*"* Il Cavaliere e la
Dea *"*
Mi ero chiesto a lungo perché non mi guardasse mai negli
occhi.
Tutti mi
dicevano che il suo sguardo era brillante e incantato e che sembrava
portare il cuore il più vicino possibile al mondo degli dei.
Io non sapevo davvero che dire a tal proposito, ma loro credevano che
il mio ruolo mi permettesse di conoscere meglio di chiunque altro quei
sentimenti splendidi.
Io ero il suo
Cavaliere Prediletto, eppure sembrava avesse paura di me. Mi chiedevo
cosa di me le provocasse tanto timore, tanto terrore da lodarmi con
tutti in mia assenza, ma da voltare sempre la testa quando mi trovavo
vicino a lei.
La Divina Sposa
del Dio della Vita. Un po’ l’incarnazione della
Terra Madre, anche se in quelle semplici sembianze umane. Umili solo
rispetto all’immortale realtà divina, in
realtà più gloriose di qualunque idea che un
essere finito può farsi degli dei. Solare. Intoccabile.
Sublime. Eterea. Parole insufficienti, sempre parole
inadatte…
Io minimizzavo
sempre il suo splendore. A chi mi chiedeva di Lei mi limitavo a
riportare le stesse parole vuote svolte dai poeti e dai cantori. Tanto
nessuno poteva comprendere davvero. Chi posava gli occhi impuri sul suo
volto una sola volta nella vita, nel giorno scelto dal tempio, non
poteva andare oltre il constatare, meravigliato, quanto fosse bella e
generosa. Poco. Troppo poco.
Lei mi negava
ogni attenzione, ogni sguardo, ogni possibilità di percepire
la sua completa beatitudine superiore, ma questo non significava che
non posassi continuamente, spassionatamente, gli occhi su di Lei, su
ogni suo gesto, su ogni luce e ombra che passava sul suo volto fine e
delicato, sempre un po’ abbassato se si trovava di fronte a
me.
Io sono il suo
Cavaliere Prediletto, così dicono. Molti mi invidiano. Altri
non capiscono perché Lei mi apprezzi tanto. Altri ancora
credono che io sappia molte cose di Lei. Nessuno capisce che cosa
significhi davvero… Le malelingue immaginano che noi abbiamo
chissà quale proibita intimità…
Nessuno sa la
verità.…
…
Tornavo dalla
mia noiosa missione di perlustrazione. Un orribile e insensato tour
ordinato dai Sacerdoti.
Galoppavo con
calma su un destriero preso in prestito in un villaggio poco lontano.
Andavo avanti senza fretta, sia perché non conoscevo il
cavallo, sia perché non sentivo il bisogno di
affrettarmi…
Più
o meno nel momento in cui dovevo intraprendere la via del ritorno, ero
stato assaltato da banditi. Banditi vestiti di nuovo, freschi e
profumati. Pagati dai Guerrieri della Vita, pretendenti al mio posto.
Pensavano
davvero di prendermi di sorpresa sbucando dalla boscaglia come leoni
imbranati. Penosi. Li sconfissi in un secondo. Solo non mi ero accorto
del filo spinato. Il mio cavallo ci mise lo zoccolo e
cominciò a scalciare, riuscì a disarcionarmi e
meglio che niente si ruppe anche una gamba. Dal canto mio, mi ritrovai
a cadere sulla schiena, per fortuna senza danni, a parte lo stordimento.
Eppure
così avevo tardato di vari giorni.
La signora
della tenuta a cui mi ero rivolto era stata fin troppo generosa e
sollecita nell’offrirmi aiuto e cure. Sembrava non volesse
proprio farmi ripartire. Non le avevo permesso di mandare un messo al
Tempio per informare delle mie condizioni. Prima di tutto
perché era inutile dato che stavo più che bene
dopo qualche giorno di riposo, poi perché sembrava solo una
sua vanteria, una ragione per mettersi in mostra. Come un proclama
della generosità con cui accoglieva un cavaliere ferito...
Pietosa…
Me ne accorsi
subito, non appena apprese che arrivavo dal Tempio…
“Posso
sapere il vostro nome?”
Domanda
trabocchetto, ma dovetti rispondere, per ragioni evidenti di cortesia:
“Noi non possediamo più nomi propri…
Vossignoria dovrebbe saperlo…”
E io non
sopportavo ricordarlo, perché mi dimostrava più
di ogni altra cosa a quanto avevo rinunciato per essere quello che ero.
Non più un essere umano normale, ora ero solo una vita
votata a Lei.
“Oh,
dei… Non mi ricordavo più…”
esclamò, gaia, ma non distolse minimamente lo sguardo
ansioso da me.
“Però,
secondo la nostra gerarchia,” continuai, rassegnato, secondo
le necessità imposte dal retto comportamento “io
sono il Cavaliere Prediletto…”
Immaginavo lo
scatto di gioia che puntualmente arrivò, seguito dalle
solite domande, sempre le stesse.
Risposi
cortesemente, ma qualcosa di amaro, sadico, doloroso si faceva strada
con veemenza nel mio animo, più forte del solito, facendomi
a tratti perdere il mio atteggiamento educato.
In fondo, io
non sapevo molto più delle persone comuni riguardo a Lei.
Perché ostinarsi a chiedere?
Io potevo
ripetere a memoria ogni verso rivolto alla sua immagine ineffabile. Io
potevo crogiolarmi in quel titolo tanto onorifico da richiedere sospiri
e desiderio in tante persone. Io potevo adorare teneramente, in quel
modo stupido e insensato quella figura tanto distante.
Continuavo a
farlo, come se non provassi dolore nel sentire il timore che Lei aveva
nei miei confronti. Andavo avanti per inerzia a farmi tormentare con
domande che creavano voragini nel mio cuore tormentato e alle quali
rispondevo con convenzioni odiose anche a me stesso.
Improvvisamente
mi domandai perché non avessi voluto avvisare il Tempio di
ciò che mi era successo. Avevo pensato ingenuamente che Lei
si sarebbe preoccupata. Idiota. Quante idee stupide e insensate.
Inevitabili, ma pronte a condurmi all’autodistruzione.
Infine, mi
svincolai da quella donna così sollecita e vanesia.
Con il cavallo
che mi aveva prestato, giunsi infine al Tempio, senza aspettarmi
minimamente ciò che vi sarebbe successo.
Il giovane
Generale da me nominato, l’unico Cavaliere della Vita che
potevo considerare mio alleato, mi corse incontro, ansioso come non
mai. Non appena scesi dal cavallo, mi abbracciò,
dichiarando, disperato, che tutti mi credevano morto.
“Che
novità…” sbuffai “Non
è la prima volta che cercano di uccidermi o che spargono
notizie errate…”
Lui mi
fissò per qualche momento, poi disse piano: “Ma
cosa avete, Maestro…?”
Vidi il suo
sguardo indugiare sulla mia espressione e diventare sempre
più preoccupato.
“Cosa
c’è? Ho qualcosa sulla faccia?”
commentai, serissimo.
“Maestro…
Cosa vi è successo? Dov’è finita la
vostra serenità?”
“Cosa
intendi?” chiesi.
Ma ora che me
l’aveva detto, lo sentivo anch’io… Il
mio tono era netto, amaro, cupo, vuoto…
“E’
che… Perché siete così triste?
Perché…” indugiò, rendendosi
conto che non sapeva cos’altro dire, in che modo esprimere
ciò che vedeva nei miei occhi.
Io potevo solo
immaginarlo… Pessimismo, dolore, disillusione,
carenza…
Scoprii che
quelle sensazioni, che non mi ero accorto di provare, ora mi invadevano
senza pietà.
Non
riuscì a fare altro che scuotere la testa, inerte.
Lui
esitò di fronte alla mia espressione. Poi improvvisamente
scattò, come se avesse ricordato qualcosa di importante.
“Maestro!
Non abbiamo tempo di stare a parlare! Mi stavo dimenticando!”
“Cosa
succede?” sussurrai, sfiduciato.
“Sta
succedendo ora! Siete arrivato appena in tempo!”
esclamò, fuori di sé “Proprio ora si
sta svolgendo la Cerimonia per l’investitura di un nuovo
Cavaliere Prediletto!”
Fu come un
fulmine nella mia mente. La rabbia, l’irritazione e la
volontà di rivincita schiacciarono ogni altra emozione.
Mi credevano
morto. Mi avevano fatto passare per morto. Poco importava come o
perché, ma mi stavano sostituendo di mala grazia. Presto non
sarei più stato il più nobile tra i Cavalieri,
presto non sarei più stato nulla, presto non avrei
più potuto essere la sua guardia del corpo.
Per un attimo
pensai che l’idea potesse essere sua. A pochi giorni dalla
mia scomparsa, un così frettoloso rito era una decisione
drastica che solo la Sposa del Dio poteva accettare e compiere. Una
freccia crudele sembrò trafiggere il mio petto, ma digrignai
i denti, furioso, e feci tacere il mio animo.
Mi misi a
correre verso la cima del colle, fino al portone enorme, sigillato
dalle quindici serrature appositamente per il rito. Sbraitai
furiosamente contro il custode. Inutilmente, comunque,
perché non appena mi ebbe visto capì la
situazione e si attivò subito ad aprire le serrature.
Stavo sfogando
la mia rabbia, prima di entrare e fare una disastrosa e indegna
scenata. Non aveva importanza cosa Lei desiderasse. Non si sarebbe
liberata di me. Io, che ormai non avevo più una mia
identità o un’altra ragione di vita, sarei stato
suo servo per sempre. A qualunque costo.
Spalancai con
una spinta energica e irata entrambi i lati del vasto portone.
Il silenzio
invase la sala. I sacerdoti tacquero, fissandomi sconvolti. Il
candidato, inginocchiato poco lontano, mi guardava con gli occhi
spalancati, come se avesse visto un fantasma.
Avanzai
prepotentemente tra le schiere, fino a trovarmi oltre il confine
dell’Area Sacra. Solo allora alzai lo sguardo, baldanzoso e
crudele, verso di Lei.
Stavo rovinando
il suo desiderio di liberarsi di me. Stavo spezzando la sua unica
speranza di sottrarsi al controllo della sua guardia tanto temuta.
Stavo obbligando la donna che adoravo ad accettarmi, suo malgrado.
“Volevate
disfarvi di me, Mia Diletta Signora!” urlai, improvvisamente,
dando libero sfogo alle mie frustrazioni.
Di sicuro mi
stava odiando. Con ragione, probabilmente. Quindi non mi importava di
parlare con rabbia e violenza. Non mi importava di essere oltraggioso.
Tanto ormai non poteva volermi peggio di così.
Eppure, con mia
immensa sorpresa… Accadde qualcosa di incredibile…
“Siete
vivo…” sussurrò la voce più
dolce dell’universo.
E la vidi
improvvisamente.
I suoi occhi,
grandi e brillanti più di stelle, mi fissavano, finalmente.
Mi trasmettevano pace, serenità, dolcezza, anche se vi
percepivo ansia, disperazione e… Lentamente vi lessi il
sopraggiungere del sollievo… Lacrime cristalline si
formarono in quei magnifici punti di cielo, mentre le sue mani
correvano a nascondere il suo viso, che però aveva fatto in
tempo a mostrarmi un sorriso meraviglioso, pieno di gioia…
Non riuscii a
dire nulla.
Mi inginocchiai
ai suoi piedi e ringraziai gli dei tutti per avermi permesso di vedere
il suo volto, finalmente…
“Un
impostore!”
Una voce
rombò nella sala silenziosa. Era possente, aspra, piena di
risentimento. Indimenticabile e più che mai riconoscibile,
tanto che non dovetti neanche alzare la testa per capire chi aveva
parlato.
“Ammettete
la sconfitta, Comandante in seconda.” sentenziai.
“Voi
non siete chi dite di essere!”
Solo allora lo
guardai e sperai che bastasse il mio sguardo ad incenerirlo. In
realtà, non lo scalfì neanche, cosa che fece
ulteriormente salire di grado il calore aggressivo che sentivo in tutto
il corpo.
I Sacerdoti,
ancora increduli sulla mia ricomparsa, lo guardavano come un messia.
“Il
Cavaliere Prediletto è morto! Voi siete solo un impostore
che qualche sortilegio ha reso simile a lui! Poco altro siete che un
truffatore meritevole di vergogna!”
“Voi
siete degno di vergogna per aver attentato alla mia vita!”
ringhiai, incapace di trattenermi.
“Mi
accusate? Di cosa, di grazia? Di che mi può accusare un
impostore…?”
Odiavo quella
parola. Più la ripeteva, con quel ghigno soddisfatto,
più una nausea insopportabile premeva su di me, provocandomi
le vertigini. Digrignai i denti e sbottai.
“Mettetemi
alla prova, essere indegno! Vedremo chi è il vero
Cavaliere!”
I Sacerdoti
presero a parlottare, ma non presero iniziative. Fu la Divina ad
scattare in piedi, angosciata:
“Non
è questo il luogo, non è questo il
giorno… Vi prego…”
“Non
potete fidarvi di lui, Divina Signora!” esclamò
lui, lisciandosi la tunica preziosa e prendendo tra le mani
ingioiellate la spada intarsiata “Credetemi! Per questo lo
sconfiggerò!”
“Nei
vostri sogni, forse, traditore!” esclamai, estraendo dal
fodero la spada sobria e leggera che tenevo sempre legata alla vita.
“La
sconfitta dimostrerà a tutti la vostra vera natura! Quando
mangerete la polvere, non potrete più fingere di essere chi
non siete!”
Era quello il
suo piano, chiaramente. Se io, Il Cavaliere Prediletto, avessi perso
contro di lui, la mia vera identità non avrebbe
più avuto importanza… Sarei stato svergognato e
in ogni caso nessuno mi avrebbe più riconosciuto per quello
che ero…
Fui io ad
attaccare per primo. Non potevo attendere la sua mossa e studiare una
tecnica. La rabbia mi faceva pulsare la testa.
Schivò
agilmente le mie prime stoccate. Questo mi calmò e mi spinse
a ragionare. Non mi ricordavo che fosse così abile. Farsi
prendere dall’irritazione non mi avrebbe aiutato.
La sua spada,
al contrario, fu molto più minacciosa. Non scherzava per
nulla. Il primo colpo puntava al cuore e feci molta fatica a saltare a
lato prima che la lama mi infilzasse malamente. Il secondo puntava alla
gola e questa volta i riflessi mi permisero di pararlo con la spada.
Non abbastanza bene comunque, perché mi procurò
comunque un taglio sulla guancia. Bruciava parecchio e sicuramente
grondava sangue.
Tutti nella
sala trattennero il respiro. Avrei voluto vedere
l’espressione della Mia Signora, ma ne avevo il tempo. Le
cose si mettevano male e io riuscivo solo a pensare che la sconfitta
significava perdere la mia Dea per sempre. Ma ora era il mio turno e se
desideravo davvero fare qualcosa di buono dovevo concentrarmi sul mio
avversario.
Io puntai al
suo fianco sinistro, che ricordavo essere sempre stato il suo punto
debole in allenamento, ma lui era preparato a fronteggiarmi.
Coprì perfettamente quel lato con un semplice colpo della
sua spada. Aveva anche rimediato alle sue difficoltà. Ora
capivo perché aveva tutta quella fiducia in sé
stesso.
Tuttavia, avevo
notato una cosa importante…
Scambiai ancora
un paio di stoccate prive di scopo e attesi che lui riprendesse
l’iniziativa. Accadde prestissimo.
Si
avventò su di me, ardito e sicuro questa volta di riuscire a
trafiggermi come una bestia feroce. Eppure aveva già firmato
la sua condanna.
Con una
torsione del braccio riuscii a parare il suo colpo e a trovarmi allo
stesso tempo in una posizione abbastanza favorevole da sferzare il suo
fianco destro.
Aveva messo
tanto impegno nel sistemare le sue debolezze a sinistra, da dimenticare
l’importanza di coprirsi anche sul lato opposto. Patetico.
Tuttavia, non
avevo intenzione di far scorrere il suo sangue nero e schifoso su quel
terreno consacrato, sotto gli occhi della Sposa del Dio della Vita. Mi
imposi di non colpire e all’ultimo appoggiai solamente la
lama nel lato piatto al suo fianco.
“Avete
perso, Comandante in seconda. Arrendetevi.” sentenziai.
“Credete…”
disse, ma prima ancora che finisse la frase afferrai con la mano libera
l’elsa della sua arma.
“Provate
ad approfittare della mia gentilezza per colpirmi a tradimento e state
tranquillo che il mio Generale si prenderà la vostra
vita.”
I suoi occhi
sgranati scorsero il mio giovane alleato alla soglia del Tempio, la
mano già pronta ad estrarre la scimitarra.
“Datemi
la vostra spada e accettate la sconfitta.” aggiunsi,
minaccioso.
E quel gioiello
pesante e arzigogolato che era stato il suo vanto e orgoglio divenne
mio.
“Conducetelo
via.”
Due Cavalieri
si fecero avanti dalla folla rumoreggiante e silenziosamente
trascinarono fuori quello che era stato il loro superiore, tenendolo
per le spalle.
“Io
mi ritiro nella Sala Verde. Tutti voi siete pregati di ritornare alle
vostre attività. Vi ringrazio.”
Anche
nell’impartire ordini la sua voce era soave e generosa, anche
se in quel momento tremava un po’, forse a causa degli
avvenimenti di cui era stata testimone poco prima. Mentre la sala
lentamente si svuotava, la sua voce lieve mi indirizzò un
invito: “Vi devo parlare… Venite con
me…”
Il suo sguardo
vagava altrove, ma sapevo a chi si riferiva.
“Come
desiderate…”
Non appena mi
chiusi la porta alle spalle, mi rimisi in ginocchio.
L’umiltà che volevo mostrare era
l’emozione più sincera che mi fosse concesso
muoverle.
Lei era in
piedi proprio di fronte a me e taceva. Proprio per questo mi decisi ad
alzare la testa, per quanto non fosse troppo rispettoso.
Incrociare i
suoi occhi ancora una volta fu per me come raggiungere la beatitudine.
Ma fu solo un attimo, perché poi toccò a Lei
abbassare la testa, intimidita. Lei, la più divina delle
creature, sembrava ancora aver timore di me.
“Siete
vivo, Mio Prediletto…”
La sua frase fu
espressione di una presa di coscienza che tardava a venire.
“Avete
ancora dubbi, Mia Signora?” chiesi, risentito.
“Ho
paura… Non riesco… a farne a
meno…” sussurrò, la voce incrinata.
Io allungai una
mano per chiedere la sua. Notai solo allora che si stava stropicciando
le fini dita le une con le altre, in tensione.
Allora me la
porse e io la portai alla bocca, sfiorandola solo con le labbra.
“Vi
è sufficiente come prova?” sussurrai, mentre
lasciavo a malincuore il suo palmo delicatissimo.
“Ora
si… Ora si…” disse piano, tra un
singhiozzo e l’altro. Non so se fosse gioia o dolore quello
che provai nel momento in cui rivolse ancora i suoi occhi pieni di
lacrime sul suo umile servo.
“Abbiate
pietà di me, Mia Signora. Non piangete.”
“Come
potete pretendere questo…? Vi…credevo…
morto… Vi siete… ferito…
Sanguinate…”
Avevo
dimenticato la ferita alla guancia, ma ora non mi importava.
“Credevo
sarebbe stato un sollievo per voi… Non avermi
più…”
“Mai…
Non pensatelo mai…” mi bloccò, mentre
le lacrime inondavano le sue guance. E non riuscì
più a sostenere il mio sguardo.
“Così
in fretta avete cercato il mio sostituto…”
“Mai…
Mai…” continuava a ripetere, ostinatamente,
coprendosi il viso con le mani.
“Così
in fretta avete cercato di dimenticarvi di me…”
“Sigh…”
“Così
in fretta avete creduto che fossi morto…”
“Me
l’hanno fatto credere… Mi hanno obbligato a
cercare qualcun altro… Senza di voi ero perduta…
Non riuscivo più a fare nulla… Non ho potuto che
lasciare che loro facessero e… organizzassero… Il
Comandante in seconda era così sicuro…”
Le sue parole,
nonostante la frenesia con cui aveva preso a giustificarsi, uscivano a
fatica dalle labbra lievi, piegate dal pianto.
“Infami…
Esseri indegni…” bisbigliai, stringendo i pugni.
“Non
arrabbiatevi, vi prego… Loro hanno cercato di fare del loro
meglio… Abbiate pietà…”
Il suo viso
affranto e misericordioso tentò di fare breccia nel mio
cuore. Vi riuscì. Sentii la rabbia sciogliersi, lentamente.
Fino a che mi ritrovai a provare solo pena per i suoi sensi di colpa.
Al punto che mi azzardai ad un gesto che mi ero sempre negato.
Mi alzai in
piedi e presi le sue mani tra le mie, gentilmente.
“Come
voi desiderate… Ora vi scongiuro… Non
piangete…”
Ma Lei
iniziò a tremare. Ancora una volta non riuscì a
rivolgermi la sua attenzione, fissando il pavimento. Ciò che
avevo fatto l’aveva spaventata a tal punto…?
Non resistetti.
Mio malgrado finii per stringere più forte le sue mani.
“Ma…
Vi prego… Non fate piangere neanche me…”
Strinsi i
denti, sentendo di nuovo il noto dolore, la nota ansia.
“Non
negatemi la gioia infinita di potervi guardare negli occhi…
Non abbiate paura di me… Io sono vostro fedele
servo… Per favore…”
“Io
non posso.”
Sgranai gli
occhi. Disperatamente cercai di percepire la sua espressione, senza
però poterla distinguere sul suo volto abbassato.
“Perché?”
“Non
posso e basta…”
Due piccole
lacrime caddero dal suo volto sulle mie mani. Erano così
belle e pure che sentivo il disperato desiderio di berle, come acqua di
fonte.
“Vi
prego… Ditemelo…”
Volevo
abbracciarla. L’avrei fatto, a dispetto delle regole. Ma solo
a patto di non provocarle disgusto, solo a patto di non urtare la sua
sensibilità.
“Perché…
Voi… Mi fate male…”
Aprii la bocca
sperando di trovare qualcosa da dire, ma non ci riuscii. Rimasi ansioso
ad aspettare di capire. Perché? Perché? Sentivo
la domanda rimbombarmi in mente.
“Guardarvi…
mi fa male… Perché… non
posso…”
“Non
potete, cosa?” chiesi, frenetico, inquieto. Le sue mani
tremavano tra le mie, nonostante le stringessi.
“Non
posso… provare… quello che sento…
Più… vi vedo… più lo
sento… e non devo… Non…
posso… volervi più… bene
che… a chiunque altro…”
Fu improvviso.
Fu un lampo nell’oscurità. Un’intuizione
tanto folle da mozzarmi il fiato. La mia reazione fu istantanea e del
tutto istintiva.
“Io
vi amo…” dissi, in un sussurro.
“Cosa…?”
La sua voce
vibrò lieve, piena di insicurezza, ma le sue mani mi
restituirono per la prima volta la stretta.
“Io
sbaglio… Io mi comporto male… Io per primo vi
amo, Mia Signora...”
“Non
è vero… Non dovete…”
“Non
posso altrimenti…” sorrisi amaramente verso di
Lei, anche se in realtà ancora non mi guardava
“Sono ammaliato da voi… La mia Dea
adorata…”
“Io…
Io… Non posso amare nessuno…”
Suonava come
una nota stonata quel riferimento alla sua condizione. Ma tanto reale
da pesare come un macigno.
Era una Santa,
una Sposa del Dio. E io ero solo un uomo, che nonostante tutti i suoi
desideri non aveva neanche davvero il diritto di posare gli occhi su di
Lei.
“Lo
so…” sussurrai, come se quella ammissione fosse la
mia condanna a morte.
“Ma…
Non posso altrimenti…” sospirò piano,
ripetendo le mie parole di poco prima.
Alzò
piano, con calma, il viso. Una dolce vampata di felicità
invase la mia anima a quel semplice gesto.
“Ecco,”
disse piano, fissandomi negli occhi, un sorriso delizioso sulle labbra
“ora sto sbagliando tutto… Se vi guardo
così, fisso… Non posso più smettere di
farlo…”
“Neanch’io…
“ risposi, senza poter evitare che la gioia sfociasse in un
sorriso.
“E
per me è un sacrilegio…”
osservò, stringendo le labbra “Voi siete disposto
a compierlo con me…?”
Questa era la
sola domanda importante. Ma non avevo bisogno di risponderle
perché sapeva già, perché vedeva
già nella mia espressione l’unica risposta. Potevo
affrontare qualunque cosa, anche la maledizione del Dio della Vita. Ma
non potevo rinunciare a Lei. Soprattutto non ora che anche i suoi
sentimenti erano stati rivelati…
“Ogni
istante ho sperato in un miracolo che potesse rendermi
felice… Sapevo che voi siete un
miracolo…”
Non so come
trovai il coraggio di alzare la mia mano e depositarla sulla sua
guancia, mai sfiorata da alcuno. Mi sentivo l’uomo
più fortunato di quella terra. Finalmente, dopo essere stato
il più disgraziato.
“Io
credevo di non poter mai più essere serena, quando ho saputo
della vostra morte… Siete vivo… Grazie al Dio
della Vita, siete ancora con me…”
E
ripeté il mio stesso gesto, posando le sue dita immacolate
sulla mia guancia ferita.
“Non
sporcatevi le mani di sangue... Non le vostre bellissime
mani…” sussurrai.
Ma a quel punto
un dolce calore si diffuse sul mio volto e quando tolse la sua mano
vidi che era perfettamente pulita.
“Non
potevo lasciare quella ferita sanguinante sul vostro viso…
Vi ho solo guarito…” sorrise, dolcemente,
appoggiando la sua mano guaritrice sulla mia, che ancora accarezzava il
suo viso, senza sosta.
Allora sollevai
anche l’altra ed entrambe si soffermarono sulle sue guance
leggermente colorate di un grazioso rosso che mi stringeva il cuore. Le
accarezzavo con tutto l’amore che provavo…
I suoi occhi
dolci, anche se un po’ arrossati dal pianto, si chiusero.
Questa volta, per la prima volta, non per evitare di guardarmi, ma per
sentire appieno il tocco delle mie mani.
Poi, non so
dire quanto tempo dopo, semplicemente alzò le braccia e le
legò al mio collo. Io lasciai allora il suo viso e risposi
all’abbraccio, stringendola alla vita.
Per un
lunghissimo momento restammo così, stretti forte
l’uno all’altra in quella sala vuota.
Finché l’ultimo desiderio impellente si fece
strada dentro di noi, quasi contemporaneamente.
Perché
insieme alzammo la testa, guardandoci ancora, fisso, come mai non
avevamo potuto. Ormai potevamo farlo. Eravamo pronti a rischiare tutto.
Nulla importava più di ciò che provavamo
l’uno per l’altra.
Lentamente, le
nostre bocche si avvicinarono, fino ad unirsi, teneramente, in un bacio
che sembrava non finire mai…
…
Eravamo soli in
quella sala, per fortuna.
Tutto
resterà un segreto, almeno per un po’. Si spera
per sempre, ma non per chissà quale vergogna. Solo
perché così nessuno potrà mai metterci
i bastoni fra le ruote.
Però
non possiamo illuderci. Già da prima le malelingue
immaginavano, a vuoto e maliziosamente, che noi avessimo
chissà quale proibita intimità…
Nessuno sa la
verità.…
Nessuno sa cosa
significa amare la Dea. Nessuno.
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