Non
ho mai scritto nel Fandom di HG ma dopo aver letto
La Ballata ho deciso di farlo, solo che non era questa la storia che mi
aspettavo.
Spoiler da La Ballata e qualche teoria folle qua e là (tipo
Maude Ivory è la
nonna di Katniss) e sopra ogni cosa un tributo a Sejanus (che era un
po’
ingenuo, ma pieno di tanto amore).
Il Nome
Echinodorus
Everdeen era un ragazzo sveglio,
o almeno così avevano sempre detto tutti, ‘troppo
sveglio per essere un ragazzo
del giacimento e morire in miniera, più o meno Echinodorus
aveva sempre patito
quelle parole per tutta la sua vita, ma si era dovuto rassegnare al
fatto che
essere sveglio non sarebbe bastato.
Era nato nel giacimento, era cresciuto in un brefotrofio, come uno dei
tanti
orfani sopravvissuto alla guerra, tra i figli spuri ed altre povere
anime come
lui.
L’unica idea di fuga che aveva sfiorato era l’idea
di unirsi ai pacificatori,
non ne prendevano molti del dodici ma qualcuno si, ogni tanto, ma
Sorella Dee
aveva cercato di dissuaderlo, sarebbe finito lontano e sarebbe stato
solo per
vent’anni.
‘Non la vuoi una bella famiglia, Eich?’ gli aveva
chiesto.
In un anno avrebbe avuto diciotto anni, se la fortuna lo avesse
assistito
avrebbe evitato ancora una volta la mietitura, sarebbe dovuto scendere
giù
nella terra.
Inghiottito.
Sorella Dee aveva cercato di sistemarlo a lavorare nella biblioteca
della
scuola, dal panettiere, ovunque, ma l’unico che si era presa
la briga di
assumere un povero ragazzo del Giacimento era stato Rusty Fridhelm al
Forno.
Echinodorus lo aiutava con la sua selvaggina di contrabbando, aveva
imparato a
dodici anni come sfilettare pesci, spennare uccelli, affumicare e
salare.
Poi aveva iniziato a fare i conti, era stato anche più bravo
che con coltello e
mannaia.
Ma questo non lo avrebbe salvato dalle miniere, sarebbe finito
lì come tutti, o
quasi, del giacimento e tutti i suoi fratelli adottivi del brefotrofio.
Era una vita soffocante, ma era l’unica vita che avrebbe mai
avuto.
Eppure in quella prepotente oscura vita, Echinodorus aveva avuto la sua
macchia
di colore.
Echinodorus
Everdeen era troppo sveglio per il Distretto 12, era troppo sveglio per
il
Giacimento, per le Miniere ed il Forno, ma non era troppo sveglio per
Maud
Ivory Baird.
Quando l’aveva vista la prima volta, lei aveva nove anni,
indossava un completo
rosa lucido e cantava ‘Clementine’ nel Forno,
quando ancora si poteva,
ondeggiando un tamburello. Echinodorus ne aveva dodici si sentiva un
uomo
perché aveva passato incolume la prima Mietitura e Waynard
Ascle li aveva fatto
provare dalla sua bottiglia, due sorsi di liquido binaco.
Ed Echinodorus fu certo di essersi innamorato della voce di Maud Ivory,
ma non
aveva mai avuto il coraggio di parlarle. D’altronde quella
stessa sera era
scoppiato una rissa con i pacificatori.
Era tornato al brefotrofio con un occhio pesto ed un sorriso da guancia
a
guancia.
“Che hai combinato?” aveva strillato sorella Dee.
“Mi sono innamorato!” aveva risposto.
La prima
volta che le aveva parlato era stato dopo la sua ultima mietitura e la
sua
prima settimana di miniera.
Era entrato nelle profondità della terra, prima che sorgesse
il sole e quando
ne era uscito era già tramontato. Aveva trovato Maud che
cantava all’angolo
della Piazza, con il suo amico Clerke Carmine che
l’accompagnava con il
violino.
Sapeva che l’uomo aveva un fratello che era stato assassinato
e che Maud aveva
una cugina che lo aveva fatto.
“Hai qualcosa per me?” aveva chiesto Maud smettendo
di ondeggiare il suo
tamburello, dopo aver smesso di cantare.
“Carbone, per lo più” aveva risposto
Echinodorus, “Non avrò la paga per almeno
un’altra settimana, ho qualcosa da parte ed una pernice. Non
la ho ora, ma
l’avrò domenica” aveva dichiarato.
Maude aveva aggrottato le sopracciglia, erano scure, però
sottili ed arcuate
come ali di gabbiani – o come Echinodorus immaginava
dovessero esserlo, non aveva
mai visto un gabbiano.
“E vorrei mangiarla con te” aveva ammesso lui. Non
era un invito, era una
costatazione.
Echinodorus
Everdeen era troppo sveglio per il Giacimento, per vivere in una
miniera, ma
non lo era per Maud Ivory Baird, nonostante Sorella Dee non facesse
altro che
insinuarlo.
“Lei è una ragazza da …
intrattenimento” aveva detto quella con voce più
secca
ed aspra, intendendo quella parola come avrebbe inteso la
più volgare delle
offese.
Maude Ivory non era una prostituta, ma si prostituiva, quello
sì, era una
cantante, ma nessuno cantava più, i coven se
n’erano andati, da qualche parte,
prima che i controlli si facessero nuovamente più intesi.
Lei e Clerk Carmine
erano rimasti soli. Non del tutto. Maude aveva Echinodorus.
Per tanto tempo la cantante aveva sempre detto che era rimasta al
dodici perché
aspettava Lucy Grey, che era persa nella neve, come la canzone, poi un
giorno,
ancora maditi di sudore, di sesso e di dolcezza, Maude Ivory aveva
cambiato la
sua risposta. “Sono rimasta anche per te” aveva
ammesso, “E per quella Pernice
che non mi hai mai dato” aveva riso.
Echinodorus non aveva catturato quell’animale, non quella
domenica lì, né nelle
successive, fino a che non aveva avuto venticinque anni. Poi un giorno
d’estate, una settimana prima della mietitura aveva visto
quell’uccello ed era
tornato a casa, cinguettando, accompagnato dai fischi musicali delle
ghiandaie
imitatrici.
Maude Ivory aveva trovato da lavoro come lavandaia per gli abitanti del
mercato
e quando lo aveva visto comparire, sulla soglia del cortile della
vecchia casa
dei Covey con la pernice aveva riso.
“Ho paura però che se la mangiamo, poi sarai
libera di andare via” le aveva
detto, romantico, e lei aveva riso fresca e divertita, aveva
spergiurato che
non lo avrebbe fatto.
Echinodorus
aveva ventisei anni quando si era sposato. Maude ventitré ed
aveva cantato alle
loro nozze, la canzone dell’albero degli Impiccati.
Il personalissimo regalo di nozze di Janus, capo dei Pacificatori del
distretto
dodici, era stato non arrestarli per questo.
Suo figlio era nato l’anno dopo.
Scalciate.
Roborante, con la stessa voce, forte e ruggente di Maude.
Era una cosa, piccola, rossa ed informe e le mani da minatore di
Echinodorus,
abituate al piccone al carbone, avevano avuto paura di romperla.
“Se fosse una femmina l’avremmo Clementine,
immagino” aveva riso lui, pensando
a quella canzone, che ancora Maude Ivory canticchiava quando era
sovrappensiero.
Clementine Green o qualche altro nome simile.
O Lucy Gray.
“Ma è un maschio” aveva ricordato.
Il suo piccolissimo bambino.
“Sejanus” aveva stabilito Maude.
C’era certezza nella sua voce, inflessibile certezza.
Sejanus
Plinth era stato un ragazzo dei distretti, un ragazzo di Capitol City,
anche un
pacificatore ed un ribelle, cose che Echinodorus non riusciva a
conciliare.
Ma sopra ogni altra cosa, Sejanus era stato un condannato,
perché credeva in un
mondo migliore e libero.
Gli uomini muoiono, ma le idee no, così aveva detto Maude.
“Eri … innamorata di lui?” era stata la
prima volta che Echinodorus aveva
provato un sentimento simile all’insicurezza.
Era un orfano del giacimento, che viveva sotto la terra, non aveva mai
avuto
spazio per l’incertezza, o la terra se lo sarebbe mangiato.
Maude Ivory aveva riso di lui, “Avevo nove anni, lo conoscevo
appena” aveva
raccontato, “Ma confesso che dopo avermi portato i biscotti e
speso un
pomeriggio a spaccarmi le noci, potrei aver fantasticato sul nostro
matrimonio”
lo aveva provocato.
Echinodorus aveva riso.
“Sejanus Everdeen, allora” aveva detto.
E per un secondo era esistito solo Sejanus, nessun distretto dodici,
nessuna
Panem e nessuna Mietitura, anche Maude Ivory era scomparsa.
Katniss
aveva chiamato la sua prima figlia Primrose, non c’era stata
incertezza, ne
alcuna intromissione da parte di Peeta o chi che sia.
Primrose Mellark, non suonava, ma avrebbe funzionato.
Ed era stato un piccolo raggio di sole in una giornata uggiosa.
Katniss non si era mai vista adatta come madre, ne si era mai
immaginata di
poterlo essere, era stato atroce – e liberatorio –
scoprire che non aveva avuto
torto.
Ma era stato bello, intenso, vedere come quella piccola vita avesse
catturato
Peeta con così tanto amore e che i loro silenzi sofferenti,
fossero venuti a
scemare, occupati da urla cercanti di attenzione.
Katniss aveva compreso che forse non sarebbe mai stata una brava madre,
era
difficile, ma che ci avrebbe provato, al meglio di ogni sua
possibilità, per la
sua piccola Prim.
E questa volta lo avrebbe fatto bene.
Poi era rimasta incinta di nuovo.
Suo figlio era venuto al mondo in uno degli inverni più
freddi che ricordasse,
anche in una casa calda, come quella in cui viveva.
Aveva tenuto la mano di sua madre, venuta a trovarla e
l’altra a Peeta.
Primrose era stata lasciata alle cure di Effie, Johanna e Haymitch.
E poi suo figlio era nato, in una casa fredda, dopo ore di dolore.
Un figlio non pensato, non richiesto e le cui braccia, però,
sembravano fatte
per avvolgerlo.
Non voleva lasciarlo, anche se era sporco e volevano lavarlo, come era
stato
con Prim.
“Il nome?” aveva chiesto esitante sua madre, Peeta
l’aveva guardata, le aveva
tenuto la mano e l’aveva spinta a sceglierlo, timoroso di non
potersi ancora
fidare di se stesso, neanche per quello.
Era stato facile con Primrose, non era esistito mai altro nome, ma ora
non lo
era.
Finnick. Cinna. E la lista di chi l’aveva aiutata ed era
scomparso
non mancava di nomi.
E poi una voce più egoista era sgusciata dentro di
sé, “Mi piacerebbe chiamarlo
come mio padre” aveva sussurrato.
“Sejanus” aveva sussurrato sua madre, la sua voce
era stata colma d’amore e
dolcezza, come Katniss non l’aveva sentita in anni. Troppi.
“Benvenuto a casa, Sejanus” aveva detto Peeta.
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