In memoria di un fiore

di Fiore di Giada
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La luce della luna, solitaria in un cielo cobalto, si posa sulla campagna e sulle case coloniche, illuminandole d’un riflesso traslucido e, di tanto in tanto, il silenzio è interrotto dai fruscii del vento e dal frinire dei grilli.
Gigliola, seduta sul letto, osserva il paesaggio. La campagna romagnola è piena di fascino in quel momento.
E’ inconsueto un tale silenzio ed è sempre prossimo a infrangersi, come un vaso di cristallo caduto sul pavimento.
Tanti loro compagni, con ardimento, combattono contro i tedeschi e i loro alleati repubblichini.
Si passa una mano tra i lunghi capelli rossi e poi gira lo sguardo sulla sua gamba destra, ancora avvolta in una fasciatura.
Sospira e stringe le mani a pugno, in un gesto di frustrazione. La sua famiglia, ardente sostenitrice del socialismo democratico, le ha trasmesso un forte disprezzo per Mussolini e per le fanfaronate del fascismo.
E tali convincimenti sono stati pagati con la vita.
Suo padre, il forte e deciso ferroviere Eugenio Podenzano, è stato catturato e ucciso, come un animale, mentre sua madre Antonella e i suoi fratelli, Alessandro e Davide, sono stati deportati in Germania.
Dove sono finiti? Sono ancora vivi?
Gigliola scuote la testa e allontana le lacrime, che minacciano di rigarle le guance. Non serve a nulla porsi simili domande.
I sentimenti non devono indebolire la fede nell’ideale nobile della libertà.
Suo padre e sua madre, splendidi genitori e intransigenti amanti della democrazia, hanno sempre trasmesso a lei e ai suoi fratelli questi insegnamenti.
Un giovane alto e robusto, con lunghi capelli biondi e occhi verdi, si avvicina a lei.
Le cinge con un braccio le spalle e le posa un leggero bacio sui capelli.
Ti fa molto male la gamba, mia dolce leonessa? – domanda, affettuoso.
La ragazza accenna ad un sorriso. La guerra le ha tolto la sua famiglia, ma le ha permesso di crescere nei suoi ideali libertari e di confrontarsi con persone differenti.
Ha conosciuto sacerdoti e suore indomiti, pronti a immolarsi per strappare vite umane alle furie dei nazisti e dei fascisti, cattolici disposti a sporcarsi le mani del sangue dei loro nemici, pur di scacciarli dalla loro patria.
Ha conosciuto l’amore di Francesco di Mauro, giovane universitario di origini siciliane, e l’amicizia di Matteo Agazzi e Angelo Bernado, suoi compagni di corso romagnoli.
I combattimenti contro le formazioni antifasciste hanno permesso loro di conoscersi, nelle loro forze e nelle loro debolezze.
Gira la testa e i suoi occhi blu si fissano in quelli verdi di Francesco.
Sì, mi fa male. Ma non sarà certo questo a fare di me un peso morto. Se dovessimo trovarci in una situazione disperata, uccidimi. Nessuno deve morire per me. – dice lei, decisa. Non vuole diventare la causa della morte dei suoi compagni.
La lotta per la liberazione dell’Italia è una priorità e ad essa ogni considerazione sentimentale o personale si sottomette-.
Francesco sussulta e la stringe a sé con più forza. Non vuole pensare ad una simile eventualità.
Ha già perduto tanti, troppi suoi amici e ha dovuto compiere scelte devastanti, pur di proseguire con la lotta.
E non vuole condannare a morte la sua compagna, che, pur di salvare un loro amico, è stata ferita ad una gamba, durante un feroce combattimento.
Sogna di costruire una famiglia con lei.
Ma ne è cosciente. Lei ha ragione.
La storia li ha chiamati ad un compito fatale.

Urla belluine, accompagnate dal sibilo delle pallottole delle mitragliatrici, rompono il silenzio.
Francesco stringe il suo Thompson, mentre Gigliola impugna il suo Stein, posato al suo fianco. Non assisterà immobile alla carneficina dei suoi compagni.
Per quanto concesso dalle sue condizioni fisiche, li aiuterà e si mostrerà degna del suo soprannome di “Leonessa”.
Il suo fidanzato sorride, seppur angosciato. Non può non amare quella giovane donna indomita, disposta a combattere, pur non essendo in perfette condizioni.
Il timore di una tragedia, però, divora la sua anima.
Sa che la morte viaggia con loro, ma non riesce a non nascondere i suoi timori per lei.
Dal piano inferiore, concitati, scendono due giovani, vestiti di sobri abiti da contadini.
Uno è alto e magro, con corti capelli neri e occhi neri, mentre l’altro è di statura media e di corporatura robusta e i suoi capelli castani volteggiano attorno al viso dai lineamenti angolosi, su cui spiccano gli occhi grigi.
Il primo, al collo, porta una croce di legno, ed è armato di un fucile modello 1891, mentre l’altro stringe tra la mani una pistola Beretta.
Chi può averci scoperto? Se trovo quel cane, lo scanno come un capretto. – impreca il primo, gli occhi ardenti d’ira.
Il secondo lancia uno sguardo ai muri dell’abitazione, ricoperti dai buchi sempre più fitti delle pallottole.
Non è il caso di perderci in pensieri inutili, Matteo. Dobbiamo difenderci. La casa non reggerà per molto. – replica, il tono apparentemente tranquillo.
Francesco annuisce e fissa l’uscio. Probabilmente, entreranno di là.
Devono essere pronti.
Angelo ha ragione. Dobbiamo vendere cara la pelle. – replica, deciso, risoluto.
Con uno schianto sinistro, la porta si apre. Cade.

Un soldato tedesco appare sulla soglia. I suoi occhi lupini scrutano l’ambiente. Si posano sui quattro giovani partigiani.
Gigliola, trattenendo a stento urla di dolore, afferra il suo fucile.
Prende la mira. Preme il grilletto. Il proiettile, implacabile, trapassa il milite al petto.
Questi, colto di sorpresa, alza le braccia. Crolla.
Altri soldati, tedeschi e repubblichini, avanzano.
I suoi compagni, trascinati dal suo esempio, sparano. Lei, che pure è ferita, non ha esitato ad attaccare per prima.
Non possono essere indegni del suo coraggio leonino.
Forse moriranno. Anzi, è quasi certo.
Ma non hanno nessuna intenzione di sottomettersi ai distruttori della loro patria.
La ragazza si accascia sul letto, sofferente. Passato l’attimo, fitte di dolore l’hanno aggredita.
Non riesce a muoversi. Le sembra di avere decine di coltelli arroventati piantati nella gamba.
Ma non può cedere.
Stringe i denti, mentre gocce di sudore colano lungo il suo volto pallido. Prende il fucile. Lo punta al petto. I suoi compagni stanno combattendo e lei non può essere un peso.
Francesco, con la coda nell’occhio, si accorge del suo gesto e il dolore aggredisce il suo cuore. Lei, pur di salvarli, ha deciso di uccidersi.
No, non può togliersi la vita, dato che non è necessario.
Lei gli lancia un breve sguardo, lucido di fermezza e amore.
E’ necessario. Per l’Italia. – mormora, serena. I loro sogni sono andati distrutti, ma non importa.
L’emancipazione della loro terra sopravanza qualsiasi loro desiderio, per quanto giusto e nobile possa essere.
Il giovane capisce e allontana lo sguardo, umido di lacrime, da lei. Riprende a sparare, il cuore gonfio di rabbiosa pena.
Lei, poi, senza alcuna esitazione, preme il grilletto.
Il proiettile dilania il suo petto e lei crolla sul letto, priva di vita, lo sguardo fisso sul soffitto ligneo.

P.S.: mah, la protagonista è ispirata alla partigiana Iris Versari, di cui non si può non ammirare la generosità estrema, che la porta ad uccidersi, pur di non essere un peso per i suoi compagni, tra cui c’era anche Sirio Corbari, suo innamorato, che dovette vederla suicidarsi. (e immagino la disperazione)
Nonostante la sua eroica decisione, Sirio Corbari, Arturo Spazzoli e Adriano Casadei persero la vita, durante lo scontro contro un manipolo di tedeschi, informati della loro posizione da un delatore. Per la precisione, Corbari e Casadei furono impiccati, Spazzoli venne ucciso dopo.
Non credo di avere dato il massimo, ma spero di non avere scritto troppe idiozie e di non avere offeso la memoria di questa figura luminosa (e di tutte le partigiane morte e non) e dei suoi compagni, che meritano il massimo rispetto.
Il mio piccolo tributo al 25 aprile. Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione.





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