Carceri
di parole
La prima lettera arriva mentre Draco si
guarda intorno, e ancora non ha compreso che quelle quattro mura delimitano un
vuoto.
Non ci sono più Dissennatori nella
prigione dei maghi, e allora non ha scusanti per il freddo che sente, che gli
impone un’altra giornata sotto le coperte a scrutare un soffitto incrostato di
peccato.
Dalla soglia al giaciglio nell’angolo ci
sono otto passi, cinque se li percorre correndo, come durante il riscaldamento
di un allenamento di Quidditch. Dieci fino al piccolo bagno. Quattro per
raggiungere l’unica finestra sulla parete, troppo in alto perché possa mostrare
altro che un minuscolo squarcio di cielo. Non ha mai visto niente di così
misero, ma la facoltà di protestare è bruciata come la pelle sotto il marchio
della sua condanna, allora stringe i denti e continua a studiare l’ambiente nel
quale trascorrerà sei mesi della propria vita. Lungo una parete c’è uno
scrittoio, ma lui non ha pergamene né piume con cui imbrattarle di futilità;
sopra di esso una mensola vuota, non ha di che riempirla se non un velo di
polvere. Se si accomoda nella sedia di fronte, il volto è all’altezza di un
muro spoglio.
I suoi occhi si muovono in una pigra
ricerca – il tempo non gli manca –, la sua mente non si è ancora assopita,
nell’interesse della scoperta. Quanto deve piovere perché quei mattoni
cementati di solitudine lascino infiltrare gocce di libertà, quanto cocente
deve alzarsi il sole affinché tinga di calore l’umida pietra di Azkaban. Quanto
piano può permettersi di battere contro la porta il carceriere per richiamare
la sua attenzione e consegnargli una busta chiusa – pianissimo.
La prima lettera arriva mentre Draco si
guarda intorno, e l’unica cosa che può capire del mittente è che si tratta di
una donna.
Ti
scrivo senza firmarmi perché vorrei che il mio cognome non contasse, io non
vivo per la gloria.
Ti
scrivo perché non so se lo farà qualcun altro – quanto è facile ignorare un
uomo a terra e ritirare la mano – e credo che nessuno meriti una condanna alla
solitudine. Tu, poi, non meritavi neanche questa per crimini di guerra.
Ho
seguito il tuo processo. Quella a sei mesi è stata la pena più breve uscita dal
tribunale, eppure mi pare comunque troppo per un mago così giovane, con tutte
le attenuanti presentate dai testimoni della difesa.
Ho
capito che questo è il modo più pulito in cui sarà soddisfatta la sete di
vendetta che serpeggia nella popolazione, persino in chi non ha neanche combattuto
in prima linea. L’autorità sente il dovere di accontentarla, io l’obbligo morale
di oppormi.
Hai
stretto i denti, quando ti hanno forzato a scoprire l’avambraccio, e mi sono
chiesta se la rappresentazione su carne dei tuoi obblighi facesse ancora male.
Cosa senti, quando con un polpastrello tocchi i contorni così neri di un
disegno che ti è costato la libertà? Proveresti dolore, se ti sfiorassero dita
più delicate di una piuma? Non chiuderti a ogni contatto, non vorranno tutti
sempre spiare le tue presunte colpe. Un giorno, qualcuno sarà disposto a
guardare oltre.
Mi
sono iscritta a un club di lettura. Sono lontana dalla mia famiglia e dai miei
migliori amici, ma dopo la guerra non voglio più guardarmi intorno e vedere null’altro
che il vuoto, e allora un club di lettura, frequentato da coetanei che
condividono la mia passione. Non so se ti piaccia leggere quanto a
me, ma è ingiusto che tu non abbia qualcuno con cui parlare dei tuoi interessi,
di qualsiasi natura siano, e allora posso essere il tuo club di lettura (anche
se ho deciso che parlerò soltanto io). Tu sei da solo, che cos’è un club
composto unicamente da due persone?
Il
prossimo mese riceverai un libro insieme a una lettera. Io ti scriverò ancora.
Il mese passa e Draco si sta ancora
guardando intorno, perché lei, chiunque sia, ha ragione: è solo.
Più della formica che, minuscola e
inafferrabile, scivola tra le sbarre della cella – si ricongiungerà ai suoi
simili, in una casa che è condivisione e comunità.
Più dell’uccello di cui ode il verso,
attraverso le inferriate alla finestra – vola nella compagnia di uno stormo,
sullo sfondo di un cielo grigio di nubi che promettono pioggia, del colore dei
suoi occhi che non si abbandonano più alle lacrime. Ha disimparato persino a
piangere, nell’intimità di una casa che non era più solo sua, dove
l’avambraccio bruciava troppo spesso e apprendeva l’abitudine di non toccarlo
mai.
Un club composto unicamente da due persone
è un’amicizia o un amore, ma dov’è Pansy, dov’è Theo, dov’è Blaise? Non sono
nelle uniche parole che ha ricevuto da quando la porta della cella è stata
sbattuta davanti alla sua faccia, non c’erano nell’aula di tribunale in cui il
suo destino è stato deciso. Mentre Potter, Weasley e la Granger testimoniavano
in suo favore e macchine fotografiche lo ponevano su un palcoscenico
indesiderato, mentre lui rinnegava pubblicamente le compagnie oscure che
l’avevano carpito, loro rinnegavano la sua. Draco si è chiesto se si siano
almeno informati del suo destino dai giornali affollati del suo ritratto, e poi
non se l’è chiesto più. In quell’occasione ha stretto la mano al trio più
famoso del Mondo Magico, in un muto ringraziamento – tollerante a stento Ron
Weasley, insopportabilmente gentile Harry Potter e per la Granger non ha
trovato parole adeguate.
Condannato al silenzio. Maghi e streghe
nelle celle intorno a lui si lamentano, gridano, protestano, piangono e
imprecano, ma non parlano con lui. Il vento impetuoso sbatte contro la
prigione, ma non parla con lui: il freddo si insinua tra i mattoni e sotto la
divisa che gli hanno dato, che non cambia da due – tre o quattro – giorni. La
bocca si apre quando batte i denti e il ritmo gli riempie le orecchie, e per
mangiare i pasti che un Auror di guardia gli consegna giornalmente, in
sprezzante mutismo.
Carceri di parole non dette, per Draco che
è stato troppo codardo per avere vere colpe, finito in prigione solo per
qualche parola di troppo – “Sanguesporco, Sporchi Mezzosangue”.
L’occasione in cui non ha parlato – “Io non… io non sono sicuro” – non è
bastata a strappare la libertà di fronte a un giudice che si fa beffe dei
vinti.
Le ombre delle torce gli sembrano vive
quando, sospinte da un alito di firmamento, illuminano la solita faccia, sotto
il cappello della solita divisa ministeriale. Un uomo di cui non conosce il
nome gli consegna una busta e un pacco anonimi. Non ha nemmeno bisogno di
dirgli che è stato aperto per l’ispezione, perché è evidente dal nastro
tagliato e dalla carta strappata, e se non ha bisogno di dirgli qualcosa
semplicemente non parla.
Così, Draco riceve una nuova massa di
parole di cui districare il senso – chi mai si prenderebbe il disturbo di
scrivere a un reietto –, l’unica evasione concessa.
La
prima proposta del club è stata una biografia: “Volava come un pazzo”. Non l’ho
fatta io, che non l’ho mai letto, ma qualcuno ben più appassionato di Quidditch
di me. Però non mi sono tirata indietro e ho dato una possibilità a questo
volume: se anche solo una persona lo trova piacevole, un libro ha compiuto la
propria funzione.
Ho
pensato subito che almeno per te sarebbe risultato interessante. Troverai – o
hai già trovato – la mia copia insieme a questa lettera. L’ho avvolto in una
carta verde, perché non conosco la squadra di Quidditch per cui tifi, così ho
scelto il colore di quella per cui hai giocato. Io ho terminato la lettura e
resto della mia opinione sullo sport, ma spero che regali a te delle ore
piacevoli, o tollerabili.
Ho
sottolineato le similitudini e le metafore più belle scritte sulle sensazioni
prodotte dal volo: sanno tutte di libertà e voglio che il tuo occhio beva quell’inchiostro.
Non leggerle come una lacrima che scivola via, ma gustale come il cielo limpido
del mattino preannuncia il sole di mezzogiorno. Ripetile a te stesso, anche a
voce alta, se puoi e vuoi. Riotterrai la libertà che ti è stata tolta, e
un’intera vita ti aspetta.
Aggrappati
al momento in cui tornerai a camminare per spazi sconfinati e a volare su un
manico di scopa. Sarà impolverato, ma non inutilizzabile. Ritroverai lo stesso
sorriso delle partite di Quidditch, ritroverai tutto quello che ti piaceva
fare.
Io
sto riprendendo in mano le mie giornate, dopo mesi in cui non ho potuto vivere
per me stessa, perché la guerra, così dinamica, è una stasi per il progresso
dell’uomo, come genere e come singolo. Tu sei solo un passo indietro. Qualcuno
sarà disposto ad attenderti.
Draco abbandona la calma ruvida delle
coperte in ogni pausa che si prende dal libro. Non è mai stato un lettore
vorace, ma la sua benefattrice ha ragione e le avventure di Dinamite Llewellyn
gli interessano. Apprende del suo esordio nello sport come professionista,
dell’episodio da cui è nato il soprannome, del festeggiamento per il primo
scudetto vinto con la squadra.
Legge dei suoi allenamenti, e li mette in
pratica. Le settimane di stasi forzata, in una piccola stanza in cui correre è
impossibile e camminare non ha senso, gli hanno fatto perdere l’appetito e la
massa muscolare. Ma se vuole vedere il giorno che lei gli ha descritto
deve curarsi del proprio corpo, oppure non avrà nemmeno la forza di spingere
sulle ginocchia per sollevarsi in volo. Chiede un tappeto per gli allenamenti, e
lo riceve – neanche a un Mangiamorte viene negata la comodità di non poggiarsi
sul pavimento duro e freddo durante l’esercizio fisico. Lo posiziona di fronte
alla finestra, così che quando alza lo sguardo un angolo di cielo gli rammenta
lo sfondo su cui compieva acrobazie su una scopa. All’inizio trova difficoltà
nel portare a termine gli esercizi più semplici, ma migliora in fretta. Dopo
qualche giorno, i piatti che manda indietro non contengono alcun residuo
intatto di cibo e, dopo qualche altro, domanda porzioni più abbondanti. La
divisa carceraria, che era della sua taglia quando è arrivato ad Azkaban, veste
di nuovo precisamente la sua figura.
Non torna in forma come ai tempi in cui la
sua unica preoccupazione era la Coppa di Quidditch, prima che una missione
impossibile gli togliesse il sonno e la fame, prima che morte e distruzione
danzassero intorno a lui come Bolidi stregati, allenando i suoi riflessi ad evitarle accuratamente. Però il cuore batte con uno scopo, il respiro abbandona la
piatta monotonia, i muscoli si risvegliano dal torpore.
Quando una nuova consegna giunge per lui
è accaldato e sudato, come è spesso ormai, ma la curiosità vince la necessità
fisica di una doccia.
“Storia
di Hogwarts”. Un classico.
Non
so se l’hai mai letto, ma io sì, più volte di quanto sia socialmente
accettabile ammettere. Con occhi pieni di meraviglia la prima, poi con
interesse accademico, con passione, con orgoglio. Con nostalgia, quando mi sono
allontanata dal castello che è stato casa per anni.
Questa
è la mia copia, io non lo rileggerò.
Sapevi
che l’edificio è protetto alla vista dei Babbani per magia? Chiunque si trovi
nelle sue vicinanze vedrebbe solo un cumulo di macerie. Ma qualche mese fa le
rovine erano reali: vetri infranti, corridoi inagibili, scale pericolanti. Se
crolla la scuola si demolisce il futuro della società intera; per fortuna,
Hogwarts è rimasta solida sulle proprie fondamenta e il nostro mondo ha retto.
Ci
troverai le mie sottolineature, i miei commenti. È la prima copia che ho
comprato e la grafia delle annotazioni cambia e cresce con me. Questo volume
contiene la ragazza che sono stata, non mi ci riconosco più. La donna che sono
deve guardare al futuro.
Non
so cosa sarò. La mia vita è stata in pausa come un ingranaggio inceppato, ora
rimbalzo da un impegno all’altro per capire dove voglio andare. Ma almeno io ho
luoghi da visitare e persone da frequentare, e allora non posso lamentarmi. La
mia voce è su questa pergamena per ricordarti che li riavrai anche tu.
Non
puoi rispondermi e non so cosa fai di queste lettere, ma mi sono ripromessa che
continuerai a riceverle, ogni mese.
A Draco non è mai interessata la storia
millenaria di Hogwarts, gli bastava sapere che quella scuola avesse un posto
riservato per lui, sin dalla sua nascita, e che nessuno più di lui avesse
diritto di frequentarla. Però, piuttosto che iniziare per la terza volta la
biografia di un giocatore di Quidditch che ormai conosce come se fosse un amico
di lunga data, si fa andare bene anche un libro di storia.
Sistema il volume terminato sulla mensola,
che ora non è più completamente vuota. Lascia lì anche le lettere: lei riempie
lo spazio esiguo della sua cella con carta, inchiostro e una voce che non fa
rumore ma non è silenzio. Qualche volta si chiede che aspetto abbia, un’amica
immaginaria di pergamena e nulla più. Se può scegliere – e può, perché la sua
mente è l’unica compagnia sempre fedele – si figura capelli bruni e tortuosi come
il buio in cui è piombato e occhi scuri come pozzi di verità scomode. Non c’è
spazio per una luce troppo vivida, nell’anfratto di sudicia vergogna di cui le
istituzioni del Mondo Magico lo hanno ritenuto degno.
Accanto al letto una candela brucia senza
sosta e lui invidia l’incantesimo elementare che l’ha accesa per non spegnerla
più. Continuerà a illuminare il torbido squallore di quella prigione anche
quando lui l’avrà lasciato, in un tempo che appare ancora insopportabilmente
lontano. Gli hanno tolto la bacchetta e l’hanno privato di una definizione
perché che cos’è, Draco Malfoy, se non un mago nato in una famiglia di maghi da
generazioni di maghi?
Il materasso scomodo, l’arredamento
misero, la durezza degli unici sguardi di cui è destinatario gli rammentano che
lui, nella sconfitta, non è più niente. Una risata beffarda, un ghigno e una
voce sgarbata: se gli Auror di guardia alla prigione dei maghi rappresentano
l’intero Ministero del quale sono dipendenti, Draco non è l’unico a pensare di
sé che non è più niente. Un mago Purosangue, uno studente, un giocatore
di Quidditch, un amico, un Mangiamorte – l’ultima definizione è la sola rimasta.
Se il sangue non conta più, di qualunque colore esso sia, a un intreccio nero
sulla pelle invece la società attribuisce un valore. Stabilisce chi ha il
diritto di vivere e chi di sopravvivere in una squallida imitazione di
un’esistenza, in un luogo in cui il cibo è imposto e i contatti controllati e
l’aria misurata.
Intrappolato nelle definizioni che gli
sono state insegnate prima, intrappolato nelle definizioni che gli sono state
imposte ora. Mangiamorte è divenuto l’imperfetto contraltare di Sanguesporco,
ma quando la persona è niente, l’offesa è zero. Adesso Sanguesporco è una
parola bandita, Mangiamorte derisa e Draco non ha più termini da usare, per se
stesso o per altri, perché ne aveva imparati da un dizionario senza valore. Non
ha più insulti né destinatari a cui rivolgerli. Non ha neanche scuse da offrire
– e a chi, ai fantasmi che tormentano il suo sonno, muti come la veglia?
Un discorrere insensato gli perfora i
timpani, squarcia la tenue pace che le ore di lettura riescono a ricreare. Ad
Azkaban, dove sono in troppi e non c’è nessuno, è finito anche suo zio
Rodolphus e il suo tormento vola sulle pareti che li dividono. Il marito di zia
Bella ha labbra avide che la morte ha disidratato: di notte invoca una moglie
perduta e le parla come se condividessero un talamo nuziale, di giorno pure.
È imprigionato dai propri lamenti in un’ossessione e Draco deve imparare a
ignorare. Sua zia non può più terrorizzare nessuno e suo zio resterà a vita con
la sola compagnia di parole di gemito e sventura, e Draco si sente unicamente sollevato.
Non gli è dato sapere in quale delle celle dimori, invece, la parte più
importante della sua famiglia, ma è certamente lontana, perché se esclude tutto intorno a
lui, resta soltanto silenzio.
Ad Azkaban Draco ha imparato che esistono
carceri peggiori delle parole. La porta della sua cella si apre per lasciar
passare le sole che ampliano i confini di mura divenute dolorosamente note.
È
incredibile che ci siano ancora così tante fan di Gilderoy Allock. Non mentirò,
lo sono stata anch’io; a mia discolpa posso dire che aveva uno stile
accattivante e una prosa coinvolgente e un lessico ricco e io sono una lettrice
debole, non resisto al fascino di parole incastrate così bene sulla carta.
“In
vacanza con le streghe”, e la ragazza che l’ha proposto ha ridacchiato che a
lei non sarebbe dispiaciuta una vacanza con Allock, e ora mi tocca leggere
(anzi, rileggere) un cumulo di fandonie. La notizia non è circolata troppo, per
interesse economico dell’editore, e forse anche tu non lo sai. Lo scrittore
moderno più prolifico e redditizio è un impostore: nessuna delle esperienze che
ha venduto come autobiografiche lo è, ha solo finto di averle vissute,
strappando ai reali autori di quelle gesta i loro ricordi. Oltre alla
scrittura, l’unico altro campo in cui eccelleva davvero era quello degli
Incantesimi di Memoria, prima che uno andasse storto e gli si ritorcesse
contro. Non pubblica più niente da anni, l’hai notato?
Tu
forse ne apprezzerai l’ingegno, il fine e le macchinazioni per raggiungerlo. Io
ne ho dedotto che l’apparenza non è sempre affidabile, e un aspetto brillante
può nascondere il più patetico degli inganni. Capelli voluminosi, ampio
sorriso, denti splendenti: una maschera incrinata da una bacchetta fallata.
Però
se ricordo bene tu hai sempre curato il tuo, dentro una divisa scolastica
ordinata. Non smettere di farlo, andrai di nuovo in giro con la tua faccia, e
non sarà sempre considerata sporca, perché tu avrai la possibilità di
redimerla. Conosco la tentazione di disinteressarsi di sé, quando si è da soli
– soli con le solite persone o completamente soli: non lasciarti andare.
Succede che alcune settimane di nulla
pieghino anche la più forte delle convinzioni e Draco legge un patetico romanzo
per streghe. Succede che Gilderoy Allock ha davvero uno stile accattivante e
una prosa coinvolgente e un lessico ricco, come ha detto lei, e lui si lascia
catturare, perché non ha mai combattuto niente a mani nude e non inizierà con
qualche centinaio di pagine che promettono una fuga dalle catene delle sue
vuote giornate. Per qualche istante, si sorprende persino a ridere delle
avventure di un personaggio fittizio con la strega Bandon.
È quando Draco si ritrova a pensare che
anche lei ha una voce piacevole su carta, che capisce che esistono carceri di
parole in cui non è deprimente rinchiudersi. Quel mese e nei successivi, il
romanzo di Allock non lo rilegge, ma le lettere di lei sì, con occhi attenti e
mente vigile, alla ricerca di ogni minimo indizio per formulare ipotesi sulla
sua identità. Era da tempo che la sua testa non si concedeva il lusso di
concentrarsi su un compito, di prestare attenzione all’ambiente circostante: le
mura accoglienti della gabbia di parole in cui lei l’ha avviluppato sono più
interessanti di quelle fisiche che non lo lasciano andare.
Lei gli ha parlato di una faccia da
mostrare in pubblico, e lui la vuole ripulita delle macchie che sono sotto il
suo controllo. Draco spende parte del proprio tempo – che ha smesso di essere
prezioso, quando è troppo e troppo vuoto – davanti a uno specchio opaco,
stringendo le palpebre per mettere a fuoco un’immagine su cui non si era più
soffermato. È come prepararsi a un incontro galante.
Se l’Auror che gli consegna il suo
appuntamento mensile è sorpreso, nel vederlo profumato e sbarbato, non lo dà a
vedere.
Nessuno
proporrebbe mai di leggere Beda il Bardo a un club di lettura per adulti, ma
quando si parla di Bardo i Babbani, invece, intendono qualcosa di diverso.
Per
un periodo ho seguito le lezioni di Babbanologia, poi ho lasciato il corso.
Quelle dell’anno passato sono state una parentesi indecente in secoli di
insegnamento a Hogwarts, ma ho saputo che ora il programma di studio è tornato
alla normalità e la materia è vista con meno diffidenza. Sarà un processo
lungo, e i maghi non conosceranno mai totalmente il mondo Babbano, ma nessuno
potrà più ritenersi superiore per il solo fatto di avere una bacchetta in
tasca. Non può essere un sottile pezzo di legno, fragile a una pressione appena
più intensa, a fare i meriti di una persona.
Il
Bardo è William Shakespeare, autore di opere teatrali e poesie, vissuto in
Inghilterra tra il XVI e il XVII secolo. Tu naturalmente non lo conoscerai, ma
qualunque Babbano sì, non solo nel nostro Paese. I maghi magari non
invidieranno mai le limitazioni di un mondo senza magia, ma possono provare ad
ammirare le meraviglie compiute senza una bacchetta, con piuma e inchiostro
(per amor di precisione, nessun Babbano al giorno d’oggi usa ancora le piume
per scrivere, ma ai tempi del Bardo sì). Una raccolta di sonetti di William
Shakespeare, perché la prosa è stata troppo protagonista di questo club e io
sostengo che la mente non debba avere limitazioni – ampliare la mente è
cruciale, perlomeno se l’obiettivo di tale sforzo non è la fantomatica arte
della Divinazione. Questa è la mia proposta: poesia per le giornate più aride.
Aprirai
la mente alla poesia celata in ciò che non conosci?
A diciassette anni Draco apprende che
anche i Babbani sanno usare le parole – non tutti, senza dubbio, ma un uomo che
si è meritato il titolo di Bardo a quanto pare sì. Se i suoi versi sono
immortali, tanto che lui si ritrova a leggerli e pronunciarli e declamarli
secoli dopo la loro composizione, si può dire che almeno un Babbano abbia
scoperto la vera magia che sconfigge persino la morte. E l’ha compiuta senza
una bacchetta – Draco ora capisce come non mai cosa vuol dire esserne privo.
A dodici anni era facile scherzare su una
minaccia ignota in una Camera dei Segreti, che sembrava colpire solo studenti
dalla genealogia imperfetta, e ironizzare che avrebbe potuto attaccare la
Granger. A dodici anni Draco non conosceva il tono implorante di chi invoca che
gli sia risparmiata la vita e quanto acute possano divenire le grida di una
strega torturata. La sua stessa casa è stata teatro di omicidi e violenze e il
sangue ha macchiato i tappeti scelti con così tanta cura da sua madre.
È stata sempre Narcissa a suggerirgli i
tulipani bianchi del loro giardino, quando lui ha manifestato l’intenzione di
inviare un insulso mazzo di fiori e un biglietto di scuse a Hermione Granger –
prima del processo, prima di sapere che anche lei sarebbe stata chiamata a
testimoniare per lui. Non era più in suo potere fare nulla per la professoressa
Burbage di Babbanologia – l’immagine del suo cadavere aleggerà per sempre in un
salotto di Villa Malfoy. Non era nemmeno possibile, per Draco, cancellare
quanto la Granger aveva subito sul pavimento dove lui aveva imparato
a camminare. Sofferente, mentre lui si conficcava le unghie nel palmo e pensava
che tanta bruttezza non meritasse di imbrattare il suo corpo sottile. Non
riusciva a distogliere lo sguardo dallo spettacolo del suo dolore, la migliore
prova di coraggio della sua vita, lui che di coraggio non ne ha mai avuto
granché. In seguito ha affidato una ridicola richiesta di perdono a ridicoli
fiori, che sarebbero appassiti, piuttosto che alla sua viva voce. Gliel’ha
scritto, che erano i fiori del loro giardino, che “non solo male può essere
generato nella mia casa. Mi dispiace che tu l’abbia vissuto sulla tua pelle”.
Ad Azkaban, senza luce e senza concime, è
appassito lui. Inchiostro come acqua per le radici che lo tengono ancorato al
presente è arrivato puntuale per cinque mesi, ma il sesto lei non
spedisce niente.
Il
male generato nella tua casa è in queste pagine, insieme a tutto il resto che
ho vissuto sulla mia pelle. Per te, se vuoi conoscerlo.
Hermione Granger
Hermione Granger ha scritto un resoconto
delle sue esperienze di guerra, lei che l’ha combattuta in prima linea dalla
parte che ha trionfato. Lei che non ha rimandato indietro i suoi fiori e ha
testimoniato per lui e gli ha stretto la mano con un sorriso gentile e gli ha
mandato in prigione una copia del volume. Draco non l’ha mai pensato prima, che
l’animo di Hermione Granger fosse più bello del suo contenitore di ricci
tortuosi e occhi tranquilli. Il suo è un arbusto avvizzito, la prigione di
Azkaban è sempre buia e i timidi raggi di luce che passeggiano alla finestra
non scaldano niente.
Draco legge con avidità ogni paragrafo e
gli sembra di vivere un mondo conosciuto, anche quando lui non sa i dettagli di
molti degli avvenimenti che lei racconta tra le pagine. Quattrocentocinquantasette –
sa essere prolissa, la Granger, e lui lo scopre solo adesso, perché non ha mai
sostenuto una conversazione abbastanza lunga con lei.
È a pagina duecentosettantatré, per la
rilettura, il giorno in cui la sua condanna giunge a termine.
Finalmente gli restituiscono la bacchetta,
e Draco Appella cinque lettere, cinque libri e un biglietto.
Rassetta una manica e sistema un bottone
incastrato a metà nell’asola, prima che il maestoso portone d’ingresso venga
aperto – per la seconda e, com’è nelle sue intenzioni, ultima volta.
C’è il sole, il giorno in cui la sua pena
si esaurisce – ma il tormento persisterà ancora. I raggi feriscono le iridi
chiare abituate all’oscurità. Alberi imponenti crescono rigogliosi, ai due lati
del viale che conduce alla soglia della prigione; si stagliano contro il cielo
limpido con la pienezza delle chiome verdi, brillanti, come se, allontanati i
Dissennatori, quell’ambiente inospitale avesse ritrovato la vita. Solo chi è
entrato tra le mura del carcere può sapere che il loro fetido alito di un destino
peggiore della morte ancora permea qualche cella di terrore e disperazione.
Alla fine del viale c’è una giovane donna
vestita di una divisa scolastica di Grifondoro. Ha tutte le direzioni dei venti
nei capelli tortuosi e, tra le mani giunte, ogni colore di cui lui è stato
privato in una stanza anonima e inviolabile.
Draco continua a camminare, mentre il suo
sospetto trova conferma, e non può dire di esserne dispiaciuto.
Lei ha occhi limpidi che sorridono
nell’oscurità, la bocca è un varco di luce accogliente. È accettazione e
aspirazione.
Draco non riconosce i fiori che gli ha
portato. Hermione Granger occhieggia i volumi e le carte che lui tiene stretti
al cuore e accenna ai petali.
«Questi vengono da Hogwarts, che in
effetti è diventata negli anni un po’ casa mia, ma li ho presi perché ce
n’erano uguali nel giardino dei miei genitori. Mio padre ha una passione per il
giardinaggio; io delle piante, magiche o Babbane, so solo quello che si può
apprendere dai libri, ma lui mi ha raccontato del simbolismo dei fiori. E allora
anche da una casa di Babbani non proviene solo male. Io vengo da lì e spero di
averti fatto almeno un po’ bene, in questi mesi.»
Draco si schiarisce la gola, la voce è
roca. Vorrebbe averla usata di più negli ultimi tempi, perché lei non creda che
il disagio che raschia le corde vocali sia indifferenza o fastidio. Tende la
mano libera.
«Ciao.»
Lei gli porge i fiori e per un momento
qualche stelo strappato li congiunge in una catena sottile e fragilissima – e
indissolubile, perché è impossibile condividere certe esperienze
senza finire col cercarne altre, e un rapporto intimo ed epistolare è fra
quelle.
«Se non l’hai capito, ti ho mandato io
quelle lettere. Ti ho scritto perché non so se qualcun altro l’avrebbe fatto,
non c’era nessuno al tuo fianco al processo e non meritavi di restare solo
anche qui. Io sono circondata da fin troppa gente, ora, ma i ritagli di tempo
che ho ricavato per scriverti erano per me. Diventa più facile parlare, se
l’interlocutore è immateriale. Vedo che hai conservato tutto. Non ti ho dato la
possibilità di rispondere, scusa, ma se ti va potresti farlo ora e potremmo
commentare le letture e…»
Draco scopre la Granger non è prolissa
solo quando scrive e ha ogni intenzione di condividere i suoi pensieri con
tutte le parole necessarie, e pure molte di più. Scopre che non lo disturba,
ascolta e tace. Della voce che nella sua vita ha letto molto – dense, le sue
missive – e ascoltato molto poco – superficiali, i loro precedenti confronti –,
nota l’intonazione dei periodi, i veloci respiri nelle pause, la cadenza che
trascina le sillabe in acuti e bassi di una melodia ignota e gradevole.
Benché assente, mi sei ogni ora presente,
potrebbe citare, e lei saprebbe che lui ha letto Shakespeare e ha capito che la
poesia può nascondersi anche in ciò che non ha conosciuto o ha ignorato o
insultato. E che lei, che pure non era con lui, è stata la sua compagnia.
Adesso Draco è libero, ma l’ha catturato
lei, infilandolo in un rapporto intimo ed epistolare – e unidirezionale, ma ha
anche lui qualcosa da dire, e non fuggirà dall’esplorazione di un carcere di
parole.
Note:
Secondo dichiarazioni di J.K. Rowling, Draco Malfoy non è stato
condannato dopo la guerra, anche grazie all’intervento di Harry Potter e dei
suoi amici, perciò questa ff origina da un what if.
La storia è ambientata durante il settimo anno di scuola di
Hermione, che lei recupera dopo la guerra mentre Harry e Ron no.
La battuta “Io non… io non sono sicuro” viene dal capitolo di Harry
Potter e i Doni della Morte ambientato a Villa Malfoy, quello in cui Draco
finge di non riconoscere Harry, Ron e Hermione.
Volava come un Pazzo è una biografia scritta da Kennilworthy
Whisp, autore anche di Il Quidditch attraverso i secoli, sul giocatore
di Quidditch "Dinamite" Dai Llewellyn.
“Quando la persona è niente, l’offesa è zero” è stata
pronunciata da Anna Tatangelo. È uno dei prompt dell’iniziativa “Apri le
challenge” indetta da Gaia Bessie su Facebook.
“Esistono carceri peggiori delle parole” è una citazione dal
romanzo L’ombra del vento. La stessa citazione ha ispirato anche il
titolo della fanfiction.
In vacanza con le streghe di Gilderoy Allock è un
titolo citato in Harry Potter e la Camera dei Segreti.
Non sono esperta del simbolismo dei fiori, perciò il significato
dei tulipani bianchi per chiedere perdono viene banalmente dal sito di
Interflora UK.
L’idea che Hermione scriva un resoconto di guerra non trova
riscontro nel canon.
“È impossibile condividere certe esperienze senza finire col
cercarne altre, e un rapporto intimo ed epistolare è fra quelle” vuole
richiamare la frase con cui J.K. Rowling scrive dell’inizio dell’amicizia tra
Hermione e Harry e Ron in Harry Potter e la Pietra Filosofale. Si può
interpretare liberamente se, da questo inizio di rapporto raccontato tra Draco
e Hermione, possa nascere un’amicizia o qualcosa di più. Da Dramione shipper,
io ci vedo sempre qualcosa di più!
“Benché assente, mi sei ogni ora presente” è una citazione dal sonetto
47 di William Shakespeare.
Questa storia ha vinto come Miglior Primo Piano agli
Oscar della Penna 2022.
Grazie per aver letto, spero che la one-shot vi sia piaciuta!
Legar