Guardians

di BeaterNightFury
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Dieci capitoli fatti... su 13! - ebbene sì, questa fanfiction sarà più lunga delle altre!
Avverto già che io e Miraha abbiamo deciso che anziché scrivere, tradurre e pubblicare capitolo per capitolo, gli ultimi tre saranno scritti tutti assieme per la complessità delle trame che dobbiamo sbrogliare - e anche quelle che NON dobbiamo sbrogliare.
Detto questo, buona lettura!
 

Guardians – Capitolo 10
Nessun Altro Che Me
 
Aqua scese la scalinata davanti al portone del castello. Sembrava che quel posto avesse una sua mente, e lei ne era sempre più convinta – aveva quasi avuto una sensazione un momento prima, come se qualcuno stesse arrivando, ma non poteva essere né Shiro, che era a letto, né Lea e Kairi, che erano rimasti a Radiant Garden dopo aver incontrato Luna e Noctis nel castello.
Un momento dopo che lei aveva messo un piede fuori dal portone, si era aperto un varco, e Sora e Ventus ne erano emersi sul glider del ragazzo più grande.
Sora si tolse immediatamente l’armatura e barcollò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia per reggersi. Sembrava visibilmente molto stanco, e le macchie verdastre che aveva in faccia facevano presumere che avesse preso una botta e fosse stato curato.
«Ci sono scappati.» Ventus dismise il Keyblade e si tolse l’armatura. «Ma sappiamo cosa cercavano, e non l’hanno trovato.»
In qualsiasi mondo fossero stati, avevano preso entrambi un po’ di abbronzatura, e i capelli di Ventus erano persino più chiari di quanto non fossero stati, presumibilmente sempre a causa del sole. Ventus era quasi buffo – Aqua non sapeva cosa gli fosse successo alle braccia, ma l’abbronzatura gli aveva lasciato delle forme strane, e una delle due era lo stesso simbolo che portavano sul davanti dei vestiti.
«Non voglio più vedere polpi e granchi per almeno un mese.» Sora commentò, tenendosi il naso. «Ciao, Aqua.»
«State bene?» La giovane Maestra diede voce alla sua prima preoccupazione, soprattutto guardando Sora.
«Sora ha avuto la brillante idea di sfidare un avversario immortale.» Ventus si strinse nelle spalle. «Ma onestamente non lo biasimo. Ci è quasi scappato il morto, e forse ci sarebbe scappato se Sora non fosse stato lì.»
«Forse avete anche bisogno di una doccia…» Aqua si lasciò sfuggire il commento.
«No grazie. Già dato.» Ventus si mise a ridere. «Dovevi vedere come pioveva…»
«Ecco, appunto. Vai a lavarti. Le tue lenzuola sono ancora pulite.» Aqua gli arruffò i capelli con una mano.
Presero la scalinata e rientrarono nel castello. Alla Terra di Partenza non era successo molto durante la loro assenza – erano letteralmente stati via per un paio di giorni, almeno secondo il punto di vista di Aqua, ma a giudicare dall’abbronzatura di entrambi e dai capelli schiariti di Ventus, per loro probabilmente era passata almeno una settimana.
«Sora, ha chiamato Kairi un paio di ore fa. Sperava foste già tornati.» Aqua disse al ragazzo più giovane mentre attraversavano il salone, diretti ai bagni del castello.
«Kairi? Non è qui? Pensavo tornasse qui ogni sera.» Stanco com’era, Sora si raddrizzò come se gli avessero dato una pacca.
Aqua scosse la testa.
«Ansem il Saggio è tornato a Radiant Garden.»
«COSA?» Sora fece un salto all’indietro.
«Piano. Shiro dorme.» Aqua cercò di calmare Sora, che nonostante la stanchezza sembrava pronto a scattare come una molla.
«Oh…» Sora si fece piccolo. «Quindi… devo andare lì?»
«Devi andare a letto.» Ventus lo contraddisse. «Sora, lo so che vuoi salvare Roxas, ti ho letto nel pensiero per anni quindi posso immaginarlo. Ma prima che tornassimo qui avevi anche detto di voler dormire per due giorni di seguito.»
«Beh, non sapevo che avremmo potuto salvare Roxas…»
«Beh, a Radiant Garden non ci andiamo puzzolenti e coperti di sale. Forza, i bagni sono da questa parte» Fu Ven a tagliare corto, con una maturità nella voce che Aqua non gli riconosceva. Era strano pensare che per lui, in un certo senso, quegli undici anni erano finiti per passare, anche se aveva vissuto la vita di un altro, e adesso pur non essendo cambiato di una virgola, era comunque cresciuto tanto da poter prendere la situazione in mano in certi casi.
Si chiese se avrebbe meritato la carica di Maestro.
Si chiese se avrebbe dovuto essere lei ad investirlo del titolo.
E si rese conto che, molto probabilmente, Ventus avrebbe rifiutato fino a quando Terra non fosse tornato a casa. Era troppo sentimentale, troppo retto per decidere altrimenti.
I bagni erano in un corridoio del castello non molto lontano dalle camere da letto. Erano più stanzini singoli che si diramavano da una camera più grande. Ventus indicò a Sora dove avrebbe potuto fare la doccia e trovare asciugamani puliti («Tranquillo, ce l’ho un cambio di vestiti, non mi devi per forza prestare i tuoi») e poi uscì dal bagno non appena Sora si fu chiuso la porta della cabina doccia alle spalle.
«Guarda che anche tu sei sporco.» Aqua fece per indicargli la cabina accanto.
«Lo so, ma…» Ventus esitò nel parlare, poi si sentì il familiare fruscio di una doccia in funzione. «… se devo portare Sora a Radiant Garden, prima volevo parlarti.»
Stava tenendo la voce relativamente bassa, come se ci fosse qualcosa che voleva nascondere all’altro ragazzo.
«Non dovrebbe andarci.» Ventus scosse la testa. «Non adesso. Si è sforzato troppo ai Caraibi. Non so che gli sia preso… non lo aveva mai fatto prima d’ora… ma era come se davanti a me, volesse dimostrarmi qualcosa.»
«Ti ha detto qualcosa a riguardo?» Aqua disse immediatamente quello che stava pensando. Sora non le sembrava tipo da esternare le sue preoccupazioni, per quel poco che conosceva di lui, ma Ventus era stato nel suo cuore per undici anni… se quello non era “camminare un chilometro nelle sue scarpe”, ben poco lo sarebbe stato.
«Non mi ha confessato nulla che lo preoccupasse, ma…» Ventus sembrava quasi perplesso, come se qualcosa gli fosse a portata di mano ma allo stesso tempo gli stesse sfuggendo.
«Vogliamo andare a parlarne mentre facciamo qualcosa da mangiare?» Aqua indicò il corridoio che portava alle cucine con la testa. Probabilmente la reticenza di Ventus si sarebbe potuta dissolvere una volta arrivato fuori portata d’orecchio.
«Può starci. Sto morendo di fame, comunque.» Il ragazzo abbozzò un sorriso.
Era ancora pensieroso mentre camminavano per i corridoi vuoti. Aqua si chiese cosa potessero avere visto i due ragazzi dal momento in cui avevano indossato le armature per partire al momento in cui erano tornati. Durante il percorso, Ventus le parlò di come i tre amici di Sora, Jack, Will ed Elizabeth, gli avevano tanto ricordato loro stessi undici anni prima, i loro piani in aperto contrasto e il modo in cui avevano litigato.
«… non è stato bello vederli darsi addosso tra loro. Ognuno cercava di andare da una parte… ma alla fine, quello che è successo, è che Jack… che sembrava essere l’uomo più egoista di quel mondo, ha detto che l’eternità è lunga senza un amico… e ha salvato la vita a Will, anche se ha significato rinunciare all’immortalità per lui.»
«E credi che tutto questo possa aver turbato anche Sora?»
Erano arrivati nelle cucine del castello. Probabilmente era un po’ troppo tardi per fare qualcosa di sostanzioso per quei due bambini troppo cresciuti, ma erano appena tornati stanchi da una missione difficile in mezzo a una tempesta, e magari meritavano un piatto di zuppa calda.
«No, ma… qualcosa lo ha fatto preoccupare. Forse qualcosa che potrei aver detto o fatto.»
Aqua era intenta a cercare il brodo, ma stava comunque ascoltando il suo amico. Gli chiese se la pastina nella minestra sarebbe andata bene, poi rispose al suo dubbio.
«Dovresti prenderlo da parte e parlargli.» Era la cosa più logica da fare, in un caso come quello. Inutile fare ipotesi, quando il diretto interessato era qualche corridoio più in là.
«Non mi sembra il tipo da aprirsi così.» Ventus scosse la testa. «Una cosa però l’ho notata. Ricordi che quando ero piccolo, Terra mi chiedeva sempre se stavo bene dopo gli allenamenti… e se non glielo dicevo, mi teneva d’occhio in qualche modo? Nessuno lo ha chiesto a Sora. E non intendo soltanto oggi…»
«Hai trovato la risposta, Ven. Cosa avrebbe fatto Terra con te? Adesso sei tu il grande.» Aqua gli mise una mano sulla spalla. «Cerca di ascoltarlo anche se non parla. Cerca di capirlo. E non farlo muovere di qui prima di domattina, a costo di mettergli il sonnifero nella minestra.»
«Aqua…»
«Parlo io con Kairi e Lea. Capiranno, soprattutto lei.»
«Se conosco Sora, potrebbe obiettare comunque.»
«Non è nelle condizioni di farlo. Non quando presto sarà il momento di attaccare Xehanort sul suo campo, e avremo bisogno di essere forti e astuti abbastanza da fermarlo.»
Mentre la zuppa cuoceva, Aqua si allontanò dai fornelli e trovò il telefono dove lo aveva lasciato sul tavolo. Trovò il contatto di Kairi, e le disse che Sora era visibilmente troppo stanco per muoversi. Ricevette immediatamente un “O.K.” come risposta, e un paio di minuti dopo si udì la suoneria di un altro telefono dai corridoi.
«Come?» La voce di Sora echeggiò da poco lontano. «Ansem è a letto?»
«Sono tutti a letto, Sora, hai visto un orologio negli ultimi cinque minuti?» Aqua riconobbe la voce di Kairi.
«Beh, Ven, direi che sia il tuo turno di fare la doccia.» Aqua commentò, lasciando il telefono e indicandogli la porta.
  


Hiro e Riku – con Baymax assieme a loro – erano gli unici due al tavolo del caffè. La zia di Hiro – che era stata più felice che mai di vedere il nipote in compagnia di un ragazzo in età da liceo – aveva lasciato loro davanti due piatti di pancakes ed era filata via a servire altri clienti.
Il loro angolo era tranquillo – abbastanza da parlare a bassa voce senza essere ascoltati. Ed entrambi avevano bisogno di parlare.
«Se quel tipo ha detto di essere te, non vorrei che la polizia si metta sulle tue tracce…» Hiro stava mormorando.
«Vorrà dire che mi farò vedere in faccia oggi.» Riku concluse. «Dovrebbero capire che non c’entro. Un anno fa ero più basso, e avevo i capelli più lunghi. Penseranno che si tratti di mio fratello o della mia…»
Replica.
«Ha, potrebbero anche ritenerti una specie di clone. Gira voce allo SFIT che Liv Amara sia capace di clonare le persone.» Hiro commentò.
«Ne è capace anche Xehanort.» Riku gli rispose a voce bassa. «Un anno fa fece una mia copia… ma era morto… e probabilmente ha copiato anche il mio amico Sora, ma qualcosa è andato storto.»
«Beh, vuol dire che quando tutto questo sarà finito dovrò tenere d’occhio Liv Amara. Come se non lo stessi già facendo, c’è qualcosa che puzza nei suoi lavori.» Hiro sospirò, poi riprese a concentrarsi sulla sua colazione.
«Riku, il tuo battito cardiaco è accelerato.» Baymax ruppe il silenzio. «Rilevo un livello elevato di adrenalina. Sei nervoso? Basandomi sulle scansioni del tuo corpo e di quello del tuo doppio, le tue probabilità di sopraffarlo fisicamente sono alte. La tua crescita nell’ultimo anno ha aumentato la massa ossea e muscolare, e anche se…»
«No, Baymax, è da un bel po’ che non ho più paura di me stesso.» Riku guardò il robot. «Non in quel senso, almeno. È solo che… pensavo.»
Pensava a quello che aveva detto Hiro. Quando tutto questo sarà finito. Dopo Xehanort, dopo la battaglia, Sora e Kairi gli avrebbero ancora voluto bene? Cosa sarebbe accaduto dopo? Ci sarebbero ancora stati dei pomeriggi a fare i compiti, per poi scappare alla tavola calda con il ventilatore pendulo e ordinare un pezzo di pizza… ci sarebbero state ancora corse in riva al mare, duelli all’arma di legno e giornate estive passate a rifugiarsi nella grotta segreta?
O adesso che si erano fatti grandi, non c’era davvero più posto per quei giochi da bambini?
«Se i tuoi pensieri ti preoccupano, dovresti parlarne.» Baymax gli consigliò in tono di conforto. «Io sono un robot, non giudico.»
«Già, quello sarebbe il compito di Mochi.» Hiro ridacchiò e indicò un gatto visibilmente ciccione che si leccava una zampa sul bancone.
«Beh, ecco…» Riku fissò il pavimento. «Quando tutto questo finirà… che sia tra una settimana, o tra un mese, o un anno… non ho visto i miei amici Sora e Kairi per un anno, e quando ci siamo rivisti le cose sono cambiate talmente in fretta che siamo stati separati ancora una volta, e negli ultimi giorni è stato già tanto se per una sola volta siamo riusciti a mangiare insieme. In questo anno siamo cresciuti, anche se ognuno di noi a modo suo, e non so ancora quanto sono cambiati loro… o quanto sono cambiato io. Ho… ho un po’ paura che loro non abbiano più bisogno di me. O io di loro… non importa quanto loro siano stati importanti. Davvero, siamo cambiati, e per me è anche un bene… ma se fossimo cambiati troppo
Hiro inclinò la testa di lato, in un gesto che a Riku ricordò molto Sora.
«Wow. Spero di non arrivare a pormi simili domande filosofiche a sedici anni.» Ridacchiò nervosamente.
Baymax si avvicinò a Riku e lo avvinghiò nelle sue braccia gonfiabili.
«Hai bisogno di un abbraccio.» Annunciò. «E di rassicurazione. Dopo la battaglia scaricherò altri database sulla psicanalisi. Nel frattempo, posso darti un consiglio. I tuoi amici ti vogliono bene, e probabilmente si staranno ponendo la tua stessa domanda. Fino a quando questo momento non sarà prossimo, pensieri del genere non sono che una distrazione. Devi affrontare il problema che hai davanti, prima di risolvere uno che non sei nemmeno certo ci sarà.»
Riku non sapeva dire se si sentiva più riscaldato dall’abbraccio o da quelle parole… poi il telefono gli squillò. Riconosceva la suoneria. Era Sora…! Era un messaggio da lui… senza pensarci troppo, Riku si tolse il dispositivo di tasca e accese lo schermo.
Era un post di Kingstagram – nella foto c’erano Sora e Kairi a fare le smorfie davanti a quella che Riku riconosceva come la scuola dove Shiro frequentava la terza media (era la terza?). Sora aveva quelli che sembravano vecchi lividi sulla faccia, ma era visibilmente pulito e riposato, e Kairi era la stessa di sempre. C’erano altri quattro ragazzi nella foto, che quasi lottavano per comparire nell’obiettivo – Shiro era aggrappata alle spalle di Sora, c’era una ragazza con i capelli castani e arruffati giusto accanto a Kairi (Yuna, se Riku non ricordava male), e un ragazzino e una ragazzina con i capelli rossi che si somigliavano molto tra loro – dovevano essere loro i gemelli nella classe di Shiro.
La didascalia della foto era un semplice “ci manchi… no, a loro no”. Shiro aveva immediatamente commentato “A ME SI INVECE” in lettere maiuscole.
«Sono i tuoi amici?» Anche Hiro sembrava aver ricevuto un messaggio, perché anche lui stava cercando il suo telefono.
Riku fece sì con la testa.
«Qui è la Granville. Il suo numero ufficiale.» Hiro mormorò. «Le aule dello SFIT sono chiuse per un’infestazione di pidocchi del capo tra gli studenti.»
«Pidocchi? Sono seri?» Riku scosse la testa.
«Un’infestazione da pidocchi può essere causa di stigma sociale, e chi ne fosse affetto potrebbe tendere a vergognarsi.» Baymax commentò. «Ma è improbabile che ad esserne affetti siano ragazzi di età superiore ai diciassette anni, a meno che non abbiano fratelli in età scolare.»
«La Granville non ha realmente trovato pidocchi. Vuole che i Big Hiro 6 possano pattugliare la città… e ha trovato un diversivo.» Hiro concluse, poi sembrò rendersi conto di qualcosa. «Spero solo che Zia Cass non decida di tagliarmi i capelli.»
 
 
Prima che Sora potesse mettere via il telefono, il dispositivo squillò e sotto la sua foto c’era una risposta di Riku – era in posa con un ragazzino dai capelli neri, una specie di… pallone?... no, era un robot… e aveva in braccio un gatto tricolore visibilmente grasso. Aveva commentato la sua foto con la didascalia: “OH NO STA ARRIVANDO”.
«Cos’è che sta arrivando?» Shiro si infilò letteralmente tra la faccia di Sora e la mano che teneva il telefono. Dietro di loro, il gemello maschio (che Sora per un momento aveva quasi scambiato per Neku, ma di nome faceva Lann) prese a ridere così forte che la sua gemella dovette spingerlo indietro e ordinargli di respirare.
«Si dice così quando un gatto è decisamente tondo.» Kairi le spiegò.
«Ah, come Cicciomiao?» Shiro lasciò andare Sora e il telefono.
Sora annuì. Dall’edificio che svettava su di loro prese a suonare una campanella che annunciava l’inizio delle lezioni.
«Forza, Shiro, dobbiamo andare.» Lann, che sembrava essersi ripreso, prese la coetanea da parte e le indicò il portone con il pollice. «Reynn, ci sei? Il prof non sarà contento se tardiamo.»
«Ha parlato lui.» Sua sorella borbottò tra i denti.
«Shiro, Lann, Reynn, ci vediamo a mezzogiorno alla mensa?» Yuna si sistemò una borsa in spalla e guardò i tre preadolescenti.
«Penso di…» Shiro mormorò, ma Reynn fu più rapida a rispondere: «Come sempre!»
«Ho di nuovo portato il pallone, potremmo fare due tiri al canestro alle tre dopo l’uscita.» Lann propose. «Sora, Kairi, sapete giocare, vero?»
«Sì, il professor Jecht ci ha fatto fare pallacanestro in prima superiore.» Kairi fu la prima a rispondere. «Riku però è più bravo di noi.»
«Solo perché è più alto.» Sora commentò, incrociandosi le braccia dietro la testa.
Avrebbe potuto giurare che Yuna avesse avuto un sobbalzo, ma poi la ragazza li salutò loro con la mano e si avviò verso il portone, seguita da Shiro e dai gemelli.
C’erano molti meno ragazzi di quanti Sora ricordava frequentassero persino le scuole alle Isole del Destino, e soltanto un edificio, quello del liceo, era aperto come scuola per tutte le classi, ma il ragazzo ricordava quell’atmosfera.
«E pensare che se Radiant Garden non fosse mai caduta, adesso verrei a scuola qui.» Kairi commentò. «Yuna e io facemmo la primina insieme, in effetti, anche se io non ricordo nulla.»
Il piazzale davanti alla scuola si svuotò rapidamente, a restare soltanto Sora e Kairi e, in alcuni casi, dei genitori, senza dubbio quelli degli studenti più giovani.
«Fa stranissimo pensare alla scuola.» Sora ammise. «Anche pensare che ci dovremo tornare. Se dovesse essere troppo tardi per fare gli esami di recupero, io potrei ritrovarmi in classe con Tidus e Selphie… e Riku finirebbe in classe con te.»
Si chiese come avrebbe potuto fare per recuperare l’anno che aveva perso – la classe di Tidus non era male, ma quanto strano sarebbe stato riprendere una vita “normale” in una classe che non solo non aveva passato le sue avventure, ma non era nemmeno quella che ricordava?
«Magari pensiamoci quando Xehanort non sarà più un pericolo.» Kairi si strinse nelle spalle. «Non saremo gli unici a dover valutare dove eravamo rimasti. Forse potremo pensare a come risolverla insieme.»
Stava ancora guardando la scuola, anche se il portone era chiuso.
«Sì, credo… credo tu abbia ragione.» Sora ammise. Credeva di aver capito di chi Kairi stava parlando… e il ragazzo in questione sarebbe stato più che felice, forse, di varcare quel portone come uno studente, di farsi insegnare a lanciare una palla in un canestro… di cominciare finalmente a vivere.
«Sei d’accordo, Roxas?»
Forse, se fossero stati rapidi abbastanza, sarebbe stato con loro alla campanella delle tre.
 
 
Lo spiazzo davanti alla Krei Tech era nuovamente deserto, ma Riku era certo che il suo doppio malvagio sarebbe riapparso lì.
Anche secondo Hiro era altamente probabile che quello fosse il punto – era dove il primo Baymax era sparito, aveva spiegato.
Nessuno dei sette presenti fu sorpreso quando si allargò un Corridoio Oscuro nel centro della piazza e vi emerse il Riku più basso, vestito in nero, e con gli occhi gialli – assieme al suo compagno che non era Sora.
Hiro e Baymax lo assalirono per primo, caricando con uno dei pugni a razzo del robot, ma il ragazzino misterioso respinse il pugno con un colpo di Keyblade, senza parlare e senza fare una piega. Sembrava quasi che fosse lui il robot, non Baymax.
Un momento. Se quei chip erano l’identità di Baymax – il suo cuore – che l’Organizzazione stesse cercando di creare da zero il loro tredicesimo membro?
«Ho capito il tuo gioco, altro me.» Riku si fece avanti al centro della piazza. «Pensi che quel chip sia un cuore, no? Beh, non credo funzionerà. Gli esseri umani non hanno lettori di schede o programmazioni, e gran parte di quello che siamo è quello che ci accade attorno e viviamo!»
Sopra di loro stava fluttuando un elicottero, probabilmente con dei giornalisti a bordo. Riku ringraziò di essere a capo scoperto: il visore che gli avrebbe fatto controllare i Microbot in sostituzione al suo Keyblade distrutto non gli precludeva il riconoscimento, e gli studenti dello SFIT che lo avevano visto nella mensa lo avrebbero associato come l’eroe, e non come il cattivo.
«Oh, ma è proprio per questo che ho messo il chip in quei cubi.» Il suo doppio sogghignò. «Vi ha registrati. Ha sperimentato la vostra paura, il vostro dolore… la tua disperazione quando il tuo giocattolo è finito in pezzi.»
«Non per molto, come puoi vedere.» Riku alzò il suo Keyblade, e i Microbot di Hiro subito sciamarono a coprire la parte lesa della lama.
«E chiameresti quella cosa un Keyblade?» L’altro Riku si stava visibilmente sforzando di non ridere.
Riku si chiese se era stato quello che Sora aveva visto, un anno prima, quando lo aveva affrontato con niente altro che una spada di legno e la sua determinazione.
«Beh, vedi…» Le gambe di Riku si mossero per lui, e prese a parlare quasi senza pensare. «Ricordi quell’uomo sulla spiaggia? La promessa che ci scambiammo? Ti sei scordato perché? Forza per proteggere ciò che è importante. Le persone importanti. Penso che ci siamo scordati il motivo a un certo punto della strada. A un certo punto, nell’ultimo anno, ho fatto una cosa che a te ancora manca, altro me
Fece un sorrisetto.
«Sono cresciuto.»
Il suo altro sembrava quasi non capire. Riku poteva crederci – un anno prima non avrebbe capito. Non avrebbe capito, senza essere stato persino sul punto di perdere sé stesso, senza che Kairi gli desse del pezzo di tonto quando lui era stato convinto che non ci fosse più posto per lui, senza che Sora non ammettesse di volergli bene sull’orlo del baratro, senza che Aqua gli dicesse che quello che provava era normale.
Non avrebbe capito, senza realizzare di essere altrettanto importante per le persone che lo erano per lui.
Non aveva capito, un anno prima, cosa aveva voluto dire Sora con “i miei amici sono il mio potere” – ma adesso pensava di capire. Non avrebbe avuto bisogno di armi speciali, di rivedere Terra, o di essere il più forte per poter tenere le persone a cui teneva al sicuro.
Gli sarebbe bastato essere lì per loro.
«E se la mia strada mi ha portato qui, beh, è qui che voglio essere.»
La spada rappezzata nella sua mano vibrava sempre più forte. I Microbot, forse guidati dai suoi pensieri, avevano preso a brulicarvi sopra come formiche, più veloci, sempre più veloci, non era più nemmeno possibile distinguerli quando il Keyblade finalmente emise un bagliore.
«Ma è normale che facciano così?» Riku sentì Fred chiedere a Hiro, poi lo schermo a lato del visore divenne blu e comparve un messaggio di errore, e i Microbot caddero inutili sull’asfalto.
Nonostante la perdita dei Microbot, il Keyblade era tornato al suo vecchio peso… e quando Riku lo alzò per osservarlo non riconobbe la sua vecchia arma.
Era più lungo di quanto era stato, con la catena che pendeva dall’elsa uguale alla Catena Regale, nero e argenteo con la punta perfettamente simmetrica.
«Credi che quello ti possa dare un vantaggio? Vediamo cosa succede!» L’altro Riku aprì un Corridoio Oscuro, e un’ondata di Cuboscuri ne uscì, trasportando qualcosa. Riku fece appena in tempo a vedere una mano robotica bianca per rendersi conto che fosse Baymax – il vecchio Baymax.
I Cuboscuri si ritrassero da una piccola area, e l’altro Riku aprì lo sportello di accesso e inserì il chip corrotto nel corpo del robot.
Poi si girò verso il Corridoio Oscuro e, dopo aver preso il suo compagno silenzioso, sparì.
Gli occhi dell’altro Baymax divennero rossi, e i Cuboscuri formarono un’armatura viola attorno a lui.
«Okay. Abbiamo un piano?» Wasabi evocò le sue lame laser.
«Ve lo siete scordato? Dobbiamo difendere la città!» Hiro fece due passi avanti, ad affiancare Riku. «Prendiamo quel chip!»
Mentre il Baymax Oscuro prendeva il volo verso l’alto, Hiro si fermò accanto a Riku.
«Dammi quel visore. I Microbot ci serviranno.»
Senza farselo ripetere, Riku si tolse il visore e lasciò che Hiro ci armeggiasse per un momento.
«Ho ripristinato la connessione.» Spiegò. «Riku, prendi Baymax e vai dietro a quel robot. Arrivate vicini abbastanza da toccarlo e fate in modo che i Microbot gli vadano addosso e aprano quello sportello. Se rimuovete il chip, è fatta
«E noi che facciamo?» Wasabi raggiunse subito Hiro.
«La città. Se ci fossero danni a cose o a persone…» Hiro volse lo sguardo agli edifici attorno a loro. «Qualcuno deve aiutare
Attese che Riku salisse sulla schiena di Baymax, poi fece gesto con la mano. «Sparpagliamoci!»
Dall’alto, Riku li vide partire in cinque direzioni diverse. Alzò subito lo sguardo, però – il Baymax Oscuro aveva preso a scagliare Cuboscuri verso di loro, e c’era bisogno della loro attenzione, subito.
Cercando di restare quanto più in equilibrio possibile sulla schiena del robot in volo, Riku iniziò a rispedire al mittente i suoi stessi pezzi. Baymax sembrava aver compreso, perché stava facendo la stessa cosa. I Microbot brulicavano addosso a loro, e a un certo punto si concentrarono attorno alle ginocchia di Riku, ancorandolo saldamente all’armatura di Baymax. Evidentemente, avevano compreso anche loro il concetto di “reggersi”.
Riku ringraziò di avere ancora il visore, perché entrambi i Baymax andavano decisamente troppo veloce per i suoi gusti. Probabilmente, pensava, in simili frangenti Sora si sarebbe anche divertito, ma l’unica cosa che voleva al momento era che si finisse presto.
Se non altro perché avevano una città da difendere.
Per pochi, ma interminabili minuti Riku credette che i due robot fossero potenti alla pari, e che quell’inseguimento sarebbe potuto durare ore… poi si accorse che il robot corrotto stava perdendo il suo vantaggio su di loro.
«Hiro ha lavorato su di me in tutto questo tempo.» Baymax sembrò quasi cogliere il suo stupore e si affrettò a spiegare. «Sono più veloce. Dopo che dovette lasciarmi indietro per salvare Abigail Callaghan, non voleva che la storia si ripetesse.»
Riku si sarebbe messo a ridere per quanto ovvia poteva essere una conseguenza del genere. Se davvero quello che aveva incontrato era il suo sé del passato… quanto aveva potuto sottovalutare quanto il tempo e l’esperienza cambiavano una persona, un robot… un cuore?
«Va bene, andiamo a prendere il tuo doppio malvagio!» Riku concluse. Erano vicini… sempre più vicini… in quel momento, Riku avrebbe desiderato di essere più alto, alto come ricordava fosse stato Terra, fosse anche stato solo per…
… qualcosa gli turbinò attorno alla mano, formando un lungo braccio nero che terminava in cinque dita. Riku prese a pensare che fosse oscurità, e l’arto misterioso prese a tremare… e fu allora che Riku lo riconobbe come i Microbot, che avevano lasciato le sue ginocchia per allungargli la portata.
Si concentrò nuovamente sul prendere il chip, e il braccio meccanico si riformò. Apri il portello d’accesso. Tira fuori quel chip.
L’artiglio nero di Hiro saettò verso il Baymax oscuro, perdendo la forma contro il portello d’accesso.
Quando Riku ritrasse la mano – e il tentacolo nero che gliela allungava – una scheda di plastica rossa con il disegno infantile di un teschio emerse dalla marea di Microbot e gli comparve nel palmo.
Gli occhi rossi del robot si spensero. I Cuboscuri presero a disfarsi, il robot prese a cadere verso il basso… e in pochi secondi, tutto quello che rimase sull’asfalto fu un robot bianco con alcuni malconci pezzi di armatura rossa, riverso a terra come un pupazzo.
Era finita.
 
«Cosa ne farai adesso?»
Hiro e Riku erano soli nel garage – beh, con Baymax e l’altro Baymax. Gli altri ragazzi erano tornati alle loro case per del meritato riposo, dopo averli aiutati a trasportare di nascosto il robot inerte lontano da occhi indiscreti.
«Non l’ho portato allo SFIT solo perché la Granville ci ha chiusi fuori.» Hiro si strinse nelle spalle. Da quando aveva usato uno dei suoi saldatori per tagliare il chip infetto a metà, il locale era invaso dall’odore acre di plastica bruciata. «Ma il suo posto è quello. Era la ricerca di Tadashi, è giusto che torni lì… per svolgere il compito per cui era stato costruito.»
Si mise a sedere davanti al computer, e abbozzò un sorrisetto.
«Ci sono altri modi per salvare vite, e mio fratello lo sapeva. Un altro Baymax stabilmente nei laboratori, pronto ad essere programmato come infermiere, sarà anche un altro alibi per noi
«Vuoi terminare il lavoro di tuo fratello?» Riku interpretò le parole di Hiro.
«Se non fosse stato per Tadashi, non sarei la persona che sono oggi.» Hiro fece sì con la testa. «Non sarò mai la persona che lui era, e non voglio esserlo… ma…»
«Ti sembra la cosa giusta da fare.» Baymax intercettò il suo discorso.
«Sì.» Hiro si passò una mano tra i capelli, poi attraversò la stanza e raccolse un cacciavite. «E tu, Riku? Riprenderai a dare la caccia a Xehanort?»
«Credo che siamo a un passo dal prenderlo.» Riku si appoggiò a un muro. «Poi… credo che cercherò di convincere Sora e Kairi a tornare a scuola. In questi giorni, nel vedere il campus, mi sono reso conto di quanto mi è mancata.»
Hiro, che mentre Riku parlava si era messo ad armeggiare con alcune parti rotte del vecchio robot, lo guardò e fece un sorriso.
«Potresti sempre pensare di iscriverti. Dopo che ti diplomi.»
Riku alzò le sopracciglia, spiazzato dalla proposta.
«Scherzi?»
«No!» Hiro lasciò il cacciavite e prese un saldatore, quasi senza guardarlo. «Se pensi possa essere il tuo campo…»
Riku non rispose, ma prese a camminare verso la saracinesca. Sora e Kairi lo stavano sicuramente aspettando… sì, e Re Topolino… Aqua, Shiro, Lea… e Ventus e le sue battute sceme… doveva tornare da loro, e subito.
Ma una voce nella sua testa gli suggeriva che, quando non ci sarebbe stato bisogno di combattere… quando la guerra dei Keyblade fosse finita, quella proposta non era affatto una cattiva idea.
 
 
Una Gummiship atterrò nello spiazzo davanti al castello, e Lea, Kairi e Shiro ne uscirono. Shiro aveva ancora addosso l’uniforme scolastica e sembrava abbastanza contrariata.
«Avevamo la prova di ginnastica, avevo scommesso con Lann che avrei fatto meglio di lui…»
A giudicare dal tono sconfitto in cui lo stava ripetendo, doveva averlo già detto due volte o tre.
«Dov’è Sora?» Ventus chiese loro quando furono arrivati sulle scale.
«La dottoressa Luna gli ha intimato di non muoversi.» Lea commentò, quasi allegramente. «A proposito, c’è del gelato in cucina?»
«Non credo.» Ventus si strinse nelle spalle. «Ma andiamo, mancavate solo voi, e credo che Riku abbia trovato qualcosa di interessante.»
La prima riunione che avevano fatto era stata nel salone, ma stavolta Aqua aveva giudicato più conveniente riunirsi in quella che avevano sempre chiamato la “cucina”, ma in realtà era sempre stata sufficientemente grande per essere anche una sala mensa.
«Sora arriverà presto. Non appena Luna ha finito con lui.» Kairi annunciò entrando. Gli altri – Aqua, Riku, Topolino, Paperino e Pippo – erano seduti su altrettante sedie, chini sul computer portatile che Riku aveva portato da San Fransokyo.
«… potremmo metterlo in rete con Otto e Nove quando avremo finito. Abbiamo i telefoni, questo non potrà che aiutare.» Riku stava dicendo.
«Posso vedere cosa fare dopo la riunione.» Topolino si offrì volontario. «O potremmo lasciarlo al Comitato di Restauro.»
«Va bene, siamo quasi tutti.» Aqua allontanò la sedia dal computer e fece gesto agli ultimi arrivati di prendere posto. «Abbiamo le sette Luci, e le prove che Xehanort ha le Tredici Oscurità.»
«Ho trovato a San Fransokyo l’individuo su cui stavamo indagando.» Riku girò il computer verso di loro e aprì un’immagine che raffigurava una figura minuta interamente coperta da un cappotto nero, con una Catena Regale in mano. «Ho trovato Quattordici. Ed è come pensavamo, una Replica di Sora. È riuscito a cogliermi di sorpresa abbastanza da rompermi temporaneamente il Keyblade. Ma per una qualche ragione, non ha un’identità sua. Non parla, e non si muove se non secondo ordini. Praticamente si comporta come un pupazzo.»
«È arrivato il momento di fare la nostra mossa.» Aqua prese a spiegare. «Xehanort sarà pronto a riceverci, ma se non combattiamo userà il tempo che gli daremmo per avvantaggiarsi ulteriormente.»
Ventus non poté evitare di provare paura – ma sapeva che quel momento sarebbe dovuto arrivare. Prima avessero combattuto, prima avrebbero riportato Terra a casa. E Aqua aveva ragione – il tempo non era dalla loro parte, ma le cose non avrebbero potuto che peggiorare se avessero atteso.
Xehanort avrebbe potuto attaccare qualcun altro. Rapire qualcun altro – come Finn, il piccolo amico di Shiro, o i compagni di scuola della ragazzina, o Rapunzel… avevano provato ad evitare lo scontro undici anni prima, ed era stato allora che Xehanort aveva portato via loro Shiro e il Maestro.
«Allora, è il momento delle istruzioni.» Topolino si alzò sulla sedia e alzò un braccio. Ventus aprì la telecamera del telefono e prese a riprendere. A qualcuno sarebbero servite quelle informazioni. «Ci sono tredici Oscurità. Quattordici combatte come Sora, lo abbiamo detto.»
«Ma il suo punto debole è che dipende dagli ordini. Basterà isolarlo per renderlo inoffensivo.» Riku finì la sua frase. «Quanto all’altro me, combatte come me un anno fa. Chiunque di noi sarebbe in grado di tenergli testa. Ansem l’Heartless è avvantaggiato in ambienti oscuri come la Fine del Mondo o gli incubi, ma nel Regno della Luce è facilmente battibile anche da una persona – Sora lo ha sconfitto a quattordici anni. Xemnas ha due lame di luce rossa, spara dei proiettili laser. Ma senza il Mondo che Non Esiste, il suo potere sarà almeno la metà.»
«Quanto agli altri Nessuno…» Lea si sentì in dovere di intervenire. «Marluxia e Larxene sono pericolosi, ma il loro potere è come se arrestato. Come se ci fosse qualcosa che li blocca. Sora è riuscito a disfarsene quando la sua memoria era più a buchi di una groviera, se questo vi dice qualcosa. Luxord riesce a manipolare il tempo stesso, ma il suo punto debole è il gioco pulito. Se risolvete i suoi trucchi di carte, si esporrà agli attacchi. Saïx è imbattibile quando entra in berseker, ma lo stesso atto prende molta della sua forza. Se lo colpiamo quando è in recupero…»
«E poi c’è Xigbar.» Shiro cambiò argomento per lui.
«Saper parare in tempo basterà per lui.» Fu Kairi a descriverlo. «Quei suoi proiettili fanno male, ma non è in grado di evitarli se glieli rispediamo.»
«Xehanort del passato.» Riku contò un “dieci” sulle dita. «Negli incubi era in grado di controllare il tempo stesso, ma io e Sora avevamo ipotizzato che fosse posseduto dal suo sé del presente. Ammesso che nel mondo della luce sia soltanto un normale Custode del Keyblade, può mutare la sua arma in una frusta. Non nego che però, essendo fuori dal suo tempo di molto… chi è rimasto?»
«Vanitas. Agile, violento, sparisce nelle ombre, ti sembra di averlo colpito una volta e invece ti pugnala alle spalle.» Ventus intervenne e passò il suo telefono a Shiro perché continuasse a riprendere. «Ma mi ci gioco il Keyblade che continuerà ad essere ossessionato da me. È debole alle magie di gravità, comunque, e per quanto possa essere veloce, non lo è più del sottoscritto.»
Avrebbe parlato anche del successivo… ma non si sentiva di farlo. Avrebbe potuto combattere Terra ad occhi chiusi, ora che le braccia e le gambe che muoveva erano le sue… sapeva quali erano i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, e che era sempre stato agile abbastanza da resistere non appena aveva capito come muoversi…
«La versione di Xehanort che sta possedendo il nostro amico Terra è limitata da Terra stesso. Può essere forte e agile, ma non più di quanto Terra stesso non fosse.» Fu Aqua a parlare. «Ha delle magie oscure potenti e può evocare un Guardiano oscuro… che è quello che fa più spesso, perché non sembra abbia il pieno controllo. L’ho già battuto una volta, da sola, posso farlo di nuovo.»
Nel suo discorso, era quasi sottointeso il “e riporterò Terra indietro”. Ventus si morse il labbro per non scomporsi davanti agli altri.
«Quanto al Maestro Xehanort, sicuramente rimarrà a guardare da dietro le quinte fino a quando non rimarrà lui solo.» Topolino commentò. «A quel punto, sulla base di quanti saremo e quanto potremo fare, dovremo colpirlo con tutto quello che abbiamo.»
Quando il Re tornò a sedersi, la conversazione venne quasi interrotta da uno squillo sul telefono di Ventus. Shiro spense la telecamera e glielo rimise in mano.
Era Sora, e il testo era decisamente telegrafico. Una sola parola. “Arriviamo”. Evidentemente doveva essere al timone della sua Gummiship.
«Sora sta arrivando.» Ventus annunciò alzando il telefono.
«Bene. Possiamo aggiornarlo non appena è qui.» Riku abbozzò un sorriso.
«Ho anche ripreso.» Ventus indicò il suo telefono.
«Grazie, Ven. Ora, siamo sette Guardiani.» Aqua prese a contare. «Io, Topolino, Ventus, Sora, Riku, Kairi, Lea. Paperino e Pippo si sono già offerti volontari per medicina e difesa sul campo…»
«… Ienzo, Otto e Nove ci assisteranno da remoto, e Noctis, Luna e i loro amici si sono già offerti volontari per allontanare e curare eventuali feriti.» Kairi continuò.
«Sperando di non averne bisogno…» Aqua abbassò lo sguardo. «D’accordo. Penso che sia tutto.»
Accanto a Ventus, Shiro alzò la mano come avrebbe fatto a scuola.
«Mamma… e io
L’intervento di Shiro fece calare il silenzio nella stanza, e Aqua la fissò. Ventus poteva immaginare cosa stesse pensando: nonostante gli enormi progressi delle ultime settimane, Shiro non aveva neanche tredici anni. Portarla al Cimitero sarebbe stato un rischio troppo grande…
«Tu resti qui al Castello, Shiro.» Aqua calò una mano sul tavolo. La ragazzina aggrottò le sopracciglia, e per un momento Ventus rivide Terra, nel momento in cui il Maestro Eraqus gli aveva annunciato la bocciatura.
«Ma…»
«Niente ma. Non sei pronta.» Aqua insistette, il suo tono più severo mentre la mano che teneva chiusa a pugno iniziava a tremare.
«Non è vero, sono pronta!» Shiro rispose a tono, picchiando entrambe le mani sul tavolo. «Sono anche io una Custode, voglio salvare papà!»
«Non c’è da discutere, Shiro. È un ordine.»
«Tu non sei il mio Maestro!» Shiro non lasciò neanche finire Aqua di parlare, pestando un piede per terra e alzando la voce.
«Io sono tua madre e la Maestra con più esperienza in questa stanza. E se dico che devi rimanere a casa, tu ci resti!»
BANG!
Shiro spinse la sua sedia di lato e corse via dalla stanza. Nessuno in quella stanza sembrava avere il coraggio di parlare – Aqua era stata nel giusto, ma era successo tutto talmente in fretta che nessuno era riuscito a disinnescare la conversazione prima che si arrivasse a quel punto.
«Siamo alle solite.» Ventus si strinse nelle spalle e commentò, non senza abbozzare un sorriso di circostanza. «Vado a vedere dov’è andata.»
Sapeva che, con tutto quello che era accaduto, Shiro non aveva ancora la sua stanza – non con un letto delle sue dimensioni, almeno – e aveva preso a condividere il letto con Aqua, quindi non aveva una camera in cui rifugiarsi.
Qualcosa gli disse che era nel cortile – e Ventus seguì quell’impressione, a volte quel che gli veniva in mente in quel castello finiva per essere la soluzione giusta – e infatti Shiro era là, seduta sul gradino più basso della scalinata d’ingresso, a guardare il pavimento in pietra. Aveva le mani sulle orecchie… anche se Ventus dubitava quello sarebbe servito a tenere Ephemer in silenzio.
«Io la odio! Voglio solo salvare Papà! Voglio solo il mio Papà!» Shiro mugugnava tra i denti. Abbassò le mani, poi se le incrociò sulle ginocchia e vi si appoggiò con la testa. «Perché mi trattano come una bambina?»
Ventus si sedette qualche gradino sopra di lei e rimase a guardare il cielo.
«Siamo alle solite. Questa storia l’ho già sentita.»
«Non voglio vedere nessuno.» Shiro mugugnò senza muoversi.
«Per questo sono dietro di te. Basta che non ti giri.» Ventus le ribatté. «Stai tranquilla, non credo tua madre sia arrabbiata. Quando avevo l’età di Riku, le dissi in faccia quello che pensavo di lei. Non è stato il mio momento migliore.»
Shiro alzò la testa e abbassò le gambe, ma non gli rispose.
«So cosa pensi, ci sono passato anche io. Ed è per questo che tua madre si comporta così con te. Perché questa storia l’ha già sentita. Perché hanno usato con me questo trucco, e ci sono pure riusciti. Terra è tuo padre, ma è anche mio fratello.»
Finalmente Shiro si girò verso di lui.
«Però da quando sono qui non ho fatto altro che essere un impiccio. Sembra che tutti mi vedano ancora come una bambina, ma io non voglio rimanere sola. Non di nuovo.»
«Non sei un impiccio, Shiro, hai solo dodici anni. Hai diritto alla pace. E non ti lasceremo da sola, mai. Non devi mai dubitarne.» Ventus non poté evitare di farsi sfuggire un sorriso. La Gummiship di Sora era appena riapparsa all’orizzonte, e probabilmente Shiro si era dimenticata chi avrebbe potuto essere a bordo… «E il tuo compito forse è il più importante di tutti. Sai chi erano i Denti di Leone, nella Guerra dei Keyblade? Erano i bambini che ricostruirono il futuro. Ci devono sempre essere dei Denti di Leone.»
La voce di Shiro sembrò calare.
«Come le sai, queste cose?»
Ventus si portò una mano alla fronte e scosse la testa.
«Devo averle lette da qualche parte. O forse per sentito dire. Ma il concetto non cambia, Shiro. Quando avremo bisogno di te… sappiamo che sarai là.»
Dovette alzare un poco la voce per l’ultima frase: la Gummiship di Sora era atterrata, e il portello di imbarco si stava abbassando.
«Okay, non pensavo che mi avrebbe fatto così strano.» A parlare era stata una voce che a Ventus suonava sia familiare che estranea. Era quasi come sentire parlare sé stesso in registrazione.
«Beh, benvenuto nell’umanità.» Fu Sora a rispondere.
«Sora, sono serio. Se inizi a fare come Ventus ti do un pugno. E adesso posso farlo, sai?»
Fu Sora il primo a scendere. Aveva l’aria stanca, ma sembrava star bene – o almeno, meglio di quando si erano salutati quella mattina. Fece un paio di passi sui marmi del cortile, incrociò lo sguardo con Ventus e Shiro, poi si guardò alle spalle.
«Non indovinerai mai chi c’è qua fuori!»
Mentre Sora parlava, Shiro aveva iniziato a fissare il portellone, tesa come se stesse per scattare.
«Zio Ven, ma… hai sentito?» gli chiese con un filo di voce. «Non era Sora, vero?»
«Non era Sora.» Ventus scosse la testa e sorrise.
«Aspetta… no, non può essere!» Shiro scattò in piedi, proprio mentre due piedi calzati da scarpe da ginnastica con le stringhe rosse comparivano in cima alla rampa.
«Sora, se è uno scherzo non sei divert… oof!» Roxas stava ancora scendendo dalla Gummiship quando Shiro lo raggiunse e lo abbracciò forte. «… Shiro?»
Ventus si mise in piedi a sua volta e li raggiunse. La bambina stava piangendo addosso all’amico ritrovato, e Roxas si trovava visibilmente spaesato dalla sua reazione.
«Sei tu, vero?» Shiro gli chiese senza staccarsi da lui.
«Nessun altro che me.» Roxas ricambiò finalmente l’abbraccio.
Ventus dovette sforzarsi di non ridere in un momento del genere. Si limitò ad incrociarsi le braccia dietro la testa, guardare da un’altra parte, e tirare un respiro. Se non altro, doveva essere grato che i giorni trascorsi ai Caraibi gli avessero lasciato i segni dell’abbronzatura e schiarito i capelli.
«E poi sarei io quello che fa le battute sceme.»

 

 
 
Aqua era su una delle sedie della biblioteca quando sentì qualcuno bussare alla porta. Mormorò un “avanti” in tono piatto, e Riku e Lea entrarono nella stanza.
«Ventus è già andato da lei.» Lea disse immediatamente. «Lo avrei fatto io, se lui non fosse stato più rapido. So quanto possa esser brutto quando Shiro sta avendo una brutta giornata, e questo era niente.»
Quello era niente? Aqua non sapeva se le parole di Lea fossero una buona o una cattiva notizia. Se quello era niente e lei non aveva saputo minimamente come gestirlo, come sarebbe andata quando…?
«Non ti preoccupare, quel che le hai detto era giusto.» Lea si sedette alla panca dove si era seduto qualche giorno prima. «Solo che… Shiro è Shiro. Ha perso te e il tuo compagno, suo zio, Isa, me, Roxas…» Tirò un sospiro. «Quattordici e le sue stesse memorie. È talmente abituata a vedere la gente andarsene dalla sua vita, che non credo voglia correre i rischi, ora che la gente sta tornando. Mi ricordo che quando il Superiore cercò di uccidere Roxas, la prima cosa che pensò fu che potessimo scappare. Che potessimo cercare te. Non si era mai resa conto che probabilmente non avrebbe potuto sopravvivere a un viaggio del genere.»
«Già, ha sempre avuto un po’ troppo entusiasmo.» Riku rincarò la dose. «Se posso essere onesto, non ti somiglia molto. Non per quanto ho visto, almeno.»
«Anche Terra era… è… molto impulsivo.» Aqua commentò. «E coraggioso. Ho già perso lui una volta per questo… non voglio che succeda anche a lei.»
«Hai contato anche testarda? Se Shiro si mette in testa qualcosa, apriti cielo.» Lea ridacchiò. «L’ho vista urlare addosso a Saïx. Che se solo avesse voluto, l’avrebbe fatta volar via con uno starnuto. E vogliamo parlare di quando ha dato fuoco a Xigbar e non sapeva nemmeno realmente come formulare l’incantesimo?»
Un’ondata di panico fece scattare Aqua in piedi. Shiro aveva fatto tutto questo? Aveva urlato addosso a Saïx, che secondo Riku poteva essere letale nel suo furore? Dato fuoco a Xigbar… che aveva dato del filo da torcere anche a lei?
Aqua stava per dire qualcosa a Lea – probabilmente sulla falsariga di cosa gli fosse saltato in mente, ma lo vide che stava barcollando, tenendosi una mano alla testa.
«Non è nemmeno un essere vivente… è un fantoccio… è finto, come quel lurido Moguri che ti porti dovunque…» Lea mormorò tra i denti, tenendosi la tempia come se avesse mal di testa. «Era questo che Saïx le aveva detto. E Xigbar le aveva riso in faccia. Perché mi è tornato alla mente solo ora?»
«Quattordici.» Riku concluse.
«E non facesti nulla per difenderla?» Aqua avrebbe soltanto voluto tirargli una sberla. Era successo tutto questo… e lei non era stata lì per Shiro…
«Io… io non…» Lea mugugnò, grattandosi la testa. «Non fui vel… Roxas. Roxas fu più svelto di me. Fu lui a mettersi in mezzo.»
«Chi ha parlato di Roxas?» Un’altra voce si unì alla conversazione.
Era Sora, in piedi nel vano della porta.
«L’ho lasciato giù in giardino con Shiro, ve lo devo chiamare?» Sora chiese di nuovo.
«No, no, hai fatto bene.» Riku scosse la testa, sorridendo visibilmente sollevato. Nonostante non poteva dire di conoscere Roxas, anche Aqua si sentiva come se qualcuno le avesse tolto un peso dal cuore.
«E come al solito qualcuno finisce sempre per batterci sul tempo. E stavolta sono due!» Lea si coprì la faccia con una mano, prendendo a ridacchiare. «Immagino che dovrò parlare io con Roxas… perché non voglio che ci segua. Non dovrebbe. Ha passato tutta la sua vita a combattere, non si merita questo.»
«A proposito.» Aqua andò verso Riku e Lea. «Non sono stata troppo dura con lei, vero?»
«Non le hai detto niente che non le abbiano già detto o ripetuto Leon e Aerith. Più o meno.» Riku si strinse nelle spalle. «Probabilmente era Shiro che si aspettava che le cose cambiassero.»
«Che ti devo dire, Aqua? Probabilmente visto che la bambina ha finito per prendere dal papà, magari con un maschietto sarebbe stato più come te.» Lea fece un sorrisetto.
Aqua non aveva niente da dire – se voleva essere una battuta, quella non era affatto divertente.
Il giovane sembrava aver recepito il significato di quel silenzio, perché si scusò e ammise di aver parlato a sproposito, poi iniziò ad andare verso l’uscita trascinando i piedi.
«Aspetta, Lea.» Aqua lo fermò. «Va’ a parlare con gli altri.»
«E cosa devo dire?» Lea si girò, parlando ancora in tono contrito.
«Tutti liberi fino a domani. Abbiamo bisogno di riposare e recuperare le forze.» La Maestra concluse. «E di passare un po’ di tempo con le persone importanti.»


 



(OH NO STA ARRIVANDO è il meme OH LAWD HE COMIN. E sì, si riferisce a gatti ciccioni.)
 




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