschio che tanto desideravi, Alfonso."
Clara si alzò dalla poltrona elegante su cui si era
accomodata e consegnò nuovamente Hayato tra le mani di
Diana, come se non vedesse l'ora di liberarsene.
"Diana, mi dispiace investirti di questo ingrato compito, sei stata
semplicemente sublime per Bianca, dovrai fare lo stesso anche per
questo bastardo" disse.
Diana strinse forte le unghie in un palmo per evitare di reagire con la
violenza, si morse la lingua e accennò un sorriso.
"Sono al vostro servizio, signora" disse.
Alfonso sospirò, accarezzò il viso del suo
bambino mentre la balia tentava di calmarlo. Quando la moglie fu
sufficientemente lontana si permise tenerezza.
"Puoi insegnarmi a cullarlo? Quando lo prendo in braccio io
generalmente sta male..."
Diana gli mostrò la posizione ottimale per tenerlo in
equilibrio e dargli sicurezza, lasciò che Alfonso ci
provasse da solo dopo essersi sincerata che avesse capito.
"Non è così difficile" commentò
Alfonso, una luce sconosciuta negli occhi lo rese raggiante, poi Hayato
sorrise e suo padre percepì il calore dell'amore.
"Bianca" l'aveva chiamata un giorno Alfonso avvicinandosi alla sua
stanza mentre la piccola era intenta a scarabocchiare su dei fogli.
"Sì, padre?" come le avevano insegnato si era alzata dalla
scrivania, era uscita nel corridoio e aveva fatto un elegante inchino
tenendo ambo i lembi del vestitino lilla.
"Ti informo ufficialmente che la nostra famiglia si è
ingrandita."
Bianca annuì con un sorriso beffardo.
"Avete reclutato nuovi alleati?" chiese.
Alfonso trattenne a stento una risata riconoscendo la provocazione,
doveva ammettere che per avere quattro anni Bianca aveva
un'intelligenza emotiva spiccata.
"No, non sei più la più piccola qui dentro, ora
hai un fratello minore e mi aspetto che ti comporti in maniera
esemplare."
Bianca sorrise dolcemente, i suoi occhi brillarono, entusiasmata
portò le mani sul petto e sentì il cuore
leggermente accelerato per l'emozione. Era pienamente consapevole che
al palazzo era arrivano un bambino che sarebbe stato l'erede della
famiglia e aspettava impaziente il giorno in cui lo avrebbe conosciuto
e finalmente quel giorno era giunto.
"Qual gaudio, posso vederlo?" domandò.
Diana uscì da un angolo tenendolo tra le braccia, si era
addormentato pacificamente, ma aveva già superato le dodici
ore di sonno e si pensava fosse il caso di destarlo.
"Signorina, le presento il suo fratellino" disse Diana, così
come le era capitato con la maggior parte dei membri della famiglia
insegnò anche a Bianca come tenere quell'esserino ancora
così piccolo.
Bianca sentì qualcosa di sconosciuto una connessione immensa
che la legava a quel fagottino. Lo strinse appena stando ben attenta
alla pressione applicata e si commosse.
"Padre è bellissimo, prometto che me ne prenderò
cura e lo proteggerò per sempre" disse posandogli un bacio
sulla tempia.
Quel contatto impercettibile portò Hayato ad aprire gli
occhi rivelando delle gemme di giada in cui Bianchi rivide se stessa.
"Ha i vostri occhi" disse rivolgendosi ad Alfonso.
Diana accorse perché l'ultima volta che aveva guardato il
bambino c'era solo del grigio misto a rosso e azzurro, come se fosse
vetro.
"Che miracolo!" esclamò vedendo finalmente del colore, il
colore che era emerso dopo mesi ad applicare una crema apposita.
"Ora sicuramente ci può vedere" disse.
Anche Alfonso si affrettò a verificare, prese Hayato tra le
mani e lo sollevò esponendolo alla luce artificiale di una
lampada. Riconobbe la forma di Lavinia e una sfumatura più
tenue del colore dei propri occhi.
"Allora sei davvero mio figlio" disse con un tono tenero mentre
continuava a scrutarlo, gli sovvenne improvvisamente l'affermazione di
Diana che aveva lasciato scivolare.
"Perché hai sottolineato che solo adesso può
vedere?" chiese riconoscendo dove era caduto l'accento.
La balia si strinse nelle spalle e spiegò, era stata l'unica
che si era preoccupata di leggere l'intera cartella clinica.
"Perché la sua condizione non gli permetteva di mettere a
fuoco, boss. È tutto scritto nel fascicolo allegato al
certificato di nascita" rispose.
Alfonso annuì, abbracciò il piccolo come se fosse
la sua stessa vita e lo baciò sulla testa.
"Voglio che mi venga fornita una copia del documento. Voglio sapere
tutto della mia prole" disse.
Diana procedette immediatamente a obbedire dileguandosi con un inchino.
"Ci credo che eri spaventato" mormorò Alfonso guardando
dritto negli occhi il suo bambino.
"È spaventoso non poter vedere in un mondo buio."
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