il viaggio

di petre frumos
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Il racconto è diviso in quattro parti
1 Introduzione, luogo, personaggi, narrazione
2 L’avversario e le sue opere, sua storia
3 i nemici dell’avversario e le manovre per sconfiggerlo
4 riconoscimento
 
 
Il Viaggio
L’abito non fa il monaco, la parola mente, il gesto rivela.
1
La cascina degli Aldenghi si trova alla fine di un sentiero sassoso infossato fra campi di grano che sfumano nel verde dei boschi. Il sentiero inizia nel tratto della strada francigena che congiunge Serravalle Scrivia ad Arquata Scrivia. Il grande portone della cascina di legno rinforzato da piastre di metallo spicca scuro inquadrato da quattro maestose querce.
Diversi edifici, che a detta di alcuni risalgono ai romani, si affacciano sulla grande aia della cascina.  Il luogo per la lontananza dalla strada e per i folti boschi che lo circondano, non invita il viandante e d’altra parte i locali non amano gli abitanti della cascina accusati di fare gruppo a sé e di considerarsi diversi perché a loro dire sarebbero discendenti dai longobardi. Sola occasione di incontro sono le festività religiose.
L’uomo maturo, solido e di alta statura, vestito di mantella e giubbotto e la giovane donna i cui stivaletti di solida fattura contrastavano con il delicato mantello azzurro, accompagnati da un asinello carico di bagagli, procedevano lentamente seguendo il gruppo di pellegrini diretti a Roma per la Pasqua. Camminavano discosti perché loro, i pellegrini italiani avevano mostrato di non amare l’uomo e la sua giovane compagna. Malgrado partecipassero alle preghiere del gruppo e portassero la croce, a causa del comportamento, degli abiti e delle abitudini alimentari, avevano generato diffidenza.
La ritrosia a raccontare di sé e il rifiuto di carne e formaggi adducendo un voto che si sarebbe sciolto con la visita al Santo Padre, li avevano resi indesiderati e quindi a esclusi dal gruppo.  Solo per pietà i pellegrini sollecitati dal frate, avevano permesso che li seguissero da lontano.  Ora però il gruppo non voleva che dormissero vicino a loro e minacciava di prenderli a sassate se non si fossero allontanati.
Era inizio marzo e faceva ancora freddo. Un cielo serotino denso di nuvole nere e gonfie prometteva pioggia mentre le folate di vento stavano aumentavano.
Dal fondo del sentiero, una luce indicava un luogo abitato.  L’uomo e la ragazza si guardarono e senza parlare si diressero verso il portone della cascina tirando l’asinello che si attardava a brucare le erbe del sottobosco. Quando arrivarono al portone, vi era sufficiente luce non essendo ancora calata la notte. Il portone era aperto. L’uomo chiese ad alta voce il permesso di entrare.
Dall’aia alcuni ragazzi smesso di lavorare e senza parlare li guardarono. Un uomo alto e ben messo vestito di una pesante veste di cuoio si fece avanti. Li squadrò, guardò il bosco dietro loro e poi con un gesto della mano invitò   i viandanti a parlare.
“La benedizione su di voi” iniziò il viandante mentre la compagna fermava i lembi del mantello a difesa del freddo. Siamo pellegrini diretti a Roma per adempiere un voto. Il gruppo con cui viaggiavamo ha proceduto speditamente, ma mia moglie era stanca e non riusciva a seguirli. Noi veniamo da oltre alpe e il viaggio è stato faticoso. Vi chiediamo la carità di un posto dove passare la notte.”
“Sono l’intendente” rispose l’uomo. “Dovrei chiedere ai padroni, ma sono molto malati e non mi va di disturbarli.” Vide sul volto dei viandanti la paura e si mise a ridere.” No, no, non è la peste. Solo hanno una brutta infreddatura e febbre e dolori. Va bene. Facciamo così per questa notte vi darò una stanzetta dietro la cucina. Mi sembrate un uomo dabbene e non vi manderei nella stalla.”
Sistemato l’asino e scaricati i bagagli, i viandanti chiesero il permesso di potersi sedere nella cucina e mangiare il loro cibo.
Avevano con sé pane e un formaggio duro, un caciocavallo fatto per viaggiare a lungo. Prima di spezzare il pane chiesero di potersi lavare le mai. Seduti a tavola si presentarono “Io sono Cangiano Alzavedo e questa mia moglie Moretta. Veniamo dal Perpignano che è in Francia nel ducato di Rossiglione. Il nostro vescovo ci ha fornito assieme allo scavino i lasciapassare per poter fare il nostro pellegrinaggio a Roma.”
Cangiano aprì la bisaccia di cuoio che portava al collo sotto il giaccone e mostrò i lasciapassare, le lettere di presentazione, i salvacondotti.
L’intendente disse di chiamarsi Tommaso e di essere stato una volta a Roma quando più giovane era stato soldato. “Vorreste mangiare”? chiese. “Ho della testina di maiale fredda e un bicchiere di vino non vi farà male.”  “No grazie” rispose Cangiano.” Abbiamo fatto voto di non mangiare carne e di bere vino sino a Roma. Ci bastano latte, pane, ortaggi.”
“Ma ditemi, se i vostri padroni sono ammalati, potrei domani esservi di aiuto. Io sono medicus hispanicus, ho studiato a Barcellona e mia moglie Moretta è levatrice e mia aiutante per le donne. Ora però permettete di ritirarci.” Concluse Cangiano.
Il frastuono della corte, muggiti, grugniti cigolii di ruote, guaiti di cani affamati e qualche risata di bambini felici li svegliò poco dopo l’alba.
Tommaso bussò. “Venite a far colazione, abbiamo latte appena munto”. Cangiano rispose “veniamo subito” ma non aprì la porta. Il tavolo della cucina presentava burro, uova sode, carne formaggi, pane e ciotole di semolino caldo da inondare di latte. Cangiano chiese un bacile di acqua per lavarsi le mani e così fece Moretta. Poi di buon appetito si saziarono di pane, uova, e latte. Tommaso li lasciò finire, poi si rivolse a Cangiano:” Messer medicus, vi ricordate? avete detto che avreste visitato i padroni. Sono preoccupato.
Padron Lucio ha passato una brutta notte, l’ho sentito lamentarsi e rantolare e padrona Silvia non sta meglio.” Cangiano andò in stanza a prendere la borsa dei medicinali, poi lui e Moretta seguirono Tommaso nella stanza dei padroni.
Li accolse un bel fuoco nel caminetto e una vecchia dal viso arcigno. “La nutrice” disse Tommaso. Prima di iniziare la visita Cangiano pregò “Benedetto Gesù Cristo padre e signore del mondo, aiutami a curare questo infermo, amen”.
“A prima vista mi sembra una infreddatura “disse Cangiano rivolgendosi a Moretta. “Ma no” li interruppe la nutrice che con le mani tormentava il crocefisso che portava al collo. “Non è una malattia naturale. Certo che si sono ammalati. È una punizione per i peccati non espiati oppure è malocchio”. “Cosa dite?” ribatté Tommaso. “Domenica sono stati a messa e il prete li ha tenuti dopo la confessione sino a sera in ginocchio e digiuni. In una chiesa fredda, in ginocchio sul marmo del pavimento, certo che si sono infreddati. “Io sono la nutrice e conosco bene le loro colpe e so come i diavoli si possano insinuare nei peccatori facendoli ammalare” rispose irata la vecchia.
Cangiano riprese in mano la situazione. “Tommaso lasciateci ora e fatemi portare un catino di acqua calda, un braciere, due pignatte nuove o ben pulite. Voi cara nutrice mettetevi in ginocchio di fronte al crocefisso sul muro e recitate il rosario per il vostro padrone sino a quando vi dirò di smettere”. Moretta si prese cura della moglie facendola andare in una altra stanza dove la mise a letto coprendola di coperte e lasciando che il camino acceso riscaldasse l’ambiente. Cangiano visitò l’ammalato. Lo toccò nei punti che dolevano, appoggiò l’orecchio al petto per sentire i rochi sibili della respirazione, provò il polso, guardò la lingua e anche assaggiò un goccio dell’urina.
“Confermo la mia diagnosi; è infreddatura, non malocchio. Avete ragione caro Tommaso.” Cangiano parlò a voce alta perché anche la nutrice sentisse, “due giorni di cure e lo rimetterò in piedi.” Cangiano spalmò le parti doloranti di un unguento a base di foglie di salice e altre erbe. Massaggiò fino a farlo penetrare bene e poi avvolse la schiena e le gambe in una coperta di lana su cui fece appoggiare mattoni scaldati nel camino. Preparò una pozione composta di erbe varie distillate in acquavite con aggiunta di estratto di foglie di salice, e oppio.
“Quando guarirà?” chiese Tommaso. “due giorni, ora lasciamolo dormire e poi al pomeriggio gli cureremo polmoni. Per questo dobbiamo metterlo seduto.” Rispose Cangiano “Moretta e io andiamo per boschi per trovare erbe da fare in infuso per i vostri padroni.”
2
Appena usciti, la nutrice si precipitò in cucina dove Tommaso curava i dolori di una vecchia ferita ricordo della crociata bevendo vino rosso da un boccale di peltro. Si assicurò che fossero soli, poi chiuse la porta e appoggiate le mani sul tavolo si rivolse a Tommaso. “Sentite, lo sapete bene che non le medicine ma solo le preghiere possono guarire il padrone. Purtroppo, il suo carico di peccati è tale che dubito che anche un pellegrinaggio a Gerusalemme possa guarirlo.” “Ma no nutrice il padrone non è cattivo” replicò Tommaso. “Tacete!” riprese la nutrice. “Io ho visto sul suo corpo i segni della lussuria e lo sento alla mattina piangere per il mal di venere. Per come si comporta le penitenze non sono sufficienti e anche la padrona non è meglio”.
“Quando si credono soli, lei gli parla dei patarini, quegli eretici che rinegano la Madre Chiesa.
Ma prima o poi le cose verranno aggiustate e ognuno avrà del suo. “Stupida! Tacete.” Rispose Tommaso. “Ricordatevi che mangiate della loro mano. Siete vecchia e acida e il padrone vi tiene solo per affetto. Siate grata”. La nutrice tirò su col naso, toccò il rosario e continuò: “e poi voi date ospitalità a due stranieri
 che vi dico, mi sembrano poco cristiani”.
“Si! so cosa direte. Che sono una povera nutrice ignorante. Ma state attento che al contrario di voi il prevosto presta orecchio alle mie parole e mi stima.”
Finita la discussione, la nutrice si raddrizzò e uscì dalla cucina con passo deciso. Tommaso sentì un brivido freddo lungo la schiena e il ricordo iniziò a tormentarlo.
Cangiano e Moretta erano nel folto del bosco e ora l’uomo poteva urinare senza che qualcuno vedesse e ponesse domande. Vagarono studiando i sentieri che si inoltravano nel bosco e quelli che portavano verso la via francigena. Nel caso avrebbero saputo come fuggire.
“Cangiano…” Moretta lo chiamò quando si era girato a guardare la pianura che si intravedeva tra i castagni.
“Non mi sento tranquilla. Quella nutrice ci odia. Sarebbe meglio andare subito via”. “No”, rispose Cangiano. “Sono medicus se abbandono il paziente desterò sospetti e noi non lo vogliamo. Sii paziente ancora qualche giorno. Nel frattempo, mostrati buona cristiana, magari chiedi alla nutrice di visitare il prevosto. Lo sai che un regalo fa miracoli. Stai tranquilla, magari poi curiamo gli abitanti della cascina” disse a Moretta. Andiamo a visitare la padrona.” Questa stava meglio e ringraziò Cangiano per le cure. “Non è merito loro” interloquì la nutrice che al l’improvviso era apparsa portando una tazza di brodo.” Sono le preghiere e i fioretti che ho fatto alla Santa Vergine Madre di Dio che vi fanno guarire.” “Si, Si avete ragione” rispose la padrona, ma Cangiano vide che le pupille della donna erano fisse come quando si è pieni di ira repressa.
“Andiamo a mangiare” disse Cangiano, prendendo per le spalle la nutrice che era riuscita a far bere il brodo alla padrona.
Seduti intorno alla tavola, aspettando che Tommaso servisse il vino e il pane, Moretta e Cangiano recitarono una preghiera di ringraziamento per il cibo. Poi Cangiano si lavò le mani in un bacile di acqua e si versò il vino, non ne bevve ma alzò il bicchiere, prese poi il pane e ne staccò un boccone che si mise in bocca.
La nutrice lo guardò perplessa. “Si nutrice, ho imparato quando sono stato in Terrasanta. Lì prima di mangiare si dicono preghiere ringraziando il Signore per il vino e il pane” spiegò Cangiano. Cosa poteva rispondere anche se perplessa una povera nutrice che non si era mai allontanata più di un giorno dalla fattoria? Tacque.
Tommaso aveva seguito la preghiera prima sorpreso, poi sorridendo.
La nutrice, con la scusa di dover far visita alla nipote, dopo aver ringraziato per il pranzo, uscì in fretta dalla fattoria e correndo per sentieri nei boschi, solo a lei noti, incurante delle spine si recò dal prevosto.
Don Fernando, prevosto di quel piccolo pezzo di Piemonte dimenticato dagli uomini e forse anche da Dio,
godeva della sua posizione di referente religioso. La gestione dei beni della chiesa e delle anime degli abitanti, attuata con mano ferma ma gentile e una certa tolleranza per le credenze popolari e i peccati della gente, gli avevano assicurato una esistenza tranquilla.  Qui non doveva preoccuparsi di patarini o albigesi o catari o bogomili o simili eretici. Né di stregonerie e malefici. Al massimo ogni tanto doveva mettere in riga qualche peccatore che aveva esagerato.
Quando la nutrice di Messer Lucio Aldenghi si fece annunciare e poi senza attendere risposta spinse da parte il chierico e entrò come una furia nella stanza del prevosto, Don Ferdinando, memore di altre visite sospirò. “Ditemi buona nutrice, come stanno i vostri padroni?” iniziò Don Ferdinando sperando di evitare lo sproloquio della nutrice.” No” rispose la nutrice, “sono qui per denunciare due eretici o magari stregoni.”
Don Ferdinando impallidì ricordandosi improvvisamente che per un sospetto simile trenta anni prima aveva
dovuto abbandonare di notte il borgo natio in Puglia cercando rifugio e oblio in Piemonte.
“Spiegatevi meglio cara nutrice” esordì il prevosto forzandola a mettersi in ginocchio.” Sapete bene che a
malignare si commette peccato.” “No. In nome di Cristo Nostro Signore vi dico la verità. Ritornati dalla
chiesa in cui avevate somministrato loro la giusta punizione per i loro peccati, i miei padroni sono caduti
ammalati.”
Un colpo di tosse fermò la nutrice. Ripresasi, strinse forte il crocefisso che portava al collo e continuò.
“Invece di confidare in D-o e curarsi con la preghiera, i miei padroni si sono rivolti a un medicus hispanicus
in viaggio per Roma a cui il nostro amministratore aveva offerto ospitalità.”
“Mi sembra cosa buona offrire ospitalità a pellegrini” osservò il prete, ma la nutrice con gli occhi fuori dalle
orbite e il viso rosso urlò “Reverendo lui e la moglie puzzano di eretico. Non hanno gesti di buoni cristiani e
l’amministratore non è meglio, lussurioso e spregiatore della Santa Madre Chiesa” quasi rantolò.” Reverendo dovete fare qualcosa prima che il diavolo non venga a tentarci.” Esausta la nutrice si abbandonò sulla panca.
Don Ferdinando, sapendo che la nutrice aveva un seguito presso i popolani della pieve, timoroso per uno scoppio di violenza dei contadini come aveva sentito, avveniva in Provenza, decise di chiedere consiglio al Vescovo. Versò un bicchiere di vino e lo porse alla nutrice. “bevete figliola e rasserenatevi” iniziò la risposta cercando di avere un tono rassicurante” La Santa Madre Chiesa apprezza la vostra dedizione. Dovete ora tornare dagli Aldenghi. Lì e nel bosco cercare prove di quanto denunciato. Noi, io e monsignore il Vescovo, vi faremo visita e allora potrete presentarci le prove. Ma ora siate prudente Non compite atti che possano mettere sull’avviso questi eretici.”
La nutrice grata gli baciò le mani e immediatamente riparti anche perché si faceva buio e nell’oscuro gli spiriti immondi ti tentano. La nutrice per fare prima tagliò per i boschi.  Fu un errore. Le ombre digli alberi rosse di sole morente, le ricordarono perché cercava la protezione di Santa Madre Chiesa. A quel tempo era una ragazza bella e ingenua e alla fonte aveva incontrato lo straniero.
Riccioluto e scuro di carnagione, il solo vederlo la aveva riempita di passione e desiderio. Si era data con gioia.  Lui l’aveva posseduta con grande maestria in tutti gli orifizi. Poi era sparito. Quando la pancia iniziò a crescere, lei lo cercò senza risultato.
Sospirò mentre i ricordi iniziavano a presentarsi, prima confusi poi sempre più nitidi e dolorosi.
Si era recata dal prete per confessare il peccato di lussuria sperando in una consolazione. “No”, aveva detto il prete “Potrebbe essere il demonio prese le sembianze di uomo”. Per penitenza la prese lì sul duro pavimento della chiesa, in tutti gli orifizi per scacciare il seme del demonio. Il suo membro la penetrò rudemente facendole rimpiangere la dolcezza dello straniero. A pancia crescente la mandarono presso certi zii in odore di eresia che vivevano nella valle di monte Vesso. Questi la accolsero ma quando partorì un maschietto nero come un tizzone spento e coperto di peli, inorriditi la scacciarono. Abbandonò il bimbo alla ruota del convento e fuggì. Aveva le mammelle piene di latte e una madre asciutta la assunse per nutrire il figlio. Era la vecchia Maria degli Aldenghi. Era poi rimasta presso lei come nutrice dei figli, E ora doveva rimettere sulla retta via quell’uomo grande e grosso di Lucio che era stato cucciolino fra le sue braccia. Rabbrividì ma senti di avere una missione da compiere.
3
Don Ferdinando, partita la nutrice, si versò un bicchiere di vino e cercò conforto nella lettura dei titoli dei manoscritti che formavano la sua biblioteca. Passò poi a guardare il sole che tramontava tra nuvole rosse come sangue, un presagio violento che lo rimandava agli avvenimenti che voleva dimenticare. Ebbe un sonno inquieto e al mattino, finite le orazioni, decise di visitare sua eminenza il vescovo.
 Entrato nella biblioteca del vescovo dopo che il maggiordomo con gusto lo aveva fatto attendere seduto su una fredda panca non offrendogli neppure il ristoro di un bicchiere di vino, si abbassò a baciare la mano inanellata del vescovo. Sottovoce, per non farsi sentire dai segretari che stavano compilando dei documenti ma che avevano le orecchie tese a catturare le parole dette, sussurrò: devo parlarti.
“Caro amico” aveva risposto con voce soave il Vescovo, “prendi posto alla mia tavola, il cibo è semplice ma saporito.
Ma prima recitiamo le preghiere nella cappella privata”. Lentamente, come si conveniva alla loro dignità entrarono nella cappella. Il vescovo chiuse a chiave la porta. E per maggior sicurezza chiuse anche la finestrina he dava sul cortile. “La vecchia è tornata e straparla di eretici con il rischio di creare disordini.” disse Don Ferdinando e aggiunse” ha minacciato che se non prendo provvedimenti ricorrerà alle sue amicizie.” “Eminenza” continuò Don Ferdinando sempre più rosso in viso tormentandosi il colletto troppo stretto. Lo slacciò e continuò “Se diamo torto a lei, la vecchia ci aizza contro l’arcivescovo, ma se noi le diamo ragione, i contadini penseranno a un ritorno della inquisizione e noi avremo guai a non finire.
“Maledetta” sibilò il vescovo. “Per aver sverginato quella puttanella siamo perseguitati e anche tu Ferdinando potevi non fotterla nel confessionale. Sarebbe stato meglio se la avessimo inviata oltralpe.
Ingrata ora critica anche gli Aldenghi.” “Vieni Ferdinando” continuò il vescovo “resta qui questa notte e domattina a mente sgombra troveremo una soluzione”.
La mattina seguente la nutrice aveva raccolto i suoi accoliti per comunicare che aveva visitato il prevosto e ricevuto istruzioni in attesa di provvedimenti della Santa Madre Chiesa.
Nello stesso momento Il Vescovo e Don Ferdinando facevano colazione con pane cacio e vino caldo. “Ho pensato” iniziò il vescovo, “che le faremo visita. Ma ho in programma di incriminarla come eretica. Non la bruciamo, ma la mandiamo molto lontano. Nel frattempo, Ferdinando vedi di inviarmi notizie”. “Non preoccupatevi Eminenza” rispose sollevato Don Ferdinando, “ho persone mie tra cui Tommaso l’intendente.”
La settimana fu insolitamente mite, gli Aldenghi stavano meglio e grazie alle cure di Cangiano avevano acquistato un bel sembiante e una fame da lupi. Tutto procedeva per il meglio. Cangiano pensava di partire il lunedì seguente e nel frattempo negoziava con Tommaso l’acquisto di tre muli per poter arrivare per tempo a Roma.
La vecchia nutrice sedeva tutto il giorno su una panchina di marmo che fronteggiava una immagine della Madonna dipinta sul muro. Aveva le mani giunte e il sorriso di chi pensa essere nel giusto.
Finalmente il martedì preannunciato da ragazzini urlanti e accompagnati da squilli di tromba si presentò alla porta della proprietà il corteo del Vescovo. Questi fedele alle regole della cortesia, attese al portone finché Padron Lucio e Donna Silvia dopo essersi inginocchiati, lo invitarono a entrare. Gli abitanti della cascina guardarono stupiti questo corteo che oltre al vescovo e i canonici si componeva anche di dodici uomini d’arme, seguiti da un ufficiale con un giudice e preceduto da due domenicani della Inquisizione.
Cangiano e Moretta vedendoli ebbero un brivido vedendo gli inquisitori e cercarono rifugio dietro ai contadini.
“Non abbiate timore brava gente, siamo qui solo per una visita mirante a tutelare gli interessi dei buoni cristiani quali sicuramente voi siete.” Iniziò il Vescovo.
Si rivolse poi all’Aldenghi chiedendo una stanza dove poter convocare le persone.
Il tempo di unire i tavoli per accogliere il vescovo il prevosto, i due inquisitori e il giudice, collocare gli uomini d’arme intorno alla porta che iniziò la procedura dell’Inquisizione. Furono chiamati gli Aldenghi, poi Tommaso l’intendente.  Dopo una pausa a metà mattino, toccò a Cangiano e Moretta.
Cangiano aveva con sé la borsa contenente i documenti e le medicine. In un taschino due pastiglie di un veleno potentissimo attendevano di essere prese se l’Inquisizione li avesse accusati.
A Mezzogiorno tutto era finito e il corteo accettò volentieri l’invito a un piccolo ristoro.” Continueremo nel pomeriggio cara nutrice e voi sarete la prima.” Annunciò il vescovo. Sollevata e onorata la nutrice andò in cucina per aiutare i cuochi. A tavola, gli Aldenghi raccontarono delle cure di Cangiano che li aveva guariti in un batter d’occhio. “Sì”, aggiunse don Ferdinando,” ma non dimentichiamo l’aiutino da sopra.” Tutti risero della battuta e gli inquisitori chiesero a Cangiano un poco di questa sua medicina. “Semplice” rispose Cangiano: “funziona per le infreddature. Sono foglie di salice triturate mescolate ad angelica e incenso, impastate con grasso di capra montana, una pallina di oppio in aggiunta. Poi spalmare sulle zone doloranti, poi bere un boccale di questa tisana; sempre foglie di salice, biancospino, malva una pallina di oppio versate sopra vino rosso caldo e un cucchiaio di miele. Vedrete che l’infreddatura passerà nel tempo di due mattutini. Ecco reverendi padri vi ho preparato un sacchetto con gli ingredienti e con l’augurio che la protezione di San Biagio vi preservi. I religiosi accettarono sorridendo benevoli. Dopo una piccola passeggiata nel giardino di donna Aldenghi, la commissione si riunì. Chiamata la nutrice, la fecero sedere su uno gabello. La nutrice voleva mettersi in ginocchio, ma l’inquisitore anziano la trattenne. “Vi prego nutrice prendete posto. Vogliamo porvi poche domande”.
L’inquisitore giovane sorrise e inizio l’interrogatorio.” Gentile nutrice, come sapete la Santa Madre Chiesa porge orecchio attento ai supplicanti specie quando questi chiedono il suo intervento per purificare l’esistenza mondana.” La nutrice non capiva le parole mescolate a frasi in latino, ma il senso le era chiaro.
“Voi avete” continuò l’inquisitore “indicato il padrone di questa cascina, sua moglie, l’intendente i due pellegrini Cangiano medicus e Moretta sua moglie come eretici e peggio. Sollecita Santa Madre Chiesa tramite noi modesti inquisitori ha provveduto a verificare i fatti. Per vostra edificazione chiarisco che gli Aldenghi sono una coppia pia e generosa meritevole della protezione della Santa Madre Chiesa, l’intendente è uomo semplice di buona fede, combattente nella Crociata di Siria e che i pellegrini Messer Cangiano e donna Moretta sono buoni cristiani come afferma il loro comportamento e le lettere patenti rilasciate dai Vescovi di Barcellona e Torino. Vanno a Roma a curare il Santo Padre come da invito scritto. Viaggiano in incognito per non dar corpo a mali pensieri sulla salute del Santo Padre, Che Dio lo protegga.”
La nutrice si guardò intorno smarrita e quando sentì le parole dell’inquisitore anziano, il terrore si impossessò di lei.
“Cara figliola, abbiamo saputo che in gioventù siete stata umiliata nelle carni prima volta un uomo e poi mi dicono da un religioso che ha abusato di voi in tutti gli orifizi. Forse, non avete perdonato e forse il desiderio di vendetta si è impossessato di voi?
Lo sapete che l’Inquisizione sa tutto e sa far confessare. Forse un demonio vi spinge a calunniare dei buoni cristiani”. A quelle accuse, la nutrice si senti persa. Girò la testa verso il vescovo e il prevosto per avere aiuto.
Nel loro sguardo assente vide la verità. Erano loro i suoi stupratori e si erano uniti per perderla. Dietro di loro vide il medicus che con la mano faceva cenno di abbassarsi e mettersi in ginocchio. La nutrice capì. Il consiglio era di umiliarsi. E così fece. “Reverendo padre, voi vedete nella mia anima.” Si inginocchiò tiro a sé la mano dell’inquisitore e la baciò “Un ingiusto desiderio di vendetta mi ha spinto a calunniare dei buoni cristiani. Ora le vostre parole mi hanno illuminato e pentita attendo la giusta punizione.” “Ritiratevi ora che dobbiamo decidere” rispose l’inquisitore.  Dopo meno di un Pater Noster, la richiamarono. “Cara figliola,” iniziò l’inquisitore anziano, “le vostre buone attitudini hanno fatto sì che tutti i calunniati vi abbiano senza riserve perdonato, tuttavia la Santa Madre Chiesa ritiene che una punizione vi debba essere somministrata visto i cattivi pensieri che avete avuto”. “Noi” proseguì, “abbiamo deciso che per punizione e anche per allontanarvi a questi luoghi, vi rechiate in Lunigiana vicino a Luni dove frate Beraldo ha aperto un orfanotrofio. La vostra esperienza gli sarà preziosa. In sovrappiù una volta al mese il terzo mercoledì vi asterrete da carne e vino.” le porse la mano per il bacio di congedo e poi le indicò la via.” Tutto è bene ciò che finisce bene” disse l’intendente facendo sellare i cavalli. Quando i religiosi e gli uomini d’arme furono lontani dopo la curva fatta dalla strada nel bosco, buttò a terra il cappello e lo calpestò.
Don Ferdinando e il vescovo non osarono guardarsi. Avevano capito che la nutrice li aveva riconosciuti ma ora erano in salvo. Ma il senso di vergogna rimaneva, come una fetida bava che macchiava le loro anime.
4
Il sole splendeva e Cangiano sorrise mentre sellava gli asinelli. Sua moglie aveva appena finito di salutare gli abitanti della cascina quando Tommaso si avvicinò portando due grandi ceste. Sono per voi disse. Pane fatto e cotto dalle mie mani, cacio da me fatto di latte giusto. Vino che solo le mie mani hanno toccato.
Fissò i cesti sulla groppa del terzo asinello destinato a portare le provviste mentre i più robusti sarebbero serviti da cavalcature a Cangiano e Moretta.
Alla porta della cascina Tommaso li salutò: Benedetto il Signore. Cangiano si fermò di colpo scese dall’asinello. Si pose di fronte a Tommaso e lo guardò fisso negli occhi.
Sì, sussurro Tommaso anche io ho lasciato la vera legge per la casa del risorto. Pianse, “sono stato anche soldato e bandito prima di arrivare qui.”
“A Roma non passate sotto l’Arco di Tito” disse sottovoce a Cangiano. Poi gli prese le mani e poi piansero assieme. Le mani si sciolsero, Tommaso si rimise il cappello. Cangiano si tirò sulla testa la falda del mantello. Poi ripresero a stringersi le mani e sottovoce cantarono “Ascolta Israele, Iddio è unico. Iddio è tuo Signore. Moretta si coprì la testa col velo e si uni al canto. Finito entrambi si allontanarono uno dall’altro come se mai si fossero visti.
 Il sole paziente attendeva che iniziassero il viaggio.




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